Movimento dei Focolari

Cronaca del Convegno

Il messaggio di Giovanni Paolo II alla luce della Novo Millennio Ineunte incoraggia i Vescovi ad adoperarsi con tutte le forze ad attuare la prospettiva espressa nel tema del Convegno: “Il Cristo Crocefisso e abbandonato  radice della Chiesa comunione”.   “L’amore al Crocifisso, contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono, costituisce la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”. Così si legge nel messaggio che Giovanni Paolo II ha fatto consegnare in occasione dell’Udienza generale di mercoledì 14 febbraio ai 91 vescovi dai 5 continenti, partecipanti al 25^ Convegno spirituale dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari. “Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione”, l’appello del Papa lanciato nella Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte, era stato richiamato in apertura del Convegno dal Cardinale Miloslav Vlk, e aveva dato il “la” ai lavori. Per sei giornate, il tema del Convegno – “Il Cristo crocifisso ed abbandonato: radice della Chiesa-comunione” – è stato, poi, il punto di gravitazione attorno al quale si sono snodati temi spirituali, riflessioni teologiche e testimonianze sull’impegno di edificare la Chiesa oggi, unita al suo interno e protesa verso un dialogo universale. Nei loro interventi, i Vescovi, provenienti dai più diversi contesti, hanno illustrato come, assieme alle loro Chiese particolari ma anche a livello delle Conferenze episcopali, cercano di realizzare questa immagine della Chiesa disegnata dalla Nuovo Millennio Ineunte nella scia del Concilio Vaticano II. Così un Vescovo del Belgio ha raccontato come, nella sua diocesi, ad ogni iniziativa pastorale si cerca di far precedere un intenso impegno di vivere la Parola di Dio e di mettere in comune le comprensioni ed esperienze che ne scaturiscono. Due Vescovi del Burundi hanno testimoniato come l’amore a Gesu’ crocefisso ed abbandonato agisce nella loro nazione come un lievito di riconciliazione e di pace. Altri presuli hanno riferito dei frutti della comunione vissuta, in contesti fortemente secolarizzati o in nazioni in cui i cristiani sono in minoranza. Altri ancora hanno portato l’esperienza delle loro diocesi nascenti, in situazioni socialmente difficili. Riguardo al rapporto con le altre culture e religioni, ha suscitato vivo interesse nei vescovi la relazione di Chiara Lubich sulla sua recente esperienza in India, a contatto con il mondo hindù, con il quale la fondatrice dei Focolari ha instaurato un promettente dialogo. Individuare e valorizzare i “semi del Verbo”, mettendo a base di ogni rapporto l’ascolto e l’amore vissuto, è stato, in questo immenso subcontinente, la via per un annuncio del cuore del messaggio cristiano: Dio-Amore. “Lei ha aperto una porta – ha commentato un Vescovo dell’India – e nessuno può fermare i piani di Dio”. Ed ha soggiunto: “Il futuro mostrerà quello che Dio, in avvenimenti come questo, aveva in mente per tutti noi”. “Rinnovare la politica”, “Gesù abbandonato e la famiglia” : sono questi altri argomenti di grande attualità, su cui erano incentrate le ultime giornate del Convegno. Con vivo interesse i partecipanti hanno colto l’azione dei Focolari in questi campi-frontiera della missione della Chiesa. Oltre a rispondere a domande dei Vescovi, Chiara Lubich ha svolto pure la relazione-base con cui si era entrati nel cuore della tematica del Convegno. Attingendo all’oltre cinquantennale esperienza dei Focolari, ha parlato dell’amore come “grimaldello che apre tutte le porte”: dal problema posto dalle divisioni fra i cristiani, al mondo variegato delle religioni, al fenomeno della non-credenza. Ed ha evidenziato come un amore così nasce proprio da Gesù in croce: “Egli abbandonato, che si riabbandona al Padre – ha affermato -, è la rivelazione di Colui che può dirsi espressione di ogni disunità, ma pure modello di come si può ricomporre ogni disunità”. Nel Cristo in croce, infatti, trovano risposta tutti “i mali nominabili, ma anche i mali innominabili” del nostro tempo. Prospettive che sono risuonate con forza ancora quando i Vescovi hanno riflettuto sul Messaggio del Papa che il Card. Vlk ha definito “un importante approfondimento della Lettera apostolica Novo Millennio Ineunte”. Riannodandosi ad uno dei temi forti della Lettera apostolica, Giovanni Paolo II aveva espresso nel Messaggio la certezza che “la spiritualità dell’unità e della comunione, che caratterizza il Movimento dei Focolari, non mancherà di portare frutti fecondi di rinnovamento per tutti i credenti”. Nell’esprimere profonda gratitudine e gioia, i Vescovi hanno risposto al Papa: “Fissando con Lei lo sguardo sul volto del Crocifisso abbandonato vogliamo spendere tutte le forze per fare delle nostre diocesi delle scuole in cui, abbracciando il Cristo in croce, si vive e si apprende a far crescere la Chiesa come ‘Comunità d’amore’ “.  Ed hanno proseguito: “Ci faremo – come Lei ci ha esortato a fare – animatori generosi e responsabili di quella ‘reciproca comprensione e stretta collaborazione che sta maturando nella Chiesa grazie all’impegno posto in essere dai vari Movimenti’ “. A conclusione del Convegno, il bilancio è stato decisamente positivo. “Quello che approfondiamo qui crea punti sicuri di riferimento per la mia vita spirituale”, constata un Vescovo dell’Africa occidentale.  Ed indica una priorità per l’azione pastorale: “Dobbiamo trasmettere ai sacerdoti questo spirito di comunione”. Comunione che, nello stesso Convegno, è stata un’esperienza gioiosa ed intensa, se un Vescovo del Nord-Est del Brasile ha tirato questa conclusione: “Il linguaggio che in questi giorni mi ha parlato di più sono state le persone. Poi naturalmente anche i contenuti. Ma qui il ‘vedete come si amano’ dei primi tempi della Chiesa, è vissuto”. Dalla prospettiva sua, il Segretario di una Conferenza episcopale europea ha riassunto così le sue impressioni: “Rimane la percezione di trovarsi alle prese con un grande avvenimento di Dio che cresce nella storia. Spesso, nella programmazione pastorale, pensiamo d’essere noi a fare. Qui si capisce: dobbiamo lasciarci condurre da Gesù vivo”.   (altro…)

«Allora, vogliamo prenderlo questo caffè?»

Lavoro da circa dieci anni in una grande stazione di distribuzione di carburante sul raccordo anulare. Non sarebbe il mio lavoro, ma non dico ai miei clienti che sono laureato. Qualcuno mi chiede: “Ma tu sei benzinaro benzinaro?”. Ed io: “Sì, sì sono benzinaro”. E loro: “Ma non sembra che sei un benzinaro!”. Sono venuto dallo Zaire in Italia quando avevo 20 anni per studiare. Allora avevo delle ambizioni: “Appena termino gli studi torno al mio paese, avrò un buon posto di lavoro e delle responsabilità”. Ma, una volta laureato, non mi è stato possibile realizzare questo sogno. All’inizio lo vivevo come un’umiliazione, non riuscivo ad accettarlo … poi ho capito che Dio vuole che io lo ami attraverso questo lavoro, e allora cerco di farlo bene e di rimanere sempre nell’amore. Questo distributore è sempre aperto e faccio dei turni anche durante la notte. Passa tantissima gente, e se ne vedono di tutti i colori. Vi racconto due episodi. Una notte arriva una macchina con a bordo 6 persone, chiaramente con facce poco rassicuranti, mi chiedono di mettere 50.000 Lire di benzina. Mentre metto la benzina, l’autista mi chiede: “Tu paghi le tangenti?”. Io un po’ spaventato gli dico: “Non so cosa sono”. Quando si tratta di pagare, mi dice: “Noi non abbiamo soldi”. Alloro gli dico “Me li porterete quando capiterete di nuovo da queste parti”. E loro mi chiedono: “Tu sai chi siamo noi? Conosci il carcere?” e io “per sentito dire”. Erano dei carcerati in libertà provvisoria. “Non passeremo più di qui, non abbiamo soldi e non possiamo pagarti”. Dopo una breve discussione, dico: “Visto che non avete neanche 50.000 Lire da pagarmi, fate finta che vi ho offerto 50.000 Lire di benzina”. Allora ripartono, ma dopo pochi metri fanno retromarcia, mi richiamano e uno mi dice: “Ehi! Per chi ci hai preso, per dei poveracci?” Mi pagano le 50.000 Lire e vogliono darmi 10.000 Lire di mancia per prendere il caffè dicendomi che ero molto simpatico. Ed io: “No, non posso prendere le 10.000 Lire! Se volete, il caffè lo possiamo prendere insieme quando ripassate!”. Dopo molti mesi, un pomeriggio, uno di loro si presenta e mi dice: “Amico, non ti ricordi di me? Allora, vogliamo prenderlo questo caffè?”. Un’altra notte, verso le ore 23, dall’interno mi rendo conto che due persone fanno il self-service, ma invece di mettere benzina, hanno messo gasolio. Il collega mi dice: “Lascia stare, non uscire, non devi rischiare per quelli!”, ma io non riesco a stare in pace e gli dico: “Ma se fosse successo a te cosa faresti? Io non me la sento. Penso che quando tu fai del bene, siccome Dio è generoso, non si lascia scappare l’occasione per aiutarti”. E lui: “Tu e i tuoi discorsi da prete…” Esco per aiutarli, cerchiamo di riparare al danno, ma non c’è stato modo, non avevano neanche i soldi per pagare il soccorso stradale. Allora mi offro di accompagnarli a casa e così hanno potuto prendere un’altra macchina per trainare la prima. Intanto insistevano per pagarmi la benzina, ma io non ho accettato e ho detto che l’avevo fatto perché li consideravo fratelli. Alla radice di questi episodi c’è Dio da cui mi sento amato immensamente, e, quando ‘dò’, è Lui stesso che mi ‘ridona’ la gioia di aver potuto ancora amare. P. M. – Italia   (altro…)

Lettera del Santo Padre G.P. II

Signori Cardinali, Venerati Fratelli nell’Episcopato! 1. Sono lieto di rivolgervi il mio cordiale saluto in occasione del vostro Convegno spirituale tra amici del Movimento dei Focolari, in corso in questi giorni presso il “Centro Mariapoli” di Castel Gandolfo. Grazie per l’odierna visita, espressione della comunione ecclesiale che vi unisce al Successore di Pietro. Vi siete dati appuntamento per una comune riflessione, in base a relazioni, esperienze e testimonianze, sullo stimolante tema: “Il Cristo crocifisso e abbandonato radice della Chiesa-comunione”. Nel manifestare vivo apprezzamento per questa iniziativa, giunta alla sua venticinquesima edizione, vi incoraggio a lasciarvi guidare dalle indicazioni che ho stilato nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte. In essa, infatti, invito l’intero popolo cristiano a fissare lo sguardo sul volto di Cristo crocifisso e risorto e ad approfondire il mistero di dolore e di amore da cui nasce e si rinnova costantemente la Chiesa-comunione come icona vivente della Santissima Trinità. 2. Nella croce di Cristo troviamo la fonte genuina della salvezza, la rivelazione suprema dell’amore di Dio e la radice profonda della comunione con Dio e fra di noi. Nell’agonia di Gesù sulla croce, che appare come il momento della vittoria delle tenebre e del male, in realtà è il trionfo di Cristo che si realizza attraverso il suo amore obbediente al Padre e solidale con gli uomini, prigionieri del peccato. Nella citata Lettera apostolica ho scritto in proposito: “Il grido di Gesù sulla Croce … non tradisce l’angoscia di un disperato, ma la preghiera del Figlio che offre la sua vita al Padre dell’amore, per la salvezza di tutti. Mentre si identifica col nostro peccato, “abbandonato” dal Padre, egli si “abbandona” nelle mani del Padre” (Novo millennio ineunte, 26). Dunque in Cristo crocifisso ed abbandonato il male ed il peccato sono definitivamente sconfitti, e viene resa possibile la piena unità dell’umanità col Padre e degli uomini fra di loro. Secondo le parole dell’evangelista Giovanni, ispirate ad un precedente oracolo del profeta Zaccaria, gli uomini “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19, 37). Questo movimento convergente verso la croce è da Cristo orientato verso il Padre, per costituire intorno a Lui una nuova Comunità d’amore. Davvero non finiremo mai di indagare questo grande mistero (cfr Novo millennio ineunte, 25)! 3. L’amore al Crocifisso, contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell’abbandono, costituisce la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni. A tale scopo, vi saranno di grande aiuto i temi spirituali, le riflessioni teologiche e le testimonianze con cui vi confrontate in questi giorni. Dalla contemplazione del volto del Crocifisso abbandonato non possono non scaturire importanti conseguenze che portano a vivere in profondità il grande mistero della comunione in esso contenuto e rivelato: “Se abbiamo veramente contemplato il volto di Cristo – ho scritto nella citata Lettera apostolica Novo millennio ineunte – … la nostra programmazione pastorale non potrà non ispirarsi al “comandamento nuovo” che egli ci ha dato: “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34)” (n. 42). Nel passaggio storico che stiamo vivendo è di fronte a noi un’impegnativa missione: fare della Chiesa il luogo dove si vive e la scuola dove si insegna il mistero dell’amore divino. Come sarà possibile questo senza riscoprire un’autentica spiritualità della comunione? Occorre innanzitutto percepire con gli occhi del cuore il mistero trinitario presente in noi, per saper poi coglierlo sul volto degli altri. Il fratello di fede va considerato come uno che ci appartiene nell’unità misteriosa del Corpo mistico. Solo facendo spazio al fratello, per cogliere ciò che di positivo c’è in lui, è possibile comprendere quanto egli sia un dono per me (cfr Novo millennio ineunte, 43). Così vissuta, la spiritualità dell’unità e della comunione, che caratterizza il vostro Movimento, non mancherà di portare frutti fecondi di rinnovamento per tutti i credenti. 4. Venerati e cari Fratelli! Agli approfondimenti ed alle riflessioni di questi giorni voi recate l’apporto della vostra esperienza e del vostro ministero pastorale. Voi stessi, grazie a Dio, siete testimoni dei frutti di reciproca comprensione e stretta collaborazione che stanno maturando nella Chiesa grazie all’impegno posto in essere dai vari Movimenti. Siatene voi stessi gli animatori generosi e responsabili. Sappiate fare del Convegno di questi giorni un’occasione propizia per crescere in questa dimensione, nello spirito della collegialità effettiva ed affettiva che deve contraddistinguere la vostra missione. Dall’amore reciproco trarrete motivo di incoraggiamento, di rinnovato vigore e di salda speranza. Con questi sentimenti e voti, invoco su ciascuno di voi, sulle vostre Comunità ecclesiali e su quanti vi sono cari la costante protezione della Vergine Maria, Madre dell’unità, mentre vi imparto con affetto una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 14 Febbraio 2001. IOANNES PAULUS II.   (altro…)

25° Convegno di Vescovi

“Il Cristo Crocefisso e abbandonato radice della Chiesa comunione” alla luce della Novo Millennio Ineunte.

“L'amore al Crocefisso, contemplato nel momento culminante della sofferenza e dell'abbandono, costituisce la via maestra non soltanto per rendere sempre più effettiva la comunione a tutti i livelli della compagine ecclesiale, ma anche per aprire un fecondo dialogo con le altre culture e religioni”

“Voi stessi siete testimoni  dei frutti di reciproca comprensione   e stretta collaborazione che stanno maturando nella Chiesa grazie all'impegno posto in essere dai vari Movimenti. Siatene voi stessi gli animatori generosi e responsabili”

 

febbraio 2001

Ti è mai capitato di ricevere un dono da un amico e di sentire la necessità di contraccambiare? E di farlo non tanto per sdebitarti, quanto per vero amore riconoscente? Certamente sì. 
Se succede a te così, puoi immaginare a Dio, a Dio che è Amore. Egli ricambia sempre ogni dono che noi facciamo ai nostri prossimi in nome suo. E' un'esperienza che i cristiani autentici fanno molto spesso. Ed ogni volta è una sorpresa. Non ci si abitua mai all'inventiva di Dio. Potrei farti mille, diecimila esempi, potrei scriverne un libro. Vedresti quanto è vera quell'immagine “una buona misura, pigiata, scossa e traboccante ti sarà versata nel grembo”: che significa l'abbondanza con cui Dio contraccambia, la sua magnanimità. 

«Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo»

“Era già scesa la notte su Roma. E in quell'appartamento seminterrato l'esiguo gruppo di ragazze, che volevano vivere il Vangelo – erano i primi tempi del Movimento -, si davano la buona notte. Ma ecco il campanello. Chi era a quell'ora? Un uomo che si presentava alla porta nel panico, disperato: il giorno dopo l'avrebbero sfrattato di casa con la famiglia, perché non pagava l'affitto. Le ragazze si guardarono e, in un mutuo accordo, aprirono il cassettino dove avevano raccolto il residuo dei loro stipendi. Diedero tutto a quell'uomo, senza ragionare. Quella notte dormirono felici. Qualcun altro avrebbe pensato a loro. 
Ma ecco che non è ancora l'alba e il telefono squilla. 'Vengo subito con un taxi', dice la voce di quell'uomo. 
Meravigliate per la scelta di quel mezzo, le ragazze attendono. La faccia dell'ospite dice che qualcosa è cambiato: 'Ieri sera, appena tornato a casa, ho trovato un'eredità che non avrei mai immaginato di ricevere. Il cuore m'ha detto di farne a metà con voi'. La somma era esattamente il doppio di quanto avevano generosamente dato”.

«Date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo»

Ne hai fatto anche tu l'esperienza? Se non è così, ricordati che il dono va fatto disinteressatamente, senza speranza di ritorno, a chiunque chiede. 
Prova. Ma fallo non per vedere il risultato, ma perché ami Dio. 
Mi dirai: “Ma io non ho nulla.” 
Non è vero. Se vogliamo abbiamo dei veri tesori: il nostro tempo libero, il nostro cuore, il nostro sorriso, il nostro consiglio, la nostra cultura, la nostra pace, la nostra parola per convincere chi ha a dare a chi non ha… 
Mi dirai ancora: “Ma non so a chi dare.” 
Guardati attorno: ti ricordi di quell'ammalato in ospedale, di quella signora vedova sempre sola, di quel compagno così avvilito perché non è riuscito a scuola, di quel giovane disoccupato sempre triste, del fratellino bisognoso d'aiuto, di quell'amico in carcere, di quell'apprendista esitante? E' in loro che Cristo ti aspetta. 
Assumi il comportamento nuovo del cristiano – di cui è tutto impregnato il Vangelo – che è quello dell'anti-chiusura. Rinuncia a mettere la tua sicurezza nei beni della terra e poggiati su Dio. Qui si vedrà la tua fede in lui, che sarà presto confermata dal dono che ti tornerà. 

Ed è logico che Dio non si comporta così per arricchirti o per arricchirci. Lo fa perché altri, molti altri, vedendo i piccoli miracoli che raccoglie il nostro dare, facciano altrettanto. 
Lo fa perché più abbiamo, più possiamo dare, perché – da veri amministratori dei beni di Dio – facciamo circolare ogni cosa nella comunità che ci circonda, finché si possa dire come della prima comunità di Gerusalemme: “Non v'era fra loro nessun povero” . Non senti che con questo concorri a dare un'anima sicura alla rivoluzione sociale che il mondo s'attende? 

«Date e vi sarà dato»

Certamente Gesù pensava in primo luogo alla ricompensa che avremo in Paradiso, ma quanto avviene su questa terra ne è già il preludio e la garanzia.

