Movimento dei Focolari
'Dare una risposta all’Amore': una proposta in musica, coreografie, testimonianze

'Dare una risposta all’Amore': una proposta in musica, coreografie, testimonianze

RUFZEICHEN significa “punto esclamativo”, ma Ruf significa anche “chiamata”.
E' il titolo della manifestazione degli oltre 5000 giovani di 29 movimenti e associazioni cattoliche austriache, che ben esprime l'esperienza vissuta sabato 3 novembre nella Cattedrale di Vienna: la meraviglia della chiamata di Dio comunicata con forza da Chiara Lubich.

“Chiara, Grazie! Ci hai comunicato quanto sia grande l'amore di Dio e ciò che lui può fare della nostra vita se ci affidiamo a lui, se ci doniamo a lui, se seguiamo la sua voce”. Cristina, dell'Azione Cattolica, una dei presentatori, parla a nome degli oltre 5000 giovani che sabato pomeriggio hanno gremito la cattedrale di Santo Stefano a Vienna, dandole un volto del tutto inedito.

Una manifestazione – la prima di queste dimensioni – avviata da “Dialog X” che favorisce l'incontro tra oltre 30 movimenti e associazioni, per iniziativa del vescovo Iby di Eisenstadt, incaricato dalla Conferenza episcopale austriaca della pastorale giovanile.
Cristina ha preso la parola dopo che un lungo applauso aveva accolto le ultime parole di Chiara: “Puntate in alto! Avete una vita sola, spendetela per un ideale grande: Dio, l'Amore!”.

Difficile esprimere il clima che si respirava: gioia, entusiasmo, commozione. Lo si leggeva sui volti dei giovani, ma anche su quello del cardinale Schönborn, seduto accanto a Chiara Lubich, su un palco eretto davanti all'altare maggiore. Questo clima veniva reso anche dalla diretta satellitare, trasmessa da Telepace e seguita in tutta Europa e nel mondo via Internet.

Ancora Cristina, nel saluto a Chiara riportava l'interrogativo che qualche giovane si faceva prima dell'incontro: “Che cosa ha da dire questa donna non certo più diciassettenne ai giovani?”, a cui aveva risposto: “Con la sua vita può affascinarli e entusiasmarli”.

E così è stato. In modo del tutto imprevedibile. Dopo le prime battute, Chiara ha lasciato da parte i fogli. Ha donato ai giovani un'esperienza che aveva radici sin dall'infanzia, maturata poi in piena giovinezza. L'ha data con un'intensità tale – perché da lei rivissuta, per così dire, in diretta – che ha avuto una grande forza di coinvolgimento dei giovani presenti.
Veniva in rilievo il filo d'oro della chiamata di Dio, intrecciato col dramma della seconda guerra mondiale che pareva presente, con i richiami all'attuale conflitto in Afghanistan, al dramma dei profughi. Sfondo drammatico di odio e violenza da cui emergeva la risposta ad una domanda che di certo era in molti giovani: “Tutto passa. Ci sarà qualcosa che non crolla?”. Ed è scoppiato un applauso, alla risposta: “Sì c'è: è Dio, Dio Amore. L'unico che non crolla”.
Il racconto che si è snodato rivelava certo un Vangelo esigente perché preso alla lettera, senza sconti, ma affascinante perché, con episodi concreti, Chiara mostrava che a quel “date” evangelico, corrisponde il “vi sarà dato, con una misura colma e traboccante”.

Ed è proprio in questo momento difficile che l'umanità sta vivendo, che quel messaggio esigente lanciato da Chiara, da viversi nell' “amore” momento per momento, verso tutti, “dal professore antipatico, a chi ti passa accanto di altra razza e religione, senza esclusione alcuna”, che si comprende la profondità della risposta dei giovani, la loro gioia e commozione, una gioia liberatoria per aver riscoperto in Dio una nuova certezza. Lo confermano alcune impressioni a caldo: “Abbiamo scoperto che Dio ha un posto importante nella nostra vita.” “Voglio vivere per portare assieme a tutti questi giovani l'amore alla società”.

Parola di vita novembre 2001

Luca scrive il suo Vangelo quando le persecuzioni contro i primi cristiani sono già cominciate. Ma, come ogni parola di Dio, è diretta ai cristiani di tutti i tempi e alla loro quotidiana esistenza. Essa contiene un monito e una promessa. L’uno riguarda più la vita presente, l’altra più la futura. Ambedue puntualmente si verificano nella storia della Chiesa e nelle vicende personali di chi cerca di essere un discepolo fedele a Cristo. E’ normale, per chi segue lui, essere odiati. E’ il destino del cristiano coerente, in questo mondo. Non c’è da illudersi e Paolo ce lo ricorda: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. Gesù spiega il perché: “Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia”. Ci sarà sempre un contrasto fra il modo di vivere del cristiano e quello di una società che rifiuta i valori del Vangelo. Contrasto che può sbocciare in una persecuzione più o meno larvata oppure in una indifferenza che fa soffrire.

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Dunque, siamo avvertiti. Quando, in maniera che ci appare incomprensibile, fuori da ogni logica e da ogni buon senso, riceviamo odio in cambio dell’amore che abbiamo cercato di dare, questa ricompensa non dovrebbe disorientarci, scandalizzarci, meravigliarci. Non è che la manifestazione di quell’opposizione che esiste fra l’uomo egoista e Dio. Ma è anche la garanzia che siamo sulla strada giusta, quella stessa percorsa dal Maestro. Quindi è un momento per rallegrarsi ed esultare. E così vuole Gesù: “Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno […] per causa mia. Rallegratevi ed esultate”. Sì, ciò che deve dominare nel cuore in quell’ora, è la gioia, quella gioia che è la nota caratteristica, la divisa dei veri cristiani in ogni circostanza. Anche perché, non dimentichiamolo, molti sono anche gli amici, fra i fratelli e le sorelle di fede, e il loro amore è fonte di consolazione e di forza.

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Ma c’è anche la promessa di Gesù: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà”. Cosa significano queste parole? Gesù riprende un proverbio di Samuele e lo applica al destino finale dei suoi discepoli, per rassicurarci che, pur avendo delle vere sofferenze, delle reali difficoltà a causa delle persecuzioni, dobbiamo sentirci interamente nelle mani di Dio che ci è Padre, conosce tutto di noi e non ci abbandona mai. Se dice che nessun capello del nostro capo perirà, vuole darci la certezza che Lui stesso si prenderà cura di ogni preoccupazione, anche minima, per la nostra vita, per i nostri cari e per tutto quanto abbiamo in cuore. Quanti martiri noti o ignoti hanno attinto dalle parole di Gesù la forza e il coraggio di affrontare privazioni di diritti, divisione, emarginazione, disprezzo, fino alla morte violenta, a volte, essendo certi che l’amore di Dio ha permesso ogni cosa per il bene dei suoi figli!

«Sarete odiati da tutti per causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà»

Se ci sentiamo bersagliati dall’odio o dalla violenza, in balia della prepotenza, conosciamo già l’atteggiamento che Gesù ci ha indicato: dobbiamo amare i nemici, fare del bene a chi ci odia, benedire chi ci maledice, pregare per chi ci maltratta. Occorre partire al contrattacco e vincere l’odio con l’amore. In che modo? Amando noi per primi. E stare attenti a non “odiare” nessuno, neanche in maniera nascosta o sottile. Perché, in fondo, questo mondo che rifiuta Dio, ha bisogno di Lui, del suo amore, ed è capace di rispondere al suo richiamo. In conclusione, come poter vivere questa Parola di vita? Essendo felici di scoprirci degni dell’odio del mondo, garanzia di seguire più da vicino Gesù, e mettere, a fatti, amore là, proprio là, dove l’odio scaturisce.

Chiara Lubich

Programma della diretta

15,45 INIZIO DIRETTA


15:45 Pantomima di Christian Habringer ’Wo stehe ich?’
15:46 Band: ’Lean on’
15:50 Saluto del Vescovo incaricato pastorale giovanile, Mons. Paul Iby,
15:52 Testimonianza del vescovo
15:54 Il Vescovo introduce la Preghiera
15:55 Preghiera
16:00 Band: ’Jesus, Dein Licht’
16:05 Interviste-testimonianze
16:15 Band: ’Spreng die Leere der Zeit’
16:20 Band: ’Where do I go’
16:31 Card.Schönborn: presentazione di Chiara Lubich
16:41 Chiara Lubich: ’La risposta d’amore alla chiamata’
17.31 Band: ’Bleibe hier bei uns’
17.40 Interviste

17,45 FINE DIRETTA

Echi dal mondo nell’attuale drammatica situazione mondiale

Da New York:

Ci ha dato gioia vedere che in un documentario alla fine della giornata veniva riportata la frase di un ministro nella cattedrale di Washington: "L’amore è più forte dell’odio". E il Rev. Billy Graham, predicatore protestante molto famoso: "L’America ha bisogno di un rinnovamento spirituale". In un’altra intervista un signore diceva: "Quello che i politici e i leaders civili e religiosi non sono riusciti a fare, l’ha fatto questa tragedia: ha unito l’America". Abbiamo saputo dai nostri amici afro-americani che l’Imam W.D. Mohammed (loro leader), aveva fatto in moschea un sermone, dove diceva che la soluzione alla violenza è proprio vivere meglio la loro fede, essere dei veri musulmani, perché l’Islam è una religione di pace.

Da Chicago:

Anche se nell’anima c’è ancora l’angoscia degli avvenimenti dell’11 settembre e la paura di ciò che può succedere ora, gioisco a vedere che questo Paese sta reagendo con tantissimo amore, unità e una solidarietà mai sperimentate. Vedo l’anima religiosa dell’America che viene a galla dopo essere stata per 30-40 anni soffocata dalla mentalità di chi vuole ammazzare la fede in Dio. Poi sono stata colpita dalla solidarietà con i nostri amici ebrei e musulmani, e con cristiani di altre Chiese. In tutta la società, persone di diverse fedi stanno incontrandosi e pregando per la pace.

Da San Antonio:

In questi ultimi giorni siamo stati in contatto con i nostri amici musulmani afro-americani di diverse città: San Antonio, Dallas, Houston, Tulsa, Oklahoma City, Baton Rouge, New Orleans e Jackson. Grande la loro gioia e gratitudine per il nostro sostegno, preghiera e unità. A Dallas, dove hanno sparato ad una moschea di musulmani del Medio Oriente, i nostri amici sono accorsi in soccorso e sostegno. Qui a San Antonio siamo andati ad un incontro di preghiera per la pace, invitati dal nostro amico Imam. Loro notano il bene che sta venendo fuori da questa tragedia e gioiscono specialmente delle preghiere gli uni per gli altri.

Da Karachi – Pakistan:

Certo la sospensione c’è, la trepidazione, per i nostri Paesi, per il Pakistan, l’Afghanistan. Ma è più forte quel "qualcosa" che dice speranza, futuro. Cristiani e musulmani preghiamo insieme. Anche se nel Paese prevale la tensione, nei "nostri" c’è tanta pace. Tutti sentono la spinta forte a diffondere l’ideale dell’unità nel nostro mondo musulmano perché "riscopra – come dicono i nostri amici musulmani – il vero volto dell’Islam". Stiamo cercando di stare vicino, di accrescere l’unità fra tutti, sostenendoli spiritualmente, e di vedere concretamente come aiutarli in questi momenti non facili, in particolare per la comunità cristiana.

Da Gerusalemme:

Due sentimenti abbiamo avuto in seguito a quanto è successo: sgomento per la tragedia e timori per le possibili ripercussioni nel mondo e in Medio Oriente. Ri-offriamo le nostre vite a Dio perché cadano i muri in Medio Oriente e perché la Parola "Unità" diventi una realtà fra i nostri popoli.

Da Londra:

Qui ciò che è accaduto ha un’eco fortissima in tutti. Anche qui, come in America, si moltiplicano le espressioni di solidarietà, che dà testimonianza a livello ecumenico e interreligioso di una nuova esigenza di unità al di là di ogni barriera.

Da Solingen (Germania):

Abbiamo scritto (ed incoraggiato altri a scrivere) ai politici responsabili del governo della Germania e ai capi dei partiti di impegnarsi fortemente per una soluzione politica e per l’eliminazione delle cause.

Da Lipsia (Germania):

Crediamo che il mondo unito si costruisce anche su questo dolore. Lo vediamo già nel nostro piccolo: nelle chiese piene, nei rapporti più veri, in tanti gesti di solidarietà e fratellanza nuova, nell’ansia profondissima per la pace!

Parola di vita ottobre 2001

Spesso Israele, nella sua storia fatta di lunghi esili, faceva l’esperienza di una radicale impotenza di fronte ad avvenimenti che nessuna forza umana avrebbe potuto cambiare. E apprendeva l’umiltà, cioè un atteggiamento di dipendenza totale e di piena fiducia in Dio. E proprio nella sua condizione di popolo umile e povero, più volte Israele trovava rifugio e ascolto solo in Colui che aveva stretto con esso un’alleanza eterna. Nella prospettiva messianica, poi, l’atteso è un re umile che entra in Sion cavalcando un asinello, perché il Dio di Israele è soprattutto il “Dio degli umili”. E poiché in Gesù si sono compiute tutte le aspettative, è dalla sua vita e dai suoi insegnamenti che potremo apprendere la vera umiltà, quella che rende la nostra preghiera accetta al Signore.

«La preghiera dell’umile penetra le nubi»

La vita di Gesù è tutta una lezione di umiltà. Da Dio che è, si è fatto prima uomo nel seno della Vergine Maria, poi pane nell’Eucaristia e quindi “nulla” sulla croce. Aveva detto: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29) e poi nella lavanda dei piedi, lui che era il Maestro, si era chinato a fare il più umile dei servizi. Aveva proposto a modello i piccoli ed era entrato in Gerusalemme a cavallo di un asino. Alla fine si è lasciato crocifiggere, annientandosi nel corpo e nell’anima, per ottenerci il Paradiso. Ma perché tutto questo? Cosa spingeva il Figlio di Dio? Egli non faceva che rivelarci il suo rapporto col Padre, il modo di amare della Trinità, che è un reciproco “farsi nulla” per amore, un eterno donarsi l’uno all’altro. E Gesù riversa sull’umanità questo amore trinitario che raggiunge il suo culmine proprio nell’atto di donarsi completamente nella sua passione e morte. Dio mostra così la sua potenza nella debolezza. Il suo è un amore che solleva il mondo, proprio perché si mette all’ultimo posto, sull’infimo gradino della creazione.

«La preghiera dell’umile penetra le nubi»

Dunque è veramente umile chi, sull’esempio di Gesù, sa farsi nulla, per amore degli altri, chi si mette davanti a Dio in un atteggiamento di totale disponibilità al suo volere, chi è talmente vuoto di sé, da lasciarsi vivere da Gesù. E allora la sua preghiera sarà esaudita, perché quando pronuncia la parola Abbà-Padre, non è più lui a pregare; è una preghiera che ottiene ciò che domanda perché è messa sulle labbra dallo Spirito Santo. Il culmine della vita di Gesù fu quando “egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime a Colui che poteva liberarlo da morte, e fu esaudito per la sua pietà” (Eb 5,7-8) cioè, per la sua preghiera ispirata dall’obbedienza totale alla volontà del Padre, al suo pieno abbandono a lui. Ecco dunque la preghiera che penetra le nubi e giunge al cuore di Dio, quella di un figlio che si solleva dalla sua miseria per gettarsi con fiducia fra le braccia del Padre.

Chiara Lubich

 

Ci sarà qualcosa che nessun attacco, nessuna bomba può far crollare?

D. – Di fronte ad una così grande tragedia e assurdità che ci supera tutti, si è alla ricerca di un senso. A tanta paura e angoscia, quale risposta?

R. – Quando ho visto incredibilmente quelle torri crollare, di fronte a questa immane tragedia, allo shock di una super-potenza che si scopre di colpo vulnerabile e tocca con mano il crollo di tante certezze, di fronte alla paura dello scoppio di una guerra dagli esiti imprevedibili, m’è parso di rivivere a Trento sotto i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Tutto crollava e forte era la domanda se c’era qualcosa che nessuna bomba potesse distruggere? La risposta era stata: sì c’è. E’ Dio. Dio che scoprivamo Amore. Una scoperta folgorante che ci aveva dato la certezza che lui non può abbandonare noi uomini, che Lui non è mai assente dalla storia, anzi che sa convogliare qualunque cosa succede al bene. E l’ho toccato con mano in modo sorprendente. E mi sono chiesta: non sarà che proprio ora, all’inizio di questo XXI secolo Dio voglia ripetere questa grande lezione e darci di rimettere lui al primo posto nella nostra vita, costringendoci a mettere in sott’ordine tutto il resto? E questo mi dice speranza e futuro. Per cui quello che per tutti sembra un passo indietro, per me ha assunto un significato diverso. Ed ho visto che questa visione delle cose sta spuntando anche nell’anima degli americani. Così mi dicono da lì.

D. – Quali sono i segni concreti di questa visione?

R. – Ci sono assolutamente dei segni concreti! Per esempio ho saputo che un ragazzo di 15 anni diceva: "Sono molto colpito dal male provocato da una simile azione; ma guarda quanto bene ne sta venendo fuori. E’ una gara di solidarietà che non si è mai vista." Attribuisco ciò al fatto che questi avvenimenti tragici hanno avvicinato maggiormente le persone a Dio. Ancora mi scrivono da New York – e questo lo si sa anche attraverso la televisione – che hanno visto la città completamente trasformata, muri di indifferenza sciogliersi in una valanga di aiuti concreti, di conforto, di prontezza a far qualcosa, proprio che allevi i dolori degli altri. E’ commovente – dicono – vedere tutto un popolo che, davanti alle avversità, si rivolge verso Dio in preghiere spontanee, dal Parlamento alle piazze, mostrando così le sue vere radici di fede. Secondo noi questo è un segno anche della vocazione particolare di questo grande Paese. Sono stata più volte negli USA: hanno una speciale vocazione all’unità. Sono presenti, si può dire, tutte le etnie del mondo. E’ un Paese talmente multi-religioso, multi-etnico, multi-culturale che potrebbe presentare al mondo un modello d’unità.

D. – Però non si può negare che ci sia anche un crescente sentimento anti-islamico; c’è stato anche un attentato negli Stati Uniti in questo senso. Che cosa si può fare per evitare queste divisioni, questi sentimenti che criminalizzano l’intero mondo musulmano?

R. – Da tempo nel nostro Movimento – ma non è solo nel nostro Movimento – abbiamo costruito una profonda unità in Dio con i musulmani; e proprio negli Stati Uniti, con un vasto Movimento musulmano afro-americano. Ed ho saputo che in questo momento li aiuta tanto l’essersi uniti con noi cristiani nell’impegno di portare nel mondo la fraternità universale. Dobbiamo riconoscerci fratelli, cristiani e musulmani. Siamo tutti figli di Dio. Perciò comportiamoci noi cristiani in questa maniera. Ecco, questa è la strada.

D. – Lei, appunto, conosce bene l’Islam e ci sono – lei dice – anche musulmani che sono nel suo Movimento dei Focolari?

R. – E certo! Moltissimi: ce ne sono in Algeria, ce ne sono in America, ce ne sono in Palestina. E in molti altri Paesi dove ci sono musulmani, in Africa, in Asia.

D. – Com’è possibile, a suo avviso, tanto odio da parte di alcuni fondamentalisti musulmani? Che cosa si può fare?

R. – Secondo me, qui c’è di mezzo il Male con la M maiuscola. Per questo io sento profondamente una cosa, che forse è un po’ originale: adesso si stanno mobilitando tutte le forze, a livello politico, tra capi di Stato, ecc. Ma bisogna che anche il mondo religioso si mobiliti per il bene, si unisca per il bene. Già lo si fa. Per esempio il Santo Padre, domenica scorsa ha parlato con così tanta forza – e tutti i giornali, ho visto, lo riportano – che bisogna che l’America non si lasci tentare dall’odio. Di continuo ripete i suoi appelli per la pace. E’ quanto già sta facendo, per esempio, la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace. Pochi giorni fa c’è stato a Barcellona un incontro di centinaia di rappresentanti di religioni e di Chiese diverse, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio che hanno fatto anche un messaggio in cui si impegnano per la pace. Il nostro stesso Movimento, per esempio, nella sua espressione più politica – si chiama "Movimento dell’Unità" – porta questa idea della fraternità che è foriera di pace, attraverso i Comuni, attraverso i Parlamenti, in molte parti del mondo. Ma è poco, quello che facciamo. Tutto andrebbe intensificato e universalizzato. Non bisogna lasciar fare soltanto al mondo politico. E preghiamo che non si crei tragedia su tragedia se non si imbocca la strada giusta, secondo la saggezza e il buon senso. E m’è venuta un’idea: se noi tutti cristiani, attuassimo con rinnovato slancio la nuova evangelizzazione, così come il Papa la presenta, questa sarebbe una soluzione, perché porta proprio la fraternità, lo spirito di comunione, non solo fra i cattolici, ma poi, attraverso il dialogo, con tutti gli altri nel mondo. Insomma si potrebbe trovare una strada.

D. – Che cosa può dare il cristianesimo all’Islam, in questo dialogo?

R. – La fraternità, la fraternità. Il piano di Dio sull’umanità è proprio la fraternità. E’ quella anche il correttivo della politica deviata, che un po’ viviamo anche noi qui in Occidente. Fraternità che è possibile anche con gli uomini di altre fedi e di altre convinzioni, perché l’amore fraterno è nel DNA di ogni uomo creato a immagine e somiglianza di Dio.

D. – Eppure in questo momento si sta vivendo un po’ un clima di guerra…

R. – E sì, purtroppo! Si sperava di no, e invece mi sembra che le cose si fanno più gravi.

D. – Che cosa può fare l’uomo della strada, l’uomo semplice?

R. – Ci sono già iniziative concrete. So di una città italiana che vorrebbe offrirsi per ospitare nelle famiglie i bambini di New York e Washington rimasti orfani. Noi stessi accogliamo in una delle nostre cittadelle vicina a New York persone bisognose di aiuto. Mentre sul posto siamo tutti impegnati ad aiutare chiunque incontriamo con qualsiasi mezzo. L’amore è inventivo. Bisogna darsi da fare.

D. – Lei quindi anche in questa tragedia vede un mondo che va verso l’unità?

R. – Verso il bene, verso l’unità. Proprio così. Anzi, guardi, paradossalmente noi qui e i nostri del Movimento negli Stati Uniti, ci diciamo la stessa cosa. Noi abbiamo come ideale, appunto, un mondo migliore, un mondo unito. Ecco, ci diciamo: ma qui paradossalmente le porte… si spalancano per arrivare prima all’unità.

La preghiera planetaria dei giovani per la pace

"Con la certezza di aver raggiunto il cuore del Padre con la nostra preghiera planetaria, oggi più che mai assicuriamo il nostro impegno a non riposare, affinché scoppi la pace" dicono i giovani di Bahia Blanca (Brasile). "Abbiamo un Alleato d’eccezione, possiamo farcela…" scrivono da Barcellona. "Scegliamo di vivere 'la fraternità infinita' come antidoto a ogni violenza", così da Nantes Francia. "Siamo in prima fila, pronti all’ 'offensiva dell’amore'", da Los Angeles.

Questi, alcuni dei molti echi giunti via fax e e-mail da giovani di tutto il mondo dopo il collegamento telefonico planetario di domenica scorsa che aveva messo in comunicazione migliaia di giovani da oltre 70 città nei 5 continenti: da New York a Mosca, da Hong Kong a Toronto, da Fontem (Camerun) a Dallas, Brasilia, Buenos Aires, Bombay sino alla Nuova Caledonia (Australia). Giovani cattolici, ma anche cristiani di altre tradizioni, musulmani, ebrei e indù.

Un’iniziativa definita da molti “un’esperienza di unità planetaria”, una potente iniezione di speranza e coraggio nel clima di “paura globale” che si respira. E’ stata promossa dai “Giovani per un mondo unito”, espressione giovanile del Movimento dei Focolari. Segna il culmine della Settimana Mondo Unito, giunta alla sesta edizione, una settimana densa di iniziative per la pace, l’unità e la solidarietà.

Ed è proprio la drammatica situazione mondiale di queste ore che ha spinto questi giovani ad imprimere un nuovo slancio, una nuova radicalità all’impegno di vivere e pregare per la pace e l'unità. E’ perciò che è stata per tutti i giovani un momento culmine del collegamento, la preghiera finale “all’unico Dio”, nella certezza di “strappare dal Cielo la grazia della pace” con “la promessa di essere portatori di pace, non solo dove vi è violenza, ma dovunque dove siamo ” (da Catania).

Chiara Lubich aveva lanciato un messaggio che – come scrivono i giovani di Hong Kong – "ci ha dato la chiave per vedere Dio che agisce nella storia anche dietro gli avvenimenti dolorosi". Chiamava i giovani a "testimoniare con più forza il grande Ideale che Dio ci ha dato: l'unità". Chiara ha comunicato loro quanto le hanno scritto dalla Thailandia: “Se esistono persone capaci di sacrificare la vita per una causa che provoca la morte, noi dobbiamo essere felici di dare la nostra vita per il bene, per l’unità”. Questo l’antitodo più radicale all’attuale drammatica situazione mondiale.

E la risposta è stata senza mezze misure. "Mi ha impressionato la possibilità di dare la vita per il mondo unito: sento che Gesù mi richiede questo, mettendo da parte tutto il resto”. (da Catania) "E' la risposta concreta alla sfida drammatica in cui viviamo oggi" (dal Portogallo).

Messaggio di Chiara Lubich

Carissimi giovani,
eccoci giunti al nostro appuntamento mondiale: quello di oggi è il primo del nuovo millennio!
Il 5 settembre scorso il Papa, rivolgendosi a leaders di tutte le religioni riuniti a Barcellona per un congresso interreligioso, li invitava a iniziare questo nuovo millennio, il XXI

Testimonianza dei giovani da New York

Una risposta testimoniata proprio dai giovani più colpiti, quelli di New York: da loro innanzitutto un grazie, perché attraverso e-mails e fax hanno sentito condiviso con i coetanei di tutto il mondo "il grande dolore di questo tragico momento per il nostro Paese". Toccante la loro esperienza: “Mentre guardavamo il World Trade Centre cadere in fiamme e cenere, abbiamo subito pensato agli inizi del Movimento a quelle parole della nostra storia: “Erano i tempi di guerra e tutto crollava. Solo Dio e il Suo amore rimangono”.

Questo e’ apparso chiaro non solo a noi Giovani per un Mondo Unito, ma anche a tanta altra gente nel nostro Paese che si sono unite in questo momento di dolore. Infatti, subito dopo abbiamo visto come l’amore è più forte dell’odio, l’amore sta già vincendo perché le barriere dell’indifferenza crollano e ci si aiuta l’un l’altro concretamente sostenendosi a vicenda. Molti gli atti concreti per le squadre di soccorso, i sopravvissuti, le famiglie in lutto. Gli aiuti e le offerte di volontariato hanno superato la domanda.

Che cosa possiamo fare noi di concreto, ci siamo chiesti, che non sia già stato dato? Abbiamo capito che abbiamo un dono unico, immenso da offrire in questo momento di shock e smarrimento: quella comprensione di questo grande dolore illuminata dal mistero di Gesù che sulla croce giunge a gridare l’abbandono del Padre. Siamo certi più che mai dell’amore di Dio e che questa sofferenza porterà frutti."