Chiara Lubich

 

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Cronaca dell’incontro a Coimbatore

“E’ un incontro di cuori. Stiamo unendo le mani per costruire un mondo di pace”.  Con queste parole, Vinu Aram, a nome della Shanti Ashram, ha salutato a Coimbatore, nello stato meridionale indiano del Tamil Nadu, Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Nel corso di una cerimonia ufficiale svoltasi il 5 gennaio, davanti a un pubblico qualificato di oltre 500 persone, tra cui alcuni anziani compagni di Gandhi, le era stato appena conferito il premio Defender of peace, difensore della pace. Il Premio è stato istituito da due prestigiose istituzioni induiste gandhiane: lo Shanti Ashram, organizzazione impegnata in campo sociale ed educativo a favore dei più bisognosi, con cui da tempo collabora il Movimento Famiglie Nuove, diramazione dei Focolari, con le adozioni a distanza, ed il movimento Sarvodaya, che si ispira ad una delle idee forza di Gandhi, cioè l’impegno a favore di una vita dignitosa per tutti.   Si tratta di un riconoscimento riservato a personalità di elevata statura morale, che è stato assegnato finora solo otto volte, ed ha visto premiati, tra gli altri, il rev. Kajitan, discepolo di Gandhi, Homer Jach, primo segretario della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, e Madre Teresa di Calcutta. A Chiara Lubich, come si legge nella motivazione del premio, è stato riconosciuto “il suo ruolo instancabile nel gettare semi di pace e d’amore fra tutti gli uomini. Segno che il messaggio di Gesù Cristo è sempre rilevante, fresco e benefico nei risolvere le questioni contemporanee”. Caloroso, e in profonda sintonia spirituale, è stato il discorso pronunciato dal presidente della sede di Coimbatore del Bharatiya Vidya Bhavan, istituto culturale e religioso considerato come uno dei punti di riferimento dell’ortodossia indù. Il presidente, Shri Krishnaraj Vanavarayar ha salutato Chiara Lubich come una persona “capace di mostrarci la strada per superare le divisioni e l’odio”. “L’India – ha detto – pur avendo una grande eredità culturale e religiosa, pluralista e tollerante, deve affrontare oggi sfide nuove, problemi sociali accompagnati da tensioni e divisioni, e deve misurarsi con uno sviluppo economico e tecnologico segnato spesso da una mentalità materialista e priva di valori morali”. “Il problema centrale” – ha osservato ancora Vanavarayar – “è come vincere l’odio con l’amore, come trasmettere l’amore ad altri. Chiara ha una forza in lei che ha reso possibile questo sogno, perché ha fatto l’esperienza di Dio”. A Chiara Lubich è stato chiesto di presentare nel suo discorso di accettazione la propria esperienza spirituale; prima di farlo, ha però voluto sottolineare come il suo desiderio principale, qui in India, fosse quello di ascoltare, di imparare, per aprire un “cordiale dialogo” con persone che vengono da un’antichissima cultura e tradizione religiosa, sensibili al valori spirituali. Delineando con trasparenza i passaggi fondamentali della propria esperienza del Vangelo, ha fatto spesso riferimento alla tradizione induista, come quando, parlando degli inizi della spiritualità dell’unità che ha la sua fonte nell’amore di Dio, ha citato “un antico inno della religione indù: ‘Dio è il primo ad amarci’, perché fu lui a dare a noi l’amore e in noi lo accresce quando lo cerchiamo”. Ricordando poi le esperienze di solidarietà e di condivisione con chi era nel bisogno, vissute durante la Seconda guerra mondiale, Chiara Lubich ha osservato come il Signore l’abbia guidata, insieme alle sue prime compagne, “verso il cuore del Vangelo, che è la legge dell’amore”. Ha citato come fondamentale quella “Regola d’oro” che è comune a tutte le religioni. “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, e ha ricordato un detto di Gandhi: “Io e te siamo una sola cosa. Non posso ferirti senza fare del male a me stesso”. “Un amore – ha continuato – indirizzato all’amico ma anche al nemico”.  Da queste esperienze è nata la presenza dei Movimento dei Focolari in tante situazioni di divisione e di lotta, per ricomporre l’unità e far rinascere la speranza e la pace. Così pure l’impegno nel dialogo di amore fraterno, di vita e di preghiera con i fedeli di altre religioni. “Eravamo convinti – ha concluso – che dove c’era una sinagoga, una moschea, un tempio, lì era il nostro posto. Eravamo e siamo convinti di essere chiamati a concorrere a costruire la fraternità universale con tutti loro”. I giornali in lingua inglese “The Hindu”, il “New Indian Express” e vari quotidiani in lingua tamil hanno dato ampio rilievo all’avvenimento, citando parti del discorso di Chiara e della motivazione del premio. Il giorno seguente, Chiara Lubich ha voluto consegnare un messaggio anche ai bambini seguiti dallo Shanti Ashram nel loro progetto educativo. In un colorito ed affettuoso incontro con alcune centinaia di loro, svoltosi alla periferia di Coimbatore, dove sorge la sede dello Shanti Ashram, ha chiesto che lascino spazio “alla fiamma di amore che portano nel cuore”, e che siano di esempio anche per i grandi, amando tutti, i buoni come i cattivi.      Nel Tamil Nadu, una regione del sud di antichissima tradizione religiosa, si è aperta dunque una nuova strada di dialogo. Il Dott. Aram, Senatore a vita e fondatore dello Shanti Ashram di Coimbatore, nella sua veste di Presidente della Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace (WCRP), aveva conosciuto personalmente Chiara in occasione della sessione inaugurale della VI Assemblea Mondiale tenutasi nell’Aula del Sinodo in Vaticano, nel 1994.  Inoltre il Dott. Aram, che aveva avuto modo di conoscere ed apprezzare la collaborazione del Movimento dei Focolari con la WCRP, aveva atteso e desiderato una visita di Chiara nella sua terra. Tre anni or sono, alla sua improvvisa dipartita, la Signora Minoti Aram e la sua figliola Dott.ssa Vinu Aram hanno proseguito la sua opera e si sono adoperate con ogni mezzo per rendere possibile un viaggio di Chiara nel Tamil Nadu. (altro…)

Discorso di Chiara Lubich agli indù e membri di altre religioni a Coimbatore

Gentili Signori e Signore, grazie di cuore per il dono che hanno voluto farmi, per il titolo che hanno voluto darmi: “Difensore della pace”. Grazie soprattutto a chi o a coloro che ne hanno avuto la prima idea. Nella terra di Gandhi, nella Patria della “non violenza” e della pace, non potevo aspettarmi nulla di più gradito. Quale il mio atteggiamento d’ora in poi? Onorerò questo loro riconoscimento impegnandomi ancora di più, finché Dio mi darà tempo, a ravvivare fra quante persone e gruppi incontrerò, in quante città e nazioni visiterò, l’unità, specifico carisma del mio Movimento, che è garanzia di pace. Dico la verità: sono venuta in India soprattutto col desiderio di ascoltare, di imparare da voi, per aprire un cordiale dialogo con voi, che considero miei fratelli e sorelle. So, infatti, quanto la vostra antichissima cultura e tradizione religiosa siano ricche e nello stesso tempo so quanto siete sensibili ai valori spirituali, ovunque essi si trovino nel mondo. Ma ora non mi è tanto possibile ascoltare. Lo farò in queste prossime settimane di soggiorno nel vostro grande e bel Paese, ricco di mistero. Sono stata invitata a narrarvi io stessa la mia esperienza spirituale. Essa coincide, in certo senso, con quella del Movimento dei Focolari che rappresento e di cui Dio mi ha fatto strumento assieme a molti altri. Accettatela come un dono cordiale e sincero. Ripercorrendo le tappe della storia di questo Movimento, che ha ormai 58 anni di vita, vorrei disegnare qualche tratto della sua spiritualità. Essa è definita spiritualità dell’unità, perché ha puntato sempre sull’unità con Dio, sull’unità fra le singole persone, sull’unità fra i gruppi, fra le città, fra i popoli, eliminando più discriminazioni possibile, e sognando una futura realtà che potrebbe essere espressa dalle parole: mondo più unito, mondo unito. E questo sogno e il Movimento che tende a realizzarlo (con quanti altri aspirano a questo ideale) non è opera semplicemente umana. Con le nostre autorità religiose, che hanno studiato a fondo il Movimento, noi per primi dobbiamo dire: questa è Opera di Dio. Ed è ciò che abbiamo costatato fin dai suoi albori. Tutto ha inizio nel 1943, a Trento, una tranquilla cittadina dell’Italia, in Europa. Sono insegnante e do anche lezioni private per aiutare la famiglia che attraversa un periodo di povertà. Ho 23 anni. Un giorno, mentre compio un’opera d’amore, un’inaspettata chiamata: “Donati a Dio”. Pochi giorni dopo, offro la mia vita al Signore per sempre. La mia felicità è incontenibile. Non mi balena in testa alcun progetto per la vita. Sono di Dio per sempre: questo mi basta. Esternamente anche quello è un giorno come gli altri. Ma la mia anima è invasa da una grazia particolare, una fiamma è accesa. E se la fiamma è accesa, non può non ardere, non può non comunicarsi. Pochi giorni dopo alcune giovani mi seguono. Intanto la seconda guerra mondiale imperversa e colpisce duramente. Anche a Trento rovine, macerie, morti. Con i bombardamenti scompaiono quelle cose o persone che formavano un po’ l’ideale dei nostri giovani cuori. Una amava la casa: è stata sinistrata.    Una seconda si preparava al matrimonio: il fidanzato non torna più dal fronte. Il mio ideale è lo studio: la guerra mi impedisce di frequentare l’università. Ogni avvenimento ci tocca profondamente. La lezione che Dio ci offre con le circostanze è chiara: tutto è vanità delle vanità. Tutto passa. Contemporaneamente Dio mette nel mio cuore una domanda: ma ci sarà un ideale che non muore? Un ideale che nessuna bomba può far crollare, a cui poter dare tutte noi stesse? Sì, c’è. E’ Dio. Decidiamo di far di Dio l’ideale della nostra vita. Dio, che in mezzo alla guerra, frutto dell’odio, ci si manifesta, come fosse la prima volta, per quello che è: Amore. Così lo presenta un nostro Libro sacro, il Nuovo Testamento, che dice: “Dio è amore” (1 Gv 4,8). Dio, dunque, è tutto per noi: Dio-Amore. Ed è stata questa una luce nuova nelle nostre anime. Sì, una grande novità per la nostra vita spirituale, così grande da operare in noi un profondo cambiamento. Mentre prima, infatti, pur cercando di essere brave cristiane vivevamo come orfane, come persone che avevano padre e madre, ma… solamente terreni. Poi, conosciuto in modo nuovo Dio Amore, ci siamo sentite, con più coscienza, figlie del Padre che è nei cieli. E’ stato come se si sviluppasse in noi una fede nuova. Non era soltanto la fede in Dio, ma proprio la fede nel suo amore. Per cui ci sembrava che niente potesse esprimere meglio la vita, che stavamo iniziando, che la frase della Scrittura: “Noi abbiamo riconosciuto e creduto all’amore che Dio ha per noi” (1 Gv 4,16). E di questa fede nell’amore di Dio per noi, per ciascuno, per tutti, per l’umanità intera, è stata illuminata, da allora, tutta la nostra esistenza. E qui mi pare di avvertire una certa consonanza con la vostra fede. Un antico inno della vostra religione dice infatti: “Dio è il primo ad amarci, poiché fu lui a dare a noi l’amore e in noi lo accresce quando lo cerchiamo”. Perché si dice ancora: “Il Signore è per natura amore, (…) egli risiede nell’amore, la sua suprema realtà…”. Dio dunque ci amava! Egli era il creatore nostro. Egli, colui che ci sosteneva attimo per attimo; che conosceva tutto di noi. Il suo amore si nascondeva dietro tutte le circostanze della nostra e dell’altrui vita, quelle gioiose o indifferenti, e anche quelle dolorose. Avevamo, dunque, trovato l’ideale per cui vivere: Dio, Dio Amore. Ma come metterlo in pratica? Gesù dice: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio” (Mt 7,21). Niente, dunque, pietismo o sentimentalismo. Fare la volontà di Dio: questo importa, per noi, ma anche per voi, mi sembra. Non dice forse un vostro maestro: “Fare la volontà del Signore è un atto più grande che non cantare le sue lodi”? Ma chi ci avrebbe detto la volontà di Dio? Correvamo in fretta nei rifugi, ogniqualvolta suonava l’allarme, e non portavamo con noi se non un piccolo libro sacro: il Vangelo. In esso avremmo potuto trovare le richieste di Gesù, la volontà di Dio. L’aprivamo. Ed ecco la meraviglia: quelle parole, che avevamo sentito tante volte, s’illuminavano come se una luce s’accendesse sotto. Le capivamo ed una forza, pensiamo dello Spirito, ci spingeva a metterle in pratica. Leggevamo: “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,19). Il prossimo. Chi è il prossimo? Era lì accanto a noi. Era quella vecchietta che a mala pena, trascinandosi, raggiungeva ogni volta il rifugio. Occorreva amarla come sé: aiutarla, dunque, ogni volta, sorreggendola. Il prossimo era lì in quei cinque bambini spaventati accanto alla loro mamma. Occorreva prenderseli in braccio e riaccompagnarli a casa. Il prossimo era quell’infermo bloccato a casa, senza possibilità di ripararsi, bisognoso di cure. Occorreva avvicinarlo, procurargli delle medicine. Si leggeva nel Vangelo: “Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli, l’hai fatto a me” (cf Mt 25,40). Le persone attorno a noi, per le terribili circostanze, avevano fame, sete, erano ferite, senza vesti, senza casa. Cucinavamo allora pentoloni di minestra che si portavano a loro. A volte i poveri battevano alla porta della nostra casa e li invitavamo a sedersi accanto a noi: un povero e una di noi, un povero e una di noi. Il Vangelo assicurava: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7). Si chiedeva a Dio per i poveri e si era ogni volta riempiti d’ogni bene: pane, latte in polvere, marmellata, legna, vestiario…, che si portava a chi ne aveva bisogno. Un episodio emblematico, che racconto sempre, è questo: un giorno un povero mi chiede un paio di scarpe n. 42. In chiesa ho chiesto: “Dammi, Signore, un paio di scarpe n. 42 per Te nel povero”. Uscita di chiesa una signorina mi porge un pacco. Lo apro: vi era un paio di scarpe da uomo n. 42. E questo è uno degli innumerevoli episodi che sono poi successi. “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38), leggiamo un altro giorno nel Vangelo. Davamo. V’era un solo uovo in casa per tutte? Lo porgevamo al povero. Ed ecco in mattinata arrivare una dozzina di uova. E così con tante altre cose. E quando comunicavamo ad altri ciò che accadeva ogni giorno, molti, colpiti da questi fatti, volevano fare la stessa esperienza. Il Signore ci guidava così verso il cuore del suo Vangelo che è la legge dell’amore; a vivere cioè quella “Regola d’oro” che è comune a tutte le religioni: “Fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31), o, come dice il Mahabharáta: “Non fare agli altri ciò che a te farebbe male”. O come ha detto mirabilmente il Mahatma Gandhi: “Io e te siamo una sola cosa. Non posso ferirti senza fare del male a me stesso”. E l’amore cristiano che si viveva verso il prossimo era esigente. E’ un’arte e occorre conoscere quest’arte. Quest’amore va indirizzato a tutti. Non ammette accettazione di persone. Non considera questo amore se uno è simpatico o antipatico, bello o brutto, grande o piccolo, della mia patria o straniero. Tutti vanno amati. Anche Dio, il Padre celeste, ama tutti mandando pioggia e sole sui buoni e sui cattivi. Quest’amore ama per primo. Non vuole che si aspetti d’esser amati. L’amore ha sempre l’iniziativa. Quest’amore ama l’altro come se stesso. E ciò va preso alla lettera: occorre proprio vedere nell’altro un altro sé e fare all’altro quello che si farebbe a se stessi. E’ quell’amore che sa ‘farsi uno’ con la persona amata: che sa soffrire con chi soffre, godere con chi gode, portare i pesi altrui. E’ un amore, quindi, non di sole parole, ma di fatti concreti. Un amore indirizzato all’amico ma anche al nemico. E fa del bene a lui, prega per lui. Mi sembra che ci sia una bellissima immagine della tradizione indù per descrivere l’amore al nemico: “La scure taglia il legno di sandalo, mentre questo le fa dono della sua virtù, rendendola profumata”. Ma ora arriviamo al cuore della nostra esperienza spirituale fatta mentre la guerra continuava ed eravamo in grande pericolo. Si poteva veramente morire da un momento all’altro. Occorreva vivere bene, fare fino in fondo la volontà di Dio. Un giorno ho pensato: vi sarà una sua volontà a cui Dio tiene particolarmente? Vorremmo attuare proprio quella prima di morire. Nel Vangelo abbiamo trovato questa frase di Gesù: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15, 12-13). Era un comando che Egli diceva “nuovo” e “mio”. Quello che ci voleva per noi. Abbiamo capito allora che, se fino a quel momento il Vangelo ci aveva spinte ad amare gli altri, specie i poveri, ora dovevamo rivolgere l’attenzione anche l’una verso l’altra e amarci a vicenda, fino ad esser pronte a morire l’una per l’altra. Naturalmente, non sempre ci era chiesto di dare la vita per le compagne. Ma sotto ogni atto d’amore doveva esserci senz’altro questa disposizione. Lo abbiamo fatto. Anzi, lo abbiamo espresso in un patto. Ci siamo dette reciprocamente: “Io sono pronta a morire per te”. E l’altra: “Io per te”. “Io per te”. “Io per te”. Tutte per ciascuna. E la nostra vita da quel momento è cambiata. Ha fatto un balzo di qualità: una nuova pace, una nuova gioia, un desiderio ardente di far il bene, una luce ci invasero. Cos’era successo? Lo abbiamo capito quando abbiamo letto che Gesù aveva detto: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). E noi eravamo proprio così: un piccolo gruppo unito nel suo amore. Dunque, Gesù era spiritualmente fra noi. Ciò che di nuovo avvertivamo nell’anima era effetto della sua presenza. Ci si impegnò a vivere tanto bene l’amore reciproco da aver sempre Gesù con noi. Ma ancora un episodio sintomatico: ci siamo radunate un giorno in una cantina, per ripararci dai pericoli della guerra, e abbiamo aperto il Vangelo a caso; e ci siamo trovate di fronte alla solenne preghiera di Gesù in cui chiede l’unità degli uomini con Dio e fra loro. Abbiamo cominciato a leggere e abbiamo avvertito la certezza che per quella pagina eravamo nate; abbiamo visto in essa la magna charta del nuovo Movimento nascente. Ma come realizzare l’unità? Come comprendere ed attuare questo Ideale? La chiave l’abbiamo trovata in quel momento della vita di Gesù che, per noi cristiani, è segno del più grande amore e cioè quando soffre sulla croce per tutti i peccati del mondo, fino a sentirsi abbandonato da Dio. Ma per questo, come per tutti i dolori della croce, assicura agli uomini la salvezza. E siamo stati spinti a vivere come Gesù, a imitarlo, raccogliendo su di noi – se così si può dire – le sofferenze dell’umanità. Da allora, abbiamo visto il nostro posto dovunque appariva il dolore: dove si incontravano divisioni e traumi, nelle famiglie separate, nello spacco fra le generazioni, nelle Chiese divise, nelle lotte religiose, nelle tensioni fra chi crede e chi non crede. E, amando Gesù abbandonato nel dolore, vedevamo ricomporsi l’unità e rinascere la speranza, la gioia, la pace. Per questo, nel 1960, quando sulla nostra via noi, cristiani cattolici, abbiamo incontrato cristiani di altre Chiese, non siamo rimasti chiusi in noi stessi. Ci siamo potuti aprire a loro, costruendo tutta quella unità che era possibile. Sono crollate le barriere che erano state innalzate fra noi e loro nei secoli; sono sfumate molte incomprensioni; abbiamo deciso soprattutto di vivere insieme questi punti della nostra spiritualità come fratelli che si comprendono e si amano, e con essi tutto ciò che avevamo in comune nella nostra fede cristiana. Così fedeli luterani, anglicani, ortodossi, riformati, metodisti, battisti e altri, anno dopo anno, hanno ingrossato le fila di questa pacifica rivoluzione d’amore. Sono ora di 360 Chiese i cristiani presenti nel nostro Movimento. Ma il piano di Dio non si è fermato qui. Noi non lo conoscevamo, lo sapeva Dio che attraverso le più varie circostanze ce lo ha rivelato tempo dopo tempo. Così è stato per il dialogo con le altre religioni. Molte sono state, fin dagli inizi del Movimento, le occasioni di incontro con fratelli e sorelle di altre fedi religiose. Ma la prima forte esperienza è stata per me quella che ho vissuto più di 30 anni fa in una sperduta valle dell’Africa camerunense. Eravamo a contatto con i bangwa, una tribù fortemente radicata nella religione tradizionale, quasi sterminata dalla mortalità infantile, che avevamo iniziato a debellare. Un giorno, il loro capo, il Fon, con i notabili e le migliaia di membri del suo popolo si sono radunati per una festa, in una grande radura in mezzo alla foresta, per donarci i loro canti e le loro danze. Ebbene, è stato lì che ho avuto la forte impressione che Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti noi, noi e loro con il suo amore. Per la prima volta nella mia vita ho intuito che avremmo avuto a che fare anche con persone di tradizione non cristiana. L’altra grande esperienza è stata quando, nel 1977, in occasione del Premio Templeton per il progresso della religione, dovetti portarmi a Londra. In quella circostanza ho parlato nella Guildhall, ad un nutrito pubblico, nel quale si notavano persone delle più varie religioni: ebrei, musulmani, buddisti, indù, sikhs… Anche lì, mentre parlavo, ho avuto l’impressione che Dio, come un sole, avvolgesse tutta quella gente, ed ho avuto la certezza di una sua particolare presenza. Ho capito che dovevamo prendere contatto con tutti, come se Dio lo volesse. E così sono cominciati i nostri dialoghi d’amore fraterno, di vita e di preghiera con i fedeli di altre religioni. E poiché il Movimento si andava diffondendo in tutto il mondo, si è preso tale atteggiamento in ogni punto della terra. Eravamo coscienti che, dove c’era una sinagoga, una moschea, un tempio, lì era il nostro posto. Eravamo, infatti, e siamo convinti d’essere chiamati a concorrere a costruire la fraternità universale con tutti loro, poggiandoci soprattutto su quei principi, quei valori che abbiamo in comune. In questi ultimi anni si sono moltiplicati gli incontri, gli scambi di esperienze, con arricchimento reciproco. Sono ora circa 30.000 i fedeli di altre religioni in rapporto con il Movimento. Oltre gli indù, buddisti giapponesi e tailandesi; ebrei, d’Israele, Argentina, Europa; musulmani dell’Asia, dell’Africa e degli USA, e molti altri. Pure moltissime persone di altre culture, anche senza un riferimento religioso, s’impegnano nel Movimento per la salvaguardia dei valori comuni: la solidarietà, la pace, i diritti umani, la libertà. E gli effetti di questa spiritualità vissuta da milioni di persone sono molti. Se volessimo condensarli ora in poche parole, potremmo dire che i suoi frutti sono: anzitutto, cambiamenti radicali di vita, ritorni a Dio e sulla via del bene. Il formarsi così di cittadini che vivono in profondità e con rinnovata coscienza tutti i loro doveri. Per iniziare dalle persone più giovani, ma speranza del domani, gli adolescenti non sono più persone immature. Si comportano da protagonisti, nella vita religiosa e civile, sanno affrontare il dolore; amano essere “diversi” perché, pur nel mondo, non assorbono ciò che di negativo il mondo può offrire. I giovani puntano in alto; si preparano seriamente alla vita futura; mettono in atto microrealizzazioni d’ogni genere per la salvaguardia dei veri valori. Famiglie disgregate dalle separazioni e dai divorzi si ricompongono, adottano bambini… L’intero mondo sociale è investito da questa spiritualità comunitaria: da quello dell’economia e del lavoro a quello della politica, della sanità, dell’educazione, dell’arte e così via. E, per concludere, una osservazione: poiché è l’unità la nota che riassume tutto il nostro Ideale, osservando il Movimento, nei suoi effetti, si può dire che è come un film che cammina a ritroso. Quali drammatiche divisioni, quali impoverimenti, in quali crisi è arrivato il mondo immerso nel materialismo, nel consumismo, nell’indifferentismo! Qui il mondo va avanti tornando in certo modo indietro e cioè a quell’unità della famiglia umana, così come Dio l’aveva pensata quando l’ha creata. Che Dio, Padre di tutti, voglia sempre fecondare le nostre fatiche, con quelle di quanti sono impegnati a fini eccelsi quanto i nostri. “E che si possa – come ha detto Giovanni Paolo II all’ONU, il 5 ottobre 1995, nel cinquantesimo della sua fondazione – costruire (…) per il prossimo millennio una civiltà degna della persona umana… “Possiamo e dobbiamo farlo! – ha continuato – E, facendolo, potremo renderci conto che le lacrime del secolo passato hanno preparato il terreno ad una nuova primavera dello spirito umano”. Ed è quello che tutti vogliamo sperare. Anzi perché ciò si realizzi, alzo a Dio una preghiera della vostra tradizione che faccio mia, e imploro il gran dono dell’unità, che solo da Dio possiamo ottenere: “O Dio, tu sei per noi padre, madre, fratello, amico, maestro, ricchezza. Tu sei tutto, tu il solo rifugio, aiutaci a vivere in te, in te solo. O Amore infinito, dona ai nostri cuori aridi un po’ del tuo amore. O Signore, rendi pura l’anima dei tuoi servi, che essi non vedano le ombre di alcun essere. O Padre pieno d’amore, trasporta i tuoi servi fuori dei brevi limiti personali. Il nostro io prenda il volo nell’infinito cielo, come goccia nell’immenso oceano. O Signore, dimora in noi, le tue parole, i tuoi pensieri, le tue azioni siano le nostre. Tu sei la pace immutabile, tu sei l’Eterno, l’Incomprensibile, l’infinita Gioia.” (07-01-2001) (altro…)

Conferito a Chiara Lubich il premio Difensore della Pace 2001

“Più entriamo in contatto con l’India, più essa ci si rivela come un mondo grande, intenso, con un suo volto, per noi occidentali non facilmente decifrabile, unitario nella sua ricchissima diversità. Si sente che siamo di fronte ad uno scrigno di tesori spirituali, di tensione mistica di tutta la natura umana – tensione alla quale non è certamente estranea l’opera della Grazia. E questo scrigno si apre solo a chi gli si accosta con rispetto pieno d’amore e, soprattutto, con la convinzione che Dio ha tanto da dirci attraverso questa cultura millenaria. Essa, nel difficile e tormentato mondo contemporaneo, ha infatti una sua parola essenziale e vitale per tutti: una parola che mette in forte evidenza il primato della vita interiore. Mi chiedo: che cosa potrà scaturire dall’incontro dell’India con questo carisma dell’unità?”. Chiara Lubich – 3 gennaio 2001   Dichiarazioni raccolte al termine della cerimonia di Coimbatore: Shri. K. V.: “In un mondo che è diviso per tanti aspetti, abbiamo bisogno dell’unità. E Chiara e il suo movimento è quello di cui abbiamo bisogno. Perché lei promuove la buona volontà e l’amicizia tra la gente, oltre che la pace”. L. R. J., giainista: “E’ la necessità dell’ora presente. Se non cerchiamo di unirci, non c’è redenzione possibile per l’umanità. In Africa, in America, in Australia, voi ci siete, e anche in India. Questo fa la differenza: vivere come essere umani tenendo presente tutto il resto dell’umanità. la fratellanza, la consistenza, l’amore, l’affetto, tutto questo è un dovere. Stiamo passando attraverso una grande crisi nel mondo. Solo la pace e l’amore possono salvarci. Nient’altro”. Prof. U., docente di cultura indù: “Sono veramente felice, pieno di gioia. Ho fortificato la mia fede. Finché persone come Chiara e i suoi amici lavorano per la pace, la terra sarà un posto pieno di pace. Non dobbiamo perdere la fede. Siamo tutti preoccupati per quello che succederà dopo le esplosioni nucleari. Ma finché ci saranno persone così, Dio è con noi. E un giorno la terra diventerà il cielo. Tutte le fedi debbono avanzare insieme, perché tutte le fedi cercano la verità. E la verità non è altro che amore e pace, quello che ci dice Chiara”. Prof. K. A. – Bombay: “Sono stata molto toccata, perché se dimostriamo l’amore gli uni per gli altri in realtà possiamo creare la vera pace. Per questo essere presenti è stato molto importante per noi. Condivido tutto quello che Chiara ha detto. Come è stato spiegato, il focolare è il calore, il fuoco. E il fuoco è anche fuoco di conoscenza. Per questo mi impegnerò anch’io. Lo terrò dentro di me e darò il mio contributo”. (07-01-2001) (altro…)

Motivazione del Premio DIFENSORE DELLA PACE

“Chiara Lubich, usando la più potente forza umana dell’amore e una fede forte nell’unità di tutto il genere umano, secondo gli insegnamenti di Gesù Cristo, è stata scelta da Dio per svolgere un’opera instancabile nel gettare semi di pace e amore fra tutti i popoli. Iniziando durante i giorni bui della Seconda Guerra Mondiale, in Italia e poi in tutto il mondo, negli ultimi sei decenni ha lavorato incessantemente per aiutare le persone a scoprire l’amore e la comprensione reciproca. Questo le ha permesso di rafforzare continuamente la fragile struttura della pace su cui si sviluppano in gran parte la prosperità, il benessere, la cultura e la spiritualità del mondo. In particolare, Lei ha costruito il Movimento laico cristiano del Focolare, al servizio di tutte le persone del mondo attraverso la preghiera e l’azione, promuovendo un dialogo più profondo, la tolleranza e la fruttuosa cooperazione tra persone di religioni diverse. E’ importante dire che l’empatia che Lei e il Movimento dei Focolari godono con la gioventù, e la profonda comprensione dei cambiamenti nel mondo, che Lei ha mostrato, hanno fatto vedere che il messaggio di Gesù Cristo è sempre rilevante, fresco e benefico nel risolvere le questioni contemporanee. In onore delle Sue realizzazioni, le persone dell’antico paese dell’India, amanti della pace, e in particolare il Movimento Sarvodaya e lo Shanti Ashram, le conferiscono l’ottavo Premio Difensore della Pace, in questo giorno, il 5 gennaio 2001”. Shanti Ashram                                            Sarvodaya Movement Minoti Aram, Presidente                             Dott. N. Markandan, Presidente (altro…)

gennaio 2001

Sono le parole della Scrittura proposte alla riflessione dei cristiani nella Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, che si celebra in questo mese di gennaio in molti Paesi.
Non c'è forse nei Vangeli una forma più alta e più completa della definizione che Gesù dà di se stesso. E' una sintesi della sua missione e della sua identità. Ed è detta per noi, perché possiamo trovare in lui l'unica e la più sicura via al Padre. Termina infatti il versetto con le parole: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”.
Gesù ci rivela con le sue parole ciò che egli è in se stesso, e per ogni uomo e donna di questa terra.

«Io sono la via, la verità e la vita»

In che modo Gesù ci rivela che egli è la verità? Dandone testimonianza con la sua vita e il suo insegnamento.
“Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità” (Gv 18,37). Verità che, attribuita da Gesù a se stesso, significa la sua persona, la sua Parola, la sua opera.
Noi viviamo secondo la verità, noi siamo verità tanto in quanto siamo la Parola di Gesù. Ma se Gesù è la via nel senso che egli è la verità, egli è la via anche essendo per noi vita. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Nutrendoci di lui, che si è fatto pane nell'Eucaristia, oltre che con la sua Parola, cresce in noi Cristo.
A nostra volta, questa vita che è in noi dobbiamo comunicarla, per non farla spegnere, con l'unico modo che Gesù ci ha insegnato: facendone dono ai nostri prossimi.

«Io sono la via, la verità e la vita»

“Preparate la via del Signore” (Lc 3,4), gridava il Battista nel deserto di Giuda, riecheggiando il profeta Isaia. Ed ecco colui che si presenta come il Signore-Via, come Dio fattosi uomo perché noi accedessimo al Padre attraverso la sua umanità.
Ma che via ha intrapreso Gesù?
Figlio di Dio, che è Amore, è venuto su questa terra per amore, è vissuto per amore, irradiando amore, donando amore, portando la legge dell'amore, ed è morto per amore. Poi è risuscitato e salito al Cielo, compiendo il suo disegno d'amore. Si può dire che la via percorsa da Gesù ha un solo nome: amore. E che noi, per seguirlo, dobbiamo camminare per questa via: la via dell'amore.
Ma l'amore che Gesù ha vissuto e portato è un amore speciale, unico. Non è filantropia, né semplicemente solidarietà o benevolenza; neanche pura amicizia o affetto; e non è nemmeno solo non-violenza. E' qualcosa di eccezionale, di divino: è l'amore stesso che arde in Dio. A noi Gesù ha donato una fiamma di quell'infinito incendio, un raggio di quell'immenso sole: amore divino, acceso nel nostro cuore col battesimo e con la fede, alimentato dagli altri sacramenti, dono di Dio, che domanda però tutta la nostra parte, la nostra corrispondenza.

Dobbiamo far fruttare questo amore. In che modo? Amando. Non siamo pienamente cristiani senza questo nostro sicuro contributo. Amando seguiremo Gesù-Via, e saremo, come lui, via al Padre per tanti dei nostri fratelli e sorelle.
Saremo cristiani più convincenti se questo comandamento dell'amore che Gesù ci ha dato lo vivremo insieme.
Nonostante non ci sia ancora la piena unità fra noi, seguaci di Gesù, possiamo dimostrare con la vita l'amore reciproco. Con ciò abbiamo la possibilità di vedere verificarsi una promessa di Gesù: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome – che alcuni Padri della Chiesa interpretano 'nel mio amore' – io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20).
Questo dono della presenza di Gesù lo possiamo già godere noi cristiani, ad esempio fra un cattolico e un anglicano, fra una ortodossa e una metodista, fra un valdese e un armeno. Gesù in mezzo ai suoi! E così sarà egli a dire al mondo che non lo conosce ancora: “Io sono la via, la verità e la vita”.
In questo mese siamo anche più coscienti che prima di tutto l'unità dei cristiani è una grazia e che quindi bisogna chiedere questo dono. Facciamo calcolo della preghiera fatta insieme, perché Gesù ha detto: “Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà” (Mt 18,19).

Chiara Lubich

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Una gioia mai conosciuta

La voglia di vivere forti ideali di un giovane della Svizzera, a contatto con la testimonianza concreta e incisiva di due sacerdoti, trova la sua piena realizzazione nella riscoperta di Dio come Amore. Un tempo lontano dalla Chiesa, inizia a vivere l’avventura cristiana che lo porta a scoprire la chiamata al sacerdozio. Dieci anni fa, quando ancora non ero né praticante né credente, fui invitato da un amico ad una riunione nella mia parrocchia. Ricordo che quel giorno mi trovai in mezzo ad un gruppo di trenta giovani assieme a due sacerdoti che vedevo per la prima volta, poiché da anni non avevo più messo piede in chiesa. Tutto mi era estraneo. Gli argomenti di cui si parlava mi sembravano sorpassati e i due sacerdoti mi apparvero vestiti troppo bene per essere dei veri rivoluzionari perché, almeno io, così immaginavo dovessero essere dei buoni sacerdoti. Nonostante queste riserve, qualcosa in quella riunione mi attirava tanto che decisi di tornarvi un’altra volta. In quell’occasione un fatto apparentemente banale mi colpì profondamente: alla fine dell’incontro, quando si trattò di fissare l’appuntamento successivo, uno dei due sacerdoti si accorse di aver dimenticato la sua agenda nella stanza vicina. Disse appena una parola e il suo collega prontamente si alzò e gliela prese. Un fatto simile non l’avevo mai visto! Sentivo che tra quelle due persone ci doveva essere un rapporto particolare se si servivano a vicenda con tale naturalezza. Da quel momento capitavo spesso nella casa parrocchiale ed ogni volta si ripeteva per me la stessa esperienza: la loro vita di vera e profonda fratellanza mi toccava anche se non riuscivo a condividere le loro idee sulla religione e sulla Chiesa. Intanto continuavo a non andare a messa né sapevo ancora pregare: non avevo ancora trovato Dio. Invitato dai due sacerdoti qualche tempo dopo sono andato ad un convegno, e là finalmente ho scoperto il segreto di quella gioia che percepivo in loro: Dio, stesso! Di colpo mi sono reso conto che Dio era presente non solo tra coloro che, come quei sacerdoti, si amano sinceramente, ma anche nella Chiesa, nella vita ogni uomo, nell’eucaristia, dovunque. Sentivo con forza che lui solo ci poteva far felici. Ho deciso allora fare di dio l’ideale della mia vita. Così, cominciava per me una vita fino a poco tempo prima totalmente sconosciuta. Non sceglievo più i miei amici tra quelli più simpatici, ma cercavo quelli che erano soli, poco stimati. Non era più noioso andare a scuola, perché mi dava la possibilità di amare e di dare una mano a chi faceva fatica. Diventava naturale aiutare in casa per i diversi lavori o visitare una parente che in genere tutti evitavano. Altrettanto facevo con un signore che prima certamente mi avrebbe annoiato con i suoi racconti interminabili. Una volta sono stato seduto accanto a lui per 12 ore o più, solo per ascoltarlo e farlo contento. Vivendo così sperimentavo dentro di me una gioia mai conosciuta. Era Dio che incontravo dappertutto e che era diventato la risposta a tutte le mie domande. In Lui ho trovato la libertà. Se gli altri – in famiglia o a scuola – mi capivano o meno, non era più così importante, perché la mia casa, la mia famiglia ormai era un’altra: era Lui, prima di tutto. Per cui veniva spontaneo non andare magari ad una festa pur di poter partecipare alla messa e stare così con Dio. E pensare che ero diventato cristiano non per un discorso convincente e neppure per la semplice testimonianza! A capovolgere la mia vita era stato un Altro: Colui che, per l’amore, viveva fra quei sacerdoti. Tante sono state le tappe del cammino che ne è seguito. Dopo due anni circa, ho deciso di entrare in seminario, non perché il sacerdozio fosse diventato lo scopo della mia vita, ma perché avevo capito che quel Dio che avevo scelto mi voleva lì. Così in seminario l’avventura cristiana è continuata. Ero infatti convinto che non si trattava di vivere una lunga attesa per poi arrivare finalmente alla méta, ma di seguire Gesù momento per momento, facendo la sua volontà e vivendo per ogni fratello. (R. B. – Svizzera)   (altro…)

Un patto di fraternità per l’Italia

Comunicato dell’ANSA (ANSA) – ROMA, 15 DIC – Per circa mezz’ora in religioso silenzio davanti ad una timida signora dai capelli bianchi che parlava con disarmante chiarezza del principio della fraternità come base di un “patto” tra maggioranza e opposizione per una Italia migliore. L’invito ad “amare il partito altrui come il proprio perchè il bene del paese ha bisogno dell’opera di tutti” pronunciato da Chiara Lubich, fondatrice dei Focolarini, ad una sala del Refettorio, a San Macuto, strapiena e attenta, ha lasciato i politici presenti entusiasti e un po’ rapiti, certamente storditi e spiazzati. Davanti a Nicola Mancino e Luciano Violante, Chiara Lubich ha parlato a favore di una politica di comunione centrando il suo intervento sul tema della fraternità come base di confronto anche politico. “Dei tre ideali del grande progetto politico della modernità espressi dalla rivoluzione francese – ha detto Lubich – uno è ancora al punto di partenza. Quelli della libertà e ell’uguaglianza sono stati considerati, e più o meno perseguiti; la fraternità è rimasta del tutto disattesa: fraternità, sinonimo di unità, che è, fra il resto, proprio la finalità del carisma che ci anima”. In sala tanti i politici che ascoltavano la “lezione politica” della fondatrice del movimento presente oggi in 183 nazioni. Chiara Lubich è già stata capace di parlare a uomini di diverse razze ed ideologie, e oggi ha superato a pieni voti anche la prova del confronto con i politici italiani della maggioranza e dell’opposizione, alla fine concordi pienamente, senza riserve, nel lodare intervento. Oltre Violante e Mancino, in sala tanti deputati e leader di partito: Castagnetti, Parisi, Mastella, Pisanu, La Loggia, Buttiglione, Selva, Jervolino, Piscitello, il ministro Bordon e il verde Boato, il presidente delle Acli Bobba, Luigi Berlinguer. Tra i tanti, attento e sorridente, anche un senatore della Lega, Sandro Brignone, che mostrava orgoglioso la sua mozione sulla economia di comunione, una degli esperimenti sociali propri della esperienza focolarina. A presentare la Lubich (12 lauree honoris causa e 12 cittadinanze d’onore, e candidata al Nobel per la pace) è stata Lucia Fronza Crepaz , ex deputata ed esponente focolarina, come il deputato dei Democratici Giuseppe Gambale, anch’egli presente all’incontro. “Si vorrebbe proporre a tutti quanti agiscono in politica – ha detto Lubich – di impegnarsi in questo modo di vivere formulando quasi un patto di fraternità per l’Italia, che metta il suo bene al di sopra di ogni interesse parziale: sia esso individuale, di gruppo, di classe o di partito. Perchè la fraternità offre possibilità sorprendenti. Essa consente, ad esempio, di comprendere e far proprio anche il punto di vista dell’altro, così che nessun interesse, nessuna esigenza rimangano estranei”. Linguaggio e temi al di fuori della dura realtà quotidiana della politica? No, perchè – spiega – “la fraternità consente di tenere insieme e valorizzare esperienze umane che rischiano, altrimenti, di svilupparsi in conflitti insanabili, come le ferite ancora aperte della questione Meridionale e le nuove esigenze del Nord”.  Un programma solo per i credenti? Neppure. “Poichè Gesù, per attuare il piano di suo Padre, è morto per ogni uomo, ha originato un legame fra tutti nella possibilità di considerare un Padre comune che fa tutti fratelli. Anche i politici”. Alla fine, un appuntamento per il 24 gennaio aperto a tutti i politici in via dell’Arciconfraternita dei Bergamaschi a due passi dalla Camera. Un modo per “stimarsi ed amarsi di più”, gettando ponti per la fraternità, per confrontarsi “nel nostro spirito” anche su temi politici. “Queste cose – osserva Clemente Mastella, insolitamente laconico – si praticano, e non si commentano”. “Mi ha colpito la profondità e la semplicità delle parole della Lubich – ha detto Pierluigi Castagnetti – che ha fatto un intervento politico e non spirituale, perchè ha richiamato lo scopo ultimo della politica, e ha usato un linguaggio costituente, per il riferimento ai valori condivisi”. “Dopo queste parole – ha commentato Beppe Pisanu – sento già la fatica per una campagna elettorale fatta di botta e risposta. Credo che dovremmo competere nel senso di correre l’un contro l’altro a chi risolve meglio i problemi del paese. Noi ci impegneremo a una campagna impostata sull’individuazione dei problemi e delle soluzioni, senza replicare agli attacchi verbali”. Analogo il proposito di Enrico La Loggia, che si dice “profondamente colpito dall’appello altissimo” di Lubich. “E’ possibile conciliare contrapposizione politica e fraternità: occorre abbassare i toni e puntare tutto sui contenuti, esponendoli con serenità. Questo permetterà anche ai cittadini di scegliere serenamente”.     (altro…)