Una certezza che si imprime in tanti: "Tutto crolla… Oggi ho sentito in modo più forte che anche se tutto crolla… l’amore di Dio resta" (Francesca 17 a. Scicli). Da Los Angeles: "Ci impegniamo ad amare tutti, specialmente quelli che soffrono per questa tragedia. Vediamo, nonostante tutto, segni di quel mondo nuovo per cui vogliamo vivere".

Messaggi da giovani dei 5 continenti

Da 11 punti dei 5 continenti i giovani hanno comunicato una carrellata di esperienze concrete: dal messaggio di solidarietà dei giovani musulmani dell’Algeria, a quello dall’India dei giovani indù dell’istituzione gandhiana Shanti Ashram. Dalla Corea giovani giapponesi e coreani, popoli tradizionalmente nemici, hanno testimoniano l’unità con un concerto per la pace. Da El Salvador dove giunge l’eco della sofferenza e della gratitudine per la solidarietà vissuta dopo i due recenti devastanti terremoti.

Dall’Africa, la voce dei giovani di Fontem – cittadina nel cuore della foresta camerunese – che, a partire dalla giornata mondiale dei giovani del 2000, è testimone di un’ondata di solidarietà concreta, grazie al lancio del "Progetto Africa": in un anno oltre 250.000 i dollari raccolti per la costruzione di una nuova ala dell’ospedale per i malati di Aids e per altri interventi.
Ma non solo aiuti: "Dall’inizio di quest’anno abbiamo avuto la possibilità di accogliere giovani dalla Germania, Austria, Francia, Italia, Filippine, Olanda e da altri Paesi africani". Sono giunti non solo per prestare il loro aiuto, ma per uno scambio dei valori della proprio cultura.

Ancora da Innsbruck, viene annunciato per i primi di novembre un grande incontro dei sindaci d’Europa (9/10 novembre) per dare un’anima al continente, a cui parteciperanno il Presidente Prodi e Chiara Lubich. Invitati anche 200 giovani.

E dal Canada parte l’appuntamento a tutti i giovani del mondo: a Toronto per la Giornata mondiale della gioventù 2002 con il Papa.

Parola di vita Settembre 2001

L'insegnamento di Gesù qui riguarda l'uso della ricchezza, e Luca, l'evangelista dei poveri, se ne fa portavoce. Il termine “mammona” è una parola aramaica che significa i beni materiali, ma è usato qui da Gesù in senso negativo e cioè come quell'insieme di tesori che possono prendere nel cuore umano il posto di Dio. Il pericolo della ricchezza è che ci si possa innamorare a tal punto di essa, da richiedere l'impegno di tutte le forze e di tutto il tempo a disposizione per mantenerla ed accrescerla. Essa diventa un idolo a cui sacrificare tutto. Per questo Gesù la paragona a un padrone così esigente da non ammetterne altri. Di qui la richiesta di una scelta senza compromessi.

«Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».

Le parole di Gesù non devono suonare come una condanna della ricchezza in se stessa; ma del posto esclusivo che essa può avere nel cuore umano. Egli non richiede a tutti la povertà assoluta, anche esterna, tanto è vero che ci sono dei ricchi fra i suoi discepoli, come Giuseppe d'Arimatea. Ciò che egli richiede è il distacco dai propri beni. Occorre che il ricco non si consideri tanto padrone, quanto amministratore dei beni in suo possesso, i quali sono primariamente di Dio e destinati non solo ad alcuni privilegiati ma a tutti. La ricchezza è un ottimo mezzo se serve a chi è nel bisogno, se aiuta a fare del bene, se si usa a fini sociali, non solo con opere di carità ma anche nella gestione di un'azienda. Solo in questo modo ci si potrà servire dei propri beni senza essere asserviti ad essi. Grande è il pericolo di accumulare ricchezze per sé. E sappiamo bene dall'esperienza e dalla storia, quanto l'attaccamento ai beni di questa terra possa corrompere e allontanare da Dio. Per cui non deve sorprendere l'aut aut così deciso di Gesù: o Dio o la ricchezza.

«Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».

Come mettere in pratica, allora, questa parola? Oltre a chiarirci il rapporto con la ricchezza, essa, come ogni parola di Dio, ci dice molte altre cose. Gesù non ci pone di fronte all'alternativa fra lo scegliere Dio o mammona. Dice chiaramente che, nella nostra vita, dobbiamo scegliere Dio. Forse, fino ad oggi, questo non l'abbiamo ancora fatto. Forse abbiamo mescolato un po' di fede in lui, una qualche pratica religiosa, un certo amore per il prossimo, con tante altre piccole, grandi ricchezze, che occupano il nostro cuore. Analizzandoci bene, possiamo vedere se ciò che più importa a noi è il lavoro o la famiglia o lo studio o il benessere o la salute o tante altre cose umane che amiamo per se stesse o per noi, senza nessun riferimento a Dio. Se così è, il nostro cuore è già schiavo: poggia su idoli, idoletti, incompatibili con Dio. Che fare? Decidersi; e dire a Lui che non desideriamo altro che amarlo con tutto il nostro cuore, con tutta la nostra mente, con tutte le nostre forze. E poi sforzarci di tradurre in pratica questo proposito, che non è difficile se lo attuiamo momento per momento, ora, nel presente della nostra vita, amando tutto e tutti soltanto per Dio.

Chiara Lubich

 

Le ragioni della convivenza. La convivenza delle ragioni

E' il dialogo tra cristiani e laici la nota fondamentale e qualificante di questo VI Convegno Internazionale che ha affrontato tematiche di grande attualità: Globalizzazione economica e cultura, politica e etica sociale. La base è una comunione profonda costruita mettendo al centro la persona, rendendo così possibile e fecondo lo scambio di riflessioni, esperienze, proposte. E' Chiara Lubich stessa, che, nel messaggio rivolto ai partecipanti di convinzioni non religiose, letto in apertura del Convegno, evidenzia le radici di questa comunione tra cristiani e laici:

Noi, come tutti i cristiani, abbiamo certamente fede in un Dio trascendente, ma incarnatosi su questa terra, fattosi uomo. Il fatto che ha preso carne umana è – vorrei dire – il punto qualificante della nostra religione che il Movimento sottolinea appieno. Ed è qui quel qualcosa di grande che ci permette un profondo legame con voi, una comunione con voi, impegnati come siete a rispettare, a potenziare l'essere umano, ogni uomo, con l'incremento e la salvaguardia dei suoi valori. Ciò che anche noi dobbiamo e vogliamo fare assieme a voi”: E' sull'Uomo-Gesù che fissiamo lo sguardo quando con voi desideriamo spenderci per il bene dell'uomo, le sue necessità, ma anche quando vogliamo comprendere le sue immense potenzialità e le sue ricchezze“.

Portata universale del dialogo  

Un movimento, come quello dei focolarini, nato da una profondissima convizione religiosa, dalla scelta di Dio come ideale della loro vita, può forse essere d’interesse per uomini e donne di altre convinzioni? C’è qualche segno che tutto quanto facciamo può contribuire al grande disegno che abbiamo dinanzi: la fraternità universale per un mondo unito? A questi interrogativi ha risposto il messaggio di Chiara Lubich, approfondito dalle esperienze nelle più diverse condizioni di vita da laici di Firenze, Roma, Barcellona e Parigi.

Riflessioni ed esperienze sull'economia  

Il laico Armando Romano ha affrontato il tema della globalizzazione economica e di quella culturale, che condiziona pesantissimamente la vita dei popoli del Sud, ma anche del Nord del mondo. Povertà estreme sempre più insopportabili per i primi; solitudini, separazioni, egoismi, disagi umani e politici per i secondi. Alla denuncia di Armando ha fatto eco con soluzioni innovative Luigino Bruni dell'Università di Milano. Egli ha indicato nella riconduzione del mercato alla sua funzione originaria di socializzazione, come pure nei rapporti umani improntati più alla comunicazione amichevole ed altruistica che alla caccia di sempre più costosi quanto inutili “status-simbols”, insomma in una nuova cultura solidale, il futuro di un'economia sostenibile, giusta, responsabile e… portatrice di felicità.

Le testimonianze di due giovani imprenditori belgi e di uno portoghese, responsabili di due medie imprese in fase decisamente espansiva, che sostengono il progetto dell'Economia di Comunione in favore di 10.000 famiglie emarginate in vari Paesi in via di sviluppo, come pure un filmato sulle sei aziende operanti nel Polo industriale nei pressi di San Paolo in Brasile, hanno conquistato colla forza dei fatti l'attenzione ed il cuore dei 300 presenti.

Riflessioni ed esperienze sulla politica  

Il laico Roberto Montanelli e la cattolica Lucia Crepaz presentavano insieme le loro riflessioni sulla politica: riflessioni su una concezione alta e su una pratica della politica vista come attuazione del 3° assunto della rivoluzione francese, la fraternità, rimasto piuttosto in ombra rispetto a quelli della libertà ed eguaglianza, ma essenziale ad ambedue perché la libertà degli uni non avvenga a scapito di quella degli altri, o l'uguaglianza non si trasformi in camicia di forza per la libertà. La testimonianze di tre sindaci italiani e di un ex segretario di partito, già vittima del nazismo, il viennese Franz Muhri, personaggio di grande spessore umano, che, assieme ad alcuni componenti della segreteria del partito, in dialogo col locale Movimento dei focolari sta portando a compimento lo statuto del nuovo partito comunista austriaco, ora pienamente democratico e inserito nella società civile (anche nella sua componente religiosa).

Etica sociale   

E’ la base ed il fine di ogni attività umana. Solo un'etica basata sui diritti ed i valori umani può umanizzare ogni attività umana, attività che nella nostra società hanno purtroppo se stesse come mezzo e fine e producono asservimento alienazione, a cominciare proprio dalla politica e dall'economia, dalla scienza e dall'informazione. Il laico Piero Taiti parte dall'art. 1 della dichiarazione ONU del '48, che proclama la libertà di ogni uomo, per affermare che essa non può essere conculcata da sovrano alcuno, portatore di qualsivoglia ideologia di razza, di religione, di popolo o quant'altro. Nota quante volte tale libertà sia stata nel corso della storia umana proclamata e negata, in nome di questo o quel potere, compreso quello – presunto – della ragione. Cita Hans Jonas, che dichiara imprescindibile per la convivenza umana la corresponsabilità di ciascun cittadino per ogni suo simile e distingue il diritto, valido e obbligatorio per tutti e quindi difesa per tutti, dall'etica, che non impone ma anima la convivenza umana.
Il cattolico Antonio Baggio, dell'università Gregoriana di Roma, ravvisa nell'etica che nasce dal dialogo il tratto fondamentale della nascita e della crescita della cultura europea: da Socrate, che dialogava col dàimon divino presente in sé, a Platone, che dialogava col gruppo degli altri discepoli del suo maestro, a Gesù di Nazareth, che dalla domanda profondamente umana a Dio: “Perché mi hai abbandonato?” arriva alla risposta dell'affidarsi a quello stesso Dio.

Toccante la testimonianza di Luli, non credente di Quito (Equador), che con altre giovani del Movimento riesce a rendere dignitosa la vita di 160 bambini di strada della sua città. Il gruppo di Milano invierà un suo esperto da lei per sostenere la sua azione. Maurizio, cattolico, e Khaled, musulmano tunisino, gestiscono insieme ad un terzo pescatore una barca a Cesenatico (Rimini) e organizzano feste che coinvolgono tutti i marinai del porto. Molto concreto nei particolari del racconto del loro duro lavoro, il loro dialogo costruttivo nella vita di ogni giorno.

Gruppi di Lavoro  

Se ne costituiscono 15, composti da 15-20 membri ciascuno. Ad essi si dedicano oltre 3 ore filate. Ci si conosce in profondità, gli argomenti e le esperienze del convegno permeano lo scambio di esperienze, critiche, proposte, sostanziale adesione allo spirito che anima il dialogo.

 

Parola di vita Agosto 2001

Nell'Antico Testamento il fuoco simbolizza la parola di Dio pronunciata dal profeta. Ma anche il giudizio divino che purifica il suo popolo, passando in mezzo ad esso. Così è la parola di Gesù: essa costruisce, ma contemporaneamente distrugge ciò che non ha consistenza, ciò che deve cadere, ciò che è vanità e lascia in piedi solo la verità. Giovanni Battista aveva detto di lui: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” , preannunciando il battesimo cristiano inaugurato il giorno di Pentecoste con l'effusione dello Spirito Santo e l'apparizione delle lingue di fuoco. Dunque è questa la missione di Gesù: gettare il fuoco sulla terra, portare lo Spirito Santo con la sua forza rinnovatrice e purificatrice.

«Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!»

Gesù ci dona lo Spirito. Ma in che modo lo Spirito Santo agisce? Lo fa diffondendo in noi l'amore. Quell'amore che noi, per suo desiderio, dobbiamo mantener acceso nei nostri cuori. E com'è questo amore? Non è terreno, limitato; è amore evangelico. E' universale come quello del Padre celeste che manda pioggia e sole su tutti, sui buoni e sui cattivi, inclusi i nemici. E' un amore che non attende nulla dagli altri, ma ha sempre l'iniziativa, ama per primo. E' un amore che si fa uno con ogni persona: soffre con lei, gode con lei, si preoccupa con lei, spera con lei. E lo fa, se occorre, concretamente, a fatti. Un amore quindi non semplicemente sentimentale, non di sole parole. Un amore per il quale si ama Cristo nel fratello e nella sorella, ricordando quel suo: “L'avete fatto a me”. E' un amore ancora che tende alla reciprocità, a realizzare, con gli altri, l'amore reciproco. E' quest'amore che, essendo espressione visibile, concreta della nostra vita evangelica, sottolinea e avvalora la parola che poi potremo e dovremo offrire per evangelizzare.

«Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!»

L'amore è come un fuoco, l'importante è che rimanga acceso. E, perché ciò sia, occorre bruciare sempre qualcosa. Anzitutto il nostro io egoista, e lo si fa perché, amando, si è tutti protesi verso l'altro: o Dio, compiendo la sua volontà, o il prossimo, aiutandolo. Un fuoco acceso, anche piccolo, se alimentato, può divenire un grande incendio. Quell'incendio di amore, di pace, di fraternità universale che Gesù ha portato sulla terra.

Chiara Lubich

 

Strumento di lavoro

La città, luogo della prossimità

La politica come principio di organizzazione della società civile ha preso le mosse dalla «città». Dopo 2500 anni di vicende politiche ed istituzionali, occorre riscoprire la dimensione urbana della politica, occorre tornare, in Europa e nel mondo, a guardare alla città come al luogo ove le dimensioni della socialità e della “prossimità” tra gli uomini trovano la prima, concreta espressione. Già Aristotele, del resto, considerava la città come uno spazio politico tipicamente umano, cioè distintivo dell’uomo in quanto uomo ed essere sociale; e nella tradizione antica la dimensione urbana è collocata nel «giusto mezzo» tra le due polarità del «giardino» e del «deserto». La politica, nella sua essenza, tratta della comunità e della reciprocità di persone e comunità differenti; nasce, dunque, nello spazio-tra-gli-uomini; si costituisce come relazione. E dove maggiormente, se non nella «convivialità» e nella “ospitalità” dello spazio comunale questa relazione può sviluppare tutte le sue potenzialità? Il comune, con la sua stessa esistenza, testimonia due esigenze, in cui tutti si riconoscono: quella della comunità e quella della solidarietà. Ma, nella complessità sociale e politica del mondo contemporaneo, è necessario un fattore aggiunto, un supplemento qualitativo che, partendo proprio dalla prossimità della vita comunale, rigeneri la comunità e renda concreta la solidarietà.

L’Europa, laboratorio di fraternità

Questo fattore, questo “di più” rinvenibile in tutte le tradizioni di pensiero, pur diversamente radicato e declinato, è la fraternità. Si può affermare che l’Europa ha realizzato la reciproca libertà dei popoli attraverso la reciproca libertà degli Stati; tra essi, infatti, non vi sono egemonie politiche (contano, ad esempio, nel voto, essenzialmente gli aspetti demografici). Benché in modo parziale ed incompleto, l’Europa ha favorito anche l’uguaglianza dei popoli, con le politiche di coesione economica e sociale, la libertà di circolazione, la parità di trattamento e il riconoscimento dei diritti fondamentali al di là delle frontiere nazionali.Ma la fraternità dei popoli e degli Stati, sia tra quelli che sono attualmente membri che tra quelli che non lo sono, sia reciprocamente tra loro, è ben lungi dall’essere una realtà. Realizzare la «fraternità politica» in Europa, trarre tutte le conseguenze dalla «prossimità» reciproca dei popoli e degli Stati, compirebbe il passaggio dall’Unione Europea alla com-unione europea. Si tratta di realizzare il progetto dialogico, ospitale, conviviale e fraterno di un’Europa autenticamente e liberamente unita e al contempo autenticamente e consapevolmente molteplice. Un’Europa ove si compongono, senza fusioni o egemonie, strutture, territori, funzioni, identità, culture, nella coscienza della reciproca appartenenza e della reciproca responsabilità.Mettere in moto la fraternità politica, dimostrare che essa è la chiave per ritrovare il senso ultimo della costruzione europea e per fornire risposte originali alle molteplici sfide poste dall’ampliamento del suo territorio, dalla rivisitazione delle sue strutture, dalla riqualificazione delle sue funzioni: questo il compito che attende l’Europa ed i suoi Comuni.

Il Comune, un cantiere europeo

I Comuni, oggi, hanno molto da dire all’Europa, e il loro compito può essere assai più incisivo che quello di dare l’esempio, pur importante, di «virtù pubbliche» nella gestione locale.Tornare alle radici del modello comunale vuol dire, in fondo, scoprire le potenzialità politiche della dimensione della fraternità, che si dipana dalla «prossimità» della vita cittadina alle «prossimità» più ampie della regione, del livello statale, dell’Europa, del mondo. La fraternità politica del Comune trova nelle diverse declinazioni della «prossimità», cioè nel reciproco «farsi vicini» dei cittadini e delle istituzioni la sua specifica concretizzazione. E ciò è denso di significati per l’Unione Europea, che si costituisce al contempo come unione di Stati e unione di popoliLa ricchezza e l’articolazione della vita nelle comunità locali costituisce un patrimonio politico-amministrativo prezioso, che va ben al di là della dimensione comunale. Il modello di partecipazione nella politica urbana è fatto di molti canali, istituzionali ed informali, e di molti soggetti, organizzati o spontanei. Più di altre istituzioni, i Comuni già oggi assicurano in modo sistematico forme di devoluzione di poteri e di decentramento per meglio servire i cittadini; promuovono spesso una stretta collaborazione tra il settore pubblico, privato ed il volontariato. Nei Comuni si è sviluppata in modo quasi naturale una rete di relazioni di cooperazione che vanno al di là dei rapporti “verticali” di gerarchia. I Comuni costituiscono perciò altrettanti luoghi di maturazione di un nuovo progetto di Europa, che consenta non solo di consolidare i rapporti tra Stati e Governi, ma soprattutto di fare passi avanti decisivi verso l’unità dei cittadini e dei popoli. I Comuni europei, in molti casi, già oggi testimoniano l’impegno delle autonomie e dei poteri locali per l’approfondimento della democrazia in Europa, e per «dare un’anima» al processo di integrazione e a quello di allargamento.Essi stessi hanno elaborato originali soluzioni ed esperienze istituzionali, che si inseriscono costruttivamente nel dibattito sul futuro dell’Unione Europea, in vista di una più ripartizione più flessibile e cooperativa delle funzioni e delle responsabilità tra i diversi livelli di governo in Europa.Ai Comuni spetta un posto centrale nella ricerca di un metodo più democratico, partecipativo ed efficace di elaborazione e gestione delle politiche in Europa. Ed il ruolo dei Comuni europei è centrale, specie dopo l’affermazione, nel Trattato di Maastricht, della cittadinanza europea come dimensione di appartenenza e di partecipazione. I Comuni dell’Unione, quelli dei Paesi dell’adesione e quelli che, più in generale, si riconoscono nel progetto europeo, rappresentano la “prima linea” per affrontare con coraggio, apertura, senso di responsabilità e solidarietà i problemi che inevitabilmente sorgeranno nel processo di ricomposizione dell’unità europea, nel rispetto ed anzi nella piena valorizzazione delle sue varie culture ed identità.

1. Funzioni e responsabilità dei livelli di governo in Europa

La complessità insita nel disegno e nella struttura dell’Europa ci sprona, partendo proprio dalla quotidianità della vita nei nostri Comuni, a ripensare la politica, sia essa locale, regionale, nazionale, internazionale.Interessanti prospettive si sono già aperte dopo l’adozione da parte del Consiglio d’Europa e l’apertura alla ratifica della Carta europea delle Autonomie Locali. Il 2001 è l’anno in cui le istituzioni europee ed i Governi degli Stati membri dell’Unione Europea hanno avviato una nuova riflessione sull’avvenire dell’Europa (che si basa sulla «Dichiarazione sul futuro dell’Unione» allegata al Trattato di Nizza). Tra i punti su cui si sollecita un’ampia discussione a livello di società civile, forze politiche, ambienti culturali ed accademici, figura quello della ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri e, implicitamente, la loro articolazione interna (regioni, province, dipartimenti, comuni, comunità). Inoltre, sempre nel 2001, è stato lanciato il dibattito sulla «governance», e cioè sul “metodo di governo”, sulla cooperazione costruttiva tra tutti i livelli di potere e di responsabilità in Europa.I principi-guida di questa riflessione sono la sussidiarietà, il pluralismo istituzionale e la legittimità democratica. Sono punti programmatici emersi già in occasione del Trattato di Maastricht, e che pero’ non hanno ancora trovato una realizzazione nelle concrete politiche europee. In ogni caso, la sussidiarietà non puo’ essere ridotta ad una fredda “divisione del lavoro” tra apparati di governo nazionali e apparati sovranazionali. Il principio di sussidiarietà non si può nemmeno ridurre ad un elenco di funzioni da assegnare a questo o a quel livello istituzionale; esso comporta, invece, un radicale cambiamento di etica politico-istituzionale, più che la ridefinizione di architetture istituzionali.La sussidiarietà non discende dall’alto come concessione, né nasce dal basso solo come domanda. Essa sorge e si sviluppa solo grazie ad una tessitura paziente di rapporti, ad un dialogo costruttivo tra tutte le istituzioni. Essa richiede inoltre il riconoscimento della diversità istituzionale, cioè della pluralità delle organizzazioni territoriali e funzionali e della loro pari dignità. In questo contesto, la potenzialità della dimensione locale è essenziale. La sussidiarietà autentica (dalle persone e dalle comunità alle istituzioni mondiali) è un principio strutturale, insito nelle dinamica politica tra persone e comunità. La sussidiarietà deve essere attiva, dinamica, cooperativa, e non deve creare compartimenti stagni. L’idea che si fa strada è che lo spazio politico abbia una continuità, ben al di là del principio di sussidiarietà, da un livello di comunità ad un livello di mondialità. Un’azione politica consapevole deve indirizzarsi verso la ricerca di soluzioni istituzionali che consentano, come scriveva Robert Musil, di “essere abitanti del villaggio, ma anche abitanti del mondo.”Il grande tema della “condivisione di sovranità” in Europa non riguarda perciò soltanto i Governi nazionali nei loro rapporti con le istituzioni sovranazionali ed internazionali, ma anche la capacità degli Stati nazionali di condividere al loro interno questa stessa sovranità su base territoriale e/o funzionale. In questo senso, processo di integrazione europea e federalismo decentralizzante, inteso cioè come affermazione del ruolo “originario” delle autonomie non sono in contraddizione, ma sono parte di uno stesso dinamismo dello spazio politico in Europa. Un nuovo assetto istituzionale, in tutto lo spazio politico europeo, puo’ essere costruito solo se è sussidiario, funzionale, relazionale, costruttivo, responsabile, aperto, e fraterno.

PROPOSTA

L’esperienza comunale insegna che la sussidiarietà deve essere completata con il principio di «prossimità»: le decisioni devono essere assunte il più vicino possibile ai cittadini. Su questo elemento, oltre che su quello della libera partecipazione elettorale, si basa la sottolineatura della legittimità democratica. Ma questa prossimità ha anche un altro valore: quello che fa si che i cittadini si sentano reciprocamente «vicini» tra loro, e che sentano «vicini» i problemi, le angustie, le difficoltà di tutti gli uomini che abitano la terra. Accanto ad una sussidiarietà «verticale» occorre esplorare le dimensioni della sussidiarietà «orizzontale». Anche i Comuni tra di loro, infatti, sono reciprocamente «prossimi», e possono contribuire a risolvere i problemi l’uno dell’altro, ad esempio attraverso rapporti stabiliti e continuativi più profondi e articolati rispetto ai semplici «gemellaggi». Più che gemellaggi, occorrerebbe prospettare autentiche e durature «strutture di fraternità» o di «dialogo strutturato» tra i poteri locali, sia all’interno dell’Unione Europea che degli organismi internazionali attuali. Tra i vari strumenti, si potrebbe prevedere un “Portale” internet multilingue che sia un «luogo» di scambio di informazioni tra comunità locali e che renda concreta la prospettiva della «prossimità» fra comunità locali. L’iniziativa potrebbe essere appoggiata dall’Unione Europea (nel contesto di iniziative simili al programma URBAN II) e dal Consiglio d’Europa, nell’ambito del Congresso delle Autorità Locali e Regioni d’Europa. Inoltre i Comuni potrebbero affrontare in modo costruttivo il tema delle migrazioni, che certamente pongono problemi complessi, ma possono anche essere un’occasione di crescita socio-culturale delle comunità locali. Si tratterebbe, in particolare, di costruire, sulla concreta e spesso difficile esperienza delle migrazioni nelle città, progetti ed iniziative. Ad esempio, il rapporto delle città di origine con le comunità stabilite in altre città europee, mediante intese tra i Comuni, potrebbe essere un “modo” per appoggiare e sostenere le diversità culturali. In particolare, il rapporto con le città dalle quali provengono immigrati dai Paesi dell’Est Europeo può essere un campo di impegno concreto fondante per una effettiva fraternità.

2. La ricomposizione socio-culturale europea

Nel processo di allargamento dell’Unione Europea si dimentica spesso che l’identità europea è espressa dalle persone e dalle comunità dell’Europa centro-orientale e mediterranea al pari dei cittadini e delle società dei Paesi dell’Europa occidentale. In questo importante cambiamento non solo delle dimensioni («quantità»), ma soprattutto della dimensione («qualità») dell’Europa, è bene ricordare la frase programmatica di Jean Monnet: «Noi non coalizziamo degli Stati, noi uniamo degli uomini.» A parte le precauzioni economiche, emerge sempre più spesso, nei discorsi sull’ampliamento dell’ Europa, la preoccupazione per l’accresciuta diversità storico-politica e socio-culturale tra gli Stati che si riconoscono già o intendono aderire nel progetto europeo. C’è la tendenza a collocarsi e a collocare gli «altri» sulla «carta geografica mentale», a fare della «meta-geografia». Il paradosso è che un continente inizia e finisce esattamente dove “pensiamo” che inizi e finisca. Ma la visione dei confini tra le culture cambia perché gli uomini cambiano, si incontrano, talvolta si scontrano, ma sempre interagiscono in modo nuovo, diverso, imprevedibile.Più che di confini, occorrerebbe parlare di fini. Se l’Europa vuole davvero crescere e non solo allargarsi, deve sapersi ridiscutere. L’ingresso di nuovi membri nell’Unione europea non è un fatto quantitativo, ma qualitativo. Processo e progetto cambiano, senza però snaturarsi, ogni volta che vi è una nuova adesione. Altrimenti non si ha dialogo autentico: il processo si riduce ad un insieme di pandette comportamentali; il progetto diventa semplicemente l’imposizione di decisioni prese in un altro tempo, da altri attori, per un altro contesto. Se si vuole adottare un atteggiamento realistico e politicamente impegnato nei riguardi della ricomposizione europea, occorre essere consapevoli che nessuna finalità di integrazione può giustificare l’omologazione. Oggi l’Europa si trova a dover cambiare se vuole davvero crescere (e non solo allargarsi); e, inversamente, a dover crescere, cioè a “maturare” in tutte le sue dimensioni per poter davvero cambiare. Quale può essere il ruolo dei Comuni per un’Europa più consapevole? I due obiettivi fondamentali che i Comuni ritengono prioritari nella nuova fase sono, da un lato, appoggiare e sostenere le specificità, le diversità culturali, non in quanto elementi disgreganti, di irriducibile diversità, ma come ricchezza propria dell’Europa; dall’altro, fare in modo che ognuno possa scegliere, senza condizionamenti economici, politici, culturali, di vivere e lavorare nella propria terra senza che nessuno si senta «periferico». Sono queste le due condizioni perché ognuno possa riconoscersi pienamente anche in un patria più grande, possa avvertire, senza cadere né nel particolarismo chiuso né nell’universalismo astratto, due o più appartenenze: quella alla propria realtà locale, quella alla più ampia identità regionale e nazionale, quella alla dimensione europea e mondiale. La «città locale» e la «città mondiale» sono due dimensioni indivisibili e complementari della politicità. In questo senso, è giusto dire che il «locale» è una progettualità universale «situata» nello spazio e nel tempo.

PROPOSTA

Dovrebbe perciò essere naturale per i Comuni riflettere, nella loro programmazione di iniziative culturali, la loro appartenenza ad una dimensione più vasta, nella quale essi possono giocare, come soggetti politici legittimati nel proprio ordine, la loro specifica ed insostituibile identità culturale, in una chiave di dono reciproco e non di sola rivendicazione di autonomia. A questo fine, dovrebbero essere privilegiate le iniziative che sottolineano al contempo il radicamento locale e gli elementi di reciproca influenza con altri contesti ed altre culture. Un possibile campo di impegno potrebbe essere la valorizzazione del ricchissimo patrimonio linguistico-culturale europeo, che spesso trova proprio all’interno dei Comuni un’espressione concreta nella diversa provenienza nazionale dei residenti. In questo contesto, potrebbero essere considerate, come una pista da percorrere, le iniziative assunte nell’ambito dell’ anno europeo delle lingue (2001).

3. Un’Europa della solidarietà e della responsabilità

La ricostruzione di una grande “società europea” non può prescindere da regole e parametri comuni, da un senso di responsabilità. Ma, ben oltre la responsabilità, c’è la solidarietà. Nuove disparità economiche, sociali e tecnologiche potrebbero crearsi tra le varie regioni di un’Europa ampliata.La parola d’ordine dell’Europa, ove le disomogeneità sono crescenti, dovrà essere condivisione: non di sole risorse economiche, ma soprattutto di conoscenze, esperienze, patrimonio umano e culturale.Solo un’Unione fraterna potrà consentire di coniugare la responsabilità con la solidarietà.E’ in corso di radicale ripensamento anche la componente “regionale” (e locale) delle politiche comunitarie. E’ già stata avviata la discussione sul secondo rapporto sulle politiche di coesione in Europa, presentato dalla Commissione Europea nel gennaio 2001, e intitolato «Unità dell’Europa, solidarietà dei popoli, diversità dei territori». La Commissione Europea propone una nuova visione della coesione economica e sociale delle regioni e di territori in Europa. Per il futuro, l’impostazione delle politiche di coesione avrà una natura più tematica («orizzontale») che regionalistica in senso geografico («verticale»). In questa prospettiva, occorre rivalutare il ruolo delle autonomie territoriali non solo in funzione di poteri “recettori” più o meno attivi di finanziamenti, quanto come poteri “cogestori” delle politiche di coesione, partecipanti attivi al processo politico europeo. Tutto ciò evitando un’eccessiva frammentazione e dispersione. Il contesto operativo deve comprendere un quadro d’azione per uno sviluppo urbano durevole; l’inserimento dei programmi di sviluppo urbano nei programmi di sviluppo regionale, con particolare riferimento al recupero urbano, l’aiuto allo sviluppo economico, il miglioramento dell’ambiente urbano, la lotta contro l’esclusione sociale; la promozione dell’’innovazione, delle nuove tecnologie, del miglioramento dei trasporti e dell’ambiente urbano; lo scambio di esperienze e buone pratiche nelle iniziative urbane; la valutazione sul modo in cui la programmazione urbana si inserisce nella programmazione delle regioni in ritardo di sviluppo; la valutazione della qualità della vita urbana.

PROPOSTA

Il ruolo «costruttivo» delle realtà locali, oltre che in favore di uno sviluppo non solo economico, ma anche sociale e culturale radicato sul territorio, consiste nel sostenere l’apertura delle comunità locali alle esigenze ed alle necessità non solo degli altri popoli europei, ma anche delle regioni più povere del pianeta. I comuni europei, d’altra parte, sono già in molti casi attori di iniziative di «cooperazione decentrata» con i Paesi in via di sviluppo, attuate secondo diverse modalità e ricorrendo a diverse risorse disponibili.Questo patrimonio di esperienze non va disperso, ma valorizzato in chiave di un «benchmarking» della solidarietà e di «buone pratiche» di cooperazione tra le collettività locali in Europa. Inoltre i Comuni potrebbero inserire stabilmente nella propria programmazione economica una componente di «investimento solidale», diretto sia ai Comuni degli Stati candidati ad entrare nell’Unione che ad altri municipi. Nell’attuazione delle iniziative di cooperazione allo sviluppo, può essere assai utile consultare e coinvolgere attivamente le comunità etniche residenti nel territorio comunale che provengono dalle aree verso le quali si indirizzano le iniziative.

4. Costruire l’Europa partendo dai cittadini

I Comuni, per la loro stessa struttura organizzativa, possono costituire un esempio per un’Europa più democratica, più aperta e più «partecipata». I poteri locali possono in particolare contribuire all’unità europea con un processo «bottom up», che parte cioè dalla base e coinvolge in modo fattivo i cittadini. Si tratta di disegnare un nuovo «spazio politico europeo», inteso come un continuum che parte dalle persone e dalle comunità e giunge, attraverso un fittissimo intreccio di legami, sino alle istituzioni di Bruxelles.Un primo passo per una riforma delle strutture europee consiste nel considerare al centro del processo politico l’idea e la prassi del “servizio” ai cittadini, più che il prestigio e il potere delle singole istituzioni, e ridisegnare tutte le politiche europee a questo fine. I cittadini desiderano che i servizi siano assicurati e le attività siano svolte, quale che sia l’autorità politica che vi provvede e indipendentemente dall’ampiezza della sua legittimazione elettorale. Una seconda direzione consiste nell’inserire nelle politiche europee formule istituzionali che rendano compatibile un sistema d’integrazione basato sui diritti individuali (come quello che emerge dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea) con un modello in cui anche i diritti delle comunità sono rilevanti. Non è infatti la forza dei diversi che minaccia la democrazia, ma la loro debolezza. Il riconoscimento delle differenze presuppone che le istituzioni politiche non siano “cieche” nei confronti delle specificità culturali. In questo contesto, le Carte e le Convenzioni relative alle “minoranze” (linguistiche e culturali), strumenti senz’altro validi e indispensabili per la convivenza pacifica, andrebbero riformulate su nuove basi. La convivenza non basta, come non basta l’integrazione. C’è bisogno della convivialità, di riconoscere cioè il diritto delle specificità culturali di abitare sotto lo stesso tetto istituzionale senza dover abbandonare la propria identità. Inoltre, mentre la sussidiarietà consente di portare la dimensione della democrazia locale nelle istituzioni europee e mondiali, la dimensione comunitaria porta l’Europa, e cioè le diverse sue componenti linguistiche, culturali, associative, all’interno della democrazia locale.

PROPOSTA

In questo contesto, occorre andare oltre l’accezione giuridica del concetto di cittadinanza. Nei Comuni europei si vive già oggi una situazione di “cittadinanza allargata”, che comprende anche stranieri, immigrati, comunità etniche. Il diritto di voto alle elezioni municipali per tutti i residenti europei è una realtà, come pure la partecipazione alle elezioni per il Parlamento Europeo. Questo schema, che va perfezionato per garantire un accesso effettivo in condizioni di uguaglianza a tutti i servizi e a tutte le iniziative della città, può fornire una pista utile anche per la dimensione politica europea in senso più ampio. Un possibile strada da percorrere è l’adozione, da parte dei Comuni, oltre che degli Statuti e delle Carte dei servizi, anche di una «Carta comunale dei diritti e dei doveri delle persone e delle comunità» residenti nel territorio comunale o residenti all’estero (per lavoro, studio, ecc). L’esperienza delle comunità «straniere», spesso difficile e dolorosa, di una «doppia patria» e di una «doppia identità» può oggi divenire patrimonio comune ed esperienza di cui far tesoro in Europa anche nella prospettiva dell’ingresso nell’Unione Europea dei Paesi attualmente candidati e dei possibili, connessi fenomeni migratori.D’altra parte, pur rimanendo centrale il riferimento allo stato per l’identità nazionale, non si può negare che la nuova «costellazione politica post-nazionale» può trovare nella democrazia locale un fattore di integrazione e non di ulteriore disgregazione. Più in generale, la dimensione urbana della politica consente di arricchire l’idea di un’Europa-delle-nazioni con quella, più ampia ed aperta, di un’Europa-in-relazione. E proprio l’impegno, non sempre mantenuto, a vivere l’unità nella molteplicità, e la molteplicità nell’unità, in tutte le forme politiche, è lo specifico, il filo conduttore del percorso dell’Europa; ed è anche il dono, semplice ma prezioso, che essa può dare al mondo.

1000 Città per l’Europa

Si inserisce nel dibattito pubblico sul futuro dell'Europa lanciato dalla Dichiarazione sull'avvenire dell'Unione approvata al Consiglio Europeo di Nizza. L'iniziativa è del Presidente della Camera dei Comuni presso il Consiglio d'Europa, il sindaco di Innsbruck, dr. Herwig Van Staa in collaborazione con il Movimento dell'unità, espressione di impegno politico-culturale del Movimento dei Focolari.

Un contributo all'Europa dei cittadini. L'impegno delle autonomie e dei poteri locali per l'approfondimento della democrazia in Europa e “dare un'anima” al processo di integrazione e di allargamento

Verrà elaborato un “Appello per l’unità europea”

Intervengono:

Romano ProdiPresidente della Commissione Europea
Thomas KlestilPresidente della Repubblica Austriaca
Jos ChabertPresidente della Camera delle Regioni alla UE
Chiara LubichFondatrice del Movimento dei Focolari

Situata nel crocevia tra est ed ovest, tra nord e sud, Innsbruck rivela anche nel nome “città situata al ponte sull’Inn” una vocazione al dialogo. È una città dove facilmente si costruiscono ponti da uomo a uomo, tra culture diverse. Innsbruck è il luogo appropriato per ospitare una Conferenza di sindaci europei di varie convinzioni politiche, ma animati tutti dalla comune volontà di contribuire all’unità europea.

 

Parola di Vita – Luglio 2001

Santa Teresa di Lisieux diceva che è meglio parlare con Dio che parlare di Dio, perché nelle conversazioni con gli altri si può sempre introdurre l'amor proprio. Ha ragione. Ma per dare testimonianza agli altri noi dobbiamo anche parlare di Dio. Tuttavia, certamente, dobbiamo anzitutto amare Dio con quell'amore che è la base della vita cristiana e che si estrinseca nella preghiera, nell'attuazione della sua volontà. Parlare, dunque, con i prossimi sì, ma parlare anzitutto con Dio. Parlare come? Con la semplice preghiera di ogni cristiano; ma anche verificando, durante il giorno, attraverso qualche brevissima preghiera, se il nostro cuore è veramente in Lui, se è Lui l'ideale della nostra vita; se lo mettiamo veramente al primo posto nel nostro cuore; se lo amiamo sinceramente con tutti noi stessi. Intendo accennare a quelle preghiere-lampo che sono consigliate specialmente a chi sta in mezzo al mondo e non ha tempo di pregare a lungo. Sono come frecce d'amore che partono dal nostro cuore verso Dio, come dardi di fuoco: le cosiddette giaculatorie, che etimologicamente significano appunto dardi, frecce. Esse servono magnificamente a raddrizzare il cuore verso Dio.
Nella liturgia eucaristica di questo mese, nella Chiesa cattolica, si trova un versetto che può essere considerato una giaculatoria, bellissimo, che fa al caso nostro. Esso dice:

«Sei tu, Signore, l'unico mio bene»

Proviamo a ripeterlo durante il giorno, specie quando i vari attaccamenti vorrebbero trascinare il nostro cuore su cose, su persone o su noi stessi: 'Sei tu, Signore, l'unico mio bene' – diciamo -, non quella cosa, non quella persona, non me stesso; tu sei l'unico mio bene, non altro”. Proviamo a ripeterlo quando l'agitazione, o la fretta, ci vorrebbe far compiere male la volontà di Dio del presente: “'Sei tu, Signore, l'unico mio bene' e, quindi, è mio bene la tua volontà, non quello che voglio io”. Quando la curiosità, l'amor proprio o le mille attrazioni del mondo stessero per incrinare il nostro rapporto con Dio, diciamogli con tutto il cuore: “'Sei tu, Signore, l'unico mio bene', e non ciò di cui la mia avidità, il mio orgoglio vorrebbero saziarsi!”
Proviamo dunque a ripeterlo spesso. Proviamo a ripeterlo quando qualche ombra offusca la nostra anima o quando il dolore bussa alla porta. Sarà un modo per prepararci all'incontro con Lui.

«Sei tu, Signore, l'unico mio bene»

Queste semplici parole ci aiuteranno ad aver fiducia in Lui, ci alleneranno a convivere con l'Amore e così, sempre più uniti a Dio e pieni di Lui, porremo e riporremo le basi del nostro essere vero, fatto a sua immagine. In tal modo tutto fluirà bene nella vita, nel senso giusto. Allora sì che quando apriremo bocca le nostre non saranno parole, o, peggio, chiacchiere, ma dardi anch'esse, capaci di aprire i cuori, perché accolgano Gesù.
Proviamo dunque a cogliere ogni occasione per pronunciare quelle semplici parole e, alla fine della giornata, avremo certamente la conferma che esse sono state una medicina per l'anima, un tonico e hanno fatto in modo – come direbbe santa Caterina da Siena – che il nostro cuore sia lampada diritta.

Chiara Lubich

 

Globalizzazione. Una sfida non solo per i G8

Post G8. Globalizzazione, divario tra ricchi e poveri. Una sfida non solo per i G 8. “Il pianeta al bivio” Il primo a lanciare la globalizzazione è stato Gesù quando ha detto: “Che tutti siano uno”. Non solo: ci ha fatto capaci di quell’amore che ha la forza di ricomporre la famiglia umana nell’unità e nella diversità. Sono disseminati nel mondo molti ‘laboratori’ di questa ‘umanità nuova’. Che sia giunta l’ora di proiettarli su scala mondiale? Una cultura alternativa: “La cultura del dare”. Un progetto in atto: L’economia di Comunione. “Conosciamo i gravissimi dislivelli che pesano sull’umanità: ci sono nazioni che puntano sul consumismo, su’avere anziché sull’essere, con tutte le sue conseguenze ed altre, popolatissime, attanagliate da bisogni angoscianti. Bisogna diffondere la cultura del dare. E’ la cultura del Vangelo: “Date e vi sarà dato. Vi sarà versata in grembo una misura piena, pigiata e traboccante”(Lc 6,38). Questa la parola che potrebbe offrire un rimedio, ridare un equilibrio al nostro pianeta. Se tutti vivessero il Vangelo i grandi problemi nel mondo non ci sarebbero, perché l’eterno Padre interviene e le promesse di Gesù si realizzano: “Date e vi sarà dato”. E’ quanto sperimentiamo quotidianamente. (Chiara Lubich) Da dove nasce la cultura del dare  Sin dagli inizi del Movimento dei Focolari, nel 1943, a Trento la scoperta evangelica del comandamento nuovo “amatevi come io ho amato voi” (cf. Gv 13,34) ha fatto scaturire la comunione dei beni spirituali e materiali.    Da allora la comunione dei beni è diventata prassi vigente nel Movimento, sull’esempio delle prime comunità cristiane.    E’ questo un fatto di enorme importanza e gravido di conseguenze. Quella comunione dei cuori e dei beni, gioiello delle prime comunità cristiane, eco degli insegnamenti di Gesù lungo la vita della Chiesa aveva perso di forza, ma era stata “custodita” nei monasteri e nei conventi e in qualche comunità di laici. Ora in quella piccola comunità nascente a Trento riesplodeva come inizio di un suo recupero per la “massa”, per il popolo cristiano, con tutti i frutti e le conseguenze che matureranno più tardi. Chiara e le sue prime compagne sin d’allora ne avevano coscienza: “Noi – dice Chiara – avevamo la mira di attuare la comunione dei beni nel massimo raggio possibile per risolvere il problema sociale di Trento”. “Pensavo: ‘vi sono due, tre località dove ci sono i poveri… andiamo lì, portiamo il nostro, lo dividiamo con loro…’ Un ragionamento tanto semplice, e cioè: noi abbiamo di più, loro hanno di meno; alzeremo il loro livello di vita in modo tale da arrivare tutti ad una certa uguaglianza.” Ed è da allora che ha inizio l’esperienza, “sorprendente” , “del date e vi sarà dato” evangelico: “in piena guerra, viveri, vestiario, medicinali arrivano con insolita abbondanza”. Nasce la convinzione che nel Vangelo vissuto vi è la risposta “in nuce” ad ogni problema individuale e sociale. La cultura del dare e l’economia di comunione I soggetti produttivi dell’Economia di Comunione – imprenditori e lavoratori e altre figure aziendali – sono ispirati a principi radicati in una cultura diversa da quella prevalente oggi nella pratica e nella teoria economica. Questa “cultura” possiamo definirla “cultura del dare” proprio in antitesi con la “cultura dell’avere”. Il dare economico è espressione del “darsi” sul piano dell’ “essere”. In altre parole, rivela una concezione antropologica non individualista né collettivista, ma di comunione. Una cultura del dare, che quindi non va considerata come una forma di filantropia o di assistenzialismo, virtù entrambe individualistiche.  L’essenza stessa della persona è essere “comunione”. Di conseguenza, non ogni dare, non ogni atto di dare crea la cultura del dare. C’è un “dare” che è contaminato dalla voglia di potere sull’altro, che cerca il dominio e addirittura l’oppressione di singoli e popoli. E’ un “dare” solo apparente. C’è un “dare” che cerca soddisfazione e compiacimento nell’atto stesso di dare. In fondo è espressione egoistica di sé e in genere viene percepito, da chi riceve, come un’offesa, un’umiliazione. C’è anche un “dare” interessato, utilitaristico, presente in certe tendenze attuali del neo-liberalismo che, in fondo, cerca sempre il proprio tornaconto… E infine c’è un “dare” che noi cristiani chiamiamo “evangelico”. Questo “dare” si apre all’altro nel rispetto della sua dignità e suscita anche a livello di gestione delle aziende l’esperienza del “date e vi sarà dato” evangelico. Si manifesta a volte come un introito inatteso o nella genialità di una soluzione tecnica innovativa o nell’idea di un nuovo prodotto vincente. (Vera Araujo – sociologa) (altro…)

Intervento di Andrea Riccardi

“Sviluppo della comunione tra i Movimenti ecclesiali, fra loro e con i Pastori della Chiesa, dal 1998 ad oggi”