Ecumenismo: segni di speranza

25 Vescovi di 3 continenti, ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelici-luterani, oltre che cattolici, si sono riuniti a Castel Gandolfo (Roma) per il 19° Convegno Ecumenico di Vescovi amici del Movimento dei Focolari. “La via ecumenica è la via della Chiesa”, ha detto il Papa nel suo discorso ai Vescovi, riconfermando l’ “irrevocabile impegno” della Chiesa cattolica a lavorare per il raggiungimento della piena unità dei cristiani. “L’intenso desiderio di obbedire al comando del Signore che ‘tutti siano una cosa sola’ (Gv 17, 11) – ha ancora detto Giovanni Paolo II – è stato al centro dello spirito giubilare”. “Sono state parole forti – ha commentato in un’intervista il metropolita rumeno ortodosso Serafim – che hanno suscitato una grande gioia”, proprio perché cadevano su dubbi e ombre che recentemente si erano addensati sui rapporti ecumenici. Toccante per questi Vescovi – che con tenacia hanno sposato la causa dell’ecumenismo – l’invito del Papa a “rileggere la complessa e a volte travagliata storia delle nostre Comunità nella prospettiva dell’unica Chiesa di Cristo, dove le legittime differenze contribuiscono a rendere più splendente il volto della Sposa del gran Re”. La ricchezza delle diversità è emersa al Convegno pure attraverso meditazioni bibliche, tenute ogni giorno da un Vescovo di diversa denominazione, temi di spiritualità e riflessioni teologiche, ma anche testimonianze di laici impegnati nelle diverse Comunità. “Il grido del Cristo abbandonato: luce sul cammino verso la piena comunione tra le Chiese” – questo il Leitmotiv dell’intero Convegno. Nella sua relazione-base, Chiara Lubich ha evidenziato che “per un proficuo ecumenismo occorrono cuori toccati da Lui, che sanno vedere il suo volto divino in ogni disunità e trovano in lui la forza per non fermarsi nel trauma della divisione, ma andare sempre al di là e trovarvi rimedio”. Sabato 2 dicembre il gruppo si è recato alle Catacombe di S. Callisto, quasi a voler riannodare il contatto con il tempo delle origini, quando la Comunità cristiana era ancor indivisa. Sulle tombe dei martiri i Vescovi si sono promessi di amarsi a vicenda secondo il comando di Cristo, prima di essere poi ricevuti, assieme a Chiara Lubich, in Vaticano, per l’udienza speciale con Giovanni Paolo II. Particolare attenzione si è dedicata a recenti esperienze ecumeniche nell‘ambito dei Focolari, fra cui il promettente contatto con comunità e movimenti evangelici in varie parti della Germania. Una dimensione fondamentale è stata lo scambio di esperienze ed il dialogo tra i Vescovi, in un’atmosfera di profonda comunione. “Qui non ci sentiamo rappresentanti di Chiese diverse, ma piuttosto come una famiglia”, ha constatato un Vescovo siro-ortodosso del Medio Oriente. E un suo confratello anglicano: “Qui si vedono quasi i primi frutti di quello che speriamo si manifesterà nell’unità futura della Chiesa”. Intervenendo al Convegno, il Card. Edward I. Cassidy, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha offerto ai Vescovi una panoramica sull‘attuale situazione dell‘ecumenismo, ed ha risposto ad alcune domande sulla Dominus Jesus. Interrogato su come contribuire a sanare le ferite del passato più o meno vicino, ha risposto sottolineando l’importanza di simili convegni spirituali ed ha aggiunto: “Il dialogo teologico da solo non può ottenere questo. Occorre una maggiore pratica del comandamento nuovo di Gesù, dell’amore reciproco e fraterno. Se non abbiamo l‘unità dei cuori, non raggiungeremo l‘unità di mente”. Attraverso messaggi di saluto, si sono resi presenti anche il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, e il Primate della Chiesa d’Inghilterra, Arcivescovo George Carey. “Ammiriamo il meraviglioso lavoro del Movimento dei Focolari per incarnare gli ideali cristiani e mettere nei cuori e nelle menti di migliaia di fedeli speranza, amore e fede”, ha scritto il Patriarca Bartolomeo. E l’Arcivescovo Carey: “Il Movimento dei Focolari è una viva testimonianza dell’importanza della preghiera e della spiritualità in tutte le nostre Chiese in questo tempo”. Questi Convegni ecumenici di Vescovi amici del Movimento dei Focolari sono nati da un suggerimento di Giovanni Paolo II. Dal 1982, si sono svolti ogni anno in un luogo diverso: Roma, Istanbul, Londra, Trento, Augsburg, Gerusalemme. Attualmente sono coordinati dal Card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga.     (altro…)

Parola di vita Dicembre 2000

Questo invito di Gesù lo troviamo nell'annuncio che fa Luca della sua seconda venuta, che avverrà, quando meno la si aspetta, per l'universo creato, ma anche con la nostra morte fisica che sarà per ciascuno di noi l'incontro faccia a faccia con il Signore. “Vegliate e pregate” ripeterà Gesù nell'Orto degli Ulivi, per preparare i suoi allo scandalo della passione. Dunque in queste due parole è racchiuso il segreto per affrontare le vicende più drammatiche della nostra vita, ma anche le inevitabili prove della quotidianità. Vigilanza e preghiera sono l'una indispensabile all'altra: non si vigila senza pregare, né si prega senza essere spiritualmente desti. Fin dai tempi dei primi asceti del deserto, si cercava con ogni mezzo di coniugare le due virtù, perché nessuna tentazione potesse cogliere di sorpresa. E tanti furono i mezzi escogitati per rimanere in un atteggiamento sempre vigile ed orante. Ma per noi, oggi, nel ritmo frenetico e coinvolgente della vita moderna, quale speranza ci può essere di non lasciarci addormentare dal canto di tante sirene? Eppure quelle parole del Vangelo sono fatte anche per noi…

«Vegliate e pregate in ogni momento».

Gesù, neanche oggi può chiederci qualcosa che non siamo in grado di fare. Ed insieme con l'esortazione non può non darci anche il modo di poter vivere secondo la sua parola. Come si può dunque rimanere svegli e in guardia, come si può rimanere in un atteggiamento di preghiera costante? Forse abbiamo cercato di fare ogni sforzo possibile per chiuderci in difesa contro tutto e contro tutti. Ma non è questa la strada e non si tarda ad accorgersi che prima o poi bisogna mollare. La strada è un'altra e la troviamo sia nel Vangelo che nella stessa esperienza umana. Quando si ama una persona, il cuore vigila sempre attendendola e ogni minuto che passa senza di lei è in funzione di lei. Vigila bene chi ama. E' dell'amore vigilare.
Questo ci insegna anche la parabola delle vergini stolte e prudenti. Chi attende qualcuno che ama è vigile; non fa uno sforzo per restare sveglio, perché più forte è il sentimento che lo tiene in piedi e pronto per il momento dell'incontro. Così si fa in famiglia quando, lontani, si vive in attesa di rivedersi. E nel saluto esultante c'è tutto il gioioso lavoro della giornata. Così fa una mamma o il papà, quando prende un piccolo riposo durante l'assistenza del suo ragazzo ammalato. Dorme, ma il cuore veglia. Così agisce chi ama Gesù. Fa tutto in funzione di lui, che incontra nelle semplici manifestazioni della sua volontà in ogni momento e incontrerà solennemente nel giorno in cui verrà. La liturgia poi ci prepara questo mese ad una preghiera viva, ricca di attese, di doni, del Dono: la nascita di Gesù su questa terra, nella sua celebrazione all'inizio del terzo millennio.

«Vegliate e pregate in ogni momento».

Anche la preghiera continua è tutta questione di amore, perché, a parte i momenti dedicati alle orazioni, tutta l'esistenza quotidiana può diventare preghiera, offerta, colloquio silenzioso con Dio. Quel sorriso da donare, quel lavoro da svolgere, quella macchina da guidare, quel pasto da preparare, quell'attività da organizzare, quella lacrima da versare per il fratello o la sorella che soffre, quello strumento da suonare, quell'articolo o lettera da scrivere, quell'avvenimento lieto da condividere festosamente, quel vestito da ripulire… Se lo facciamo per amore, tutto, tutto può diventare preghiera. Per essere vigilanti, per pregare sempre, occorre dunque essere nell'amore: amare cioè la sua volontà e ogni prossimo che ci metterà accanto. Oggi amerò. Così vigilerò e pregherò ogni momento.

Chiara Lubich

 

Simposio sulla Dottrina Sociale di Igino Giordani nel ventennale della sua scomparsa

Un Convegno internazionale sul pensiero sociale di Igino Giordani, si è tenuto alla Pontificia Università Lateranense, a Roma, per iniziativa dell’università stessa e del Centro Igino Giordani. Dai molti interventi è emersa la ricchezza umana e spirituale di una delle figure più significative nella storia italiana di questo secolo: sposato e padre di quattro figli, fu scrittore, giornalista, intellettuale, uomo politico, cristiano convinto e focolarino. Giordani è stato definito anche ‘un cristiano ingenuo’ per la sua capacità di guardare al mondo con lo sguardo di Dio, con uno sguardo – cioè – d’amore, in grado di andare oltre le apparenze per scorgere quello che di positivo c’è in tutti. Pur di non scendere a compromessi, Giordani pagò con l’esilio in epoca fascista la sua passione per la libertà e la democrazia. Fu uomo di pace: per primo si batté per l’obiezione di coscienza al servizio militare. Che cos’ha da dire Giordani al politico di oggi? Oggi Giordani ripete l’invito ai grandi ideali, a considerare la politica come un grande atto di amore all’umanità intera. Ai politici diceva allora: “Tutti abbiamo bisogno di santità. I politici ne hanno bisogno in razione doppia, perché sono più esposti ai pericoli della corruzione, dell’ambizione, della lotta, dell’odio, della vendetta …”. Quanto al rapporto tra la religione e la vita dell’uomo, il concetto di fondo per lui era questo: l’uomo è immagine di Dio. Qualche volta usava questo termine, “Dio in effigie”: l’uomo è Dio in effigie. Questa è una cosa che trasforma tutti i rapporti umani. Chiunque, anche un ricco, anche un potente, anche un altro politico, è Gesù. Diceva che la storia è un “quinto Vangelo”, che Dio ci parla attraverso gli avvenimenti, anche negativi. La presenza di Dio è vera nella storia umana. Giordani si occupò anche di economia e di lavoro. La sua attenzione andava soprattutto all’uomo. In una sua opera, Giordani afferma che “la produzione è per l’uomo e non l’uomo per la produzione”. Sottolineava inoltre che la persona si realizza proprio nell’attività lavorativa, che dev’essere vissuta e animata dalla carità. Fondamentale, per Giordani, fu l’ incontro con Chiara Lubich e il Movimento dei Focolari, in cui vide una via di santità aperta a tutti. Fu come immergere la sua immensa cultura “nelle onde vivificanti della carità e dell’unità”. A partire da quel momento, il suo pensiero prese un afflato nuovo, e lui lo dice in modo concreto: “Prima ero un uomo che faceva delle battaglie”, ma da quel momento, divenne un uomo che ama, che serve.     (altro…)

«A macchia d’olio»

Come un fulmine a ciel sereno un fatto gravissimo è venuto a turbare la serenità della mia famiglia: mio cognato, sposato con mia sorella da appena sei mesi, e suo fratello vengono improvvisamente arrestati e chiusi in cella d’isolamento. L’accusa è gravissima: omicidio. La stampa locale si scatena subito a ricamare illazioni infamanti. Era una situazione assurda: tutti conoscevano la mitezza e l’onestà di mio cognato, il suo amore per la giustizia. La mia famiglia era smarrita, sbigottita. Mia sorella, incinta di un mese, si è chiusa in un dolore silenzioso, impenetrabile. Non poteva esistere una spiegazione per un incubo così assurdo. Qualche giorno dopo si viene a sapere chi è stato ad accusare mio cognato e suo fratello: due anziani coniugi, che covavano antichi rancori contro tutta la loro parentela, spinti dal dolore per aver perso alcuni mesi prima un figlio in un agguato mafioso, avevano deciso di farsi giustizia dando sfogo, con un’arbitraria denuncia, a quella vecchia inimicizia. Per i miei e per me è stato un nuovo enorme dolore: quelle persone, infatti, abitano da sempre quasi di fronte a casa nostra, e con la nostra famiglia erano amici quasi intimi. Ora capivamo il loro comportamento da qualche tempo inspiegabilmente differente dal solito. La reazione da parte dei miei è stata di tagliare immediatamente qualsiasi tipo di rapporto con loro: mai più un saluto, mai più uno sguardo. Solo odio e disprezzo. Il male che ci avevano fatto era troppo grave. Mi sembrava che l’amore fosse scomparso dalla mia casa. Capivo che in quell’assurda situazione, in quel crudo dolore, c’era un’occasione incredibile di vivere e sperimentare un amore più grande, che andasse oltre la logica umana. Ma dovevo cominciare io: ” “Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia” (Mt 5,7). Sapevo di andare contro la mentalità di tutti, ma ero certo che Gesù mi avrebbe dato la forza e che l’unità con i miei amici mi avrebbe guidato e sostenuto in ogni momento. Quando passavo davanti alla casa dei nostri vicini non affrettavo l’andatura e sollevavo lo sguardo verso le loro finestre: “Buona giornata, signora! Come sta?”. Nonostante tutto, al di là di tutto, in loro potevo vedere e amare Gesù. I miei parenti e tutto il vicinato mi consideravano un traditore. La tensione in casa cresceva. Cercavo di ascoltare, di capire, di essere a disposizione di tutti e di servirli, ma andavo avanti nella decisione di amare anche i nemici. Il parroco mi ha chiesto, un giorno, di accompagnare un sacerdote nel suo giro presso alcune famiglie, per le confessioni degli ammalati. Proprio in casa delle persone che avevano tramato contro mio cognato c’era un anziano da visitare. Davanti al loro portone, prima di entrare, ho rinnovato anche con il prete il patto di amare Gesù in ogni fratello fino alle estreme conseguenze. Tornato a casa, tutti erano al corrente della mia visita ai vicini. Nuove scenate e umiliazioni, nuova incomprensione. Ma, nell’anima, nuova forza per andare controcorrente. Il giorno dopo, inaspettatamente, mia sorella, che più di tutti soffriva per quanto era accaduto al marito, ha preso la parola e ha comunicato a tutta la famiglia che anche lei aveva scelto la via dell’amore. Ci diceva di aver capito che solo amare tutti è la via giusta, l’unica che le avrebbe permesso di portare luce e conforto vero al marito innocente, durante le visite in carcere. E che anche la creatura che portava in grembo doveva crescere nell’amore e nella pace, non nel rancore e nell’agitazione. Qualche giorno dopo, ho accompagnato mia sorella al carcere e ho rivisto mio cognato. È stato un momento di gioia profonda e di penetrante angoscia. Parlando insieme, fra le lacrime, sentivamo nascere e rafforzarsi in noi la convinzione che solo Gesù, l’innocente calunniato e condannato, poteva far trionfare la verità e la giustizia, se ognuno di noi fosse rimasto nel suo amore. Eravamo in quattro: mia cugina, mia sorella, io e mio cognato in carcere, a portare avanti la nostra battaglia pacifica. Sei mesi dopo l’arresto, mio cognato e suo fratello sono stati liberati e totalmente scagionati. In quest’esperienza così cruda e dolorosa, la luce dell’amore di Dio ci ha toccato tutti ed è entrata con forza nella vita di mio cognato e di mia sorella. Li ha marchiati per sempre e ha fatto loro capire che, in qualsiasi situazione, nessuno mai può toglierci la libertà più grande, quella di amare. Ora tutto è passato: la vita è ricominciata, allietata dalla gioia per la nascita di una bellissima bambina. Quella luce è rimasta. S. S. – Italia   (altro…)

Verso una nuova pedagogia

Un avvenimento di particolare attualità ha avuto luogo a Washington, venerdì 10 novembre, alla Basilica Nazionale dell’Immacolata Concezione, gremita da oltre 3.000 persone tra cui anche ebrei, buddisti, indù e numerosi musulmani afro americani, per il conferimento a Chiara Lubich della Laurea h.c. in Pedagogia da parte dell’Università Cattolica d’America. Il Card. Hickey, di Washington, ha parlato dei segni della “primavera della Chiesa”. Nella Laudatio è stata sottolineata la preghiera di Gesù “Che tutti siano uno”, al cuore della spiritualità dei Focolari, che continua a ispirare numerosissimi uomini e donne di ogni tradizione religiosa a fare di quella preghiera il programma della loro vita. E, nella sua lezione, Chiara Lubich ha delineato i tratti della nuova pedagogia che trae linfa dal Vangelo, la spiritualità dell’unità. “Una pedagogia che porta a fare del nostro mondo – aveva detto – non una Babele senz’anima, ma un’esperienza del Dio con noi, capace di abbracciare l’umanità”. Il teologo David Schindler, di Washington, in un’intervista parlava di “risposta di particolare attualità” per la situazione in America, per la frantumazione e mancanza di speranza, e il cinismo così diffusi oggi: “Basti l’esempio delle attuali elezioni”. Ultima tappa dell’ intenso viaggio a Washington: il colloquio della neo-laureata con studenti e docenti dell’Università Cattolica d’America, il pomeriggio di martedì 14 novembre. Prima di rispondere alle domande, Chiara Lubich ha voluto dare trasparente testimonianza dell’azione dello Spirito che ha suscitato l’opera da lei fondata. Ed ha motivato l’accettazione di questi riconoscimenti – è la 12ma laurea honoris causa – a gloria di Dio “perché vedano le buone opere del Padre” non solo in senso spirituale, ma “a dimostrazione che Dio, e il suo Spirito, ha operato un rinnovamento anche nel campo umano”. E dal fitto dialogo è emerso proprio questo rinnovamento nel campo degli studi, dell’economia, della pedagogia, della teologia in rapporto con le altre religioni. Il prof. David Schindler ne ha sottolineato la radice: “Nessun agire economico, sociale o politico può fare a meno” di quello che ha definito “realismo dell’innocenza da cui traspare l’amore”.     (altro…)

Comunità di fedi diverse, insieme verso una convivenza armoniosa della famiglia umana

Washington, domenica 12 novembre 2000 “Non è più tempo per vivere isolati. Cristiani e musulmani si devono incontrare e conoscere. Questo è quanto possiamo mostrare: persone di religioni diverse che si riconoscono parte di un’unica umanità; persone che hanno trovato una vita nuova perché il peso dei pregiudizi è stato levato dal loro cuore”. Così l’Imam W.D. Mohammed, leader degli afro-americani musulmani, riconosciuto in campo internazionale, motiva l’iniziativa della grande Convention a cui ha invitato Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Già nel 1997, Chiara Lubich, prima donna, bianca e laica, era stata invitata dall’Imam a parlare della sua esperienza spirituale nella Moschea Malcolm X di Harlem (New York), davanti a migliaia di musulmani afro americani. Da allora si sono moltiplicati i rapporti tra i membri dei Focolari e le comunità musulmane di molte città americane. Sono nate numerose iniziative di collaborazione. L’Imam W.D. Mohammed, 67 anni, figlio di Elijah Mohammed, fondatore della Nazione dell’Islam, movimento per il riscatto morale e sociale degli afro-americani, è il leader dell’ala pacifista da lui fondata: la Società Musulmana americana con 2 milioni di aderenti. Tra i presidenti della Conferenza mondiale delle religioni per la pace (WCRP), è da anni impegnato nel dialogo interreligioso. Recentemente ha offerto amicizia e riconciliazione a Louis Farrakham, suo antico rivale, fatto che ha avuto grande eco sulla stampa americana. Nell’ottobre scorso era tra i leaders religiosi intervenuti in P.zza San Pietro con il Papa, per il grande incontro interreligioso. Chiara Lubich è fondatrice e presidente di un Movimento diffuso in oltre 180 Paesi, con oltre 7 milioni di aderenti e simpatizzanti, impegnato ad aprire nuove vie all’unità della famiglia umana, col dialogo tra le religioni, tra cristiani di varie Chiese, persone di convinzioni non religiose. Sin dagli anni ’60 i primi contatti con il mondo dell’Islam in Algeria hanno avviato un dialogo assai promettente, nella reciproca stima e conoscenza. Ora fra gli amici musulmani del Movimento ci sono imam e fedeli praticanti di molti paesi. Chiara Lubich è tra i presidenti onorari della WCRP, Premio Templeton ’77 per il Progresso della Religione, Premio Unesco ‘96 per l’Educazione alla Pace. Aprirà il grande incontro il card. William Keeler, arcivescovo di Baltimora, anch’egli tra i presidenti della WCRP. Prenderanno poi la parola W.D. Mohammed e Chiara Lubich, che presenterà “una spiritualità dell’Unità per una convivenza armoniosa della Famiglia Umana”, e importanti leaders cristiani, ebrei, buddisti. La sera precedente, 11 novembre, spettacolo con la partecipazione del Gen Rosso e artisti della Muslim American Society. Il 10 novembre, Chiara Lubich riceverà una laurea h.c. in Pedagogia dalla Catholic University of America. Saranno presenti anche numerosi musulmani.     (altro…)

Laurea h.c. in Pedagogia a Chiara Lubich dall’Università Cattolica d’America

Un avvenimento di particolare attualità ha avuto luogo a Washington, venerdì 10 novembre, alla Basilica Nazionale dell’Immacolata Concezione, gremita da oltre 3.000 persone tra cui anche ebrei, buddisti, indù e numerosi musulmani afro americani, per il conferimento a Chiara Lubich della Laurea h.c. in Pedagogia da parte dell’Università Cattolica d’America. Il Card. Hickey, di Washington, ha parlato dei segni della “primavera della Chiesa”.   Nella Laudatio è stata sottolineata la preghiera di Gesù “Che tutti siano uno”, al cuore della spiritualità dei Focolari, che continua a ispirare numerosissimi uomini e donne di ogni tradizione religiosa a fare di quella preghiera il programma della loro vita. E, nella sua lezione, Chiara Lubich ha delineato i tratti della nuova pedagogia che trae linfa dal Vangelo, la spiritualità dell’unità. “Una pedagogia che porta a fare del nostro mondo – aveva detto – non una Babele senz’anima, ma un’esperienza del Dio con noi, capace di abbracciare l’umanità”. Il teologo David Schindler, di Washington, in un’intervista parlava di “risposta di particolare attualità” per la situazione in America, per la frantumazione e mancanza di speranza, e il cinismo così diffusi oggi: “Basti l’esempio delle attuali elezioni”. Ultima tappa dell’ intenso viaggio a Washington: il colloquio della neo-laureata con studenti e docenti dell’Università Cattolica d’America, il pomeriggio di martedì 14 novembre. Prima di rispondere alle domande, Chiara Lubich ha voluto dare trasparente testimonianza dell’azione dello Spirito che ha suscitato l’opera da lei fondata. Ed ha motivato l’accettazione di questi riconoscimenti – è la 12ma laurea honoris causa – a gloria di Dio “perché vedano le buone opere del Padre” non solo in senso spirituale, ma “a dimostrazione che Dio, e il suo Spirito, ha operato un rinnovamento anche nel campo umano”. E dal fitto dialogo è emerso proprio questo rinnovamento nel campo degli studi, dell’economia, della pedagogia, della teologia in rapporto con le altre religioni. Il prof. David Schindler ne ha sottolineato la radice: “Nessun agire economico, sociale o politico può fare a meno” di quello che ha definito “realismo dell’innocenza da cui traspare l’amore”.   (altro…)

Parola di vita Novembre 2000

Se c'è una parola della Scrittura che, come e più di ogni altra, esprime la rivelazione di Dio in Gesù Cristo, questa è la misericordia. Nella grandiosa teofania del Sinai, il Signore aveva rivelato a Mosè: “Io sono un Dio pietoso, che serba le sue misericordie per mille generazioni”. All'alba del giorno messianico, Maria annuncia ad Elisabetta che l'Onnipotente si è ricordato della sua misericordia e ciò che è nato in lei ne è la riprova. Ecco dunque congiunti in Gesù, figlio di Dio e di Maria, l'amore paterno e materno di Dio, così bene significati dai due termini ebraici che vengono usati per definire la misericordia: e cioè un profondo atteggiamento di bontà che manifesta la fedeltà di Dio verso se stesso e l'aver “viscere di madre” verso tutti. Ma cos'è che fa la misericordia così potente da aver sempre la meglio sulla giustizia? E perché Gesù dà tanto rilievo a questa virtù al punto di farne una condizione per la salvezza personale?

«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia».

Come ben spiega Giovanni Paolo II, la misericordia è “la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome”. Per lui le parole della beatitudine costituiscono una sintesi di tutta la Buona Novella che è la rivelazione dell'amore salvifico di Dio e l'invito fatto a tutti di essere “misericordiosi come il Padre” e come colui che del Padre è l'immagine più fedele, Gesù. Nella preghiera del “Padre nostro” ritorna, con altre parole, lo stesso tema della beatitudine: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. E' legge scritta in Cielo che il condono dei nostri debiti ci arriverà in proporzione di quanto avremo saputo perdonare ai fratelli e alle sorelle. Il tema della misericordia e del perdono pervade tutto il Vangelo. In fondo, lo scopo di Gesù è quello che ci ha rivelato nella sua preghiera finale, la notte prima della passione: l'unità di tutti, uomini e donne, in una grande famiglia che ha il suo modello nella Trinità. Tutto il suo insegnamento tende solo a darci, con il suo amore, lo strumento per realizzare questa altissima comunione fra noi e con Dio. E la misericordia è appunto l'ultima espressione dell'amore, della carità, quella che la compie, che la rende cioè perfetta.

«Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia».

Cerchiamo dunque di vivere in ogni nostro rapporto quest'amore agli altri in forma di misericordia! La misericordia è un amore che sa accogliere ogni prossimo, specie il più povero e bisognoso. Un amore che non misura, abbondante, universale, concreto. Un amore che tende a suscitare la reciprocità, che è il fine ultimo della misericordia, senza la quale ci sarebbe solo giustizia, che serve a creare eguaglianza ma non fraternità. Oggi si parla spesso di perdono negato a chi ha commesso gravi crimini. Si chiede vendetta più che giustizia. Ma noi, dopo aver cercato in ogni modo di risarcire il danno, dobbiamo lasciare il campo al perdono, il solo in grado di sanare il trauma personale e sociale prodotto dal male. “Perdonate e vi sarà perdonato.” E allora, se abbiamo ricevuto qualsiasi offesa, qualsiasi ingiustizia, perdoniamo e saremo perdonati. Siamo i primi a usare pietà, ad esprimere compassione! Anche se sembra difficile e ardito, chiediamoci, di fronte ad ogni prossimo: come si comporterebbe sua madre con lui? E' un pensiero che ci aiuterà a capire e a vivere secondo il cuore di Dio.

Chiara Lubich

 

"Spirito di Assisi", memoria e profezia "All'alba del terzo Millennio"

Cristiani in dialogo con le altre Religioni

Dall’evento storico del 26-27 ottobre 1986, incontro di preghiera per la pace di tutte le religioni del mondo, sono trascorsi 14 anni.

Per ricordare tale evento, e alla luce dei fatti odierni, Assisi ha ospitato due giornate di riflessione all’insegna del dialogo e della comunione nella Chiesa cattolica, fra le Chiese cristiane, e con le altre religioni nelle Basiliche Inferiore e Superiore di san Francesco.

 

Incontro mondiale del Papa con le famiglie

L’evangelizzazione dei figli è importante per tutti, per l’oggi e per il domani della Chiesa e della società. Educare un figlio significa, in definitiva, farlo incontrare con Gesù che ha promesso: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Egli è presente dove si è uniti nella sua volontà, nell’amore reciproco che lui stesso ci ha insegnato, attraverso la sua arte di amare.

Ancora, Gesù è nella sua Parola. Come ai figli piccoli si spezza il pane quotidiano, così in famiglia occorre spezzare il Vangelo, vivendolo nelle piccole e grandi occasioni della giornata. Così si forma nei bambini una mentalità come quella di Gesù, che anche nei periodi di prova li guiderà sempre.

Davvero i bambini sanno vivere ancora meglio di noi con generosità e totalitarietà la Parola di Dio. Un esempio: Irene, Ilaria e Laura, tre sorelline di Firenze, vanno con la mamma a fare spese in macchina. Passano davanti alla casa del nonno e chiedono di poter slire a salutarlo. “Andate voi – dice la mamma – io vi aspetto in macchina”. Quando ritornano chiedono:”Perchè non sei venuta?” E lei:”Il nonno non si è comportato bene con me; così capisce…” Ilaria la interrompe:”Ma mamma, stiamo vivendo la Parola: amare tutti, quindi anche i nemici…” La mamma non sa che dire. La guarda e sorride:”Avete ragione. Aspettatemi qui”. E sale dal nonno.

Sintesi Intervento di Chiara Lubich
12.10.2000
 

 

Conferenza dei ragazzi per il futuro

Messaggio programmatico per i politici del mondo messo a punto a Tokyo dalla prima “Conferenza dei ragazzi per il futuro” e consegnato dalla Fondazione Arigatou a tutte le ambasciate, che l’hanno fatto pervenire ai rispettivi governi. Verrà consegnato anche direttamente a dirigenti nazionali e locali, da parte dei giovanissimi partecipanti, per intavolare quel dialogo tra generazioni che si auspica diventi un contributo efficace per il futuro che appartiene loro.   (altro…)

Parola di vita Ottobre 2000

E' una parola essenziale per comprendere il rapporto di Gesù con la ricchezza. L'immagine è forte, paradossale com'è nello stile semitico. Tra la ricchezza e il regno di Dio c'è incompatibilità ed è inutile voler annacquare un insegnamento che più volte ritroviamo nella predicazione di Gesù, quando dirà, ad esempio, che non si può servire Dio e mammona (cioè la ricchezza). O quando sembra chiedere al giovane ricco rinunce impossibili all'uomo ma non a Dio. Ma cerchiamo di capire il vero senso di questa Parola da Gesù stesso, dal suo modo di comportarsi con i ricchi. Egli frequenta anche persone benestanti. A Zaccheo, che dà soltanto metà dei suoi beni, dice: “La salvezza è entrata in questa casa”. Gli Atti degli Apostoli testimoniano inoltre che nella Chiesa primitiva la comunione dei beni era spontanea e libera. Gesù non aveva dunque in mente di fondare soltanto una comunità di persone chiamate a seguirlo, che lasciano da parte ogni ricchezza. Eppure dice:

«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».

Che cosa condanna allora Gesù? Non certamente i beni di questa terra in sé, ma chi è attaccato ad essi. E perché? E' chiaro: perché tutto appartiene a Dio e il ricco invece si comporta come se le ricchezze fossero sue. Il fatto è che le ricchezze prendono facilmente nel cuore umano il posto di Dio e accecano e facilitano ogni vizio. Paolo, l'Apostolo, scriveva: “Coloro che vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste, che fanno affogare gli uomini in rovina e perdizione. L'attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da se stessi tormentati con molti dolori”. Quale allora l'atteggiamento di chi possiede? Occorre che egli abbia il cuore libero, totalmente aperto a Dio, che si senta amministratore dei suoi beni e sappia, come dice Giovanni Paolo II, che sopra di essi grava un'ipoteca sociale. I beni di questa terra, non essendo un male per se stessi, non è il caso di disprezzarli, ma bisogna usarli bene. Non la mano, ma il cuore deve star lontano da essi. Si tratta di saperli utilizzare per il bene degli altri. Chi è ricco lo è per gli altri.

«E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».

Qualcuno però potrebbe dire: io non sono ricco per davvero, quindi queste parole non mi riguardano. Bisogna fare attenzione. La domanda che i discepoli costernati hanno fatto a Cristo subito dopo questa sua affermazione è stata: “Chi si potrà dunque salvare?” . Essa dice chiaramente che queste parole erano rivolte un po' a tutti. Anche uno che ha tutto lasciato per seguire Cristo può avere il cuore attaccato a mille cose. Anche un povero che bestemmia perché gli si tocca la bisaccia può essere un ricco davanti a Dio. Eppure tanti ricchi, nella storia della Chiesa non si sono tirati indietro e hanno seguito Gesù nella via della povertà più radicale. Com'è stato di Eletto, che conoscevo bene: un giovane alto, bello, intelligente e ricco, che quando ha sentito la chiamata di Dio a seguirlo, non ci ha pensato un attimo. Non si è voltato indietro. Sembrava che le ricchezze per lui non esistessero affatto. Donò ogni suo bene e anche la vita. Mentre compiva un atto di carità verso un ragazzo trovò la morte in un lago a soli 33 anni. Là, sulla costa, una lapide-ricordo porta scritte queste sue parole: “Ho scelto Dio solo, nessunissima altra cosa”. Eletto, apparendo davanti a Gesù, non si è certamente sentito ripetere: “E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli”.

Chiara Lubich

 

NEW HUMANITY alle NAZIONI UNITE

Vivo interesse delle Nazioni Unite per le proposte di New Humanity (ong del Movimento dei Focolari presso l’ONU) sulle riduzioni del debito estero dei paesi più poveri e cooperazione allo sviluppo. Sono state presentate nel corso di un workshop svolto il 28 agosto scorso nel Palazzo delle Nazioni Unite a New York. Vi sono intervenuti, assieme ad imprenditori impegnati nel progetto di Economia di Comunione, che coinvolge 750 aziende in tutti i continenti, l’economista olandese Leo Andringa, che ha esposto la proposta di New Humanity di una Tassazione degli Scambi Monetari Internazionali che, pur applicata a livello molto ridotto, raccoglierebbe ingenti risorse, capaci di ridurre il peso del debito internazionale che sta opprimendo i piccoli e grandi paesi in via di sviluppo.

New Humanity ha ospitato al suo workshop anche il Senatore della Repubblica Italiana Ivo Tarolli, che ha esposto la legge per la cancellazione dei crediti nei confronti dei paesi più poveri appena approvata in Italia, ed un suo Disegno di Legge che accoglie le proposte di New Humanity e disegna una nuova forma di cooperazione internazionale, in cui la società civile, le organizzazioni non governative e le organizzazioni private diventano protagoniste nell'utilizzo a fini sociali delle risorse lasciate liberate nei paesi emergenti dalla riduzione del peso del debito internazionale.

 

In mille per Chiara cittadina onoraria.

INCISA — Oltre un migliaio di persone hanno festeggiato ieri pomeriggio la cittadinanza onoraria che Incisa ha conferito a Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari che conta diversi milioni di seguaci in ogni parte del mondo. Per la comunità incisana si è trattato di un evento eccezionale, svoltosi alla presenza di autorità ad alto livello.
Un'occasione per il sindaco Manuele Auzzi per ripercorrere le tappe storiche della prima “mariapoli” fondata dalla professoressa Lubich sui terreni regalatigli dalla famiglia Folonari proprio a Loppiano, sulle colline di Incisa. Il sindaco, prima di consegnare la pergamena con le motivazioni ufficiali che hanno portato all'onoreficienza, ha tracciato anche un profilo di questo “simbolo” per la pacifica convivenza fra gente diversa per razza, cultura e religione. Un discorso pieno di significati che si è concluso con l'annuncio della concessione dei permessi per costruire una nuova, grande chiesa proprio nel cuore della cittadella dei Focolarini.
Poi è toccato a Chiara Lubich salire sul palco dove era stata ricostruita la scenografia del Municipio e su cui avevano preso posto i consiglieri comunali e il sindaco.
Dopo un interminabile applauso, la professoressa ha voluto ricordare i vari personaggi che hanno fatto grande Loppiano, partendo dal 1962, quando appunto si è concretizzato il primo atto del Centro Internazionale incisano.
Alla fine, la Lubich ha accolto l'invito del sindaco a istituire proprio a Loppiano un Centro Permanente per la Pace: “Assieme ai miei collaboratori vedremo come poter fare — ha detto — ma di sicuro cercheremo di realizzarlo”.

 

«Ero ricca delle mie ragioni…»

Carico l’auto e parto di corsa: quando arrivo a casa di mia sorella, cerco la borsetta ma non la trovo. Mi rendo conto di averla smarrita chissà dove durante il tragitto. La borsetta contiene molti effetti personali: agenda, documenti, foto di famiglia, ma anche soldi non miei, provenienti dalla comunione dei beni tra alcune persone e destinati ad una di noi in difficoltà. Questo smarrimento è l’ultimo di una serie di fatti che mi sono successi per distrazione in questi ultimi tempi, che sto vivendo con la mente altrove, in preoccupazioni famigliari. Mio papà si è ammalato seriamente e gli occorre, oltre alle cure mediche, un supplemento di attenzioni ed affetto da parte di noi figli. Non riesco a fare questo, nutro risentimenti nei suoi confronti, perché lo ritengo responsabile di certe situazioni, e questo, oltre a farmi star male, mi spinge a limitare al massimo le mie visite. Ora sono lì davanti alla porta della sua stanza, e quasi gli attribuisco anche la responsabilità di questo ultimo fatto, e sento forte, nell’anima una voce che mi dice: “… Durante questo ultimo periodo hai perso il tuo tempo, ti sei fermata a pensare a quello che è giusto o meno, da quale parte stia la ragione, sei ricca delle tue ragioni; occorre amare Gesù in lui, senza porre alcuna condizione”. E’ un richiamo così forte da parte di Dio, che varco d’impeto la porta della stanza, e semplicemente, senza dirgli tante cose, rimango accanto a papà. So che fà fatica a camminare, e gli insegno degli esercizi specifici, per amarlo come lui vuole essere amato. Questo mio piccolo passo produce subito in lui un cambiamento: improvvisamente da ammalato rassegnato, dimostra di voler guarire, decide di alzarsi, è pieno di buona volontà. Esco dalla stanza e mi ricordo dei soldi che ho smarrito; mi rivolgo a Gesù dicendo: “Ho capito che hai permesso che accadesse questo per farmi comprendere che devo amare sempre senza porre condizioni. Quei soldi tuttavia sono per un fine buono … aiutami a ritrovarli!”. Arrivo a casa, e dopo qualche minuto suona il campanello. E’ un taxista che ha ritrovato la mia borsetta in mezzo alla strada, in pieno traffico. L’apro, e non trovando i soldi, esclamo: “Sono andati persi!”. E lui, di rimando: “Guardi, signorina, che li ho riposti nel portafogli!”. N.N. – Cile   (altro…)

Parola di vita Settembre 2000

Queste parole di Gesù sono dirette alla folla dei suoi ascoltatori che ben conoscevano quelle norme che l'Antico Testamento e l'insegnamento rabbinico avevano dettato per potersi appressare all'area sacra del tempio. Era un rituale complesso di abluzioni e di lavature di oggetti che poco prima il Vangelo di Marco aveva descritto . Ma quella purificazione esteriore non doveva essere che l'espressione di una purezza interiore, spirituale, mentre in realtà, si finiva col dimenticare il vero significato di quelle pratiche rituali, concentrandosi in una osservanza scrupolosa e formale, di innumerevoli regole.

«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».

Anche se questa affermazione era perfettamente compatibile con la legislazione giudaica , tuttavia la presa di posizione di Gesù era in quell'epoca molto coraggiosa, perché andava controcorrente. Egli si riallacciava alla grande tradizione dei profeti che avevano sempre richiamato il popolo ad un culto autentico e cioè praticato nell'intimo delle coscienze e non solo esteriormente con l'unica preoccupazione di evitare un contatto fisico con cibi e oggetti dichiarati impuri. Qui dunque Gesù, come in tutta la sua predicazione e il suo comportamento, non vuole abolire la Legge, ma portarla a compimento, cioè riportarla al suo profondo significato e scopo che è quello di avvicinare l'uomo a Dio.

«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».

“… sono le cose che escono dall'uomo a contaminarlo”. Questa seconda parte della frase di Gesù tratta invece della vera contaminazione: l'uomo è contaminato non da ciò che entra in lui, ma da ciò che esce da lui. E dall'interno, dal suo cuore, salgono i pensieri e le “cattive intenzioni” che sono all'origine di: “fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza”. Gesù, pur valutando positivamente la creazione, pur sapendo che l'uomo è stato creato ad immagine di Dio, conosce l'essere umano e la sua inclinazione al male. Per questo esige la conversione. Dalle parole che stiamo considerando, balza evidente e netta la sua severità morale. Egli vuole creare in noi un cuore puro e sincero dal quale sgorghino, come da limpida sorgente, buoni pensieri ed azioni irreprensibili.

«Non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo».

Come viviamo allora questa Parola? Se non sono le cose, gli oggetti, gli alimenti, e tutto ciò che viene dal di fuori a renderci impuri, ad allontanarci dall'amicizia con Dio, ma l'io stesso dell'uomo, il suo cuore, le sue decisioni, è evidente che, in concreto, Gesù vuole che riflettiamo sulla motivazione profonda dei nostri atti e del nostro comportamento. Per Gesù – lo sappiamo -, vi è una sola motivazione che rende puro tutto quanto facciamo: l'amore. Chi ama non pecca, non uccide, non denigra, non deruba, non tradisce… E allora? Lasciamoci guidare, ventiquattr'ore su ventiquattro, dall'amore; dall'amore per Dio e per i nostri fratelli e sorelle. Saremo cristiani al cento per cento.