Cari amici, sono molto contento di partecipare alla prima giornata di questo convegno promosso dal Movimento dei Focolari. Sono contento di incontrare tanti sacerdoti di tutte le parti del mondo, che sono legati al carisma del Movimento dei Focolari o ad altri Movimenti.  Questi sacerdoti hanno in comune l’esperienza che rappresenta il titolo di questo convegno: i movimenti ecclesiali e la nuova evangelizzazione. Infatti coloro che sono riuniti qui -voi, cari amici- avete un contributo importante da dare proprio sulla frontiera più decisiva della vita della Chiesa nel 2000: la comunicazione del Vangelo. Sono contento di essere qui per vedervi negli occhi e per conoscere la vostra esperienza. Infatti i Movimenti e la nuove Comunità sentono sempre di più, non solo il bisogno di collaborare, ma di vedersi e essere insieme. Una settimana fa, Chiara era a Roma, a Trastevere, nella basilica di Santa Maria, dove si riunisce ogni sera la Comunità di Sant’Egidio per pregare. La preghiera è la prima opera per la Comunità in tutto il mondo, da Maputo in Mozambico a San Salvador in Centro America. E’ la prima opera in una Comunità che lavora in tanti luoghi del mondo con i più poveri, quelli che il mondo mette ai margini. La visita di Chiara rientra in una consuetudine di fraternità per cui ci si sente uniti nella diversità dei carismi, ci si sostiene, ci si accompagna. E’ lo stesso spirito con cui sono qui con voi. Perché quello che un Movimento vive è anche dell’altro Movimento. Questo avviene non per un vincolo esteriore, ma per quella comunione profonda che sta divenendo la realtà del nostro vivere. Così scopriamo che stiamo camminando nella stessa direzione, con lo stesso orientamento, anche se le vie sembrano o sono diverse. La direzione del nostro camminare viene dal fondo del nostro carisma stesso: comunicare il Vangelo. L’evangelizzazione, come si dice. I Movimenti normalmente nascono da questo: dalla condivisione di quella compassione di Gesù per le folle, stanche e malate, –come si legge nel Vangelo- per cui inviò i suoi apostoli a predicare ovunque il Vangelo del regno. I Movimenti nascono, in tempi diversi della storia, dal dono di quella passione del Signore per la gente che si fa evangelizzazione. Infatti comunicare il Vangelo è il primo gesto che compie la Comunità, che compiono gli apostoli, dopo l’effusione dello Spirito Santo in quella Pentecoste di Gerusalemme. Nel secolo trascorso, il Novecento, l’evangelizzazione è tornata ad essere la dimensione principale della vita della Chiesa non solo nei paesi mai raggiunti dal Vangelo, ma anche nelle terre di antica cristianità. Infatti si sono smarrite quelle istituzioni e quei quadri sociali attraverso cui si comunicava la fede, mentre ogni generazione che sale rappresenta una grande occasione per trovare insieme le parole del Vangelo e per aprire la propria vita alla presenza del Signore. Per questo, cari amici, oggi è giusto parlare di nuova evangelizzazione, proprio dopo questa prima Pentecoste del 2000. Ci troviamo in un mondo tanto nuovo, globalizzato, senza frontiere, ma dove riemergono –purtroppo- tanti muri. Tra il Novecento e il nuovo secolo è avvenuta una svolta antropologica e storica, per cui oggi l’evangelizzazione si pone in un modo nuovo: tra un mondo globale e tante identità che si chiudono. Ma non siamo qui solo ad affrontare un discorso sull’evangelizzazione, ma anche a chiederci quale responsabilità hanno i movimenti nell’evangelizzazione? Nel nostro programma sono poste in testa le parole di Giovanni Paolo II in quella indimenticabile Pentecoste del 1998. Le ripeto: “Più volte ho avuto modo di sottolineare come nella Chiesa non ci sia contrasto o contrapposizione tra la dimensione istituzionale e la dimensione carismatica, di cui i movimenti sono un’espressione significativa. Ambedue sono coessenziali alla costituzione divina della Chiesa…”. Non si tratta di un discorso teorico, ma di una realtà della nostra vita. Si tratta di una realtà che riguarda da vicino il modo di essere della Chiesa, che tocca da vicino l’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. Del resto questa è anche la realtà a cui sono particolarmente sensibili i sacerdoti che, per il loro ministero, sono a contatto –vorrei dire- con la dimensione istituzionale ma anche –come voi- sentono molto da vicino quella carismatica. I sacerdoti partecipi dei carismi dei movimenti – mi sembra- quasi vivono in una zona di frontiera che può essere, allo stesso tempo, un terreno di ricchi innesti e scambi, ma forse di qualche difficoltà. Non sempre nella lunga storia della Chiesa è stato tutto così luminoso e chiaro come in quella giornata di Pentecoste del 1998 in piazza San Pietro. Quella giornata rappresenta un punto di arrivo e di grande chiarezza teologica ed ecclesiale. Infatti credo che dobbiamo far conoscere ancora di più quel discorso del papa e riflettere su di esso. Del resto il problema del rapporto tra la dimensione istituzionale e quella carismatica è antico come la lunga storia della Chiesa. Sono tentato di percorrere –e la mia visione di storico mi spinge in questo senso- la lunga storia della Chiesa per cogliere la dinamica di questo rapporto: quasi la vicenda della coessenzialità. Ma non è il mio tema oggi. Tuttavia vorrei citarvi un episodio lontano della storia della Chiesa occidentale. Nella vita di San Benedetto, all’origine di quel grande movimento carismatico di uomini e di donne, che è stato il monachesimo occidentale (cuore dell’evangelizzazione di tanta parte dell’Europa medievale), si trova un episodio narrato da Gregorio Magno. Si tratta di una storia, dietro a cui si trova nascosta una grave difficoltà di Benedetto con un prete dal nome Fiorenzo. Un grande carismatico e un prete… Questo prete Fiorenzo prese a invidiare la buona reputazione di Benedetto e il fatto che molti venivano attratti da lui. L’invidia giunse a un punto tale che il prete gli inviò un pane avvelenato; ma l’uomo di Dio si salvò. Allora il prete prese a diffamarlo e tentarlo. Ma Dio protesse il padre dei monaci. E’ un episodio di tensione tra un ministro ordinato che non tollera il carisma sino a volerlo sopprimere e un grande carismatico. Tale tensione può avvenire anche in senso diverso, quando un’esperienza carismatica si sente, in modo prepotente e poco filiale, come se fosse tutta la Chiesa, quasi in maniera messianica… quando un’esperienza carismatica non sente con amore e venerazione non solo la dimensione ministeriale, ma anche il fatto che nella casa di Dio ci sono molte dimore (e quindi tanti modi diversi di vivere la stessa fede). Infatti vivere la coessenzialità tra la dimensione istituzionale e quella carismatica vuol dire comprendere che tutti siamo figli nella Chiesa. Dice un antico adagio armeno del quinto secolo: “Riconosciamo come nostro Padre il sacro Vangelo e come Madre la Chiesa apostolica universale”. Un grande carismatico del 1200, Francesco d’Assisi, ha espressioni molto significative a questo proposito. Sono espressioni rivelatrici della genuinità evangelica del suo carisma. Tommaso da Celano racconta, nella sua Vita del santo, che il Papa di quei tempi difficili aveva fatto un sogno prima di incontrare Francesco: “Aveva sognato infatti che la basilica del Laterano stava per crollare e che un religioso, piccolo e spregevole, la puntellava con le sue spalle perché non cadesse: ‘Ecco, pensò: questi è colui che con l’azione e la parola sosterrà la Chiesa di Cristo”. E’ un’immagine stupenda della coessenzialità del carisma con l’istituzione: quel piccolo uomo reggeva l’immensa basilica che rischiava di crollare, senza uscire dalla sua piccolezza. E’ un’immagine evocativa di una coessenzialità che diviene originale corresponsabilità. Non posso dilungarmi su questo aspetto di Francesco grande carismatico e grande figlio della Chiesa, come si vede dal suo rapporto con il papa, dalla scelta di non predicare mai contro la volontà del vescovo del luogo. Ma vorrei farvi risentire –almeno questo- alcune parole del suo testamento, scritto nello stesso anno della sua morte, il 1226: “Poi il Signore mi dette e mi dà tanta fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a causa del loro ordine, che se mi dovessero perseguitare voglio ricorrere ad essi. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie dove abitano, non voglio predicare contro la loro volontà. E questi e tutti gli altri voglio temere, amare e onorare come miei signori, e non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io vedo il Figlio di Dio e sono miei signori. E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri.” Il carisma francescano coinvolse talmente il mondo cristiano del Duecento spingendosi anche al di là delle frontiere della cristianità, come nell’incontro con l’islam al di fuori di una logica di contrapposizione violenta. Allora –come sappiamo- il rapporto tra islam e cristianesimo era rappresentato dal binomio guerra santa-crociata: ma Francesco percorse un’altra strada. C’è una forza comunicativa del Vangelo che si manifesta nel carisma francescano. Questa forza comunicativa del carisma vive l’unità con le istituzioni e i ministeri della Chiesa di quel tempo. Dove c’è questa unità, dove c’è questa comunione, si moltiplica la forza attrattiva e comunicativa del Vangelo del Signore. Non si tratta di un piano o di un progetto pastorale, ma di qualcosa che viene dal profondo di una Chiesa viva che respira a pieni polmoni nella larghezza di tutte le due dimensioni, senza mortificarne alcuna. La coessenzialità veramente vissuta tra carisma e istituzione riveste l’intera Chiesa di una sua forza particolare. E’ un punto su cui vorrei concludere fra un poco (non troppo) la mia riflessione. Il carisma di un laico, Francesco (che poi fu ordinato diacono), coinvolse non pochi sacerdoti, come si vede dai primi compagni di Francesco e poi nello sviluppo del movimento francescano stesso. Fin dall’inizio ci sono preti attorno all’umile Francesco e nel suo movimento. Ma soprattutto quel carisma portò il Vangelo al di là dei quadri stanchi e feudali della vita ecclesiastica nel cuore della società; e lo portò pure al di là della cristianità. E’ un’immagine che dobbiamo avere ben presente, mentre entriamo nel nuovo secolo. E’ un’immagine che era esplicita nel discorso di Giovanni Paolo II alla veglia di Pentecoste del 1998: quando carisma e istituzione vivono l’unità, la libertà nel servizio del Vangelo, l’amore nella differenza, si manifesta pienamente una forza di salvezza nella vita della Chiesa, delle comunità, dei singoli. E’ quello che mi dicono tanti sacerdoti, che sono partecipi del carisma di un movimento: si sentono più preti, più capaci di comunicare il Vangelo, più forti nella fede e più al servizio del popolo di Dio. Ma è quanto dicono vescovi e sacerdoti, che pure sono esterni al carisma di un movimento, quando lo vedono vivere bene nella Chiesa: il Vangelo parla in maniera eloquente. Ogni carisma ha la sua storia. Ognuno ha il suo valore. Sono come figli della Chiesa: tutti hanno un valore –proprio come i figli- nonostante siano più o meno sviluppati. E’ la storia degli ultimi tre/quattro anni in cui ci siamo incontrati tra tante nuove comunità e tanti nuovi movimenti: quello di scoprire il valore, anche se diverso, di ciascuna realtà suscitata dallo Spirito. Ogni movimento ha la sua storia e il suo modo di vivere la coessenzialità, la presenza dei sacerdoti nel movimento carismatico e altro. Ognuno rappresenta una ricchezza per noi tutti. Per questo la dinamica del futuro di ogni movimento non è la clericalizzazione: non si è più ecclesiali, se si è più clericalizzati. Un carisma non è un’ondata che, bene o male, deve essere assorbita. C’è un fluttuare del carisma nella vita, libero e unito, in comunione forte con la dimensione istituzionale e con altri carismi, che rappresenta una grande ricchezza. Il problema dei movimenti non è la loro clericalizzazione e il loro assorbimento. Un esempio antico di questo problema si trova nella Regola di San Benedetto (che è l’espressione del grande carisma monastico in Occidente, che ebbe una profonda forza di evangelizzazione e di umanizzazione sino dal primo Medio Evo). La Regola di san Benedetto insiste in due capitoli sui sacerdoti che volessero entrare in monastero e condividere il carisma monastico e sull’ordinazione presbiterale dei monaci. Nel primo caso, quello dei preti che entrano in monastero, Benedetto stabilisce: “Se qualcuno appartenente all’ordine sacerdotale chiedesse di essere accolto in monastero, non gli si acconsenta troppo presto. Se tuttavia insistesse assolutamente in simile richiesta, sappia che egli dovrà osservare tutta quanta la disciplina della Regola…”. Il problema è che il sacerdote, che entra a far parte della comunità, sappia che dovrà vivere approfonditamente il carisma, rappresentato dalla Regola. Vengono prima la Regola e l’abate: si vuole evitare che, perché prete, l’ordinato si consideri al di là del carisma stesso. Ma all’interno del movimento benedettino ci sono giovani che possono venire ordinati. Allora la Regola stabilisce: Se un abate volesse che gli venga ordinato un monaco o un diacono, scelga fra i suoi chi sia degno di esercitare l’ufficio sacerdotale. L’ordinato però eviti la vanità e la superbia, né ardisca fare se non ciò che gli viene comandato dall’abate, conscio di dover sottostare più degli altri alla disciplina della Regola… Quel posto che gli spetta secondo l’ingresso in monastero, lo conservi sempre, eccetto che l’ufficio dell’altare…” L’ordinato resta partecipe del carisma (conservi il suo posto di sempre!), e anzi –proprio perché prete- sappia di dover vivere il carisma ancora di più (“dover sottostare più degli altri alla disciplina della Regola”). Un sacerdote –questo è lo spirito della Regola- non deve essere meno sacerdote e, anzi perché sacerdote, deve quasi vivere di più il carisma. Il monastero non si clericalizza, ma vive, per i monaci laici e per i monaci chierici, attorno al carisma, rappresentato dalla Regola e dall’abate. Sentiamo come questa storia, quella del rapporto tra le due dimensioni della vita della Chiesa, quella dei sacerdoti nei movimenti carismatici, non sia solo la nostra, ma affondi le sue radici addirittura nel primo millennio. Risolvere in maniera unilaterale –cioè fuori dalla comunione- questa storia può significare la clericalizzazione dei movimenti oppure, d’altra parte, la loro assolutizzazione nella Chiesa, quasi in un senso di superiorità su altre esperienze o sulla stesso ministero ordinato. A questo proposito non posso non richiamare le parole del Testamento di Francesco d’Assisi: “E faccio questo perché, dell’altissimo Figlio di Dio nient’altro io vedo corporalmente, in questo mondo, se non il santissimo corpo e sangue suo che essi soli consacrano ed essi soli amministrano agli altri”. Dopo il Concilio Vaticano II e con Giovanni Paolo II, questa storia è giunta a un particolare punto di maturazione nella coscienza ecclesiale. Ma questa coscienza, come è stata espressa dal papa per la Pentecoste del 1998, rappresenta anche una grande responsabilità per noi tutti in questo mondo contemporaneo. In che senso si può parlare di una responsabilità? Almeno, io credo sotto due aspetti, quello della comunione nella Chiesa e quello della comunicazione del Vangelo nel mondo contemporaneo. Una lettura politica e esterna alla vita della Chiesa ha parlato talvolta quasi di una rivalità tra i movimenti, proprio a partire dalla diversità. L’esperienza che noi facciamo di dialogo, di unità, di mutuo sostegno tra i movimenti, ci porta a dire il contrario. Non vedo tutto questo, se non in qualche angolo di immaturità, talvolta iniziale di qualche esperienza. Infatti la diversità non motiva la rivalità, ma anzi aiuta ciascuno a vedere –proprio nel confronto da fratelli- la specificità del proprio carisma. Il carisma, per restare tale, non può pretendere di volere informare a sé tutta la Chiesa in maniera messianica: è quell’assolutizzazione del carisma che fa torto al dono stesso che si è ricevuto. Del resto l’ultima stagione della vita della Chiesa, proprio a partire dalla Pentecoste del 1998, è stata profondamente segnata da una crescita di collaborazione e di simpatia tra i movimenti. Lo dico perché ho partecipato a questa stagione, assieme a Chiara Lubich, che si è sviluppata in tanti incontri tra i responsabili dei movimenti stessi. Ma questa stagione ha significato anche una crescita di amicizia nelle situazioni concrete tra la gente dei diversi movimenti. Questa amicizia era viva già da anni. Mi diceva un’amica di Sant’Egidio, che lavora in un ospedale, come in una situazione di grande tensione e disumanità, si fosse ritrovata spontaneamente con altri colleghi che erano legati a vari movimenti. Gli appuntamenti della vita, la testimonianza del Vangelo e della carità, avvicinano quelli che partecipano a spiritualità differenti. La stessa esperienza si verifica nell’incontro con vescovi, parroci, sacerdoti che fanno parte di un movimento o che si riferiscono alla spiritualità di una nuova comunità. Una spiritualità vissuta educa al gusto per i diversi carismi nella vita della Chiesa, proprio nel senso di una accoglienza e di uno stimolo di carisma anche che non appartengono alla propria spiritualità. Ho tante esperienze concrete a questo proposito, che mi confermano in questa consapevolezza. Ho visto sacerdoti del Movimento dei Focolari impegnati a far sì che nascesse una Comunità di Sant’Egidio lì dov’erano e a desiderarlo in maniera molto fattiva, come se si trattasse dell’esperienza a cui loro stessi erano legati. Perché ? Mi sembra che questi ultimi anni abbiano fatto crescere la coscienza che la diversità vissuta nell’amore è una ricchezza per la Chiesa e per ogni carisma. E’ una coscienza diffusa tra i Movimenti, ma anche tra quelli che non partecipano direttamente alla spiritualità e alla vita dei movimenti. Si sono visti tanti incontri, tante giornate, animate dai movimenti ecclesiali e imperniate sull’unità tra di loro, che hanno fatto la gioia di numerosi vescovi. In alcune situazioni sono stati i vescovi stessi a promuoverle.     Non si tratta di un coordinamento o di un consiglio dei movimenti. Ma è qualcosa di più profondo. Infatti a che giova il coordinamento, se non c’è una coscienza profonda di unità, se non c’è un amore alla base che rende consapevoli come l’uno sia indispensabile all’altro? I coordinamenti, le consulte, i consigli non sono una novità nell’organizzazione della Chiesa. Ma qui c’è qualcosa di più: è la vera recezione del Concilio, come Giovanni Paolo II l’ha proposta: quella di una Chiesa, ricca di carismi, orgogliosa dei doni dello Spirito Santo, ma unita e coesa nell’amore. I movimenti non sono piccole Chiese, ambiziose di estendersi a una vasta Chiesa. Ma sono doni che, lungo la storia del Novecento, il Signore ha fatto alla sua Chiesa. Ogni movimento ha interpretato un aspetto della vocazione della Chiesa stessa in una maniera originale: ma esso rinvia per sua natura alla Chiesa. Le tante vocazioni sacerdotali, che nascono nei movimenti, sono un dono alla Chiesa. La testimonianza della carità verso tutti, ma soprattutto verso i più poveri, è un dono alla Chiesa per il mondo intero. La comunicazione del Vangelo che è alla base della strutturazione missionaria del carisma dei movimenti, è un dono alla Chiesa. Infatti i movimenti sono –per utilizzare il termine di Giovanni Paolo II nella Novo Millennio Ineunte-, scuole di comunione. La stessa vita comune, la partecipazione alla missione, tra sacerdoti e laici nello spirito di un carisma, è una scuola di comunione. Se i movimenti nascono da un carisma e da un fondatore, si muovono –almeno per quelli del Novecento- nella dinamica stessa della comunione. E’ quella comunione che fonda metodi originali, semplici, diretti, di comunicare il Vangelo o di viverlo in maniera attrattiva per tante donne e uomini, nostri contemporanei. Si manifesta una pienezza di vita che abbraccia i movimenti grandi e i meno grandi, le istituzioni della Chiesa, i ministri ordinati, le Chiese locali, le parrocchie, sino alle comunità religiose. Questa pienezza di vita è eloquente comunicativa di per sé: parla della bellezza della vita cristiana, comunica il suo fondamento evangelico, coinvolge gli altri. L’unità tra i movimenti non è la costruzione di un fronte tra le forze più attive della Chiesa. Non è così. Sarebbe riduttivo. Essere uniti non vuol dire parlare la stessa lingua e fare le stesse cose. E’ un’idea riduttiva di unità. C’è una comunione profonda, che diventa solidarietà nella diversità e che rappresenta una ricchezza nella missione. Dopo la Pentecoste, quella prima Pentecoste di Gerusalemme, gli apostoli non si misero a parlare la stessa lingua, ma li udivano parlare in lingue diverse. Eppure la loro unità era profonda, come si manifestò poi con il discorso di Pietro. Dopo la Pentecoste del 1998, dopo il discorso di Giovanni Paolo II, non siamo chiamati a fare un fronte unico: sarebbe troppo poco. Ma siamo chiamati a amarci in profondità, a sentirci una cosa sola, a cogliere che abbiamo una missione in comune nel mondo, a sostenerci, ma anche a essere noi stessi, per fare della nostra libertà un’occasione per vivere secondo lo Spirito, per servire il Vangelo, per edificare la Chiesa. Dico a ogni nostra comunità, specie a quelle più isolate e in luoghi difficili del mondo: non sarete mai sole! Sono stato nel marzo di quest’anno in Mozambico, dove ho visitato una buona parte delle 50 e più comunità che sono sorte in quel paese, dopo la pace, firmata a Sant’Egidio e mediata da noi, tra il governo e la guerriglia che ha posto fine ad una guerra durata 15 anni e che ha prodotto un milione di morti. A tutti ho detto: non sarete mai soli! Ma mi sono reso conto che anche un movimento non è mai solo: è bello scoprire che qualcuno cammina accanto a sé. Gesù mandò i suoi discepoli due a due nel primo viaggio missionario dei Vangeli. Gregorio Magno si chiede perché Gesù non avesse mandato i discepoli da soli. La sua risposta è che, camminando l’uno a fianco dell’altro, comunicando insieme il Vangelo, guarendo gli ammalati, potessero testimoniare allo stesso tempo l’amore scambievole tra di loro. Da quell’amore li avrebbero riconosciuti. In quell’amore tra i due, c’era Gesù con loro. La loro missione fu efficace, tanto che Gesù vedeva Satana cadere dal cielo e li accolse, al loro ritorno, pieno di gioia. Quei due discepoli sono il segno di un cammino che stiamo facendo insieme tra diversi movimenti: la missione che compiamo, lungo strade differenti, in modi differenti, sarà più attrattiva e convincente, perché si fonda sull’unità. E’ quell’unità che avrà anche la capacità di abbattere tante barriere, di allargare le frontiere, di costruire ponti invece che muri, nella vita della Chiesa e nel mondo. Penso all’ecumenismo, in cui molti movimenti hanno un compito particolare. Penso al dialogo della vita, con gli altri mondi religiosi. Penso alla guerra o alle situazioni di tensioni.    L’esperienza che noi possiamo fare, dopo la Pentecoste del 1998, è quella di vivere in maniera profonda l’unità. Scriveva un grande vescovo del II secolo, Ignazio di Antiochia, morto martire: “…quando infatti vi riunite, crollano le forze di Satana e i suoi flagelli si dissolvono nella concordia che vi insegna la fede”. C’è una forza di amore che nasce dall’unità vissuta nel profondo. Sono convinto che sta nascendo una nuova forza capace di far cadere tanti muri e divisioni: perché uno spostamento anche di pochi centimetri in profondità provoca sulla superficie un terremoto. E’ quella scossa profonda di amore e di Vangelo di cui il nostro mondo contemporaneo ha bisogno. ANDREA RICCARDI   (altro…)

L’Opera di Schoenstatt e il Cammino neocatecumenale

Con Maria e con i baraccati ROMA. Padre Michaell Marmann, successore del fondatore, presenta l’Opera di Schoenstatt nata in Germania nel 1914. Emerge un’opera di impronta mariana, missionaria sin dalle origini. Come in Maria, “il movimento non può esistere e portare frutti, se non abbandonati a Dio e alla sua guida amorosa”. Un’ascesi che si concretizza nei punti attorno ai quali gravita il movimento: “i “santuari”, cioè i centri tipici di Schoenstatt, luoghi, dove “ci sentiamo bene” come gli apostoli sul Tabor, e da dove sempre di nuovo veniamo inviati come gli apostoli del cenacolo”. “Uno dei doni del santuario – continua – è la grazia della trasformazione interiore in cristiani autentici e maturi. Altro dono: la grazia della fecondità apostolica, un dono che, nel quadro difficile della testimonianza della fede in Europa, si rivela particolarmente promettente. “Dio agisce. Ma ci vuole la risposta dell’uomo: “niente senza di Te (Dio), niente senza di noi””. Schoenstatt è oggi attivo in 40 Paesi, specie in Germania e in America Latina. Abbraccia famiglie, giovani, sacerdoti, religiosi e religiose. Un’altra storia “Ero un cristiano in crisi ai tempi della contestazione del ’68 con una frustrazione profonda alla ricerca dello sbocco di una vita cristiana più autentica. Così Stefano Gennarini, laico, di professione fisico, catechista itinerante da trent’anni, inizia la sua testimonianza. Poi l’impatto con la catechesi del Cammino neo-catecumenale, in una parrocchia di Roma: “Mi ha svelato la mia incapacità di darmi a Dio completamente, bloccato dalla paura di perdere la mia vita”. Poi il “sì” senza riserve. “Dio ha cominciato ad agire nella mia vita”. Stefano traccia le origini del Cammino iniziato da Kiko Arguello e da Carmen Hernandez tra baraccati, ladri e sbandati. “Non si potevano fare discorsi. Si poteva solo condividere la loro condizione e annunciare perdono e amore: “Dio ti ama così come sei””. Di qui la scoperta del Vangelo che va dritto al cuore della gente e cambia la vita. Un’esperienza presto trapiantata nelle parrocchie per desiderio dell’allora arcivescovo di Madrid, Casimiro Morcello. Nascono nuove comunità capaci di attirare anche i lontani. “Il segreto? Il segno dell’unità: che tutti siano uno perché il mondo creda”. Un dato che fa riflettere: oggi il Cammino è diffuso in 90 Paesi.   (altro…)

Movimenti ecclesiali, un dono per l’annuncio

Si è svolto dal 26 al 28 giugno 2001 il 10° Convegno teologico-pastorale su “I Movimenti per la Nuova Evangelizzazione” promosso dal Movimento sacerdotale dei Focolari. Presenti 1300 sacerdoti, diaconi e seminaristi di 44 Paesi. Il Papa: “La partecipazione dei sacerdoti ai movimenti ecclesiali può arricchire la vita sacerdotale del singolo e animare il presbiterio di preziosi doni spirituali. Partecipando ad essi i presbiteri possono meglio imparare a vivere la Chiesa nella coessenzialità dei doni sacramentali, gerarchici e carismatici che le sono propri”. Chiara Lubich: “Siamo al servizio della nuova evangelizzazione” Andrea Riccardi: “Così la diversità è ricchezza” Piero Coda: “Con i movimenti la Chiesa del futuro”

Il programma

Introduzione e presentazioni Chiara Lubich: “L’evangelizzazione del Movimento dei Focolari” Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il Clero “Nello Spirito di Comunione”: uno sguardo alla storia dei carismi nella Chiesa (video) Prof. Andrea Riccardi: “Sviluppo della comunione tra i Movimenti ecclesiali, fra loro e con i Pastori della Chiesa, dal 1998 ad oggi” Natalia Dallapiccola, focolarina: “Gesù crocifisso e abbandonato, il Dio di oggi: chiave della comunione ecclesiale” Incontri per realtà territoriali 27 Giugno Mons. Piero Coda, professore alla Pontificia Università Lateranense: “Doni gerarchici e doni carismatici in comunione per l’edificazione e la missione della Chiesa” Card. James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici: “L’apporto dei Movimenti ecclesiali all’evangelizzazione in un mondo secolarizzato”· Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. Stafford P. Michael Marmann: “L’evangelizzazione dell’Opera di Schönstatt” – Dialogo Dott. Stefano Gennarini: “L’evangelizzazione del cammino neocatecumenale” – Dialogo Dott. Salvatore Martinez: “L’evangelizzazione del Rinnovamento nello Spirito” – Dialogo Incontri per realtà territoriali 28 Giugno S. E. Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni: “L’evangelizzazione della Comunità di Sant’Egidio” – Dialogo Dott. Jesús Carrascosa e don Gerolamo Castiglioni: ”L’evangelizzazione di Comunione e Liberazione” – Dialogo Graziella De Luca, focolarina: presentazione del video documentario: “Il miracolo nella foresta” Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. F. X. Nguyên Van Thuân Conclusione  (06-06-2001) (altro…)

"Chi beve l'acqua pensa alla sorgente"/2

Dalla sorgente del carisma sgorgato in questa città, fiotti di vita nuova nel mondo. Testimonianze e momenti artistici da Asia, America Latina, Stati Uniti, Africa, da Europa dell’Est e dell'Ovest. Per due ore da Trento una proiezione mondiale anche grazie al collegamento satellitare e via Internet con i 5 continenti.

Dalla Corea del Sud: “La diretta ci ha fatto sperimentare un mondo più unito e fraterno”. Dalla Colombia: “Qui siamo in guerra. Ma vogliamo ripetere la stessa avventura dell’unità”.

Una consegna alla città: Incominciate a incendiare Trento”.

E’ un patto che Chiara Lubich fa con la sua città, a conclusione di questo incontro, l’ultimo del denso programma di appuntamenti civili e religiosi: “Incominciate a incendiare Trento ed io tornerò”. Era stato l’arcivescovo Luigi Bressan che in apertura dell’incontro l’aveva invitata a tornare spesso nella sua città. E il sindaco Alberto Pacher, dopo l’incontro al Consiglio comunale e ad altri appuntamenti civili al Palasport dice: “Servirà molto tempo per riflettere sui molti piani che Chiara Lubich ha toccato in questi giorni. Messaggi importanti, per dare 'acqua ai semi del dialogo' e affrontare in modo positivo 'gli intrecci di popoli diversi che avvengono sul palcoscenico delle nostre città' “.

Sin dal primo incontro con i suoi concittadini nel duomo di Trento, Chiara aveva confidato il suo sogno: far di Trento una città ardente, la città dell’unità, proprio qui dove è stata sancita, con un Concilio, la divisione dei cristiani. E più volte aveva parlato di un nuovo impegno che si assumeva in prima persona per estenderlo a più persone possibile: immettere nella sua città “un supplemento d’anima”, perché sia “tutta accesa d’amore vero, di quello che lega fratello a fratello”.

Prendendo la parola al Palasport, parla proprio delle origini della scoperta di questo amore, in modo inedito. Chiara prende spunto dal titolo dell'incontro. Di che acqua si tratta? Dove è posta la sorgente?

“Si tratta di quell'acqua, che sta a significare luce, amore e forza dello Spirito, presenti in uno di quei doni definiti “carismi” che lo Spirito Santo manda alla sua Chiesa per venir incontro ad attese dell'umanità. Ebbene, 58 anni fa, uno di questi doni è stato elargito proprio qui, in questa terra benedetta, per cui l'acqua, di cui metaforicamente si parla, ha la sua sorgente nella nostra città, Trento”.
 
Chiara racconta, rivivendoli, molti episodi, e richiama i luoghi dove, in quei primi tempi, sullo sfondo della guerra, dal cuore del Vangelo – il comandamento dell'amore scambievole – è sgorgata l'acqua viva di una vita nuova: “Avendo messo in atto l’amore vicendevole, la nostra vita spirituale ha però un balzo di qualità: avvertiamo una nuova sicurezza, una gioia e una pace mai sperimentate, una pienezza di vita, un'abbondanza maggiore di luce. Come mai? E’ stato subito evidente: per questo amore si realizzavano fra noi le parole di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel mio amore, come eravamo noi), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Gesù silenziosamente si era introdotto spiritualmente come Fratello invisibile, nel nostro gruppo. Ed ora Lui, che è la fonte dell’amore e della luce, era lì presente in mezzo a noi. Non lo si vuole più perdere”. “Una storia pur ripetuta migliaia, migliaia e migliaia di volte in tutte le parti del mondo, ma che in questa città ha la concretezza ed il fascino delle storie vere”.

Poi Roma, l’Italia, l’Europa, i continenti extraeuropei. “E, poiché chi beve l'acqua non può non pensare alla sorgente – ha continuato -, la nostra città Trento, per la piccola storia or ora narrata, è nota ormai in tutte le parti del mondo”. Una diffusione che ha avuto sviluppi non solo all’interno della Chiesa cattolica, ma che ha assunto una dimensione ecumenica. Pure il dialogo con fedeli di altre religioni è via via cresciuto, e così quello con persone di convinzioni non religiose. Un'Acqua di vita nuova che ha iniziato a inondare anche i campi dell’impegno umano, dalla politica, all’economia, all’arte, alla comunicazione… Chiara conclude confidando un ricordo che ora si fa programma di vita:

Trento, nella città del Concilio, il 30 aprile 1995: in Piazza Fiera, quella volta, bene informato del nostro decennale lavoro ecumenico per riannodare, con vincoli d'unità, la nostra Chiesa con quelle della Riforma, il Papa espresse un augurio: che un giorno si scrivesse un trattato che, partendo dal Concilio di Trento, che sancì la divisione fra le Chiese, arrivasse a quell'irruzione del carisma dell'unità che, attraverso il Movimento dei Focolari, nato in questa città, arriva alla Chiesa.

Una coreografia multicolore dei giovani della cittadella internazionale di Loppiano con le bandiere dei loro Paesi, sottolinea il progetto di unità mondiale in costruzione. In finale si inchinano al vessillo di Trento per esprimere gratitudine alla città da cui è sgorgata tanta novità di vita. Iniziano le testimonianze dall’America Latina, Asia, Africa, Europa dell’Est e dell' Ovest. Sui vari fronti: dialogo tra le religioni, risposta alle disparità tra ricchi e poveri, ecumenismo.

Vera Araujo, sociologa brasiliana, parla dell’impatto del carisma dell’unità portato alla fine degli anni ’50 da tre trentini e una romana in una terra di grandi disparità sociali. “Ci hanno insegnato ad amare ogni prossimo: familiare, sconosciuto, amico e nemico. Fu una rivoluzione”. E poi negli anni ’90 quello scatto da una comunione dei beni personale a quella che coinvolge il sistema produttivo con l’economia di comunione nata proprio in Brasile.
Gli Stati Uniti sono rappresentati da Joe Sopala, cantante del Gen Rosso. Toccante la sua esperienza: dal clima di odio e razzismo del quartiere di Chicago in cui è cresciuto, alla scelta radicale di Dio. Poi l'Asia: una danza coreana si compone in un bellissimo fiore che ben esprime questo continente, culla delle religioni: Christina Lee, coreana, spalanca l'orizzonte del dialogo interreligioso intessuto da Chiara e dal Movimento in questa terra, con buddisti giapponesi e tailandesi, con indù e musulmani.