Chiara Lubich

 

Esperienze GENFEST 2000

Sergej, russo ortodosso Da bambino gli avevano insegnato che Dio non esiste e che la fede è una favola per vecchiette. Ciao, mi chiamo Sergej. Da bambino in Russia mi hanno insegnato che Dio non esiste e che tutti i discorsi sulla fede non sono che favole per vecchiette. Quando sono cresciuto mi sono accorto che il mondo è crudele e che dovevo lottare per ottenere qualcosa. Non m’interessavano gli altri e nemmeno le persone più deboli, come gli anziani, anzi li disprezzavo e li prendevo in giro. In realtà, dietro questo mio atteggiamento, si nascondeva la paura della sofferenza: non avevo una risposta al dolore e perciò cercavo di chiudere gli occhi. Quando ho incontrato i Giovani per un mondo unito, ho conosciuto un altro mondo, il mondo della solidarietà e del rispetto reciproco. Un mondo molto più bello. Timidamente ho provato a vivere così, ad amare tutti facendo il primo passo verso gli altri. Poi i miei nuovi amici mi hanno fatto la proposta di vivere il Vangelo, frase per frase, giorno dopo giorno. Ma che parole! Solo un Dio poteva avere il coraggio di chiedere così tanto all’uomo! Vivendo le sue parole ho conosciuto Gesù. Dopo alcuni mesi ho sentito il bisogno di avvicinarmi alla chiesa ortodossa e mi sono fatto battezzare. Ora Gesù fa parte della mia storia e della mia vita. Così mi sono ricordato dei miei nonni che sono molto anziani e ricevono la loro piccola pensione solo ogni tanto. Non avevo nessun rapporto con loro. Ho incominciato ad andare a trovarli e finiti gli studi mi sono trasferito da loro per poterli aiutare. Non era facile come potete immaginare, anche perché i nonni sono atei convinti e osservano con tanto sospetto la mia appartenenza alla chiesa. Ma oggi viviamo come una vera famiglia e io ho capito che l’amore annulla anche le distanze tra le generazioni. INDIA Mi chiamo Avinash e vengo da Bombay. Quando ho conosciuto i giovani per un mondo unito sono stato toccato subito dal fatto che c’erano uomini e donne, giovani ed anziani, di esperienze e religioni diverse. Sembravano non avere nulla in comune e nello stesso tempo ciascuno di loro aveva un sorriso splendido. Sono stato calorosamente accolto ed introdotto tanto che lo ricordo come uno dei momenti più felici della mia vita. Da quel momento in poi ho sperimentato di fare parte di una bellissima, grande famiglia. Anche se gli altri erano cristiani ed io indù, non mi sono mai sentito escluso quando stavo con loro. Ci scambiavamo le nostre idee, i nostri pensieri e la nostra vita. Sono rimasto sorpreso di scoprire che avevamo problemi simili nella vita quotidiana. Venivamo da diversi mondi, ma ognuno rispettava l’esperienza, il modo di pensare dell’altro.  Dbbiamo anche scoperto che avevamo tanti punti in comune nelle nostre rispettive religioni, e al di la di tutto scoprimmo che c’era una Regola d’oro in tutte.  In India Mahatma Gandhi dice : “Non posso urtarti senza urtare me stesso”, che è simile a quanto dice Gesù: “Fai agli altri quanto vorresti che sia fatto a te.”  L’unità con gli altri giovani m’ha dato la forza di cambiare molti rapporti non facili. Ho capito che dovevo accettare le persone come erano, senza pretendere che cambino.  Ero io a cambiare. Ci siamo guardati intorno offrendoci come volontari in molte azioni a beneficio di quanti erano disagiati: abbiamo organizzato la raccolta dei fondi per quanti erano stati toccati dalle calamità naturali, aiutando ed assistendo le persone anziani e gli orfani. Ho sperimentato tanta gioia con questo impegno che dava senso alla mia vita avvicinandomi a Dio.  Come indù prego ogni notte e vado nel tempio almeno una volta in settimana. Ma ho sperimentato che Dio non è solamente con me quando prego, ma è sempre lì con me, in me e fuori di me. Mi meraviglio spesso come in un paese come il mio di 1 miliardo di persone ho avuto questa opportunità di incontrare questo meraviglioso ideale dell’unità.   Tutta la mia vita ho sempre pregato Dio per chiederGli molte cose. Ma dopo questa esperienza Lo prego di indicarmi la strada per realizzare il suo piano su di me. FILIPPINE – MINDANAO Il dialogo tra cristiani e musulmani è diventato la mia passione. Non perdo occasione per raccontare l’esperienza continua che l’Amore vince tutto. Sono nata in una famiglia musulmana e vengo da Mindanao, la Terra Promessa delle Filippine. Sono cresciuta con la mentalità che i ‘non-musulmani’ sono i nemici dell’Islam.   L’educazione, però, mi ha fatto capire l’importanza di costruire il dialogo. Dai membri del Movimento dei Focolari ho imparato l’arte di fare il dialogo: un modo semplice e concreto per farmi uno con l’altra persona, perdendo la mia idea o semplicemente essere la prima a fare un favore. Ho imparato che l’unità è possibile facendo un atto di generosità, di rispetto o di accettazione.  Nel 1994 ho partecipato all’ Incontro Internazionale Musulmano-Cristiano. Sono rimasto molto colpito dal numero di musulmani, soprattutto Imam, che condividevano l’idea che l’unità è veramente possibile. Prima ho ricordato la mia bellissima, tranquilla ed armoniosa terra di Mindanao.  Oggi presenta un quadro contraddittorio, che la nostra gente, composta da musulmani e da cristiani, mai avrebbe desiderato. Il contrasto che ora stiamo sperimentando a Mindanao è una questione politica, che si discute ad alto livello, ma non è portata alla comprensione della grande maggioranza.  La religione non ha niente a che fare con questo. I ribelli musulmani lottano per quello che credono sia il loro più antico diritto, l’ “autonomia”. Tutti richiedono che si concluda questa guerra e che si risolva pacificamente. Però, il governo è deciso nella sua posizione di usare la guerra per raggiungere la pace. Io posso solo fare cose piccole, ma concrete. Sono ritornata ai miei libri e ho ristudiato la nostra storia. Soltanto dopo potrò formulare la mia opinione su come si può risolvere questo conflitto. Però credo fermamente che l’unica cosa che può portare la pace in realtà è l’amore. Ho sentito il mio ruolo di messaggera di pace. Ho cominciato varie attività cercando di promuovere comprensione. Insegnavo in un’ Università Cattolica e questo mi ha permesso di stabilire un rapporto con i giovani, Musulmani e Cristiani.  Conoscendo la situazione in Mindanao, i miei amici del Focolare sono stati immediati nell’amore concreto. Ora aiutiamo un gruppo di 500 famiglie musulmane che si sono trasferite vicino alla mia città, e un altro gruppo di 300 famiglie, anche musulmane, di un’altra città. I miei amici musulmani si sono sorpresi di ricevere un tale aiuto da gente  cristiana. Costruire la pace non è solo una scelta personale. Per me, mi sembra, c’è una forza divina che mi spinge dal di dentro ad essere uno strumento di pace.   (altro…)

Il progetto Africa

“Potremo mai un giorno condividere la nostra cultura con l’Occidente?” L’interrogativo è posto da un africano, Martin Nkafu, docente di cultura africana alle Università Pontificie di Roma, che dà voce alla sofferenza di un continente in cui sono ancora vive le ferite provocate dall’Occidente, con lo sfruttamento del colonialismo e la tratta degli schiavi. Ferite tuttora alla radice dei molti conflitti e dell’estrema povertà. Si rivolge alla platea cosmopolita di oltre 24.000 giovani dai 5 continenti che gremivano lo stadio Flaminio, per uno dei molti “Incontra-giovani” dellla GMG: il Genfest, la manifestazione mondiale promossa dai Giovani per un Mondo unito, dei Focolari. Ed è una risposta entusiasta quella data dai giovani al lancio del Progetto Africa 2000: al primo posto gemellaggi tra paesi dell’Occidente e i paesi africani per conoscere e valorizzare la diversità delle culture, raccolta di fondi per realizzare a Fontem, nel cuore della foresta camerunense, un nuovo reparto nell’ospedale per i malati di Aids, una vera piaga per il continente, dispensari e scuole di formazione professionale in altre aree del Camerun. I rapporti umani sono importanti. Di qui l’invito a giovani medici e insegnanti di dedicare un periodo della loro vita a Fontem, cogliendo anche la possibilità del servizio civile. Senza dimenticare le occasioni quotidiane di stabilire ponti con gli africani che lavorano e studiano nelle nostre città. Ancora: sostenere le campagne per l’estinzione del debito estero a favore dei Paesi più poveri. L’idea è stata lanciata da Chiara Lubich che ha aperto una grande prospettiva: contribuire a far nascere “popoli nuovi”. Nasce da un suo recente viaggio in Africa, a Fontem, dove è ritornata dopo 30 anni. Ha narrato ai giovani quella che definisce una favola: un popolo, i Bangwa, dal rischio di estinzione a causa dell’alta mortalità infantile, ha raggiunto un grande sviluppo. Non solo: diventa centro di irradiazione del Vangelo in molti Paesi africani per la testimonianza di amore scambievole tra bianchi e neri, fecondo di opere: ospedali, scuole, attività lavorative. E’ l’esperienza dei Focolari in quelle terre. E Martin Nkafu, figlio di un capo tribù dei Bangwa, dirà: “Ho trovato la risposta: possiamo dire oggi che Fontem è un esempio, tra tanti, che la reciprocità tra cultura africana e occidentale è possibile”. Il Genfest, che i Giovani per un Mondo unito promuovono ogni 5 anni, come sempre si è espresso con il linguaggio e la creatività tipica dei giovani: musica, coreografie, danze dei vari popoli. Toccante quella di un gruppo di giovani libanesi: drusi, musulmani, cristiani maroniti e copti. Molte le testimonianze di pace: come quella di Jean Bosco del Congo, un Paese da anni dilaniato da conflitti etnici. Insieme ai suoi amici sono pronti a rischiare la vita: “Ci siamo messi come scudi umani davanti alle persone che volevano picchiare a morte. Siamo riusciti a salvarne tante”. O storie di solidarietà in Kosovo tra i profughi, di dialogo tra religioni diverse: hanno parlato una giovane musulmana di un’altra terra di conflitto, Mindanao nelle Filippine, un musulmano afro-americano, una giovane indù, giovani buddisti giapponesi. “Non abbiate paura di essere i santi del terzo millennio”: l’invito del Papa ai giovani. E un’onda di commozione ha attraversato lo stadio quando è stata narrata la storia di Chiara Luce che ha bruciato le tappe. A 18 anni, un tumore la strappa da questa terra. “Spesso mi sento sopraffatta dal dolore. Ma è Gesù che viene a trovarmi”. E ha voluto essere sepolta con l’abito da sposa, pronta all’incontro con lo Sposo. E’ in corso la causa di beatificazione. “Il Verbo venne ad abitare in mezzo a noi”. Le parole scelte dal Papa per questa Giornata mondiale dei giovani sono al cuore dell’esperienza di Chiara Lubich, che ha narrato a grandi linee ai giovani, con freschezza e stupore, la divina avventura degli inizi: la scoperta di Dio amore nel clima di odio e violenza della guerra, il comandamento dell’amore vicendevole, cuore del Vangelo, che porta all’esperienza dell’unità in un tempo di grandi lacerazioni. “Si provava una gioia prima mai conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una luce, la Sua luce, ci guidava. Era Gesù che compiva quella sua promessa: ‘Dove due o più sono uniti nel mio nome – cioè nel mio amore – lì sono io in mezzo a loro’ “. Ed è questa gioia, che si riversava sullo stadio Flaminio, alla radice delle molte testimonianze di pace, di dialogo profondo tra religioni diverse. Questa la consegna di Chiara ai giovani: “Amiamo, e il mondo cambierà. Un mondo unito non sarà utopia”. Consegna sottolineata dal Sindaco di Roma, Francesco Rutelli, intervenuto in chiusura del Genfest. Ha definito i giovani che stanno invadendo Roma: “un fiume di amore”. “Forse siete venuti a Roma per imparare qualcosa, ma siamo noi che abbiamo tanto da imparare” ha detto. (altro…)

Intervento di Chiara Lubich al Genfest 2000

Carissimi giovani, bentrovati a questo Genfest che si celebra nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù, nel cuore del grande Giubileo del 2000, trionfo della fede cristiana – come si può costatare – nel mondo, ma soprattutto qui a Roma. E’ mio compito in questo momento narrarvi una storia, una meravigliosa storia, iniziata da giovani di ieri, della quale sono stata testimone, e continuata poi con la collaborazione di giovani d’oggi. Gli inizi di una avventura straordinaria E’ una storia nota a parecchi di voi, ma non a tutti. Non ha tanto per protagonisti quanti sono stati coinvolti con me in un’avventura straordinaria, che a volte sembra togliere il fiato per la sua vastità e complessità; è opera piuttosto di Colui – Dio – che, come segue la grande storia umana, segue anche la nostra piccola storia, personale e collettiva. A Trento, nel nord Italia, infuriava la seconda guerra mondiale. Le bombe, che cadevano notte e giorno, distruggevano ogni cosa. Le mie compagne ed io avevamo i nostri sogni, i nostri ideali, come ad esempio per una farsi una famiglia; per un’altra arredarsi per bene la propria casa o, per un’altra, ancora cercare nello studio la propria realizzazione… Ma quel fidanzato non è più tornato dal fronte. Quella casa è stata sinistrata. Il mio studio di filosofia in una città universitaria è stato sospeso per gli sbarramenti della guerra. Tutto ciò a cui si pensava, veniva meno. Ogni nostro sogno s’infrangeva contro una cruda realtà. Che fare? Nella generale desolazione, nella constatazione evidente che tutto passa, si è affacciato alla mia mente un interrogativo: ci sarà un ideale che nessuna bomba può far crollare, per il quale merita spendere la nostra vita? E subito una luce, quasi una folgorazione: sì, c’è! E’ Dio. Dio che è Amore. Dio, dunque, che ama ciascuno di noi, anche se non lo sappiamo. In un attimo, ho, abbiamo deciso di fare di Lui il perché, l’Ideale della nostra esistenza. Ma, se Egli ci ama – abbiamo deciso – lo ameremo anche noi. La guerra intanto con i suoi bombardamenti, spietata, non lascia tregua. Dobbiamo correre più volte al giorno in un rifugio. Non possiamo prendere nulla con noi se non un piccolo libro: un Vangelo. E’ in esso che avremmo imparato come fare ad amare Dio. Lo apriamo: una luce illumina ad una ad una quelle parole ed un impulso interiore ci spinge a metterle in pratica. “Ama il prossimo come te stesso” (Mt 19,19), troviamo. Ed ecco che ci sforziamo di amare le sorelle e i fratelli che incontriamo, come fossero noi stesse. “Qualunque cosa hai fatto al minimo dei miei fratelli, l’hai fatta a me” (cf Mt 25,40), leggiamo. “L’hai fatta a me”, dice Gesù. Uscite dal rifugio, cerchiamo questi minimi: sono i nuovi orfani della guerra, i mutilati, i feriti, i poveri, gli affamati, i senza tetto… ed amiamo in essi Gesù. Il Vangelo dice: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38). Diamo il poco che abbiamo e arriva tanta roba, così tanta che i sacchi e i pacchi riempiono ogni giorno il corridoio della casa. Il Vangelo ammonisce: “Cercate il Regno di Dio e il resto verrà in soprappiù” (cf Mt 6,33). Cerchiamo che l’amore regni in noi e arriva quanto ci è necessario. Così. Così sempre. Sembra di vivere nel miracolo. Due impressioni si imprimono nel nostro animo. La prima: ogni promessa del Vangelo si attua. Dunque il Vangelo è vero. Gesù mantiene anche oggi la sua parola. La seconda: nel Vangelo Gesù chiede soprattutto amore, e per amare dare. E’ una cultura nuova quella che emerge da quel libro. La chiameremo in seguito “la cultura del dare”. Intanto nuove ragazze e poi ragazzi ed altre persone ancora si uniscono a noi per vivere la stessa esperienza. I pericoli della guerra però aumentano. Anche se giovani, possiamo morire da un momento all’altro. Nasce un desiderio in cuore: vorremmo conoscere la Parola di Gesù che gli è più cara per viverla a fondo, almeno in quelli che possono essere gli ultimi istanti della nostra vita. La scopriamo. Dice così: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). Ed Egli ci ha amato fino a dare la vita per noi. In cerchio, le une accanto alle altre, ci guardiamo in faccia e ognuna dichiara all’altra: “Io sono pronta a morire per te”, “Io per te…”. Tutte per ciascuna. E l’amore reciproco diventa il nuovo stile della nostra vita. Si fa certamente tutto quanto è nostro dovere (lavoro, studio, preghiera, riposo), ma sulla base del vicendevole amore. Non è facile amarci sempre, non è semplice mantenere quest’unità. Per qualche nostra mancanza, si sperimenta a volte un profondo disagio. Come fare allora a ricomporre l’unità così spezzata? Troviamo ben presto nel Vangelo la risposta. Pure Gesù, a causa nostra, ha provato il dolore della disunità quando in croce ha gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Egli però non è rimasto in quello spacco. “Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito” (Lc 23,46) ha continuato, ricomponendo così la sua unità col Padre.  Abbiamo deciso di fare così anche noi con i nostri fratelli, con le nostre sorelle. Per quest’unità vissuta e sempre ricomposta, ecco la meraviglia! Gesù, che aveva detto: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (cioè nel suo amore), io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20), veniva a stare in mezzo a noi spiritualmente ma realmente. E, perché Egli c’era, si provava una gioia mai prima conosciuta, una pace nuova, un nuovo ardore; e una sua luce ci guidava. E perché Gesù era fra noi, la gente attorno acquistava o riacquistava la nostra stessa fede; cosicché, dopo circa due mesi, eravamo già in cinquecento, di ogni età, di ogni categoria sociale, di tutte le vocazioni. Iniziava perciò a realizzarsi il sogno di Gesù, implorato dal Padre prima di morire: “Padre, che tutti siano uno”. Si conosceva certamente anche l’incomprensione del mondo, e varie prove non sono certo mancate: ma l’albero, che porta frutto, va potato, dice il Vangelo. E i frutti sono stati senza numero. A Trento quel primo gruppo, allargandosi, era diventato ormai Movimento che – finita la guerra – si è diffuso come un’esplosione, dapprima in Italia, poi in Europa e negli altri quattro continenti. Ora è presente in 182 nazioni del mondo, in tutte praticamente. Cosicché l’amore, l’amore vero divampa in ogni angolo della terra: è un’autentica rivoluzione d’amore. Alla vita del Movimento partecipano, oltre i cattolici, cristiani di 350 Chiese, fedeli di altre religioni e persone di culture diverse ma di buona volontà, tutti legati dal dovere di amare iscritto nel DNA di ogni creatura umana e presente, fra il resto, nei principali libri sacri delle varie Religioni. Sin dall’inizio della nostra avventura si era capito che con questo spirito d’amore, d’unità, di fratellanza, avremmo visto nascere su tutta la terra “uomini nuovi”, rinnovati dal Vangelo. E oggi è così. E’ un fenomeno ormai consolante che riguarda milioni di persone. Si era capito che in seguito avremmo visto “città nuove” tutte informate dall’amore vero, dalla pace, dalla giustizia, dalla libertà. Ed ora nei 5 continenti sono sorte, più o meno complete, 20 cittadelle che portano nel loro seno persone di ogni età, delle nazioni più diverse, di varie razze, di molte lingue, tutte unite, un cuor solo, a testimonianza d’un futuro possibile mondo unito. Si prevedeva ancora il rinnovamento di popoli interi, il sorgere di “popoli nuovi”. Giovani: nasce il Movimento Gen, Generazione Nuova Intanto, lungo gli anni, ecco altri giovani ai quali abbiamo passato, per così dire, la nostra bandiera. Su una faccia è scritto: unità, il nostro fine; sull’altra la chiave per realizzarla: Gesù abbandonato. Ed è nato il Movimento Gen, generazione nuova. I giovani e quelli che sono loro succeduti via via, proprio per le qualità naturali e spirituali loro proprie, hanno rappresentato sempre per tutti noi l’autenticità, la purezza, l’arditezza, la vastità e la concretezza del nostro Ideale. E in questi ultimi decenni il loro contributo alla causa comune è stato consistente e determinante. Africa: un popolo del Camerun rischia l’estinzione    Posso raccontarvi qui solo una delle loro azioni. Per capirla bene, occorre che vi narri una storia, quasi una favola riguardante un popolo africano del Cameroun anglofono. Nel 1966 veniamo a conoscenza della situazione dei Bangwa, gente che viveva in piena foresta, poverissima, affetta da molte malattie, con una mortalità infantile del 90%, che faceva prevedere la completa estinzione della popolazione. Disperati si erano decisi di innalzare, per un anno intero, assidue preghiere all’Essere supremo della loro religione tradizionale, ma senza risultato. “Forse abbiamo pregato troppo poco – hanno detto -; preghiamo un altro anno”. Ma alla fine del nuovo anno ancora nulla. “Forse siamo troppo cattivi. Affidiamoci alle preghiere della missione cattolica più vicina e diamo un’offerta”, hanno concluso. Quel Vescovo, venuto a Roma, chiede a noi dei focolarini medici. Accorrono e aprono ben presto, in una squallida capanna, visitata anche da qualche serpente, un dispensario.  Sentono, come primo dovere, di amarsi fra loro reciprocamente per dare testimonianza del Vangelo che vivono. Amano pure tutta quella gente, indistintamente, ad uno ad uno, sull’esempio del Padre nel Cielo, che manda sole e pioggia su buoni e cattivi. Amano sempre, per primi … In una delle mie prime visite di quegli anni, mentre gruppi di Bangwa, di fronte a noi e al loro re, il Fon Defang di Fontem, saggio e prudente, si alternavano in varie danze, in un’ampia radura nella foresta, ho avuto come una previsione: mi è sembrato che Dio come un sole avvolgesse tutti loro con noi; e in quel sole, quasi segno divino, m’è sembrato di presagire lì, in piena foresta tropicale, la nascita di una città, costruita insieme; città a cui molti sarebbero accorsi per vedere cos’è l’amore, che cos’è la fraternità umana. E l’ho detto. 1968 –I giovani lanciano l’Operazione Africa     Ben presto arrivano aiuti d’ogni genere. Ci pensano soprattutto i nostri giovani, gen di tutto il mondo, interessando molti al progetto e lanciando la cosiddetta “Operazione Africa”. Si può così edificare un modesto ospedale, aprire scuole. Salendo su un monte, imprigionare una sorgente per un minimo di elettricità per l’ospedale. Si costruiscono case dapprima con mattoni di pota-pota, cioè di terra bagnata, poi più solide.  Alcuni gen, di tempo in tempo, raggiungono gli altri sul posto, si rimboccano le maniche e offrono il loro lavoro almeno per uno o due anni. Focolarini e gen insieme continuano ad amare tutti quei fratelli nell’estremo bisogno ed a rafforzare il loro amore reciproco con tenacia. Sono essi stessi, il loro modo di comportarsi, le uniche parole vive che possono offrire intanto a quel popolo. Tra i Bangwa c’è chi osserva a lungo per mesi: ancora prevenuti contro il colonialismo, vogliono accertarsi se quegli uomini e quelle donne bianchi abbiano, nel loro agire, degli interessi personali. Convinti della sincerità e trasparenza dei nuovi ospiti, decidono di collaborare, e focolarini, gen e Bangwa si trovano così tutti affratellati nel costruire il bene comune di quella popolazione. Gli sviluppi          Passano gli anni e tutto cresce: l’ospedale si è ingrandito; la mortalità infantile si è ridotta al 2%; la piaga della malattia del sonno è debellata; si costruisce un College con le classi inferiori e superiori; vengono aperte 12 strade per il collegamento con i vari villaggi. I nostri, con l’aiuto dei Bangwa, costruiscono una sessantina di altre case; loro, con il nostro, molte altre. E’ stata edificata anche una bella chiesa, richiesta dai molti cristiani presenti. Intanto Fontem, diventa dapprima sottoprefettura e ora prefettura. Il governo vi ha aperto alcune scuole, installato un acquedotto e portato la luce elettrica. Il ritorno a Fontem dopo 30 anni      In questi ultimi mesi, dopo più di trent’anni, sono ritornata a Fontem e la nuova città bella e grande è sotto gli occhi di tutti, visitata spesso da gente di altre nazioni africane e non solo. La fama della sua peculiarità s’irradia. L’abbiamo attraversata in lungo e in largo ed abbiamo visto gente felice, bimbi bellissimi, sani e paffutelli, giovani robusti e forti, signore ben vestite…  E tutti salutavano e sorridevano. In quei giorni ci hanno riempito di regali. Abbiamo saputo che l’ospedale è così apprezzato che preferiscono curarsi da noi anche malati della capitale. Le scuole sono così stimate che vengono frequentate da ragazzi mandati dai genitori Bangwa che, una volta laureati, occupano ora posti di responsabilità come direttori di banca, avvocati, professori universitari e anche deputati, consoli, ambasciatori… in alcune nazioni d’Europa e in America. Abbiamo visto cosa può fare l’amore, cosa può costruire la fraternità vissuta tra persone di due continenti, divenute una cosa sola. Ed ora? Molti Bangwa continuano a professare la religione tradizionale e la struttura di base è sorretta ancora da un sistema ancestrale che si regge su mille norme tradizionali, ma si può dire che la fraternità laggiù trionfa e fa “miracoli”. Il nuovo re, il dott. Lucas Njifua Fontem, figlio del precedente, ha visto e ha capito. Tutti quelli che seguono questa via – ebbe a dirci – sono giusti e retti e concorrono al bene del popolo.  Egli dichiara apertamente che lì a Fontem, gli abitanti che seguono il Movimento non gli presentano mai alcun problema; non bisticciano per i confini delle loro terre, ma li definiscono in armonia; vivono assolutamente in pace. Tra loro nessuno ruba; non feriscono e tanto meno uccidono; sembra non abbia senso per loro la polizia; l’analfabetismo si sta attenuando; trovano soluzioni per tutti i problemi riguardanti la famiglia; salvano la vita, già molto apprezzata dalla cultura africana, in ogni sua età; curano la salute con meticolosità; rispettano l’autorità e hanno profonda stima degli anziani; sono d’una generosità incredibile: la “cultura del dare”, effetto della fraternità, brilla.  Per questo il re, pubblicamente, durante quest’ultimo nostro soggiorno, si è messo alla testa del suo popolo, invitando tutti, con decisione ed ardore, a far proprio lo spirito del nostro Movimento. L’amore evangelico sta, dunque, trasformando una tribù in un popolo e questo popolo ha fatto dell’umanità, lì presente, una fraternità socialmente solida che ha raggiunto pure il proprio fine politico: il bene comune. E l’amore reciproco sta trasformando questo popolo in Regno di Dio, quasi in un piccolo Paradiso. E’ proprio questa, quindi, l’ora dei popoli nuovi. Come avete sentito, protagonisti del “miracolo”, appena descritto, sono stati con i focolarini, che vi hanno speso forze, lavoro, tempo e qualcuno la vita, i nostri giovani che hanno lavorato sodo e a lungo nel mondo intero. Progetto Africa 2000      In questo momento a Fontem mancano ancora molte cose. E, accanto al popolo Bangwa, a Fonjumetaw vive un altro popolo, con un altro re che ha lo stesso sogno di quello di Fontem. Lo abbiamo conosciuto e incominciato ad aiutare. Ma tutt’intorno a Fonjumetaw ancora foresta impenetrabile, malattie e fame… Durante il nostro soggiorno laggiù personalità ecclesiastiche, che sanno della presenza del Movimento in molte nazioni del continente africano, ci hanno incoraggiato dicendo: “Ciò che avete fatto a Fontem dovete farlo in tutta l’Africa e nel Madagascar”. Carissime e carissimi, è una sfida questa. Dobbiamo accoglierla? I focolarini, per quanto possono e per quanto Dio li aiuterà, hanno già detto il loro sì. Che diranno i giovani? Sono certa della loro generosità. La consegna         Amiamo, carissimi giovani, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Amiamo e concorreremo a costruire la “civiltà dell’amore” che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco – ha detto – sono venuto a portare sulla terra e che altro voglio se non che s’accenda?” (Lc 12,49). Diamogli la possibilità di vederlo divampare anche per il nostro impegno. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande consolantissima realtà. E il tempo futuro è soprattutto nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà. E Dio lo vuole certamente. Saremo, sarete all’altezza?   (altro…)

Genfest 2000 nel contesto della Giornata Mondiale della Gioventù

“Contribuite ad un mondo nuovo…” La diversità di cultura e religione come ricchezza reciproca… voci di un giovane ortodosso di Mosca, di indù, musulmani, buddisti”… un mondo fondato sulla potenza dell’amore e del perdono”. “Non abbiate paura di essere i santi del Terzo millennio”. (Giovanni Paolo II) Una consegna “Amiamo, continuiamo ad amare, e il mondo intero cambierà. Contribuiremo a costruire la civiltà dell’amore che il nostro pianeta, pur nelle sue tensioni, ma anche nelle sue attuali aperture e possibilità, attende. Gesù desidera che il mondo sia invaso dall’amore: “Fuoco sono venuto a portare sulla terra!”. L’idea allora di un mondo più unito, di un mondo unito, per cui molti giovani oggi si battono, non sarà solo utopia, ma diverrà, nel tempo, una grande, consolantissima, realtà. E il tempo futuro è soprattutto  nelle vostre mani. Con Dio in cuore tutto si potrà! Dio lo vuole! Saremo, sarete all’altezza?” Chiara Lubich   (altro…)

Parola di vita Agosto 2000

Nel suo vangelo, Giovanni narra che Gesù, dopo aver moltiplicato i pani, nel grande discorso tenuto a Cafarnao, dice fra il resto: “Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà”. E' evidente, per i suoi uditori, il riferimento alla manna, come anche all'aspettativa della “seconda” manna che scenderà dal cielo nel tempo messianico. Poco dopo, nello stesso discorso, alla folla che ancora non comprende, Gesù si presenta egli stesso come il vero pane disceso dal cielo, che deve essere accettato mediante la fede:

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».

Gesù si vede già pane. E' dunque quello il motivo ultimo della sua vita qui sulla terra. Essere pane per essere mangiato. Ed essere pane per comunicarci la sua vita, per trasformarci in lui. Fin qui il significato spirituale di questa parola, con i suoi richiami all'Antico Testamento, è chiaro. Ma il discorso si fa misterioso e ostico quando più avanti Gesù dice di se stesso: “Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” e “se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita”. E' l'annuncio dell'Eucaristia che scandalizza e allontana tanti discepoli. Ma è il dono più grande che Gesù vuol fare all'umanità: la sua presenza nel sacramento dell'Eucaristia, che dà la sazietà dell'anima e del corpo, la pienezza della gioia, per l'intima unione con Gesù. Nutriti di questo pane ogni altra fame non ha più ragione di esistere. Ogni nostro desiderio di amore e di verità è saziato da chi è lo stesso Amore, la stessa Verità.

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».

Dunque questo pane nutre di Lui fin da quaggiù, ma ci è dato perché possiamo a nostra volta saziare la fame spirituale e materiale dell'umanità che ci circonda. Il mondo non riceve tanto l'annuncio di Cristo dall'Eucaristia, quanto dalla vita dei cristiani nutriti di essa e della Parola, i quali predicando il Vangelo con la vita e con la voce, rendono presente Cristo in mezzo agli uomini. La vita della comunità cristiana, grazie all'Eucaristia, diventa la vita di Gesù, una vita quindi capace di dare l'amore, la vita di Dio agli altri.

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete».

Con la metafora del pane, Gesù ci insegna anche il modo più vero, più “cristiano” di amare il nostro prossimo. Infatti, che cosa significa amare? Amare significa “farsi uno” con tutti, farsi uno in tutto quello che gli altri desiderano, nelle cose più piccole e insignificanti e in quelle che forse a noi importano poco ma che agli altri interessano. E Gesù ha esemplificato in maniera stupenda questo modo di amare facendosi pane per noi. Egli si fa pane per entrare in tutti, per farsi mangiabile, per farsi uno con tutti, per servire, per amare tutti. Farsi uno anche noi dunque fino a lasciarsi mangiare. Questo è l'amore, farsi uno in modo che gli altri si sentano nutriti dal nostro amore, confortati, sollevati, compresi.

Chiara Lubich

 

Buddisti per l’unità

Arrivati al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, il 12 giugno, dopo una breve presentazione, hanno visto un video sull’Assemblea della WCRP ad Amman, preparato in giapponese. Hanno raccontato le loro esperienze di come cercano di vivere per gli altri, perché, come dice il Sutra del Loto, “Se il nostro cuore è uno con la volontà di Dio Budda, vedremo nascere attorno a noi migliaia di altri cuori”. E’ seguita l’esperienza di una famiglia del Movimento. Alla fine dell’incontro, il capo-delegazione ha detto che si portavano in cuore come tesoro prezioso “l’arte di amare”. Ha ricordato il primo incontro, 21 anni fa, di Chiara Lubich con Nikkyo Niwano, loro fondatore, che ha portato una profonda comunione spirituale tra i due movimenti e ha aggiunto la sua convinzione che questo incontro era nei piani di Dio Budda per costruire un mondo di pace. Alla conclusione, un patto di vivere uniti sempre in un cuore solo. Con i monaci buddisti nello Sri Lanka Il Rev. Sirisuma Saddhatissa Dhammarakita, di 85 anni, che governa 58 monasteri buddisti dello Sri Lanka, dopo aver ascoltato da uno dei responsabili del Movimento dei Focolari come cerchiamo di mettere in pratica l’arte di amare, aveva commentato: “Questo spirito dell’amore è quanto Buddha ha sempre predicato. Tu sei cristiano. Possiamo vedere un buddista, possibilmente monaco, che vive così?”. E ha invitato il monaco tailandese Thongrattana Thavorn, che da molti anni conosce il Movimento. Arrivato da Bangkok, il monaco, accompagnato da due focolarini, ha avuto importanti incontri con monaci, personalità civili e laici buddisti. Nella terribile situazione di guerra civile, il rev. Thongrattana Thavorn ha parlato della pace e dell’armonia fra religioni e razze, raccontando in modo magistrale la sua esperienza a contatto col Movimento.  Ha incontrato anche alcuni indù tamil. Nel colloquio col prof. Aryaratne, personalità buddista di grande rilievo nel mondo sociale, politico e religioso di Sri Lanka, hanno vibrato le corde più profonde di queste due anime impegnate nel dialogo con le religioni. Possiamo dire che la spiritualità del Movimento ha aiutato monaci di due Paesi del buddismo Theravada, ma attualmente assai distanti, a riscoprire le loro radici comuni. La Nichiren-shu A fine giugno, sempre al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, c’è stata la visita di una delegazione composta di sessanta buddisti – monaci e laici – della Nichiren-shu, una delle scuole buddiste più tradizionali del Giappone. Il gruppo, proveniente dal Forum Internazionale di Hannover, Germania, in occasione dell’ Expo 2000, era accompagnato dall’Arcivescovo di Osaka, Mons. Leo Ikenaga, e dal Rev. Ryusho Kobayashi della Tendai-shu, un altro gruppo buddista giapponese. Hanno sentito la storia del Movimento dei Focolari ed alcuni aggiornamenti sugli sviluppi più recenti, in particolare sul Convegno del Movimento dell’Unità in politica, conclusosi l’11 giugno. Il responsabile del gruppo, salutando a nome di tutti, diceva che qui è sembrato di trovare il centro del dialogo interreligioso del mondo. Vogliono mettersi anche loro in questo dialogo, come la Tendai-shu che ha già fatto molta strada in questo campo. “Ci sono tanti sentieri per salire sulla cima. Lì tutte le religioni si trovano in pace”. Il Rev. Kobayashi della Tendai-shu, felice di essere ritornato fra noi, diceva: “Il Movimento dei Focolari è diffuso anche nel mondo buddista. Il loro vivere per gli altri è come per i buddisti mettere in pratica lo spirito del bodhisattva e qui abbiamo tanto da imparare per tramandarlo poi ai nostri giovani”. Mons. Ikenaga di Osaka ha detto che questo viaggio è stato per lui un’esperienza straordinaria in mezzo ai buddisti, perché per far camminare il mondo verso la direzione giusta per la pace occorre la collaborazione interreligiosa. Alla fine il Rev. Takeuchi, della Nichiren-shu, concludeva: “Qui davanti ai dirigenti del Focolare vorrei dire una cosa: il nostro fondatore Nichiren (750 anni fa) ha cercato di unire le scuole del buddismo attraverso il dialogo ed è stato perseguitato per questo. (…) Incontrando il Focolare ho capito che nel 21° secolo occorre vivere il dialogo. Per i cristiani e per i buddisti il primo nemico è il razionalismo moderno. Per controbatterlo dobbiamo trovare una nuova teoria e ciò non è possibile senza collaborare”.   (altro…)

Parola di vita Luglio 2000

San Paolo scrive di aver avuto grandi rivelazioni . Ma Dio ha permesso anche che fosse colpito da grandi prove e, fra le altre, da una tutta particolare che lo accompagnava e lo tormentava continuamente. Si trattava forse di una malattia, di un disturbo fisico permanente che, oltre ad essere particolarmente fastidioso, gli era di impedimento nell'attività e gli dava la netta sensazione del suo limite umano. Ripetutamente Paolo supplicava il Signore di liberarlo da questa sofferenza, finché gli fu rivelato il perché di una tale prova e cioè che la potenza di Dio si manifesta pienamente nella nostra debolezza, che ha il solo scopo di dar spazio alla forza di Cristo. E' per questo che Paolo può dire:

Quando sono debole, è allora che sono forte».

La nostra ragione si ribella ad una simile affermazione, perché vi vede una lampante contraddizione o semplicemente un ardito paradosso. Invece essa esprime una delle più alte verità della fede cristiana. Gesù ce la spiega con la sua vita e soprattutto con la sua morte. Quando ha compiuto l'Opera che il Padre gli ha affidato? Quando ha redento l'umanità? Quando ha vinto sul peccato? Quando è morto in croce, annientato, dopo aver gridato: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”. Gesù è stato più forte proprio quando è stato più debole. Gesù avrebbe potuto dare origine al nuovo popolo di Dio con la sua sola predicazione o con qualche miracolo in più o qualche gesto straordinario. Invece no. No, perché la Chiesa è opera di Dio ed è nel dolore e solo nel dolore che fioriscono le opere di Dio. Dunque nella nostra debolezza, nell'esperienza della nostra fragilità si cela un'occasione unica: quella di sperimentare la forza del Cristo morto e risorto e poter affermare con Paolo:

«Quando sono debole, è allora che sono forte».

Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti. Abbiamo spesso da sopportare dolori di ogni genere: avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti… Cosa fare? Per essere coerenti col cristianesimo e se vogliamo viverlo con radicalità, dobbiamo credere che quelli sono momenti preziosissimi. Perché? Ma perché proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull'anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza. Benediciamo dunque questa nostra piccolezza, questa nostra debolezza, perché per esse possiamo far posto a Dio e avere da Lui la forza per continuare a “credere contro ogni speranza” (Cf Rm 4,18) e ad amare concretamente fino alla fine. Come in Svizzera è accaduto ai genitori di un tossicodipendente che non si sono arresi e hanno tentato di curarlo con ogni mezzo. Ma invano. Un giorno egli non torna più a casa. Sentimenti di colpa, paura, impotenza, vergogna, nei genitori. Ma è l'incontro con una tipica piaga della nostra società in cui vedere il volto di Cristo Crocifisso, e trovare nuova forza per continuare a sperare e ad amare. Superando la sfinitezza e l'impotenza, i familiari sentono in cuore una energia mai provata e si aprono alla solidarietà. Organizzano un gruppo di famiglie che affrontano la situazione, aiutano e portano panini e the ai ragazzi della Platzspitz, allora l'inferno della droga a Zurigo. Lì un giorno ritrovano il loro figlio, lacero e sfinito. Con l'aiuto anche di altre famiglie è possibile iniziare e portare a termine il suo lungo cammino di liberazione.