Martin Nkafu, notabile del popolo Bangwa del Camerun, parla delle ferite lasciate da un cristianesimo macchiato dalla tratta degli schiavi e dal colonialismo. Pregiudizi saltati all’aria per la testimonianza di chi è giunto nella loro terra a lavorare con il loro popolo alla crescita spirituale e sociale.
Europa dell'Ovest: l'attrice di teatro, Sarah Finch, anglicana, intreccia la sua esperienza personale con quella degli sviluppi del dialogo ecumenico che si apre sin dagli anni '60. La carrellata di testimonianze si chiude con l'Europa dell'Est: Anna Fratta apre squarci inediti di vita al di là del muro, durante il tempo dei regimi comunisti.

Come osserva l’articolista del quotidiano Alto Adige, quanto Chiara e gli altri hanno raccontato da quel palco “non è per compiacersi”, ma “per dare motivi di speranza, per aiutare la gente a credere che un amore gratuito e reciproco si può vivere in tutte le epoche e in tutti i contesti”.

 

I movimenti ecclesiali per la nuova evangelizazzione

All’inizio di questo nuovo millennio il Papa chiama tutta la Chiesa a “prendere il largo” imprimendo nuovo slancio all’evangelizzazione. Al Convegno verrà presentata la testimonianza della “nuova evangelizzazione” suscitata dai nuovi carismi, attraverso l’esperienza di fondatori e responsabili di alcune delle principali espressioni carismatiche. Interverranno: P. Michael Marmann, per l’Opera di Schönstatt, il dott. Stefano Gennarini per il Cammino neocatecumenale, il dott. Salvatore Martinez per il Rinnovamento nello Spirito, il vescovo Vincenzo Paglia per la Comunità di Sant’Egidio, il dott. Jesus Carrascosa e don Gerolamo Castiglioni per Comunione e Liberazione e Chiara Lubich per il Movimento dei Focolari. Si intende così offrire una conoscenza diretta, “dalla fonte”, dei Movimenti ecclesiali e nuove Comunità, in cui il Papa individua un “segno della libertà di forme in cui si realizza l’unica Chiesa” e una “sicura novità che ancora attende di essere adeguatamente compresa in tutta la sua positiva efficacia per il Regno di Dio all’opera nell’oggi della storia”. Il Convegno è uno dei frutti di quella testimonianza comune auspicata da Giovanni Paolo II, perché “in comunione con i pastori, Movimenti e nuove Comunità portino nel cuore della Chiesa la loro ricchezza spirituale, educativa e missionaria, quale preziosa esperienza e proposta di vita cristiana”. Sullo “Sviluppo della comunione fra i Movimenti ecclesiali fra loro e con i pastori della Chiesa del ’98 ad oggi” parlerà il prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Altri approfondimenti spirituali e teologici saranno svolti: da Natalia Dallapiccola che parlerà su “Gesù Crocefisso e abbandonato, il Dio di oggi: chiave della comunione ecclesiale” e dal prof. Piero Coda che tratterà di “Doni gerarchici e doni carismatici in comunione per l’edificazione e la missione della Chiesa”. Vivo interesse ha suscitato la scelta del tema di questo Convegno, non solo da parte dei numerosi sacerdoti che hanno aderito all’invito, ma anche da parte dei diversi responsabili dei dicasteri competenti della Curia Romana. Il Card. Dario Castrillon Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero, presiederà la concelebrazione eucaristica del primo giorno, mentre il Card. James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici parlerà su “L’apporto dei Movimenti ecclesiali all’evangelizzazione in un mondo secolarizzato”. Il Convegno si concluderà con la concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. F.X. Nguyen Van Thuan, Presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Atteso il messaggio del Papa. Dal 1979 il Movimento sacerdotale, diramazione del Movimento dei Focolari, promuove Convegni teologico-pastorali aperti a sacerdoti, diaconi e seminaristi, sui temi di maggiore attualità ecclesiale. Tra le tematiche affrontate: “I quattro dialoghi nella Chiesa” (’98) -“Formazione del clero” (’92) – “Sacerdoti domani” sulla formazione dei seminaristi (’89); “Insieme per l’umanità – Presbiteri e laici in comunione (88)”. (altro…)

"Chi beve l'acqua pensa alla sorgente"

Quest'anno dichiarato dall'ONU “anno internazionale del dialogo fra le civiltà”, è di particolare attualità, in una società sempre più multiculturale e multireligiosa, il messaggio che verrà lanciato da Trento.

Chiara Lubich presenterà l' “ideale” che l'ha portata a lasciare Trento per irradiare nel mondo, con il Movimento dei Focolari che ha visto gli albori in questa città, un nuovo stile di vita basato sui valori della spiritualità, della reciprocità e della solidarietà, per contribuire all'unità della famiglia umana.

L'incontro vuole essere anche un “grazie” a Trento, con momenti artistici e testimonianze dai 5 continenti sulle nuove vie aperte dal dialogo tra cristiani delle diverse Chiese e fedeli di varie religioni e sulle risposte che il carisma dell'unità dà alle problematiche dei diversi popoli.

La diffusione del Movimento ha fatto conoscere a tutto il mondo questa città – già nota per il Concilio tridentino – sottolineando quella vocazione all'universalità che le è data dalla sua cultura-ponte tra Mediterraneo e Mitteleuropa.

 

I Movimenti ecclesiali e la nuova evangelizzazione

Programma del Convegno 26 giugno Introduzione e presentazioni Chiara Lubich: “L’evangelizzazione del Movimento dei Focolari” Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. Darío Castrillón Hoyos, prefetto della Congregazione per il Clero “Nello Spirito di Comunione”: uno sguardo alla storia dei carismi nella Chiesa (video) Prof. Andrea Riccardi: “Sviluppo della comunione tra i Movimenti ecclesiali, fra loro e con i Pastori della Chiesa, dal 1998 ad oggi” Natalia Dallapiccola, focolarina: “Gesù crocifisso e abbandonato, il Dio di oggi: chiave della comunione ecclesiale” Incontri per realtà territoriali 27 Giugno Mons. Piero Coda, professore alla Pontificia Università Lateranense: “Doni gerarchici e doni carismatici in comunione per l’edificazione e la missione della Chiesa” Card. James Francis Stafford, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici: “L’apporto dei Movimenti ecclesiali all’evangelizzazione in un mondo secolarizzato”· Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. Stafford P. Michael Marmann: “L’evangelizzazione dell’Opera di Schönstatt” – Dialogo Dott. Stefano Gennarini: “L’evangelizzazione del cammino neocatecumenale” – Dialogo Dott. Salvatore Martinez: “L’evangelizzazione del Rinnovamento nello Spirito” – Dialogo Incontri per realtà territoriali 28 Giugno S. E. Mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Terni: “L’evangelizzazione della Comunità di Sant’Egidio” – Dialogo Dott. Jesús Carrascosa e don Gerolamo Castiglioni: ”L’evangelizzazione di Comunione e Liberazione” – Dialogo Graziella De Luca, focolarina: presentazione del video documentario: “Il miracolo nella foresta” Concelebrazione eucaristica presieduta dal Card. F. X. Nguyên Van Thuân Conclusione (06-06-2001) (altro…)

Chiara Lubich a Trento

Chiara Lubich a Trento

«Con i suoi 81 anni portati con sprint, Chiara Lubich torna a casa. Invitata dal Consiglio comunale, dal 2 al 10 giugno s'immerge nei suoi ricordi. E nei suoi ambienti, come quel primo focolare in piazza Cappuccini da dove partì la scintilla del Movimento. Troverà “una città infiammata dall'amore di Dio ?»

(da “Vita Trentina”, 3 giugno 2001)

Il programma della visita

2 giugno, ore 16 in Duomo. Invitata dall'Arcivescovo a incontrare la Chiesa trentina, parlerà su “Il laico nella Chiesa comunione”, alla vigilia di Pentecoste (diretta Telepace, per il Trentino-Alto-Adige)
Dalla stampa:
– ALTO ADIGE: “La missione dei Movimenti” di Franco de Battaglia
– OSSERVATORE ROMANO: “Essere laici oggi” di Armando Costa

6 giugno, ore 17  al Teatro Sociale, Premio Rotary.
Balletto della compagnia Cosi-Stefanescu.
Dalla Stampa:
– L'ADIGE: “L'accoglienza di festa al Sociale” di Luca Franceschi
“Intervista”

8 giugno, ore 17  a Palazzo Geremia, incontro con il Consiglio Comunale. “La fraternità nell'orizzonte della città” (diretta TV RTTR, locale)
Ore 21 al Palasport Ghiaie, Spettacolo del complesso internazionale Gen Rosso: “Streetlight” (Ingresso libero)
Dalla Stampa:
– L'ADIGE: Lubich:”Più fraternità in politica” di F.G.

9 giugno, ore 10  a Palazzo Trentini, premio U.C.T. “Trentino dell'anno”

10 giugno, ore 16-19 al Palasport Ghiaie, incontro con la città, aperto a tutti (diretta TV via satellite)
Intervento di Chiara e testimonianze di persone di vari continenti con momenti artistici

 

Parola di Vita – Giugno 2001

Non credere che, perché giri per le strade del mondo, tu possa guardare tranquillamente tutti i manifesti e possa comprarti dal giornalaio o in libreria qualsiasi pubblicazione indiscriminatamente. Non credere che, perché sei nel mondo, ogni maniera di vivere del mondo possa essere tua: le facili esperienze, l'immoralità, l'aborto, il divorzio, l'odio, la violenza, il furto. No, no. Tu sei nel mondo. E chi non lo vede? Ma tu sei un cristiano, quindi non sei “del mondo”. E questo comporta una grande differenza. Questo ti classifica fra coloro che si nutrono non delle cose che sono del mondo, ma di quelle che ti sono espresse dalla voce di Dio dentro di te. Essa è nel cuore di ogni uomo e ti fa entrare – se l'ascolti – in un regno che non è di questo mondo, dove si vivono l'amore vero, la giustizia, la purezza, la mansuetudine, la povertà, dove vige il dominio di sé. Perché molti giovani diventano seguaci di religioni orientali per trovare un po' di silenzio e cogliere il segreto di certi grandi spirituali che, per la lunga mortificazione del loro io inferiore, lasciano trasparire un amore che impressiona tutti quelli che li avvicinano? E' la reazione naturale al baccano del mondo, al chiasso che vive fuori e dentro di noi, che non lascia più spazio al silenzio per udire Dio. Ma occorre proprio andare in Oriente, quando da duemila anni Cristo ti ha detto: “Rinnega te stesso… rinnega te stesso”? Il mondo t'investe come un fiume in piena e tu devi camminare contro corrente. Il mondo per il cristiano è una fitta boscaglia nella quale bisogna vedere dove mettere i piedi. E dove vanno messi? In quelle orme che Cristo stesso ti ha segnato passando su questa terra: sono le sue parole. Oggi egli ti ridice:

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso…»

Ciò t'esporrà forse al disprezzo, alla incomprensione, agli scherni, alla calunnia; ciò t'isolerà, t'inviterà ad accettare di perdere la faccia, a lasciare un cristianesimo alla moda. Ma c'è di più:

« … prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

Che tu lo voglia o no, il dolore amareggia ogni esistenza. Anche la tua. E piccoli e grandi dolori arrivano tutti i giorni. Vuoi scansarli? Ti ribelli? Ti suscitano l'imprecazione? Non sei cristiano, non sei cristiana. Il cristiano ama la croce, ama il dolore, pur in mezzo alle lacrime, perché sa che hanno valore. Non per nulla fra gli innumerevoli mezzi che Dio aveva a sua disposizione per salvare l'umanità, ha scelto il dolore. Ma Lui – ricordatelo – dopo aver portato la croce ed esservi stato inchiodato, è risorto. La risurrezione è anche il tuo destino, se anziché disprezzare il dolore che ti procura la tua coerenza cristiana e quanto altro la vita ti manda, saprai accettarlo con amore. Sperimenterai allora che la croce è via, sin da questa terra, ad una gioia mai provata; la vita della tua anima comincerà a crescere: il regno di Dio in te acquisterà consistenza e fuori il mondo man mano scomparirà ai tuoi occhi e ti parrà di cartone. E non invidierai più nessuno. Allora ti potrai chiamare veramente seguace di Cristo.

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua».

E, come Cristo che hai seguito, sarai luce e amore per le piaghe senza numero che lacerano l'umanità di oggi.

Chiara Lubich

 

Incontro con la Conferenza Episcopale Slovacca

Il 9 maggio Chiara è invitata ad intervenire all’Assemblea Generale della Conferenza Episcopale, formata da 16 vescovi. Quella Slovacca è espressione di una Chiesa che all’Est, più di altre, è riuscita a rimanere viva, perché il popolo è rimasto radicalmente cristiano. Su 5.500.000 abitanti, oggi i sacerdoti cattolici sono 1780 e i seminaristi addirittura 700. Dopo la presentazione dell presidente della Conferenza, mons. František Tondra, che ha mostrato gratitudine per l’azione evangelizzatrice del Movimento dei Focolari in questo Paese, Chiara esprime ammirazione per questo popolo disseminato di martiri, vittime degli ultimi decenni, il cui “sangue” – ha detto – è stato seme di tante nuove vocazioni. Ha auspicato che, per la sua posizione geografica e la sua storia, sempre più possa essere “ponte di unità tra l’Europa occidentale e quella orientale”. Chiara comunica la sua esperienza degli inizi, sin da quando a 18 anni aveva in cuore “un unico struggente desiderio: conoscere Dio”. Tratteggia poi nascita e sviluppi di un carisma che dovrà “concorrere a costruire la Chiesa-comunione e attuare “una nuova evangelizzazione”. Alcune domande dei vescovi avviano un dialogo intenso e vivace. Una di queste verte sul bisogno di unità in una terra che soffre divisioni e contrasti. “Bisogna ravvivare la fraternità universale – dice Chiara -, avvicinando tutti, anche i fedeli di altre religioni.” Mons. Jan Sokol, arcivescovo-metropolita della diocesi di Bratislava-Trnava: “La mia impressione è molto forte. E’ qualcosa che dà sollievo e incoraggia, soprattutto sulla questione di costruire l’unità, così importante specialmente da noi ai tempi d’oggi, in cui c’è una grande frammentazione, a tutti i livelli: politico, economico e purtroppo a volte anche ecclesiale.” Il Presidente della Conferenza Episcopale, Mons.Tondra, commenta: “Il Papa sottolinea tanto i Movimenti, perché nel mondo di oggi, che va verso l’individualismo, dobbiamo offrire la possibilità di vivere in comunione”.   (altro…)

Un messaggio di unità in un tempo di frammentazione

“Crediamo in una nuova umanità”. Grande incontro a Bratislava.   È un’accoglienza fuori dal comune che viene riservata a Chiara Lubich all’aeroporto di Bratislava. Il vicepresidente del Parlamento, Pavol Hrusovsky, e sua moglie, le danno il benvenuto: “L’amore e la verità che lei sta annunciando nel mondo sono affascinanti. Che la sua visita porti valori immortali che restino nella vita della Repubblica slovacca”. Comincia così la settimana di Chiara a Bratislava, città restaurata di fresco dopo la caduta del regime comunista, capitale della Slovacchia, giovane Repubblica nata nel 1992, quando si è separata dalla Cechia. In un’intervista al settimanale “Katolicke noviny”, al termine della visita, augurava alla Slovacchia di essere non solo “ponte fra Oriente e Occidente”, ma anche modello di nazione radicata nel cristianesimo.   (altro…)

«Ti dono la croce che il Papa ha dato a me»

I difficili inizi Era il febbraio del 2001. Venni trasferito in una parrocchia eretta giuridicamente da poco, con la chiesa e la casa ancora in costruzione. Tante le circostanze avverse: la chiesa non ancora in funzione, il mio trasferimento che poteva sembrare una “retrocessione”, il non avere per sette mesi un posto per celebrare Messa, neppure di domenica, avrebbero potuto farmi rinchiudere in me stesso. Ma quante volte avevo sperimentato che Dio è Amore, anche quando ti mette in circostanze apparentemente negative. Da tempo avevo incontrato il Movimento dei Focolari, e avevo scoperto il culmine del Suo amore proprio quando Gesù sulla croce grida l’abbandono del Padre. Avevo scelto di riconoscerlo e amarlo in ogni dolore. Mi fu di luce la frase di un amico sacerdote: “Non analizzare, perché Gesù va amato per se stesso e subito, uscendo da se stessi per servire gli altri”. Il vescovo mi aveva presentato la parrocchia come molto difficile, con tutti i problemi tipici delle periferie: quel quartiere era tristemente famoso sulle pagine dei giornali locali. Mi aveva fatto una consegna significativa: “Ti dono la croce che il Papa ha dato a me”. L’inaugurazione della chiesa Nell’ottobre del 2001 si inaugura la chiesa, anche se ancora incompleta. Mi sono chiesto come impostare l’attività pastorale. Mi sentivo sotto esame. Tra gli abitanti del quartiere si respirava una certa diffidenza. Come costruire una comunità? Ho cominciato, accogliendo tutti quelli che mi avvicinavano, mettendoli a loro agio e ascoltando con attenzione i loro consigli e le loro richieste. Ho poi visitato le famiglie. Iniziavo ogni giornata mettendomi d’accordo con Gesù: volevo vedere Lui in ogni persona e amarla senza riserve. Anche quando facevano apprezzamenti… sgradevoli nei riguardi dei preti e della Chiesa. Quella croce che mi era stata consegnata mi ricordava la misura dell’amore: dare la vita.  Non ho mai sentito in vita mia tante confidenze, né mai conosciuto situazioni familiari e personali così varie e dolorose. Ad un certo punto la gente si passava la voce. La mia visita era desiderata, visto che da venti anni nessun prete aveva visitato e benedetto le loro case e le loro famiglie. Qualcuno poi prese coraggio: “Io non vengo alla Messa solo per ascoltarla, che tanto è uguale dappertutto, io vengo per sentire quello tu dici”. Ascoltavano le prediche soprattutto quando partecipavano ai funerali: unica occasione in cui ancora tutti qui vanno a Messa. Ho incontrato il loro favore perché cercavo che le prediche fossero più un colloquio aperto che un discorso di cattedra, ed evitavo ammonizioni e rimproveri. Nasce la comunità Iniziano alcune ragazze, che formano un piccolo coro: si incontrano per preparare i canti e cominciano a conoscersi. Cresce la stima reciproca e ben presto ci troviamo a riflettere sulla Parola di Dio. Qualcuna chiede un colloquio personale, col desiderio di conoscere di più Gesù e di impegnarsi di più in parrocchia. Ho cercato di far sì che la Messa fosse sempre più un incontro di famiglia, di fratelli uniti intorno al Padre. Avvicinandosi il Natale, al termine della Messa, un giorno dissi: “Oggi vi chiedo un favore: salutate tutti quelli che non conoscete e non salutate nessuno di quelli che già conoscete”. La reazione: gioia e soddisfazione di poter rivolgere la parola a chi era seduto vicino gomito a gomito, ma con cui non si aveva il coraggio di rompere il ghiaccio per un saluto, un augurio che non fosse quello liturgico molto formale. In parrocchia c’è ormai un gruppo di persone impegnate nel vivere la Parola di Dio. Si riunisce periodicamente per approfondirla e per scambiarsi  le esperienze. Ho invitato questi nostri amici a scoprire la sorgente di quella vita che li aveva attratti: il carisma del Focolare. Crescevano in loro l’interesse e la partecipazione. Segni di cambiamento Una signora che lavora nella Polizia scopre la possibilità di vivere il Vangelo. Facciamo un lungo colloquio e, dopo aver parlato della difficoltà di vivere secondo lo spirito evangelico nel suo lavoro, le suggerisco di leggere la rivista Città Nuova, che in quei giorni riportava un articolo interessante su come un poliziotto riusciva a permeare il suo ambiente di lavoro ispirandosi proprio al Vangelo. Torna qualche giorno dopo, ancora incredula che possa essere vero il contenuto dell’articolo. Le suggerisco che il segreto è agire a corpo e le parlo di nuovi modelli di santità nella Chiesa: anche oggi si può vivere il Vangelo pienamente, ma solo se lo si fa insieme. Lei ci prova e coinvolge il marito, le figlie, qualche amico, fa esperienza anche nelle difficoltà, si scoraggia, si riprende. Ora lei, il marito e le figlie vivono lo spirito del Movimento dei Focolari. Ricevo un biglietto di auguri natalizi da parte di un uomo maturo negli anni, che ha partecipato fin dall’inizio agli incontri della Parola di vita: “Ebbene, da quando ho cominciato a comprendere ciò che vuoi trasmetterci, il mio modo di vivere è completamente cambiato sia in famiglia che con gli altri. Ora finalmente so qual è il fine della vita: portare dentro di me, ovunque e a chiunque, questo fuoco che tu mi hai acceso. Grazie!”. Un bambino capita per caso nel corso di catechismo di terza elementare; i genitori sono separati; prima non partecipava mai a Messa, poi sentendosi bene accolto, comincia a frequentarla, facendosi accompagnare ogni volta dalla madre; poi una sorpresa: si presenta un giorno con il padre che mi dice: “Mio figlio non fa che dirmi: – vieni a messa con me…”. E non basta, la domenica successiva lo trovo in sagrestia pronto con gli altri bambini per servire la messa. Mi chiama e mi dice: «Oggi ho portato Marco che non è mai venuto a Messa, perché va sempre alla partita di calcio; oggi ce l’ho portato io».   Ma c’è un segreto Dal dicembre 2002 nella casa parrocchiale sono arrivati due sacerdoti: don F., da poco nominato parroco di un’altra parrocchia in città e, come ospite, don N., sacerdote di 86 anni che, lasciato il servizio pastorale, non sapeva dove andare. Non finiremo mai di ringraziare Dio per la possibilità di vivere insieme nell’amore reciproco, con quella ‘presenza’ che Gesù ha promesso a quelli che sono uniti nel Suo nome. La libertà, la sapienza, la luce, la gioia non hanno prezzo. Senza di Lui tutto è vuoto. Con Lui tra noi sperimentiamo la pienezza. La presenza di don N., poi, ha fatto capire a tutti che il nostro parlare di Vangelo e di amore è una cosa concreta. La nostra casa è aperta ad altri sacerdoti, di altre nazionalità, ospiti di passaggio, a seminaristi, per vacanze o per qualche giorno di riposo. Questa ospitalità è stata contagiosa, ha aperto il cuore e le tasche dei fedeli. Le offerte spontanee sono la voce più alta del nostro bilancio. Siamo tuttora testimoni anche di una sorprendente esperienza della provvidenza. La nostra vita comune va avanti ormai da più di tre anni e matematicamente tutti i giorni – e in alcuni giorni con sovrabbondanza – non manca un dono in cibo, vestiario, denaro, aiuto… Una sera, alle nove di sera, un bambino ha posto sul tavolo della sagrestia una porzione di crostata con questo biglietto: «Don N., è per te; io ho finito di cenare, ho pensato a te e te ne ho portato un pezzo!».   (altro…)

Chiara Lubich nella Repubblica Ceca e in Slovacchia

Per la prima volta nella Repubblica Ceca Il 27 aprile Chiara Lubich ha incontrato la stampa. Hanno partecipato giornalisti delle testate nazionali di TV, radio e giornali indipendenti e di ispirazione cristiana. E’ intervenuta al II Incontro Nazionale Movimenti ecclesiali e nuove comunità a Praga su “La nuova evangelizzazione”, il 28 aprile. Il 30 aprile, ha parlato a circa 2000 membri del Movimento giunti da Ucraina, Slovacchia e Cechia a Praga per un incontro di 3 giorni. Lucia Fronza e Antonio Baggio, del Centro internazionale del Movimento dell’unità, hanno incontrato un gruppo di aderenti dei Focolari (60 persone) impegnati in politica. Presentati nascita, sviluppi ed esperienze in atto. Per il 3 maggio, Chiara Lubich è stata invitata dalla Conferenza episcopale Ceca a parlare su: “Dimensione carismatica della Chiesa e nuova evangelizzazione”. Giuseppe Zanghì, direttore della Rivista di cultura dei Focolari “Nuova Umanità”, approfondirà “Gesù crocefisso e abbandonato, chiave della spiritualità di comunione” rapportandolo alla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II “Novo Millennio Ineunte”, e D. Silvano Cola, incaricato per il Dialogo tra Movimenti e Nuove Comunità, parlerà su “Dialogo e comunione fra i nuovi carismi”. Chiara Lubich concluderà la sua permanenza in Cechia con la visita alla nascente cittadella del Movimento, che sorge a Vinor, nei pressi di Praga. Dal 6 maggio in Slovacchia 7-8 maggio – Incontro di focolarini e focolarine di Cechia e Slovacchia. Il 9 maggio Chiara Lubich è invitata dalla Conferenza episcopale a dare la sua testimonianza personale e del Movimento dei Focolari. Il 10 maggio sarà accolta dal Presidente del Parlamento, Josef Migas e dal vicepresidente, Pavol Hrusovsky. Seguirà – sempre in Parlamento – l’incontro con una rappresentanza di vari circoli politici. Parlerà su “La fraternità in politica”. Il 12 maggio al Palazzo dello Sport di Bratislava sono attese oltre 5000 persone, con interventi dei testimoni degli inizi, esperienze locali, momenti artistici. Verrà presentata la spiritualità dei Focolari, con la sua incidenza sul mondo dei giovani, della famiglia, sull’economia e sulla politica, nella Chiesa. Nel pomeriggio Chiara Lubich approfondirà uno dei punti cardini della spiritualità: “L’unità e Gesù crocefisso e abbandonato”, con l’apertura e lo sviluppo dei dialoghi, tra cui quello ecumenico e interreligioso. (altro…)

maggio 2001

Gesù sta rivolgendo agli apostoli i suoi grandi ed intensi discorsi di addio, e li assicura, fra il resto, che essi lo avrebbero visto di nuovo, perché egli si sarebbe manifestato a coloro che lo amano.
Giuda, non l'Iscariota, gli domanda allora come mai egli si sarebbe manifestato a loro e non in pubblico. Il discepolo desiderava una grande manifestazione esterna di Gesù che avrebbe potuto cambiare la storia e sarebbe stata più utile, secondo lui, alla salvezza del mondo. Gli apostoli, infatti, pensavano che Gesù fosse il profeta tanto atteso degli ultimi tempi, il quale avrebbe fatto la sua comparsa rivelandosi al cospetto di tutti come il Re d'Israele e, mettendosi alla testa del popolo di Dio, avrebbe instaurato definitivamente il Regno del Signore.

Gesù risponde invece che la sua manifestazione non sarebbe avvenuta in modo spettacolare ed esterno. Essa sarebbe stata una semplice, straordinaria “venuta” della Trinità nel cuore del fedele, che si attua là dove vi è fede ed amore.
Con questa risposta Gesù precisa in quale modo egli rimarrà presente in mezzo ai suoi dopo la sua morte e spiega come sarà possibile avere contatto con lui.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»

La sua presenza dunque si può realizzare fin d'ora nei cristiani ed in mezzo alla comunità; non occorre aspettare il futuro. Il tempio che la accoglie non è tanto quello fatto di muri, ma il cuore stesso del cristiano, che diventa così il nuovo tabernacolo, la viva dimora della Trinità.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»

Ma come può il cristiano arrivare a tanto? Come portare in sé Dio stesso? Quale la via per entrare in questa profonda comunione con lui?
E' l'amore verso Gesù.
Un amore che non è mero sentimentalismo, ma si traduce in vita concreta e, precisamente, nell'osservare la sua Parola.
E' a quest'amore del cristiano, verificato dai fatti, che Dio risponde col suo amore: la Trinità viene ad abitare in lui.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»

«… osserverà la mia parola»

E quali sono le parole che il cristiano è chiamato ad osservare?
Nel Vangelo di Giovanni, “le mie parole” sono spesso sinonimo di “i miei comandamenti”. Il cristiano è dunque chiamato ad osservare i comandamenti di Gesù. Essi però non vanno tanto intesi come un catalogo di leggi. Occorre piuttosto vederli tutti sintetizzati in quello che Gesù ha illustrato con la lavanda dei piedi: il comandamento dell'amore reciproco. Dio comanda ad ogni cristiano di amare l'altro fino al dono completo di sé, come Gesù ha insegnato ed ha fatto.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui»

E come allora vivere bene questa Parola? Come arrivare al punto in cui il Padre stesso ci amerà e la Trinità prenderà dimora in noi?
Attuando con tutto il nostro cuore, con radicalità e perseveranza appunto l'amore reciproco fra noi.
In questo, principalmente, il cristiano trova anche la via di quella profonda ascetica cristiana che il Crocifisso esige da lui. E' lì, infatti, nell'amore reciproco, che fioriscono nel suo cuore le varie virtù ed è lì che può corrispondere alla chiamata della propria santificazione.

Chiara Lubich

 

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Intervento di Mons. Radkovsky

“Il Fenomeno dei nuovi Movimenti ecclesiali e la collaborazione tra i carismi nella Chiesa come espressione della Nuova Evangelizzazione”

“Dove è la Chiesa, lì è lo Spirito di Dio, e dove è lo Spirito di Dio, lì è la Chiesa ed ogni grazia”, afferma san Ireneo di Lione già nel secondo secolo. Lo Spirito Santo spesso si manifesta attraverso i suoi doni che si chiamano carismi. Questi “possono prendere varie forme perché sono l’espressione della libertà assoluta dello Spirito che li mantiene, e sono la risposta alle varie necessità lungo la storia della Chiesa” (cf. Christifideles Laici 24). La storia della Chiesa, contemplata dal punto di vista dei vari carismi, che fanno nascere diversi “movimenti”, ci offre nel suo insieme la visione complessiva della dottrina di Cristo. La sua comprensione si sviluppa verso una larghezza e una pienezza sempre più complete. Come dice la Costituzione del Vaticano II Dei Verbum, n. 8, “la Chiesa nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengono a compimento le parole di Dio.” Il frutto concreto di questa crescita sono nuove forme della sequela di Cristo nei nuovi “movimenti” carismatici. Specialmente gli ultimi decenni sono caratterizzati dalla loro nascita e da uno sviluppo straordinario. Giovanni Paolo II, durante il suo pontificato, spesso viene in contatto in tutto il mondo con il fenomeno dei nuovi movimenti ecclesiali. Una delle sue intuizioni geniali è stata quella di mostrare a tutti questa nuova faccia carismatica della Chiesa, questa “primavera della Chiesa” che sta per risvegliarsi e che è stata prevista già dal Vaticano II. Questo è avvenuto in Piazza di San Pietro, alla vigilia di Pentecoste, il 30 maggio 1998. Alla fine del ventesimo secolo, tutti i presenti diedero la loro testimonianza dell’unità nella diversità e della ricchezza dei diversi carismi, diffusi dallo Spirito Santo nella Chiesa all’alba del terzo millennio. Si comprese la portata di quell’evento alla luce delle parole pronunciate dal Papa a conclusione dell’incontro. “Quel che accadde a Gerusalemme duemila anni orsono è come se questa sera si rinnovasse in questa piazza!”. Fu in quella occasione che il Santo Padre diede grande risalto alla dimensione carismatica della Chiesa, definendola “coessenziale” alla dimensione istituzionale-petrina. Dopo quell’incontro, i Movimenti iniziarono un nuovo cammino di dialogo, di collaborazione e di comunione fra loro. Fra i promotori, protagonista di primo piano fu Chiara Lubich, la nostra illustre ospite di oggi. In quella circostanza, di fronte a vari Fondatori e a mezzo milione di membri dei Movimenti, fece una promessa al Santo Padre: “…poiché il nostro Movimento – gli disse- ha il carisma dell’unità, mi premurerò, assieme ad altri già da qualche tempo orientati a ciò, di intraprendere un’azione per la comunione più piena fra i Movimenti”. (…). E cominciò effettivamente una nuova stagione nella Chiesa. In ogni parte del mondo i responsabili nazionali o locali dei vari Movimenti hanno iniziato a incontrarsi per proporre ai Vescovi un programma da svolgere nelle cosiddette “Giornate Pentecoste ‘98”: si voleva rivivere in loco l’esperienza fatta in Piazza San Pietro. Noi ci siamo incontrati in questo spirito a Velehrad nell’estate 1999, come molti di voi sicuramente si ricordano. E si può dire effettivamente che l’effusione dello Spirito Santo iniziata nel Cenacolo di Piazza san Pietro –come ebbe a dire il Santo Padre – non si è più interrotta. La gioia di incontrarsi, la scoperta che ognuno faceva della bellezza e della varietà dei carismi, la collaborazione che si è instaurata, la sorpresa, la contentezza e lo stupore dei Vescovi di fronte a questo nuovo volto della Chiesa che univa al profilo petrino di essa anche il coessenziale profilo mariano, sono stati le note comuni di ogni Giornata. Come ho già menzionato in altre occasioni, il profilo mariano ci suggerisce la vera comprensione del ruolo della donna nella Chiesa. La donna è il cuore della Chiesa come vergine, sposa e madre, e da qui deriva la sua indiscussa “autorità mariana” che consiste nel custodire il valore più prezioso nella Chiesa che è l’amore. E’ un’autorità con il suo carattere, diverso dall’autorità del sacerdozio ministeriale, con il quale tuttavia può molto bene coesistere. L’uso giusto di ambedue queste autorità nella prassi della vita dei Movimenti opera come una medicina perfetta contro le deformazioni maschiliste oppure femministe nella comunità ecclesiale. Attraverso il rinnovamento delle comunità di base si arriva al rinnovamento della Chiesa intera dove i Movimenti – dato la vasta scala dei loro doni – possono avere un ruolo decisivo ed insostituibile. Un’altra caratteristica importante dei Movimenti è quella che nella struttura della Chiesa di oggi mantengono viva la sua dimensione spirituale e sono un correttivo salutare alla corrente mentalità secolarizzata. Hanno la forza di creare e presentare una cultura ecclesiale propria; e già col loro essere richiamano costantemente alla dimensione universale della Chiesa, equilibrando una certa tendenza che accentua troppo la Chiesa locale. Vorrei menzionare alcuni esempi di come è sentita la collaborazione tra i Movimenti. Una delle ultime Giornate celebrate è stata quella di Lisbona (Portogallo), che ha raccolto 14.000 membri di 50 Movimenti nel Padiglione Atlantico della capitale. “Oltre ogni aspettativa”, hanno scritto, tanto da suscitare echi di ammirazione sulla stampa locale con titoli come questi: “I cattolici hanno invaso la capitale”; “Il più grande incontro di Movimenti laici, tutti portoghesi…” ; “L’altro volto della Chiesa”; “Una marea di laici con una grande presenza di giovani celebrano la Fede”… E il Patriarca di Lisbona, mons. José Policarpo, dopo un caloroso ringraziamento, ha esortato i Movimenti “a conservare la loro forza, forza non tanto di strategie quanto dei rispettivi carismi che portano alla santità”.    Nel bellissimo incontro tra i laeders dei nove principali movimenti presenti nell’Archidiocesi di Los Angeles, USA, il Vescovo Gerald Wilkerson ha affermato: “Oggi è stato un segno di speranza per la Chiesa e il mondo intero. Questa unità già sperimentata tra di noi sarà la forza risanatrice contro la disunità. Siate fedeli ai vostri carismi: voi siete i custodi di questo sogno… con la vostra testimonianza continuate a iniettare fuoco e passione nella vita della Chiesa e dell’umanità. Voi siete un visibile segno di speranza!” A Sofia, in Bulgaria, dopo l’incontro dei Movimenti, mons. Christo Proykov, Esarca apostolico e Presidente della Conferenza Bulgara, ha detto: “Voi tutti avete ringraziato gli organizzatori, ma io ringrazio voi Movimenti che, con la vostra presenza, avete reso possibile vivere questo momento. Oggi avete fatto vedere che nonostante la Chiesa cattolica bulgara sia piccola, vive la stessa realtà della Chiesa Universale. Vi incoraggio a proseguire sulla strada che oggi avete incominciato. Si dice che la bellezza consiste nella diversità, ma vi dico che la bellezza è l’unità nella diversità”. A Spalato, in Croazia, a conclusione della Giornata, mons. Barisic ha detto: “…Stanno arrivando tempi nuovi per la chiesa, tempi che hanno futuro. I Movimenti. formano anche sacerdoti, e i parroci li devono appoggiare e incoraggiare”. E, sempre a Spalato, mons. Juric : “I Movimenti sono fondamentali per la nuova evangelizzazione. A contatto con loro ho apprezzato la loro umiltà, la sottomissione alla autorità ecclesiastica, l’unità col Vescovo e questa è la conferma che sono sulla strada giusta”. Il vescovo di Zara, mons. Prendjia, ha detto fra l’altro: “La Chiesa non deve temere i Movimenti, perché la arricchiscono e sanno portare le persone direttamente a Dio”. Comunione tra carismi nuovi e antichi Possiamo dire che questa comunione è già iniziata. L’occasione è stato l’invito della vasta famiglia francescana per iniziare con loro la via del dialogo e della collaborazione. Nel mese di ottobre scorso, Chiara Lubich, accolta dal caloroso ‘abbraccio’ di tutta la Famiglia francescana desiderosa di ascoltare la sua testimonianza, ha sviluppato il suo tema riguardante la comunione fra i carismi presentandola come una “comunione sempre possibile, sia perché i vari carismi, essendo diversi l’uno dall’altro, si attraggono, sia perché, essendo tutti doni dello stesso Spirito Santo, hanno, non di rado, qualcosa di simile fra loro”. E ha continuato: “Ho sempre in cuore quelle parole di Giovanni Paolo II, quando ha definito i Movimenti come ‘significative espressioni dell’aspetto carismatico della Chiesa, anche se non le sole’. Anche se non le sole, ha detto, perché esistono nella Sposa di Cristo gioielli senza numero, fucine di santi, di eroi, dottrine stupende (…) frutti di carismi elargiti dallo Spirito attraverso i secoli. (…) Che il Signore voglia questa comunione anche con loro, gloria e vanto della Chiesa, affinché il suo aspetto carismatico acquisti nuovo vigore, nuovo splendore e, nella unità piena e cordiale con l’aspetto istituzionale, dia frutti mai visti (…), una Chiesa più una, più attraente, più calda, più familiare, più dinamica, più mariana, più carismatica”. Questo dialogo tra carismi antichi e nuovi ha tutta l’aria di essere un momento storico, di fondazione. Un francescano commenta: “Abbiamo assistito a una nuova effusione dello Spirito Santo che parla alla Chiesa del terzo millennio. Non si può più tornare indietro!” Un ecumenismo dei cuori – La comunione dilaga anche con le altre chiese Il fatto che non possiamo tornare indietro vale pure per la collaborazione iniziata tra i Movimenti cattolici e quelli della Chiesa evangelica. Chiara è stata invitata in Germania, a Rothenburg, per parlare della sua esperienza e del dialogo nato tra i movimenti cattolici ad un centinaio di responsabili di circa 50 movimenti, la maggior parte della Chiesa evangelica-luterana, alcuni delle Chiese libere ed altri delle nuove Comunità spirituali. Suor Anna-Maria, priora della Fraternità di Cristo di Selbitz. che faceva parte del gruppo che prepara questi “incontri di responsabili”, comunicando la sua impressione personale disse: “I giorni a Rothenburg per me sono risultati un grande segno di speranza. (…) Ho avuto l’impressione, come poche volte prima, che Dio stesso agisse. Lui ci riunisce e ci indica una via per superare gli ostacoli che a causa del passato si frappongono tra noi cristiani delle diverse Chiese. Questo incontro ha aperto un sentiero verso l’unità. (…). Ci vuole effettivamente un’altra cosa, come ho sperimentato all’incontro di Rothenburg: lì ho costatato in effetti che i cuori s’incontrano. Parlerei così di un ‘ecumenismo dei cuori’. Penso che questi due modi di fare ecumenismo si completino a vicenda”. Decisero intanto di andare a Roma per incontrare, oltre al Centro del Movimento dei Focolari, anche la comunità di Sant’Egidio e il Rinnovamento nello Spirito italiano. Ma il denso programma conteneva la visita alla comunità evangelica di Roma, al card. Cassidy del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, e l’udienza dal Santo Padre. Qualcuno di loro ha poi riassunto : “Siamo andati all’origine della nostra fede comune e abbiamo visto tante pietre antiche. Ma soprattutto abbiamo visto pietre vive della Chiesa di Cristo oggi. Con la loro ospitalità ed il loro amore concreto ci hanno fatto sperimentare la Chiesa viva di Gesù Cristo”. Conclusione Abbiamo l’impressione che in quest’inizio di millennio lo Spirito Santo voglia rivelare al mondo un nuovo e più maturo volto della Chiesa. Si tratta del suo profilo carismatico-mariano. Ma questa ventata di Spirito Santo è stata fortemente favorita dal Consiglio dei Laici che in Vaticano aiuta il Santo Padre per tutto il laicato cattolico. Per dare un esempio, vi accenno alle risposte date in una intervista dal Presidente dello stesso Consiglio, il Card. Stafford, il quale ha dichiarato che uno dei momenti più significativi dell’importanza data dal Santo Padre al laicato, è stato: “Tra gli eventi recenti, (…) il raduno a Roma nel 1998 di 500 mila membri dei movimenti e delle associazioni laici, insieme a molti dei loro fondatori e leader”. “Sono essi – ha continuato – il principio della primavera. Le iniziative più promettenti nella Chiesa oggi vengono dal laicato. (…). Sarebbe utile indagare perché questi nuovi movimenti e associazioni sono emersi nella Chiesa oggi. Provo a suggerire una spiegazione. La formazione e lo sviluppo di questi nuovi gruppi laicali indica che i bisogni spirituali di molti cattolici non sono adeguatamente intercettati dalle istituzioni tradizionali della Chiesa. I desideri spirituali disattesi del laicato hanno portato benefici inattesi alla Chiesa e alla società. (…). Le aggregazioni laicali sono l’avanguardia della ‘nuova evangelizzazione’. Sono la manifestazione dei nuovi significati dell’evangelizzazione, ‘nuovi in ardore, metodi e espressioni’, per usare le parole di Giovanni Paolo.” Questo ha detto il Card. Stafford. Non desideriamo altro che la giornata di oggi sia un’espressione della maturità crescente dei nuovi Movimenti ecclesiali che si manifesta nella fedeltà ai loro rispettivi carismi messi pienamente a disposizione della Chiesa e della sua unità. Infatti, questa è la premessa di ogni sforzo della Nuova evangelizzazione, espressa nelle parole di Gesù “che tutti siano uno perché il modo creda” (cf. Gv 17, 21).   (altro…)

Esperienza del Movimento “Luce – Vita” (Oasi)

Nell’estate 1990 partecipai ad un grande festival musicale a Plzeò, intitolato “Porta”. In quel periodo non ero ancora stato battezzato e, dopo il crollo del regime comunista, nel novembre 1989, ero alla ricerca di qualcosa cui orientare la mia vita. Le idee che fino ad allora mi avevano affascinato erano la resistenza passiva contro il socialismo, il darwinismo, il movimento dei “Tramp”, le “protest songs”. Questo festival era espressione di una delle correnti spirituali seguite dai giovani in quel periodo. Davanti alla porta d’ingresso al festival c’era un gruppo di giovani assai particolare che annunciavano Cristo in un modo radicale. Rivolgevano la parola a quelli che passavano e discutevano apertamente con loro. Il loro entusiasmo, ma nello stesso tempo anche la loro spontaneità, mi affascinava. Non temevano di affrontare chiunque, ed entravano nell’intimo dell’uomo in modo immediato, anche suscitando talvolta reazioni negative. Il culmine per me è stato quando, davanti alla cattedrale di San Bartolomeo, ho incontrato il gruppo, ed uno di loro, vestito con una tonaca bianca che lo faceva apparire come una persona del medioevo, si è avvicinato e mi ha detto: “Gesù ti ama!”. La mia prima reazione è stata di insultarlo, mollandogli un pugno sul mento, ma non riuscii a farlo, per motivi che io stesso non capivo. A dir la verità, ero stato educato alla scuola comunista, dove mi si insegnava che “bisogna che la Chiesa – come nemico del progresso, della scienza, della cultura e dell’ umanità – sia sempre e dappertutto combattuta nel modo più radicale” (p.e. quando avevo 16 anni rubavo nelle chiese i libri, per poter almeno in qualche modo danneggiare la Chiesa). In quel momento però mi ero trovato come ‘paralizzato’ e così gli ho lanciato solo qualche insulto. Questo è stato il mio primo incontro con il coordinatore nazionale del Movimento “Luce – Vita”. Quelle sue parole però mi avevano folgorato così fortemente, che sono andato dall’altra parte della città, dove c’era una piccola chiesa e lì ho tentato maldestramente di pregare. C’era in me una lotta: da una parte, questo modo di Evangelizzare suscitava in me una reazione contraria, dall’altra volevo conoscere il programma e la vita di quel gruppo, perché riuscivano in un modo chiaro a esprimere gli elementi fondamentali della fede cristiana. La mia preghiera é stata esaudita perfettamente, perché un anno dopo ho cominciato a prepararmi per il Battesimo presso la chiesa di S.Egidio a Praga, dove una volta “per caso” ho letto su un cartello: “Se volete essere battezzati, venite il 10.9. (1991) alle 16.00 nel catecumenato” . Arrivando lì all’ora giusta, ho visto davanti alla porta della chiesa un gruppo di giovani. Quando si é aperta la porta, é venuto verso di me quell’uomo che avevo incontrato al festival, e che dice: “Ciao! Sono Padre Jan. Voi siete venuti per via del Battesimo? Venite avanti…”. Così sono stato battezzato. Più tardi, nel maggio 1992, é arrivata un’altra sfida: “Adesso andremo ad annunciare Cristo sulle strade!”. Una parte dei neofiti lì radunati subito ha rifiutato questa proposta; gli altri sono rimasti senza fiato, e con un certo tremore si sono detti d’accordo. É difficile descrivere le mie prime impressioni sulla nostra Evangelizzazione: un misto di angoscia, di balordaggine, di gaff, di timidezza nell’avvicinarci alla gente, di incidenti…. Era tutt’ altro che l’annuncio gioioso di Cristo, ma ci eravamo ormai gettati “nell’acqua” e dovevamo “nuotare”. La necessità di lasciarsi trasformare dalla Parola di Dio mi ha spinto a conoscere sempre di più il programma del Movimento “Luce – Vita” che ha una sua dimensione formativa ed evangelizzatrice, come possibilità di crescere nella fede per me personalmente e per gli altri credenti. E così dal 1992 sto partecipando agli incontri estivi dell’ Oasi, e dal 1997 anche come animatore. M. D. (altro…)

"Mi era sempre mancata una famiglia più grande…"

P. – Siamo una famiglia di 4 persone costituita da noi due genitori, M. e P., con due figlie, rispettivamente di 26 e 19 anni. Abbiamo conosciuto il Movimento dei Focolari circa 20 anni fa, appena trasferiti, ma non ne abbiamo compreso immediatamente il messaggio. Dopo alcuni anni, in occasione di un incontro, siamo stati improvvisamente colpiti dall’atmosfera di accoglienza, d’Amore e Unità come una straordinaria attenzione ed ascolto di ciascuno per l’altro. Questa scoperta ci ha spinto a cercare di metterla in pratica attraverso l’Amore concreto per coloro che la vita ci mette quotidianamente vicino. M. – Pur cercando di vivere questo Amore concreto e scambievole all’interno della nostra famiglia, con P. sempre più spesso sentivamo il bisogno di aprirci verso altre famiglie. Con questo stato d’animo, quando si è resa necessaria l’assunzione temporanea di una persona nella nostra piccola azienda a conduzione familiare, scegliemmo una mamma albanese, A., con due bambini di nove e sette anni, B. e S., ed un marito con un lavoro molto faticoso ed estremamente precario. Avvertivamo quanto si sentissero smarriti e sradicati dalle loro abitudini di vita e religione. Sin dai primi giorni di lavoro tra A. e la nostra famiglia si era stabilito un rapporto di calda familiarità, nonostante le difficoltà legate alla lingua ed alle diverse tradizioni. Diventava tangibile giorno dopo giorno sentirci tutti appartenenti all’unica grande famiglia umana: dal piccolo sforzo di pronunciare il nome di tutti i componenti della famiglia in modo corretto, alla assistenza per risolvere i numerosi problemi burocratici legati alla assunzione ed al permesso di soggiorno. M. – Quando A. mi ha confidato di essere in attesa del suo terzo figlio, era molto spaventata e preoccupata per il futuro economico della sua famiglia legato in quel momento solo alla stabilità del suo lavoro. Sentii allora che questo era il momento di rendere concreto quell’amore per il fratello supportato dalla fiducia in quella Provvidenza, che avrebbe trovato soluzioni umanamente impossibili. Cercammo così insieme di prevenire disagi, e superare le difficoltà di ordine burocratico e di salute che si presentavano. Così a Luglio dell’anno scorso è arrivato D., un bimbo bello ed allegro. P. – Avendo un giorno mia moglie impegni improvvisi, sono andato io con A. ed il piccolo  in Comune per risolvere i problemi burocratici e poter usufruire del pulmino per portare a scuola gli altri due figli. Non mi sarei mai aspettato di uscire da quella pesante mattinata in comune così contento per la parziale soluzione dei problemi dell’altra parte della nostra famiglia: e pensare che prima di andare ero angosciato per aver lasciato il mio lavoro in sospeso M. – Una volta la mattina alle sette, ricevo una telefonata dal marito di A. che mi avvisava che la moglie non sarebbe potuta venire al lavoro perché era stata ricoverata all’ospedale durante la notte. Mentre lo stato di salute della mamma non era grave, ma l’avrebbe costretta a stare in ospedale alcuni giorni, la situazione per il piccolo era preoccupante perché non avrebbe potuto ricevere il suo latte materno, unico alimento del momento. Ci siamo mobilitati tutti: chi è andato a comprare latte in polvere e biscottini, chi bolliva tettarelle e biberon, chi insegnava ai fratellini come preparare le dosi. Quanta è stata grande la mia gioia quando finalmente D. ha cominciato a succhiare con gusto ed in pochi minuti ha finito tutto il latte: mi è sembrato di tornare indietro di tanti anni ed in quei momenti ho provato la stessa gioia che provavo per le mie bambine. C. – Io sono la maggiore di noi due sorelle. La prima cosa che ricordo di questa esperienza, è stata l’ indifferenza della gente. Man mano che venivo a conoscenza delle difficoltà che A. e la sua famiglia dovevano affrontare, mi stupivo sempre più di come molte persone intorno a loro, guardavano, passando senza soffermarsi. Per noi invece è stato bellissimo adottare questa famiglia: purtroppo non abbiamo molti parenti e a me è sempre mancata la “famiglia grande”! Ora, da quattro che eravamo, siamo diventati nove. Anche mia sorella ha partecipato moltissimo. Si è improvvisata sorella maggiore! Quando D. era più piccolo e accompagnava la mamma al lavoro perché lei non poteva lasciarlo solo a casa la mattina, mia sorella faceva la baby-sitter, mentre studiava lo teneva vicino a lei, lo coccolava, lo rassicurava quando si metteva a piangere. Quando, invece è iniziata l’estate, e i bambini più grandi avevano i compiti per le vacanze, mia sorella andava spesso a casa loro per aiutarli nei compiti, o semplicemente far loro compagnia mentre studiavano, rendendo così il lavoro meno pesante. Mi ha colpito vederla così partecipe e responsabile, così attenta e piena di attenzioni. P. e M. – Questa occasione di accogliere i problemi di un’altra famiglia ci ha permesso di comprendere quanto sia vero che il dare anche solo il proprio tempo viene ripagato dal Signore col centuplo: abbiamo trovato fratelli/parenti molto più vicini a noi di quelli di sangue purtroppo lontani.   (altro…)

Chiara Lubich alla 1a Scuola Internazionale per imprenditori 5 aprile 2001

Ci troviamo qui per approfondire quell’ancor piccola, ma importante, realtà economica nata nel 1991 nel Movimento dei Focolari e che si è sviluppata finora quasi unicamente in esso, sotto il nome di “Economia di Comunione”. In questo convegno essa verrà studiata, approfondita, sviscerata secondo le varie competenze che loro, Signori imprenditori, professori di economia, studiosi, penseranno meglio. Per parte mia vorrei offrire qualche pensiero su quel tipico aspetto spirituale che le sta alla base, sin dal suo esordio a San Paolo in Brasile, e che l’ha animata, la anima, la sostiene e la dovrà sempre sostenere a garanzia della sua autenticità. Mi spinge a ciò un motivo non certo trascurabile: l’Economia di Comunione non è un’attività unicamente umana, frutto semplicemente di idee e di progetti di uomini seppur dotati. Essa è un’espressione del Movimento dei Focolari che è Opera di Dio. Opera di Dio, anche se Egli, Altissimo, ama usare quali suoi strumenti, per i suoi fini, uomini e donne di questo mondo. Ne consegue che, se l’Economia di Comunione è parte di un’Opera di Dio, è Opera di Dio essa stessa, almeno nel suo spirito e negli aspetti essenziali. E, se le cose stanno così, sarà ovvio e saggio conoscere e approfondire come è stata prevista dal Cielo e ispirata, e come qui in terra è stata da noi concepita e plasmata. In pratica, come è stata condotta da quel carisma d’unità, dono di Dio, che ha suscitato, sviluppato e continua a far progredire il nostro Movimento nella sua globalità. Ma quali e quanti i suggerimenti, le intuizioni, le ispirazioni anche, che hanno guidato fin qui l’Economia di Comunione? Mi sembra che ve ne siano di assai pregevoli e che non siano pochi. Permettano, Signori, che ora ne prenda in considerazione quattro, venuti in evidenza durante i dieci anni di vita dell’Economia di Comunione. Si tratta qui di riconsiderarli bene, insieme, per interpretarli esattamente ed attuarli con grande fedeltà. Essi riguardano: la finalità dell’Economia di Comunione e cioè lo scopo per cui è sorta; la “cultura del dare”, che le è tipica; gli “uomini nuovi”, che non possono mancare nel gestirla; le “scuole di formazione” per tali uomini e donne, assolutamente necessarie, che dobbiamo prevedere. Lo scopo per cui è sorta La finalità dell’Economia di Comunione è nascosta nel suo stesso nome: un’economia che ha a che fare con la comunione fra gli uomini e con le cose. Essendo, infatti, l’Economia di Comunione un frutto del nostro Ideale, questa sua finalità non può essere che una parziale espressione della finalità stessa del nostro Movimento e cioè: lavorare per l’unità e la fraternità di tutti gli uomini richiesta dalle parole-preghiera di Gesù al Padre: “Che tutti siano uno”, diventando così un cuor solo ed un’anima sola per la carità scambievole. Unità che si può realizzare con la nostra tipica “spiritualità dell’unità”. Ora per quanto riguarda le indicazioni, che possiamo aver avuto dall’Alto, vediamo che la finalità dell’Economia di Comunione è presente sin dal 1991, anno della sua nascita, in uno scritto dove si legge: “A gloria di Dio è nata perché torni a rivivere lo spirito e la prassi dei primi cristiani: ‘Erano un cuore solo e un’anima sola e fra loro non v’era indigente’.” (Cf At 4,32-34) E nel ’94 si ricalca: “Se noi attuiamo l’Economia di Comunione, col tempo, potremo vedere realizzata nella nostra Opera una meravigliosa pagina della Chiesa nascente: ‘La moltitudine (…) aveva un cuore solo ed un’anima sola (…), ogni cosa era fra loro in comune. (…) Nessuno fra loro era bisognoso’.” (At 4,32-34) Anzi è un anno questo, il 1994, in cui, affinché si abbia sempre di fronte l’importanza dell’Economia di Comunione e la sua finalità, si rievocano i primi suoi passi perché non perda di smalto. Riportiamo quelle parole perché ci siano di aiuto pure oggi: “Si misero a disposizione terreni e case; ci si spogliò di ciò che si aveva di più caro: i gioielli di famiglia, ad esempio; si pensò ai molti sistemi per orientare aziende ai fini dell’Economia di Comunione. Fu uno spettacolo d’amore non solo in Italia, ma nel mondo”. E un anno dopo, sempre per meglio attuare la finalità dell’Economia di Comunione e incoraggiare ad attuarla, si vuole far conoscere questi nostri fratelli e sorelle che ne beneficiarono: “Ma chi sono questi nostri fratelli? Li conosco e li ho visti alcuni in foto: sorridenti, dignitosi, fieri di esser figli di Dio e di quest’Opera. Non mancano di tutto, ma di qualcosa. Hanno bisogno, ad esempio, di togliersi dall’animo l’assillo che li opprime notte e giorno. Hanno necessità d’essere certi che loro e i loro figli avranno da mangiare; che la loro casetta, a volte una baracca, un giorno cambierà volto; che i bambini potranno continuare a studiare; che quella malattia, la cui cura costosa si rimanda sempre, potrà finalmente essere guarita; che si potrà trovare un posto di lavoro per il padre.  Sì, sono questi i nostri fratelli nel bisogno, che non di rado aiutano anche loro, in qualche modo, gli altri. Sono un tipo di Gesù ben preciso, che merita il nostro amore e che ci ripeterà un giorno: ‘Avevo fame, ero ignudo, ero senza casa o con la casa rovinata… e voi…’. Sappiamo cosa ci dirà”. Conosciamo quindi la finalità dell’Economia di Comunione. Ma come raggiungerla? La cultura del dare che le è tipica Nei nostri ambienti, nei nostri Convegni ne parliamo spesso e ci appaiono assai belle queste parole. Non sono forse l’antidoto a quella cultura dell’avere che oggi domina e proprio nell’economia? Certamente sì.  Ma, a volte, si può aver posto troppa fiducia nell’espressione: “cultura del dare”, dandole un’interpretazione un po’ semplicistica e riduttiva. Non sempre, infatti, con essa si vuol dire spogliarci di qualcosa per donarla. Queste parole in realtà significano quella tipica cultura che il nostro Movimento porta in sé ed irradia nel mondo: la cultura dell’amore. “Cultura dell’amore”, di quell’amore evangelico assai profondo e impegnativo, che è parola sintesi di tutta la Legge e i Profeti, quindi di tutta la Scrittura, per cui chi vuol possederlo non può esimersi dal vivere il Vangelo intero.  Ma come lo potrebbe fare? Lo dirò fra poco. Intanto notiamo che anche della “cultura del dare” si è scritto già nel 1991: “A differenza dell’economia consumista, basata su una cultura dell’avere, l’Economia di Comunione è l’economia del dare. Ciò può sembrare difficile, arduo, eroico. Ma non è così perché l’uomo fatto ad immagine di Dio che è Amore, trova la propria realizzazione proprio nell’amare, nel dare. Questa esigenza è nel più profondo del suo essere, credente o non credente che egli sia”. E si conclude: “E proprio in questa costatazione, suffragata dalla nostra esperienza, sta la speranza di una diffusione universale, domani, dell’Economia di Comunione”. Si prevede, dunque, che l’Economia di Comunione possa un giorno superare i confini del nostro Movimento. Riguardo poi sempre al dare, ma anche alle sue meravigliose conseguenze, troviamo scritto l’anno dopo, nel 1992: “Dare, dare, attuare il ‘dare’. Far sorgere, incrementare la cultura del dare. Dare quello che abbiamo in soprappiù o anche il necessario, se così ci suggerisce il cuore. Dare a chi non ha, sapendo che questo modo di impiegare le nostre cose rende un interesse smisurato, perché il nostro dare apre le mani di Dio ed Egli, nella sua Provvidenza, ci riempie sovrabbondantissimamente per poter dare ancora e molto e ricevere ancora e così poter venire incontro alle smisurate necessità di molti”. La causa dell’Economia di Comunione però non domanda solo l’amore ai bisognosi, ma verso chiunque perché così la spiritualità dell’unità esige. E perciò vuole che si amino tutti i soggetti dell’azienda. Si scrive, ad esempio: “Diamo sempre; diamo un sorriso, una comprensione, un perdono, un ascolto; diamo la nostra intelligenza, la nostra volontà, la nostra disponibilità; diamo le nostre esperienze, le capacità. Dare: sia questa la parola che non può darci tregua”. Nel ’95 si precisa il più profondo significato del dare:”Ma cos’è questa cultura del dare? E’ la cultura del Vangelo, è il Vangelo, perché noi il ‘dare’ l’abbiamo capito dal Vangelo. ‘Date – c’è scritto nel Vangelo – e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo’ (Lc 6,38). Ed è quello che sperimentiamo quotidianamente. Se tutti vivessero il Vangelo, i grandi problemi nel mondo non esisterebbero, perché il Padre del Cielo interverrebbe a realizzare la promessa di Gesù: ‘… vi sarà dato’.” Durante questi anni, poi, non ci sono mancati forti impulsi sul significato più semplice del dare, sul dare concretamente, specie da certi santi. “All’affamato – dice san Basilio – appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto. Commetti tante ingiustizie quante sono le persone a cui potresti dare tutto ciò”. E san Tommaso d’Aquino: “Quando i ricchi consumano per i loro fini personali il sovrappiù necessario alla sussistenza dei poveri, essi li derubano.” Ma, trovandoci oggi tra persone con responsabilità d’azienda, ricorderei un altro scritto: “Non basta un po’ di carità, qualche opera di misericordia, qualche piccolo superfluo di singole persone (per raggiungere il nostro scopo): occorre che aziende intere e imprese mettano in comune liberamente il loro utile”.  Nello scandire gli anni del decennio 1991-2001 è infine presente l’esigenza per l’Economia di Comunione di avere e formare “uomini nuovi”. Ma chi sono questi “uomini nuovi”? Sono, anzitutto, laici. Quei laici che oggi stanno vivendo un momento privilegiato. Conosciamo, penso, quelle sapienti parole dell’Antico Testamento che dicono: “Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire (…). Un tempo per tacere e un tempo per parlare. (…) Egli (Dio) ha fatto bella ogni cosa a suo tempo.” (Qo 3,1-11) Ebbene: che tempo è quello che noi viviamo? Che tempo è per la Chiesa? Ce lo dice Giovanni Paolo II: “Nella Chiesa è scoccata oggi l’ora del laicato”. E, se così è, questo è il tempo nostro, vostro, dei laici. Ora, poiché il Signore conduce la grande storia del mondo e del cosmo e contemporaneamente la piccola storia nostra, di noi, sue creature, dobbiamo chiederci: come Egli vuole noi, laici, in questo momento? La risposta l’ha già data lo Spirito Santo in due modi: attraverso il Concilio Vaticano II e il sorgere dei nuovi Movimenti nella Chiesa. Il messaggio del Concilio è questo: i laici devono santificarsi là dove sono, nel mondo.     Quindi come operai, impiegati, maestri, politici, economisti, tranvieri, casalinghe e così via. E lì dove sono, devono cristianizzare (rinnovare col Vangelo) i vari ambiti del vivere umano: con la testimonianza e con la parola, perché lo Spirito Santo ha donato ai laici doni speciali proprio per questo. Lo possono fare proprio loro e specialmente loro. Col Vangelo, vivendo integralmente il Vangelo. Infatti, i Movimenti hanno questo di caratteristico: i loro membri sono chiamati alla radicalità della vita evangelica, a vivere il Vangelo con autenticità: una grande vocazione che eleva la loro dignità. Nel ’98, in qualche nostro scritto, si precisa che sono laici sì, ma laici speciali, chiamati a questo, forse, per la prima volta sul nostro pianeta. I concetti sono questi: “Quando consideriamo l’Economia di Comunione dobbiamo pensare ad uno dei fattori che la rendono così bella, viva, di esempio nel mondo: essa è suscitata e portata avanti da laici. Mi ricordo che un tempo si diceva che il laico è colui che deve soltanto imparare. Igino Giordani, perché laico, si sentiva, con ciò, un proletario nella Chiesa. Ora, dopo il Concilio Vaticano II, e ad opera dei nuovi Movimenti, come il nostro che ha avuto origine da laici, vediamo come il laico sia protagonista. Perché? Perché si sta scoprendo, con grande gratitudine a Dio, con meraviglia e non senza sorpresa, che specie certi laici di oggi hanno qualcosa di particolare. Essi non si accontentano di realizzarsi con un lavoro, con una carriera, o con la semplice vita di famiglia. Non basta più; non sono sazi, non si sentono se stessi, se non si dedicano anche esplicitamente all’umanità. Per cui quel decidere di impegnarsi nell’Economia di Comunione, anziché esser loro di peso, è di gioia, per aver trovato il modo di realizzarsi pienamente. Ed è un fatto che commuove: potrebbero mettersi in tasca quegli utili guadagnati, comprare la pelliccia alla signora, nuovi doni ai bambini, la macchina al figlio… Ma non lo fanno, vivono per un grande Ideale e sono coerenti. E si santificano non nonostante la politica, l’economia ecc., ma proprio nella vita politica, in quella economica ecc. Dio li benedica e dia loro il centuplo già in questa vita e poi la vita piena”. E come sono ancora questi “uomini nuovi”? Sono anzitutto persone di grande fede perché di profonda vita interiore. Lo si dice sempre nel ’98. “Se noi nel fare l’Economia di Comunione viviamo il Vangelo, cerchiamo il suo regno, perché ci mettiamo in contatto con i nostri operai, ma da Gesù a Gesù; con i clienti, ma da Gesù a Gesù; con i concorrenti, ma da Gesù a Gesù; se noi facciamo così l’Eterno Padre pensa a noi. E vediamo verificarsi nel mondo dell’Economia di Comunione piccoli o meno piccoli miracoli di grazia. Imprese di tre operai, ora con più di duecento … Industrie che stanno per chiudere ma, perché sperano ancora, dicono: ‘Tiriamo avanti fino a domani.’ E intanto arrivano tutti i mezzi necessari per superare la crisi. C’è un Altro, insomma, c’è un’altra cassa che non è quella che abbiamo nel nostro ufficio: è una cassa Celeste che si apre al momento opportuno”. Nel 1998 si aprono pure orizzonti nuovi. L’Economia di Comunione richiede nuovi impegni, e si vede come essa nobiliti coloro che vi lavorano e dia loro dignità. “Occorre che l’Economia di Comunione non si limiti ad esemplificazioni nel realizzare imprese nuove ispirate ad essa, con qualche commento di chi è più o meno esperto, ma occorre che diventi una scienza con la partecipazione di economisti preparati che sappiano delinearne teoria e pratica, confrontandola con altre correnti economiche, suscitando non solo tesi di laurea, ma scuole da cui molti possano attingere. Una scienza vera che dia dignità a chi deve dimostrarla con i fatti e significhi una vera ‘vocazione’ per chi vi si impegna in qualsiasi modo.” Scuole di formazione per imprenditori, economisti, e i vari componenti dell’azienda Per attuare un’Economia di Comunione occorrono, dunque, una finalità chiara, la “cultura del dare” e “uomini nuovi”. Ma gli uomini nuovi sono coloro che vivono in modo attualissimo il Vangelo, attuano l’amore reciproco, fanno propria, in pratica, la spiritualità dell’unità che porta Gesù in mezzo a noi. E qui non possiamo non esultare perché proprio la spiritualità dell’unità o di comunione è diventata nelle ultime settimane – come è stato autorevolmente detto: “La base su cui opera la Chiesa in questo momento”. Il Santo Padre ha scritto nella Novo millennio ineunte, al paragrafo 43: “Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una spiritualità della comunione (…). Spiritualità della comunione significa (…) capacità di sentire il fratello (…) come ‘uno che mi appartiene’, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire (…) e prendersi cura dei suoi bisogni (…). Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo (…) come dono di Dio: un “dono per me” (…). Spiritualità della comunione è infine saper ‘fare spazio’ al fratello, portando ‘i pesi gli uni degli altri’ (Gal 6,2)”. L’Economia di Comunione è stata possibile perché è nata in un contesto di cultura particolare, la cultura dell’amore che domanda comunione, unità e aiuta a pensare ad un mondo nuovo, a creare un popolo nuovo, con una cultura nuova, che ha in sé quei valori cui noi teniamo di più. E’ per questo che occorre una formazione adeguata a questa cultura, e urge far nascere delle scuole per imprenditori, economisti, professori e studenti d’economia, per ogni componente dell’azienda. La scuola per i politici che vogliono aderire al “Movimento dell’unità”, stimata e già funzionante una volta al mese vicino al Parlamento, può suggerirne lo schema. Si tratta di seguire un iter spirituale, un cammino, facendo proprie le sue varie tappe; iter proposto da un membro esperto del Movimento dei Focolari, da vivere poi nel quotidiano. Si tratta, inoltre, di vederne le implicazioni nel mondo economico e di offrire a conferma valide esperienze. Il tutto, che dovrebbe durare circa due ore, si conclude con commenti e proposte dei presenti. Una cosa “semplice e fattibile”, così diceva un parlamentare presente, così – lo speriamo – diranno gli imprenditori. Quest’anno va dedicato, in modo tutto particolare, proprio alle prime realizzazioni di scuole per l’Economia di Comunione. Il nostro carisma lo vuole. La realtà dell’Economia di Comunione nel mondo lo esige.   (altro…)

Intervista a Vera Araujo

DQuali le novità che sono emerse a conclusione di questa prima scuola degli imprenditori che aderiscono al progetto dell’Economia di Comunione a dieci anni di vita di questo progetto? Dopo 10 anni di vita del progetto di Economia di Comunione si sentiva un po’ dappertutto il bisogno di raccogliersi, di fare il punto della situazione e di vedere quali nuovi traguardi si aprivano davanti a noi. E questo ci è stato indicato da Chiara Lubich nel suo tema programmatico, dove lei ha voluto risottolineare e rilanciare quelle che erano proprio le ispirazioni originali del progetto. Il tema si è svolto in quattro punti fondamentali: Le finalità del progetto, cioè l’aiuto ai bisognosi attraverso la condivisione degli utili delle imprese; La cultura del dare come un humus culturale che sta alla base delle attività delle imprese; Gli “uomini nuovi”, ossia laici impegnati a consacrare le realtà umane; La creazione, a partire da questo… di scuole di formazione per gli imprenditori. Lanciando questi quattro punti, Chiara Lubich ha indicato delle strade da percorrere, raccolte dagli imprenditori presenti con grande serietà ed impegno. Nel programma che abbiamo svolto in tre giorni, anzitutto nel primo ci siamo concentrati sulla vita e sulla realtà delle imprese, nel secondo giorno ci siamo più raccolti intorno alle idee, alle teorie economiche che potrebbero stare a base e che potrebbe illuminare la vita, l’azione delle imprese. In tutto questo lavoro c’è stato un grande contributo anche di esperti che si sono raccolti intorno agli imprenditori per lanciare questa idea. C’è stato anche un gran lavoro di confronto e di raccordo tra gli imprenditori di imprese dello stesso settore, e nell’ambito dei gruppi linguistici, per cui c’è stato un grande dialogo fra tutti, in modo che la conoscenza si approfondisse e che tutte le idee che potevano sorgere fossero raccolte. Un altro punto importante è stato il lancio dell’idea di Chiara di creare intorno alle cittadelle del Movimento dei poli industriali. DDa questa scuola è emersa anche qualche nuova iniziativa? Ecco, l’iniziativa nuova è stata appunto la richiesta di Chiara di creare un Polo industriale nelle cittadelle del Movimento. Già 10 anni fa, era nato il polo industriale accanto alla cittadella Araceli, vicino a S. Paolo in Brasile, un polo che in questi 10 anni si è sviluppato e che conta oggi 6 aziende ed è un faro di credibilità per l’Economia di Comunione. Chiara quest’anno ha lanciato l’idea che questa realizzazione avvenga anche in Italia, nella cittadella del Movimento qui a Loppiano, vicino Firenze. Come per il Brasile, Chiara diceva: “Siamo poveri, ma tanti”, e quindi si tratta di fare una raccolta di fondi da parte di tutti, cioè che vengano non solo dagli imprenditori, ma da tutti quelli che amano l’Economia di Comunione, del Movimento e fuori del Movimento. DUna forma di azionariato popolare? Sì, una forma di azionariato popolare che si è incominciato a fare ancora durante l’incontro e che ha già raccolto una somma considerevole per iniziare questa attività. DE quale è il significato di queste cittadelle con un Polo industriale? Una cittadella del Movimento ha come identità gridare con la sua vita il Vangelo. E’ una testimonianza di vita evangelica in un contesto normale, ma con rapporti di carità, di unità, di solidarietà fra popoli, etnie diverse. Ora il polo industriale conferisce alla cittadella un’altra dimensione: dare testimonianza che la vita evangelica è capace di penetrare tutti gli aspetti della vita umana, sia quelli spirituali, sia quelli più temporali. DDal dibattito emerso in questi giorni, qual’ è l’ apporto dell’Economia di Comunione all’attuale crisi dell’Economia mondiale che crea un sempre maggiore divario tra ricchi e poveri? In questo senso il professor Stefano Zamagni ha dato un suo contributo specifico nella tavola rotonda fatta da 4 esperti di varie nazionalità. Lui ha detto che uno dei contributi essenziale dell’Economia di Comunione era proprio quello di immettere in questo clima di competizione, che ormai non è solo tipico della vita economica ma che sta invadendo tutte le dimensioni della vita – da quello familiare a quello politico ecc., con delle ripercussioni gravi per la vita umana – un nuovo paradigma, non della competizione, ma un paradigma dell’amore, dell’unità. Lui considerava questo come uno dei più grandi contributi che l’Economia di Comunione può dare. Un ‘altro esperto, la prof. Emanuela Silva del Portogallo, ha affermato che l’EdC porta come contributo teorico il senso della solidarietà e della condivisione in un mondo come quello economico in cui impera l’individualismo, in cui la razionalità scientifica e l’affermazione del proprio io sono paradigmi fondamentali. Con l’Economia di Comunione si immettono in questo tessuto il senso della solidarietà e il senso della condivisione. DNell’attuale ricerca anche a livello teorico nel campo dell’economia i valori testimoniati dalle aziende dell’EdC si può dire che costituiscono una risposta ad una ricerca in atto, oppure si pongono in netto contrasto con quanto sta maturando a livello di elaborazione teorica nel mondo economico? Va in contrasto con quelle che sono le idee dominanti della globalizzazione. Esiste nel mondo dell’Economia oggi tutto un settore che possiamo chiamare economia alternativa o il terzo settore o economia solidale, o economia civile . C’è tutta una serie di proposte che sono in contrasto con questo tipo di economia razionalista ed individualista, neo liberale, l’economia di mercato. L’EdC si inserisce accanto a queste forme di economia alternativa dando però un suo specifico contributo. DQuale? Appunto questo di immettere nell’Economia profit i grandi valori della solidarietà e della condivisione che normalmente vengono richiesti solo dall’economia non profit, cioè quella che non ricerca il lucro. Invece l’Economia di Comunione si attua dentro l’Economia di mercato, cioè quella profit, che ricerca gli utili, però proponendo appunto di condividere gli utili con i meno abbienti della società.   (altro…)

1a Scuola Internazionale Imprenditori

“L’economia di comunione è nata perché torni a rivivere lo spirito e la prassi dei primi cristiani: ‘Erano un cuore solo e un’anima sola e fra loro non v’era indigente’. Non basta oggi un po’ di carità. Occorre che aziende intere mettano in comune liberamente il loro utile. Impiegare così i nostri capitali rende un interesse smisurato perché il nostro dare apre le mani di Dio”. (Chiara Lubich) Il rilancio all’Economia di Comunione a 10 anni dalla nascita è stato impresso da Chiara Lubich che in apertura della Scuola ha approfondito le radici spirituali che stanno alla base dell’Economia di Comunione, sin dal suo esordio a San Paolo in Brasile, e che ” sempre la dovranno sostenere a garanzia della sua autenticità”. Un progetto certo ardito quello dell’Economia di Comunione. Gestire le aziende destinando gli utili per chi è nel bisogno, e non per arricchirsi. E ancora per la formazione di uomini nuovi, pur investendo una parte per l’incremento dell’azienda. Ma come è possibile sopravvivere alla leggi ferree del mercato? Senza mezzi termini sin dalle prima battute, Chiara Lubich afferma che non si tratta di un’attività frutto solo di idee e progetti di uomini, seppur dotati. Nasce infatti in uno dei Movimenti suscitati oggi dallo Spirito, e quindi opera di Dio. Tutto avviene 10 anni fa durante un viaggio di Chiara in Brasile di fronte al dramma della miseria delle favelas che circondano le grandi metropoli. Chiara ha richiamato con forza proprio la finalità per cui è sorto questo progetto: veder realizzata quella pagina della Chiesa nascente: “erano un cuore solo ed una anima solo, ogni cosa era fra loro in comune. Nessuno era nel bisogno”. E forte è risuonato il richiamo ad avere costantemente davanti agli occhi i “fratelli gravati dall’assillo della sopravvivenza che li opprime notte e giorno”. “Non basta oggi un po’ di carità, – ha ancora detto – occorre che aziende intere e imprese mettano in comune liberamente il loro utile. Con altrettanta forza ha parlato di quella “cultura del dare” che ha radice proprio in quella promessa: “date e vi sarà dato con una misura scossa e traboccante”. Promessa che si verifica anche nella gestione delle aziende. “Impiegare così i nostri capitali – ha detto – rende un interesse smisurato, perché il nostro dare apre le mani di Dio”. Certo occorre formare “uomini nuovi”, i laici di questo nuovo millennio che si fanno santi non “nonostante” l’economia o la politica, ma proprio nell’agire economico e politico. Da qui il lancio, da questa prima scuola di formazione, al moltiplicarsi di queste scuole nel mondo. L’ Economia di Comunione ispira attualmente oltre 750 aziende nei 5 continenti. Sta suscitando un sempre crescente interesse da parte di economisti e sociologi, atenei e istituzioni internazionali. Innumerevoli i convegni svolti a vari livelli, oltre 100 le tesi di laurea. Storia e sviluppi di questi 10 anni sono stati tracciati dalla sociologa brasiliana Vera Araujo e dall’imprenditore Alberto Ferrucci. Vari gli aspetti toccati: dalla destinazione degli utili a oltre 10.000 famiglie nel bisogno, alle linee di conduzione dell’impresa emerse dall’esperienza delle aziende. Hanno poi preso la parola molti imprenditori. Tra le imprese presentate: la “Solidar Capital” (Germania) e le aziende collegate in Libano e Israele, la Unilab-informatica (Italia). Il Polo industriale Spartaco che sorge nella cittadella brasiliana Araceli nei pressi di s. Paolo, e che costituisce la realizzazione-pilota, è stato presentato anche con una videoregistrazione. E ancora aziende di Goa (India), Sestri Levante e Latina, Camerun, il Progetto “Asia Management Training Center” (Filippine) e collaborazione con imprenditori italiani per la importazione del progetto in Europa . La scuola è intervallata da incontri per settori di attività: informatica, produzione industriale, commercio, studi professionali, servizi di consulenza, promozione turistica, servizi alla persona. Sono stati importanti momenti di dialogo e confronto tra le imprese di tutto il mondo, avvenuti per la prima volta dalla nascita dell’Economia di Comunione. “Sfide e prospettive dell’Economia di Comunione oggi” è stata al centro del vivace dialogo dei partecipanti con la sociologa brasiliana Vera Araujo, il prof. Luigino Bruni, docente di Storia dell’economia all’Università Statale di Milano, l’imprenditore Alberto Ferrucci. Le prime linee di una nuovo pensiero economico sono state tracciate dal prof. Bruni intervenuto su: “Economia di comunione. Fatti e idee per un nuovo umanesimo” La sociologa Vera Araujo ha approfondito “La cultura del dono e del dare”. Il prof. Benedetto Gui, docente di economia all’Università di Padova ha trattato: “Per un agire economico di comunione”. Una tavola rotonda ha affrontato “La sfida dell’Economia di comunione all’economia odierna” interverranno i docenti di Economia Manuela Silva (Portogallo), Cristina Calvo (Argentina), Rocio Marques (Malaga, Spagna), Stefano Zamagni (Bologna), che ha concluso la giornata con un intervento accolto con grande entusiasmo da parte dei partecipanti. Il prof. Zamagni ha indicato nell’Economia di Comunione e la sua cultura dell’amore, un antidoto alla cultura della “competizione” che sta invadendo tutte le sfere delle relazioni umane (politica, famiglia, ecc.); una Economia di Comunione che, secondo l’economista di Bologna, può sempre più diventare l’esperienza di punta in questa delicata fase di ricerche di nuove strade per una economia davvero giusta e capace di futuro. (altro…)

'Dare una risposta all’Amore': una proposta in musica, coreografie, testimonianze

Il polo imprenditoriale laboratorio di una nuova economia

Aperte le iscrizioni per L’AZIONARIATO POPOLARE

Il Progetto è stato lanciato da Chiara Lubich a conclusione della 1^ Scuola internazionale per imprenditori a 10 anni dall’avvio dell’Economia di comunione. Grande entusiasmo ha suscitato tra gli imprenditori il progetto di far nascere un polo industriale nei pressi della cittadella internazionale di Loppiano. Si sono subito aperte le iscrizioni per l’azionariato popolare che darà vita ad una società per azioni per la realizzazione di questo progetto.

Questa iniziativa si attuerà sul modello del “Polo Spartaco” nato nel 1991 in Brasile, nei pressi della cittadella Araceli a 47 km. da san Paolo, città-pilota dell’Economia di comunione: Conta ora 6 le aziende in vari settori: dall’abbigliamento ai detersivi, da grandi manufatti in plastica al commercio di farmaci, in pieno sviluppo. E’ un “faro” di credibilità per l’economia di comunione, oggetto di attenzione anche da parte della Commissione per debellare la povertà del Governo Brasiliano che vi ha intravvisto una prassi capace anche di trasformare l’agire politico in ‘politica di comunione’. Una commissione del SEBRAE, la più importante istituzione di supporto alle micro e piccole aziende, con una quarantina di persone – politici, assessori e imprenditori – ha visitato il Polo industriale per verificare “in loco” l’attuazione del progetto. Vi ha individuato un modello da proporre e moltiplicare.

“Una cittadella così in Brasile, dove il divario fra ricchi e poveri costituisce la piaga sociale per eccellenza potrebbe costituire un faro e una speranza. Avrà un influsso non solo locale. L’esempio trascina. I primi cristiani hanno informato ben presto l’Impero romano dei principi del Vangelo”. E’ quanto aveva detto Chiara Lubich, nel 1991, agli abitanti della cittadella Araceli al momento del lancio del progetto dell’Economia di comunione suscitato dalla drammatica miseria delle favelas che attorniano la metropoli di San Paolo. Immediata era stata la rispondenza. Era stata costituita subito una società per azioni, dove molti, anche con un minimo di capitale, potessero partecipare, facendo leva sulle parole di Chiara: “siamo poveri, ma tanti”. Ora sono più di 3000 gli azionisti della società anonima per azione “Espri” che gestisce il Polo.

L’idea originaria risale ancora nel 1962, quando Chiara Lubich, in Svizzera, dall’alto di una collina, ammirando la cittadella benedettina di Einsiedeln, nei secoli centro propulsore di civiltà, aveva “sognato” la nascita di cittadelle consone con i tempi: con case, scuole, industrie, piccole città-bozzetto di una società nuova, la cui legge fosse l’amore reciproco, legge del Vangelo, con la conseguente piena comunione di ogni ricchezza culturale, spirituale e materiale, città-pilota per un mondo nuovo. Cogli anni ne sono sorte 20 nei 5 continenti, ciascuna con caratteristiche proprie. Non si era però ancora sviluppato l’aspetto industriale. E’ quanto hanno già iniziato ad attuare la cittadella brasiliana e quella argentina di O’Higgins. Progetto che Chiara ha rilanciato ora, incominciando dalla prima cittadella nata nel Movimento: Loppiano che conta più di 800 abitanti da 70 Paesi dei 5 continenti. Era questa l’esigenza più viva degli imprenditori che a 10 anni dalla nascita del progetto dell’economia di comunione si incontravano per la prima volta a livello internazionale per una scuola di formazione: verifica del progetto e apertura a nuovi orizzonti. Altra iniziativa: prenderanno il via le scuole di formazione per imprenditori nei vari paesi del mondo a iniziare da Roma.

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aprile 2001

Queste parole, rivolte da san Paolo alla comunità di Colossi, ci dicono che esiste un mondo, nel quale regna l’amore vero, la comunione piena, la giustizia, la pace, la santità, la gioia; un mondo dove il peccato e la corruzione non possono più entrare; un mondo dove la volontà del Padre è perfettamente compiuta. E’ il mondo al quale appartiene Gesù. E’ il mondo che egli ha spalancato a noi con la sua risurrezione, passando attraverso la dura prova della passione. A questo mondo di Cristo noi non soltanto siamo chiamati, ma già apparteniamo per via del battesimo. Ma Paolo sa che nonostante la condizione di battezzati e quindi di risorti con Gesù, la nostra attuale presenza nel mondo ci espone a mille pericoli, tentazioni e soprattutto a quegli “attaccamenti” nei quali necessariamente si cade se non si ha il cuore in Dio e nei suoi insegnamenti. Essi possono riguardare le cose, le creature, se stessi: le proprie idee, la salute, il proprio tempo, il riposo, lo studio, il lavoro, i parenti, le proprie consolazioni o soddisfazioni… Tutte cose che non sono Dio e non possono quindi prendere il primo posto nei cuori. Ecco perché Paolo ci esorta:

«Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio»

E che cosa sono “le cose di lassù”? Quei valori che Gesù ha portato sulla terra e per i quali si distinguono i suoi seguaci. Sono l’amore, la concordia, la pace, il perdono, la correttezza, la purezza, l’onestà, la giustizia, ecc. Sono tutte quelle virtù e ricchezze che offre il Vangelo. Con esse e per esse i cristiani si mantengono nella loro realtà di risorti con Cristo. Per esse possono essere immunizzati dall’influenza del mondo, dalla concupiscenza della carne, dal demonio. Ma in che cosa consiste il “cercare le cose di lassù” nella vita di tutti i giorni? E come si fa a tenere il cuore ancorato al cielo, vivendo in mezzo al mondo? Lasciandoci guidare dai pensieri e dai sentimenti di Gesù il cui sguardo interiore era sempre rivolto al Padre e la cui vita rifletteva in ogni istante la legge del Cielo che è legge d’amore.

«Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio»

In questo mese in cui celebriamo la santa Pasqua, un modo pratico per vivere questa parola sarà quello di motivare tutte le varie azioni della giornata con quell’arte di amare che le rende preziose e feconde. Per esempio nel trattare con coloro che ci stanno accanto, cerchiamo di fare a loro ciò che vorremmo fosse fatto a noi e di “farci uno” con loro, facendoci carico dei dolori e delle gioie di tutti. Non aspettare che siano gli altri a fare il primo passo verso di noi, quando è in gioco la concordia della famiglia e l’armonia nell’ambiente in cui viviamo. Ma iniziare noi. E poiché tutto questo non è umanamente facile, anzi a volte sembra impossibile, sarà necessario puntare lo sguardo in alto e chiedere al Risorto quell’aiuto che non può farci mancare. Così, guardando alle “cose di lassù” per viverle sulla terra, potremo portare il regno dei cieli in quell’ambito piccolo o grande che il Signore ci ha affidato. Chiara Lubich (altro…)

'Dare una risposta all’Amore': una proposta in musica, coreografie, testimonianze

Ginetta Calliari

“Quando sono arrivata a Recife, il 5 novembre 1959,è stato per me uno shock vedere il dislivello sociale, questa frattura tra ricchi e poveri, questa discriminazione, questa fame che si leggeva sui volti di tutti, questa miseria, questa insensibilità da parte dei ricchi verso i poveri. E dicevo: Qui non si può rimanere passivi! Qualcosa deve cambiare. Che cosa deve cambiare? L’uomo. Ho pensato: ci vogliono uomini nuovi per dare origine a strutture nuove e di conseguenza a città nuove, a un popolo nuovo.” (Da un’intervista alla Rai) Quel 10 marzo, l’ultimo saluto a Ginetta è “una festa”, veramente tale, “festa di cielo in terra”, come testimonia Lia Brunet, che con lei ha vissuto l’avventura dei primi tempi del Movimento insieme a Chiara. “Fin dal mattino sfila un fiume di gente, ‘un popolo’ di tutte le vocazioni: dai vescovi ai bambini; tutte le categorie sociali: dai contadini, ai deputati, agli imprenditori, ai giornalisti”. E tutto avviene proprio in una città nuova, la cittadella Araceli, il cuore del vasto Movimento che si è sviluppato in tutto il Brasile: una cittadella con case, scuole, un polo industriale, dove il divario fra ricchi e poveri è annullato.”E’ sorta su un terreno – come racconterà Ginetta stessa – dove esisteva solo una casupola di fango, senza acqua e senza luce, isolata dall’abitato. Ma la certezza – come aveva suggerito Chiara – che lì doveva sorgere questa città, ci aveva dato il coraggio di andare avanti giorno dopo giorno, con l’aiuto fortissimo della Provvidenza che arrivava sempre al momento giusto, facendoci sperimentare la paternità di Dio”. Chi la visita – come quel giornalista della Rai che aveva intervistato Ginetta – ha l’impressione che quella cittadella sia un segno profetico di una città futura. E lei lo conferma senza esitazione: Credo di sì, non c’è dubbio. Vedo che quanti vengono qui – e sono molti che vengono a visitarci – rimangono impressionati e dicono: “Così dovrebbe essere il mondo. Se questa vita potesse straripare, ecco che crollerebbero tutte le barriere, le divisioni, i conflitti.  “Qui c’è la felicità. Credevamo che non esistesse la felicità. L’abbiamo trovata nel momento in cui avevamo perso la speranza. Qui c’è speranza per tutti”. Sin dal primo momento, appena giunte in Brasile,sentivamo chiaramente che solo Dio avrebbe potuto risolvere i problemi sociali. Quando la sua Parola avesse trasformato il cuore degli uomini: dei ricchi, dei capi, di tutti. Perché, prendere dove c’è e mettere dove non c’è, solo Lui poteva farlo. Solo Dio! Ma non un Dio astratto, relegato nei cieli, ma quello che avevamo imparato a ‘generare’ tra noi, vivendo le parole di Gesù: “Dove due o più sono uniti nel mio nome, Io sono in mezzo a loro” (Mt. 18,20). Allora, il nostro impegno è testimoniare Dio, presente in una comunità di persone pronte a dare la vita l’una per l’altra. Lui ci avrebbe insegnato la strada. Al momento della sua dipartita, è lo stesso vice presidente della Repubblica, Marco Marciel, tra il coro di telegrammi che giungono da personalità civili e religiose di tutto il Paese, che di Ginetta Calliari ricorda quel 1959, quando ha dato inizio ad un Movimento che oggi raccoglie circa 300 mila persone in tutto il territorio nazionale: “Non potrei non dare in questo momento la mia testimonianza riguardo a questo lavoro ammirevole di fraternità e di amore al prossimo, i cui risultati, in campo sociale, hanno portato tanti benefici alla popolazione più bisognosa del nostro Paese”. (altro…)

"Bisognava far festa e rallegrarsi …" perché era alcoolizzato ed ora è risanato

M.: ho sposato C. 28 anni fa; era una persona allegra, generosa, gran lavoratore e in possesso di un senso degli affari non comune, che gli ha consentito di raggiungere una certa agiatezza. Purtroppo è caduto nella trappola dell’alcool e la vita accanto a lui si è fatta sempre più difficile. Un giorno, durante una delle solite discussioni, mi dice che sono molto prepotente ed autoritaria: capisco che devo cambiare ancora e chiedo a Gesù di aiutarmi ad essere umile. L’alcool intanto continua la sua azione demolitrice: ora C. è abulico e non si interessa più degli affari e della famiglia. Ben presto la situazione precipita fino al punto che ci vengono confiscati casa e terreni su richiesta dei creditori. E’ un momento di grande dolore che mi ricorda la frase dei Vangelo: “Non temete, io sono con voi … ” e avverto che Lui è veramente accanto a noi in questa prova. Non altrettanto accade a C., che non trova di meglio che stordirsi sempre di più con l’alcool fino a perdere i sensi. Tra noi non è più possibile il dialogo né alcuna manifestazione d’affetto, ma io ed i figli lo accettiamo così, con la fede sicura che tutto vince l’amore. Un giorno lui se ne va di casa. S., la figlia:”… Vedere mio padre venire distrutto giorno dopo giorno dalla schiavitù dell’alcool mi aveva reso triste e sola; non riuscivo a dare un senso alla mia esistenza. Un anno fa ho accettato di partecipare a una Mariapoli, solo perché non avevo altri programmi in quei giorni; al termine mi sono chiesta: “E adesso come faccio a ritornare ad affrontare la realtà di casa mia che non è altrettanto gradevole?”. I primi giorni ho tentato di incamminarmi sulla via dell’amore attraverso tanti piccoli gesti, ma ben presto mi sono dimenticata di come avevo vissuto in Mariapoli. Dopo qualche mese partecipo ad un incontro del Movimento in un’altra città e lì avviene la mia conversione: scopro la forza dell’amore, credo che tutto, anche la situazione peggiore, vince l’amore. Pochi giorni dopo questa mia fede rinnovata è messa alla prova: papà se ne va di casa. Iniziano così tre terribili mesi, nei quali provo dentro di me rabbia, tristezza, solitudine e angoscia, anche perché lui non si fa vivo nemmeno al telefono. Siamo avvolti dall’amore della grande famiglia del Movimento: trovo la forza di andare oltre questo dolore e di non giudicare papà proprio per l’amore delle ragazze gen, mie amiche.     Un giorno trovo la forza di scrivergli una lettera: “Ciao, caro papà, in questi giorni il mio pensiero è costantemente rivolto a te: penso a Dio, a noi due, a quanto ti voglio bene’, a quanto prego per te, a quanto vorrei esserti accanto, così come so di avere Dio accanto a me”… M.:”Passano tre mesi. Questo nostro dolore ci fa penetrare nel dolore di Gesù: anche Lui sulla Croce aveva gridato l’abbandono del Padre. Troviamo pace in tanto strazio grazie anche all’amore della famiglia soprannaturale che ci circonda, finché arriva una telefonata di C. che ci avverte che sta tornando. Proviamo gioia e rabbia allo stesso tempo: abbiamo il timore che tutto ritorni come prima con le ubriacature e le inevitabili discussioni; vorremmo rimproverarlo e rinfacciargli tutto, ma basta una telefonata con una persona dei Movimento a noi tanto vicina per vedere tutto alla luce di Dio e trovare la forza di lasciare da parte ogni risentimento. Ci ricordiamo della Parola di Vita: “Bisognava far festa e rallegrarsi, perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Cerchiamo di viverla accogliendolo festosamente, col cuore pieno di gratitudine per Dio che ha voluto che ritornasse. Sono passati altri tre mesi da quel giorno, e C., sostenuto dal nostro amore, non ha più bevuto. E’ una gioia grande constatare il suo cambiamento: si è completamente trasformato, proprio come il figliol prodigo del Vangelo. Accostatosi spontaneamente alla confessione, partecipa ogni giorno alla santa Messa, e preghiamo insieme in famiglia. Anche noi siamo state rinnovate da questa esperienza. Ora sappiamo che possiamo ricominciare sempre, come stiamo facendo insieme. Abbiamo veramente iniziato una nuova vita. Ringraziamo Dio, per il suo Amore senza misura. M. e S. – Colombia   (altro…)

marzo 2001

Questa frase si trova alla fine della parabola chiamata del figlio prodigo, che certamente conoscerai, e vuole manifestarci la grandezza della misericordia di Dio. Essa chiude un intero capitolo del Vangelo di Luca, nel quale Gesù narra altre due parabole per illustrare lo stesso argomento.
Ricordi l'episodio della pecora smarrita per cercare la quale il padrone lascia le altre novantanove nel deserto? 
E ricordi il racconto della dramma perduta e la gioia della donna che, avendola ritrovata, chiama le amiche e le vicine perché gioiscano con lei?

«Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»

Queste parole sono un invito che Dio rivolge a te, e a tutti i cristiani, a godere insieme con lui, a far festa e a partecipare alla sua gioia per il ritorno dell'uomo peccatore prima perduto e poi ritrovato. E queste parole, nella parabola, sono rivolte dal padre al figlio maggiore che aveva condiviso tutta la sua vita, ma che dopo un giorno di duro lavoro, rifiuta di entrare a casa dove si festeggia il ritorno di suo fratello.
Il padre va incontro al figlio fedele, come è andato incontro al figlio perduto, e cerca di convincerlo. Ma è palese il contrasto fra i sentimenti del padre e quelli del figlio maggiore: il padre, con il suo amore senza misura e con la sua grande gioia, che vorrebbe tutti condividessero; il figlio pieno di disprezzo e di gelosia verso suo fratello che non riconosce più come tale. Parlando di lui dice infatti: “Questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi”. 
L'amore e la gioia del padre per il figlio tornato, mettono ancor più in rilievo il rancore dell'altro, rancore che palesa un rapporto freddo e, si potrebbe dire, falso con lo stesso padre. A questo figlio preme il lavoro, il compimento del suo dovere, ma non ama il padre da figlio. Si direbbe piuttosto che obbedisce a lui come ad un padrone.

«Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»

Con queste parole Gesù denuncia un pericolo in cui anche tu puoi incorrere: quello di una vita vissuta per essere una persona perbene, basata sulla ricerca della tua perfezione, giudicando i fratelli meno bravi di te. Infatti, se tu sei “attaccato” alla perfezione, costruisci te stesso, ti riempi di te stesso, sei pieno di ammirazione verso te stesso. Fai come il figlio rimasto a casa, che enumera al padre i suoi buoni meriti: “Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando”.

«Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»

Con queste parole Gesù va contro quell'atteggiamento per cui il rapporto con Dio sarebbe basato solo sull'osservanza dei comandamenti. Ma una tale osservanza non basta. Di questo anche la tradizione ebraica è ben conscia.
In questa parabola Gesù mette in luce l'Amore divino facendo vedere come Dio, che è Amore, fa il primo passo verso l'uomo senza tener conto se egli lo meriti o no, ma vuole che l'uomo si apra a lui per poter stabilire un'autentica comunione di vita. Naturalmente, come puoi capire, l'ostacolo maggiore a Dio-Amore è proprio la vita di coloro che accumulano azioni, opere, mentre Dio vorrebbe il loro cuore.

«Bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato»

Con queste parole Gesù invita te ad avere, nei confronti del peccatore, lo stesso amore senza misura che il Padre ha per lui. Gesù ti chiama a non giudicare secondo la tua misura l'amore che il Padre ha per qualsiasi persona. Invitando il figlio maggiore a condividere la sua gioia per il figlio ritrovato, il Padre chiede anche a te un cambiamento di mentalità: devi in pratica accogliere come fratelli e sorelle anche quegli uomini e donne verso i quali nutriresti soltanto sentimenti di disprezzo e di superiorità. Ciò provocherà in te una vera conversione, perché ti purifica dalla convinzione di essere più bravo, ti fa evitare l'intolleranza religiosa e ti fa accogliere la salvezza, che Gesù ti ha procurato, come puro dono dell'amore di Dio.

Chiara Lubich

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Cronaca del Convegno

Il messaggio di Giovanni Paolo II alla luce della Novo Millennio Ineunte incoraggia i Vescovi ad adoperarsi con tutte le forze ad attuare la prospettiva espressa nel tema del Convegno: “Il Cristo Crocefisso e abbandonato  radice della Chiesa comunione”.   “L’amore al Crocifisso, contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono, costituisce la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”. Così si legge nel messaggio che Giovanni Paolo II ha fatto consegnare in occasione dell’Udienza generale di mercoledì 14 febbraio ai 91 vescovi dai 5 continenti, partecipanti al 25^ Convegno spirituale dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione”, l’appello del Papa lanciato nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, era stato richiamato in apertura del Convegno dal Cardinale Miloslav Vlk, e aveva dato il “la” ai lavori. Per sei giornate, il tema del Convegno – “Il Cristo crocifisso ed abbandonato: radice della Chiesa-comunione” – è stato, poi, il punto di gravitazione attorno al quale si sono snodati temi spirituali, riflessioni teologiche e testimonianze sull’impegno di edificare la Chiesa oggi, unita al suo interno e protesa verso un dialogo universale. Nei loro interventi, i Vescovi, provenienti dai più diversi contesti, hanno illustrato come, assieme alle loro Chiese particolari ma anche a livello delle Conferenze episcopali, cercano di realizzare questa immagine della Chiesa disegnata dalla Nuovo Millennio Ineunte nella scia del Concilio Vaticano II. Così un Vescovo del Belgio ha raccontato come, nella sua diocesi, ad ogni iniziativa pastorale si cerca di far precedere un intenso impegno di vivere la Parola di Dio e di mettere in comune le comprensioni ed esperienze che ne scaturiscono. Due Vescovi del Burundi hanno testimoniato come l’amore a Gesu’ crocefisso ed abbandonato agisce nella loro nazione come un lievito di riconciliazione e di pace. Altri presuli hanno riferito dei frutti della comunione vissuta, in contesti fortemente secolarizzati o in nazioni in cui i cristiani sono in minoranza. Altri ancora hanno portato l’esperienza delle loro diocesi nascenti, in situazioni socialmente difficili. Riguardo al rapporto con le altre culture e religioni, ha suscitato vivo interesse nei vescovi la relazione di Chiara Lubich sulla sua recente esperienza in India, a contatto con il mondo hindù, con il quale la fondatrice dei Focolari ha instaurato un promettente dialogo. Individuare e valorizzare i “semi del Verbo”, mettendo a base di ogni rapporto l’ascolto e l’amore vissuto, è stato, in questo immenso subcontinente, la via per un annuncio del cuore del messaggio cristiano: Dio-Amore. “Lei ha aperto una porta – ha commentato un Vescovo dell’India – e nessuno può fermare i piani di Dio”. Ed ha soggiunto: “Il futuro mostrerà quello che Dio, in avvenimenti come questo, aveva in mente per tutti noi”. “Rinnovare la politica”, “Gesù abbandonato e la famiglia” : sono questi altri argomenti di grande attualità, su cui erano incentrate le ultime giornate del Convegno. Con vivo interesse i partecipanti hanno colto l’azione dei Focolari in questi campi-frontiera della missione della Chiesa. Oltre a rispondere a domande dei Vescovi, Chiara Lubich ha svolto pure la relazione-base con cui si era entrati nel cuore della tematica del Convegno. Attingendo all’oltre cinquantennale esperienza dei Focolari, ha parlato dell’amore come “grimaldello che apre tutte le porte”: dal problema posto dalle divisioni fra i cristiani, al mondo variegato delle religioni, al fenomeno della non-credenza. Ed ha evidenziato come un amore così nasce proprio da Gesù in croce: “Egli abbandonato, che si riabbandona al Padre – ha affermato -, è la rivelazione di Colui che può dirsi espressione di ogni disunità, ma pure modello di come si può ricomporre ogni disunità”. Nel Cristo in croce, infatti, trovano risposta tutti “i mali nominabili, ma anche i mali innominabili” del nostro tempo. Prospettive che sono risuonate con forza ancora quando i Vescovi hanno riflettuto sul Messaggio del Papa che il Card. Vlk ha definito “un importante approfondimento della Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte”. Riannodandosi ad uno dei temi forti della Lettera apostolica, Giovanni Paolo II aveva espresso nel Messaggio la certezza che “la spiritualità dell’unità e della comunione, che caratterizza il Movimento dei Focolari, non mancherà di portare frutti fecondi di rinnovamento per tutti i credenti”. Nell’esprimere profonda gratitudine e gioia, i Vescovi hanno risposto al Papa: “Fissando con Lei lo sguardo sul volto del Crocifisso abbandonato vogliamo spendere tutte le forze per fare delle nostre diocesi delle scuole in cui, abbracciando il Cristo in croce, si vive e si apprende a far crescere la Chiesa come ‘Comunità d’amore’ “.  Ed hanno proseguito: “Ci faremo – come Lei ci ha esortato a fare – animatori generosi e responsabili di quella ‘reciproca comprensione e stretta collaborazione che sta maturando nella Chiesa grazie all’impegno posto in essere dai vari Movimenti’ “. A conclusione del Convegno, il bilancio è stato decisamente positivo. “Quello che approfondiamo qui crea punti sicuri di riferimento per la mia vita spirituale”, constata un Vescovo dell’Africa occidentale.  Ed indica una priorità per l’azione pastorale: “Dobbiamo trasmettere ai sacerdoti questo spirito di comunione”. Comunione che, nello stesso Convegno, è stata un’esperienza gioiosa ed intensa, se un Vescovo del Nord-Est del Brasile ha tirato questa conclusione: “Il linguaggio che in questi giorni mi ha parlato di più sono state le persone. Poi naturalmente anche i contenuti. Ma qui il ‘vedete come si amano’ dei primi tempi della Chiesa, è vissuto”. Dalla prospettiva sua, il Segretario di una Conferenza episcopale europea ha riassunto così le sue impressioni: “Rimane la percezione di trovarsi alle prese con un grande avvenimento di Dio che cresce nella storia. Spesso, nella programmazione pastorale, pensiamo d’essere noi a fare. Qui si capisce: dobbiamo lasciarci condurre da Gesù vivo”.   (altro…)

«Allora, vogliamo prenderlo questo caffè?»

Lavoro da circa dieci anni in una grande stazione di distribuzione di carburante sul raccordo anulare. Non sarebbe il mio lavoro, ma non dico ai miei clienti che sono laureato. Qualcuno mi chiede: “Ma tu sei benzinaro benzinaro?”. Ed io: “Sì, sì sono benzinaro”. E loro: “Ma non sembra che sei un benzinaro!”. Sono venuto dallo Zaire in Italia quando avevo 20 anni per studiare. Allora avevo delle ambizioni: “Appena termino gli studi torno al mio paese, avrò un buon posto di lavoro e delle responsabilità”. Ma, una volta laureato, non mi è stato possibile realizzare questo sogno. All’inizio lo vivevo come un’umiliazione, non riuscivo ad accettarlo … poi ho capito che Dio vuole che io lo ami attraverso questo lavoro, e allora cerco di farlo bene e di rimanere sempre nell’amore. Questo distributore è sempre aperto e faccio dei turni anche durante la notte. Passa tantissima gente, e se ne vedono di tutti i colori. Vi racconto due episodi. Una notte arriva una macchina con a bordo 6 persone, chiaramente con facce poco rassicuranti, mi chiedono di mettere 50.000 Lire di benzina. Mentre metto la benzina, l’autista mi chiede: “Tu paghi le tangenti?”. Io un po’ spaventato gli dico: “Non so cosa sono”. Quando si tratta di pagare, mi dice: “Noi non abbiamo soldi”. Alloro gli dico “Me li porterete quando capiterete di nuovo da queste parti”. E loro mi chiedono: “Tu sai chi siamo noi? Conosci il carcere?” e io “per sentito dire”. Erano dei carcerati in libertà provvisoria. “Non passeremo più di qui, non abbiamo soldi e non possiamo pagarti”. Dopo una breve discussione, dico: “Visto che non avete neanche 50.000 Lire da pagarmi, fate finta che vi ho offerto 50.000 Lire di benzina”. Allora ripartono, ma dopo pochi metri fanno retromarcia, mi richiamano e uno mi dice: “Ehi! Per chi ci hai preso, per dei poveracci?” Mi pagano le 50.000 Lire e vogliono darmi 10.000 Lire di mancia per prendere il caffè dicendomi che ero molto simpatico. Ed io: “No, non posso prendere le 10.000 Lire! Se volete, il caffè lo possiamo prendere insieme quando ripassate!”. Dopo molti mesi, un pomeriggio, uno di loro si presenta e mi dice: “Amico, non ti ricordi di me? Allora, vogliamo prenderlo questo caffè?”. Un’altra notte, verso le ore 23, dall’interno mi rendo conto che due persone fanno il self-service, ma invece di mettere benzina, hanno messo gasolio. Il collega mi dice: “Lascia stare, non uscire, non devi rischiare per quelli!”, ma io non riesco a stare in pace e gli dico: “Ma se fosse successo a te cosa faresti? Io non me la sento. Penso che quando tu fai del bene, siccome Dio è generoso, non si lascia scappare l’occasione per aiutarti”. E lui: “Tu e i tuoi discorsi da prete…” Esco per aiutarli, cerchiamo di riparare al danno, ma non c’è stato modo, non avevano neanche i soldi per pagare il soccorso stradale. Allora mi offro di accompagnarli a casa e così hanno potuto prendere un’altra macchina per trainare la prima. Intanto insistevano per pagarmi la benzina, ma io non ho accettato e ho detto che l’avevo fatto perché li consideravo fratelli. Alla radice di questi episodi c’è Dio da cui mi sento amato immensamente, e, quando ‘dò’, è Lui stesso che mi ‘ridona’ la gioia di aver potuto ancora amare. P. M. – Italia   (altro…)