Chiara Lubich

 

“Sembra che il mondo ci caschi addosso…”

Dal Centro America la storia di una coppia e del loro reciproco riavvicinamento, fino ad affrontare insieme la prova suprema: la malattia e la morte di un figlio «Sposati da 20 anni, abbiamo 5 figli: otto anni fa la nostra famiglia si trovò in grave difficoltà. La povertà ci costringeva a vivere in modo sempre precario e la guerra impediva ogni iniziativa; ma la cosa più grave era il nostro rapporto di coppia che sembrava finito. Non ci eravamo sposati in chiesa e, anche se non rifiutavamo la religione, non potevamo dirci veramente cristiani. Si è sommato presto anche il vizio dell’alcool ad impedirci ogni dialogo. Eravamo in questa situazione – racconta E. – quando mi hanno invitato in Mariapoli, un incontro di più giorni promosso dal Movimento dei Focolari. Com’era diversa la vita lì! Mi sono sentita subito accolta e amata per quella che ero e nacque in me il desiderio di imitare quelle persone. Al ritorno a casa cominciai ad amare i miei, specie mio marito, che, accortosi della gioia che c’era in me, volle accompagnarmi all’incontro successivo… Nasce così a poco a poco in entrambi il desiderio di regolarizzare la nostra unione col sacramento del matrimonio, ed è festa grande il giorno in cui possiamo realizzare questo sogno, insieme ad altre due coppie nelle stesse condizioni. Ricevuto Gesù Eucarestia, avvertiamo una grazia particolare per noi e per la nostra famiglia. Seguono anni molto belli: ora affrontiamo insieme le difficoltà della vita, anziché subirle come ci accadeva in precedenza. E anche nel dolore che bussa alla nostra porta sperimentiamo l’amore di Dio. All’improvviso il nostro primogenito accusa un malessere e, dopo una serie di accertamenti sempre più approfonditi, viene diagnosticato l’AIDS. E’ un dolore immenso; sembra che il mondo ci caschi addosso. Ma non siamo soli. L’amore delle persone che condividono con noi la nuova vita ci fa scoprire in questa tragedia il volto di Gesù che in croce grida l’abbandono del Padre. Con il loro aiuto troviamo la forza di dire il nostro ‘sì’ a Dio. Nostro figlio, come un miracolo, aiutato dall’amore di tutti, accetta questa grande prova: vive i due anni della malattia come una continua, faticosa ma straordinaria salita verso il Cielo. Mio marito sente il peso della vita passata e pensa che nostro figlio ne stia pagando il prezzo. Spesso non riesce a varcare la porta di quella stanza. Ma ancora una volta l’amore vince. Quando un giorno si trova solo con lui, lo sente dire con un filo di voce: ‘Papà, prometti, non a me ma a Dio, che avrai una grande cura della mamma e dei fratelli’. E’ il testamento di nostro figlio: lui paga perché questa nuova vita sia sempre tra noi. Prossimo alla fine, continua a ripetere a ciascuno: ‘L’amore, l’amore è l’unica cosa che vale!’. Ora che fisicamente lui non è più tra noi, lo sentiamo più che mai presente: questo dolore vissuto insieme ci ha purificato, ci ha unito di più a Dio e tra di noi, e ci ha spalancato la porta sulla vita che non muore». (E. L. – Centro America) (altro…)

Esce a vita pubblica un nuovo soggetto politico: il Movimento dell’unità per una politica di comunione

“Il grande progetto politico della modernità prevedeva, come sintetizza il motto della rivoluzione francese, ‘libertà, uguaglianza, fraternità’. Se i primi due principi hanno conosciuto forme parziali di attuazione, la fraternità, invece, sul piano politico, è stata pressoché dimenticata. Proprio questa la caratteristica specifica del nostro Movimento: la fraternità; e per essa acquistano significati nuovi e potranno venire più pienamente raggiunte anche la libertà e l’uguaglianza”.  (Chiara Lubich) E’ un nuovo volto del mondo della politica quello che si è intravisto al 1° Convegno mondiale del Movimento dell’unità. Lo si desume anche dai partecipanti: più di 800. Oltre alle personalità, un universo composito: vengono dai cinque continenti, appartengono a diverse formazioni politiche – dal segretario di un partito comunista europeo a rappresentanti di partiti di destra –, fanno politica ai livelli più diversi o invece la studiano. Non mancano segretari comunali e membri di organismi europei. In comune, una passione: quell’arte del gestire la cosa pubblica che sembra aver perso il contatto con la gente. Una passione condivisa da Chiara Lubich: “Al mondo politico – dice nel suo intervento – abbiamo sempre riservato particolare attenzione, perché esso ci offriva la possibilità di amare il prossimo in un crescendo di carità: dall’amore interpersonale ad un amore più grande verso la polis”. Commenterà Livia Turco, del partito Democratico della Sinistra, ministro italiano per la solidarietà sociale: “Mai avevo udito una persona che, a partire dal Vangelo, attribuiva una così grande autorevolezza e importanza alla politica. Mi ha scosso, perché di solito ci si aspetta molto poco dalla politica e anzi se ne parla male”. E Gianfranco Fini, Segretario del partito italiano di destra Alleanza nazionale: “Una proposta da meditare a fondo”. Non solo idee, ma molti fatti. Dai partecipanti emerge questa convinzione: nella fraternità può trovarsi la base su cui lavorare per ogni altro valore, perché l’uguaglianza vissuta senza fraternità diventa massificazione e la libertà lasciata in balia di se stessa diventa individualismo. La fraternità assume diverse sfumature. C’è quella sottolineata da Roberto Mazzarella di Palermo, che, lavorando per gli immigrati siciliani all’estero, ha introdotto questo concetto al centro della propria azione. Johnson, di Recife, racconta come sia passato dall’estrema povertà ad assumere un compito politico, quale rappresentante di s. Teresina, un’isola prima talmente degradata da essere denominata Isola dell’Inferno. Dall’Irlanda del Nord, giungono note di fraternità anche dai campi minati della convivenza tra cattolici e protestanti: “Possiamo far avanzare nei rapporti interpersonali quella fraternità che è contagiosa e che prima o poi porta frutto”. Fraternità anche nel rapporto tra eletti ed elettori. Un esempio viene da Piracicaba, in Brasile, dove un gruppo di una cinquantina di elettori è riuscito a convincere i candidati a promuovere valori positivi nel loro programma, verificandone poi l’attuazione con puntualità e efficacia. Dalle Filippine, invece, una testimonianza dello sforzo di preparare con una vasta azione informativa, i cittadini più poveri e analfabeti a prendere coscienza dei loro diritti, a fare scelte libere. Mezzi: media, incontri nelle scuole, nei quartieri, lettere. Il pensiero politico e la storia in cui ha radice il Movimento dell’unità sono stati approfonditi dagli interventi di Chiara Lubich e Tommaso Sorgi che, con Igino Giordani, fu tra i primi deputati che trovarono nella spiritualità dell’unità nuova ispirazione politica. Non è mancata la dimensione internazionale, essendo la mondialità uno degli orizzonti primari del Movimento, approfondita dal prof. Vincenzo Buonomo. Si è parlato d’Europa: è emersa una visione non solo economica, ma culturale, secondo un modello di unità nella molteplicità che consente ad ogni popolo di vivere la propria diversità come dono. Alla tavola rotonda hanno partecipato politici dell’Est e dell’Ovest europeo e rappresentanti del continente sud-americano. (altro…)

L’audience più alta, senza rinunciare ai valori

Produciamo programmi televisivi per le reti nazionali di Belgio e Olanda e per emittenti commerciali. Sin dall’inizio abbiamo scelto di fare programmi di generi molto vari, cioè dal divertimento ai reportage, programmi per giovani, programmi di giochi, e ultimamente anche programmi religiosi. Ci interessa il pubblico più vasto possibile, perché la gente guarda tanta televisione e ne resta influenzata. Per questo motivo è importante fare programmi anche di intrattenimento, ma non per questo scadendo in qualità. Alcune nostre produzioni raggiungono durante l’anno l’audience più alta. In questo momento lavoriamo in 25 persone fisse, più una trentina di free lance (registi, cameramen, tecnici, ecc.). Da sempre nella Sylvester Productions abbiamo cercato di lavorare insieme, ascoltandoci reciprocamente, valorizzando le idee di ciascuno, e con molto rispetto per il pubblico, per i produttori e per l’intero sistema dei media. Nella produzione dei program mi miriamo ad un’alta qualità, come contenuto e come forma. Ad esempio, “Stop! Contatto” è un programma per ragazzi che abbiamo realizzato per una emittente nazionale belga. In ognuna delle 26 trasmissioni sono stati intervistati un ragazzo e una ragazza quindicenni, riguardo alla loro vita. Questi giovani non si conoscevano tra di loro. In un secondo tempo, insieme al presentatore, si confrontavano in una sfida reciproca. Per noi era molto importante l’intervista iniziale per poterli conoscere meglio. Una delle nostre collaboratrici si era accorta con sorpresa che i giovani mostravano anche interesse per argomenti più profondi, come la morte, la fede in Dio, ecc.. Avrebbero discusso di queste cose, ma spesso non trovavano con chi parlarne. L’emittente riteneva che trattare questi temi fosse troppo serio per un programma rivolto ai giovani; pensava che ci sarebbe stato un crollo dell’audience. A noi sembrava impor tante invece dare questa opportunità ai ragazzi. Abbiamo insistito con la direzione e, attraverso un dialogo approfondito, abbiamo ottenuto di poter trattare questi argomenti. E l’audience è stata superiore al previsto. Sono stato particolarmente felice che quest’idea non fosse stata lanciata da me, ma da una collaboratrice giovane, cresciuta nel clima della nostra azienda. (altro…)

Alla ricerca di una nuova comunicazione

Con il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983, si sono aperte nuove possibilità di partecipazione ed espressione in tutti i campi. La nostra esperienza inizia nella zona della periferia di Buenos Aires nota col nome di “quartieri spazzatura”, dove M. era maestra. Con un gruppo di amici abbiamo cominciato a collaborare alle affività di alcune delle ìstituzionì già esistenti: scuole, chiese, comitati di quartiere, ecc. A un certo punto ci fu chiaro che non volevamo essere persone che aiutano dal di fuori, ma volevamo lavorare come parte stessa della comunità, come suoi abitanti. E così nel 1984 ci siamo trasferiti lì con il nostro primo figlio di quattro mesi e lì sono cresciute anche le altre nostre due figlie. Abbiamo subito avvertito che in quel quartiere, dove anche infrastrutture sanitarie, educative, stradali, idriche erano inesistenti, quel che mancava di più era la comunicazione a tutti livelli, dentro le istituzioni, fra di esse e la gente, fra i diversi gruppi e organizzazioni, e perfino tra le famiglie vicine. La ricerca di una nuova comunicazione è stato un compito entusiasmante per tanti di noi. Diapositive, cortometraggi, storie sonore, giornale murale, musica, teatro popolare, un giornale del quartiere arrivato a duemila copie, un megafono, una macchina fotografica, finché è maturato il progetto di una radio comunitaria. La radio sorge come espressione di varie organizzazioni: negozi popolari, gruppi giovanili, centri di comunicazione popolare, gruppi di donne, diverse cooperative. Dagli inizi porta un’impronta: è una radio che non solo dice, ma fa. I suoi speaker non sono professionisti, ma animatori della comuni- tà. I suoi obiettivi di base sono diffondere le attività delle organizzazioni comunitarie; recuperare l’identità culturale nazio nale e locale; incentivare gli artisti locali; collegare in rete i diversi quartieri dove arriva l’emittente. Abbiamo detto che Radio Reconquista non solo parla ma fa, e che i suoi speaker sono abitanti impegnati in diversi compiti: docenti, studenti, operatori sanitari, sacerdoti, quindi in qualsiasi emergenza tutta la radio si mobilita prestando servizio. Viviamo l’opzione per i poveri non solo per solidarietà con chi soffre, ma come un’azione di inculturazione e di ricerca. È in gioco una cultura popolare da conservare come un tesoro, nonostante gli influssi di tanta comunicazione distruttiva, favorendo la costruzione di un progetto di vita sociale più giusto. Quello che è stato finora conservato nell’intimità, nascosto, difeso in un guscio di fronte alla società di consumo aggressiva (cioè i valori e i costumi della vita rurale e di provincia), riprende vita nella musica e nel recupero della parola. È come un’Argentina dimenticata, a volte disprezzata dai grandi mezzi di comunicazione, che trova la sua espressione nel “rito” della radio. Ai giovani che crescono in questa nuova sintesi culturale tra il mondo urbano e quello rurale, la radio del quartiere per mette dì esprimersi senza imitare la scala di valori o disvalo ri imposta dai grandi media. (M. e R. B. – Argentina) (altro…)

“Pensavo di trovare l’inferno e ho trovato un pezzo di umanità”

È profondamente radicata in me la convinzione che il mondo tende all’unità. Il mondo unito, ha detto il Papa Giovanni Paolo II, è una di quelle idee che fanno la storia. Qualche anno fa questa convinzione in me è entrata in crisi con lo scoppio della guerra in Serbia. Ho cercato in qualche modo di reagire. Nella nostra emittente in quei giorni abbiamo innanzitutto raccontato quello che si faceva per i profughi kosovari, sottolineando le storie e a volte l’eroismo dei volontari. Poi sono andato a cercare quello che veniva considerato il “nemico”, il popolo serbo. Al di là delle ragioni delle parti in conflitto, sentivo che era giusto far vedere ai telespettatori come vittime innocenti subiscono il dramma della guerra. Il mio TG ogni sera ha mandato in onda, con la traduzione italiana, i servizi sulla guerra realizzati dal TG serbo. Un’iniziativa che è stata subito ripresa dalla principale agenzia di stampa nazionale italiana. La ragazza interprete aveva la sua famiglia a Nis, per cui ogni sera tutta la redazione viveva con lei l’angoscia di sapere dove fossero cadute le bombe. Ad aprile, durante il conflitto, mi trovavo in una sala per un congresso, e ho ascoltato la storia degli inizi del Movimento dei Focolari, durante l’ultima guerra mondiale, e di come, in ogni situazione, anche se la guerra ci angoscia, dobbiamo vivere quell’amore evangelico che porta all’unità. Ci voglio credere, mi sono detto. All’improvviso una telefonata da Milano mi fa partire immediatamente con un aereo privato per un reportage in Albania e Macedonia. Così nel giro di poche ore mi sono trovato da Castelgandolfo ai campi profughi di Tirana e al confine di Blace, tra Macedonia e Kosovo, catapultato tra quelle tende polverose, pronto a scorgere con la telecamera la paura, il dolore, la sconfitta dei profughi, prime vittime del conflitto. Ma appena ho messo piede nel primo campo ho avuto quasi uno choc: ho visto soprattutto persone che si volevano bene. Bambini che giocano, sorrisi accoglienti di chi ti invita nella propria tenda, la dignità e la bellezza del popolo kosovaro. Ho sentito una profonda serenità, che mi ha commosso. Dietro la telecamera mi sono detto: pensavo di trovare l’inferno e ho trovato un pezzo di umanità che, pur soffrendo, sa ancora amare. Ed è l’immagine di questa umanità che ho mostrato al TG. (D.M. – Italia) (altro…)

Radio San Gabriel, una radio nel cuore del popolo Aymara

Nel cuore del Sudamerica si trova la Bolivia, paese ricco di tradizioni ed espressioni culturali diverse. Il suo territorio presenta diverse regioni, varie per clima e paesaggio. Dalle foreste amazzoniche all’altipiano, a più di 3.000 metri sul livello del mare. In ogni zona si sono sviluppate e permangono diverse culture ed etnie che contribuiscono alla ricchezza di questa nazione. In questa diversità si colloca il popolo Aymara, una cultura millenaria che conserva i suoi costumi, riti, tradizioni e lingua. La sua visione del cosmo è molto diversa da quella del mondo occidentale. Hanno un rapporto molto speciale con la natura, e la loro organizzazione sociale e lavorativa ha un forte senso comunitario. Le popolazioni aymara sono molto distanti l’una dall’altra, sparse nell’altipiano boliviano. In una di queste comunità è nata, 45 anni fa, Radio San Gabriel, come mezzo di espressione di questo popolo. Nel 1977 padre José Canut si trasferì dalla Spagna alla Bolivia per assumersi la responsabilità della radio. A contatto con il popolo Aymara ha dovuto perdere la propria cultura per poter entrare in quella cultura millenaria. Nel vederli lavorare ai loro rustici telai ha scoperto l’intelligenza di questo popolo e ha pensato: se possono maneggiare più di 100 fili per volta con tanta agilità, non sarebbe difficile per loro “giocare” con un po’ di bottoni. Questo ragionamento gli ha dato la certezza che gli aymara stessi avrebbero potuto farsi carico della radio. Radio San Gabriel è ora una radio degli indigeni e per gli indigeni e compie una funzione sociale importante di servizio ed educazione. La programmazione, produzione, operazione e speakeraggio sono realizzate da loro nella propria lingua. Sono fieri perché il 90% del personale è aymara. (P.A.)   (altro…)

Parola di vita Giugno 2000

Questa Parola è nel cuore dell'inno che Paolo canta alla bellezza della vita cristiana, alla sua novità e libertà, frutto del battesimo e della fede in Gesù che ci innestano pienamente in lui, e per lui nel dinamismo della vita trinitaria. Diventando una persona sola con Cristo, ne condividiamo lo Spirito e tutti i suoi frutti, primo fra ogni altro la figliolanza di Dio. Anche se Paolo parla di “adozione” , lo fa soltanto per distinguerla dalla posizione di figlio naturale che compete solo all'unico Figlio di Dio. La nostra non è una relazione col Padre puramente giuridica come sarebbe quella di figli adottivi, ma qualcosa di sostanziale, che muta la nostra stessa natura, come per una nuova nascita. Perché tutta la nostra vita viene animata da un principio nuovo, da uno spirito nuovo che è lo stesso Spirito di Dio. E non si finirebbe più di cantare, con Paolo, il miracolo di morte e resurrezione che opera in noi la grazia del battesimo.

«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio».

Questa Parola ci dice qualcosa che ha a che fare con la nostra vita di cristiani, nella quale lo Spirito di Gesù introduce un dinamismo, una tensione che Paolo condensa nella contrapposizione fra carne e spirito, intendendo per carne l'uomo intero (corpo e anima) con tutta la sua costituzionale fragilità e il suo egoismo continuamente in lotta con la legge dell'amore, anzi con l'Amore stesso che è stato riversato nei nostri cuori. Coloro infatti che sono guidati dallo Spirito, devono affrontare ogni giorno il “buon combattimento della fede” per poter rintuzzare tutte le inclinazioni al male e vivere secondo la fede professata nel battesimo. Ma come?
Si sa che, perché lo Spirito Santo agisca, occorre la nostra corrispondenza, e san Paolo, scrivendo questa Parola, pensava soprattutto a quel dovere dei seguaci di Cristo, che è proprio il rinnegamento di sé, la lotta contro l'egoismo nelle sue forme più svariate. Ma è questa morte a noi stessi che produce vita, così che ogni taglio, ogni potatura, ogni no al nostro io egoistico è sorgente di luce nuova, di pace, di gioia, di amore, di libertà interiore; è porta aperta allo Spirito. Rendendo più libero lo Spirito Santo che è nei nostri cuori, egli potrà elargirci con più abbondanza i suoi doni, e potrà guidarci nel cammino della vita.

«Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio».

Come vivere allora questa Parola? Dobbiamo anzitutto renderci sempre più coscienti della presenza dello Spirito Santo in noi: portiamo nel nostro intimo un tesoro immenso; ma non ce ne rendiamo abbastanza conto. Possediamo una ricchezza straordinaria; ma resta per lo più inutilizzata. Poi, affinché la sua voce sia da noi sentita e seguita, dobbiamo dire di no a tutto ciò che è contro la volontà di Dio e dire di sì a tutto il suo volere: no alle tentazioni, tagliando corto con le relative suggestioni; sì ai compiti che Dio ci ha affidato; sì all'amore verso tutti i prossimi; sì alle prove e alle difficoltà che incontriamo… Se così faremo lo Spirito Santo ci guiderà dando alla nostra vita cristiana quel sapore, quel vigore, quel mordente, quella luminosità, che non può non avere se è autentica. Allora anche chi è vicino a noi s'accorgerà che non siamo solo figli della nostra famiglia umana, ma figli di Dio.

Chiara Lubich

 

«Dalla Sierra Leone paese dei bambini soldato, l’esempio di Patrick di 4 anni»

Quando Patrick ha cominciato a frequentare l’asilo a Freetown, un giorno in cui si facevano gare sportive, è stato scelto come rappresentante della sua classe per la corsa. Durante la competizione Patrick era in testa, quando improvvisamente il bambino che era dietro di lui ha traballato ed è caduto. Patrick se ne è accorto, si è fermato, è tornato indietro per aiutarlo. L’insegnante gli ha gridato di non fermarsi, di continuare a correre per arrivare primo, ma Patrick ha continuato ad aiutare l’altro bambino ad alzarsi. Tutti i bambini che correvano li hanno superati e quando quello caduto si è rialzato, ha continuato a correre lasciando Patrick indietro. Alla fine della corsa, invece di arrivare primo Patrick è stato l’ultimo. Ma, sul campo della gara, la persona più felice ero io, il suo papà, perché ho visto cosa possono fare i bambini quando cercano di mettere in pratica il Vangelo. Patrick si era reso conto che quel bambino aveva bisogno di aiuto e questo è stato per lui molto più importante che vincere la corsa. In seguito il maestro di Patrick, sorpreso per il comportamento del bambino, è venuto a trovarmi per chiedere come mai il piccolo avesse agito così. Questa pur piccola esperienza ci pare molto significativa. Vi si può cogliere un seme di speranza per una “nuova” Sierra Leone.   (altro…)

Chiara Lubich torna a Fontem (Camerun) dopo 30 anni

Chiara Lubich torna a Fontem (Camerun) dopo 30 anni

E’ stato con una grande festa che i popoli Bangwa e Nweh-Mundani hanno accolto Chiara Lubich a Fontem (Camerun) nel cuore della foresta, a oltre 30 anni dalla sua ultima visita nel 1969. La grande spianata e la collinetta soprastante erano gremite. Una festa di canti e danze che esaltavano il valore della vita: la danza della fecondità della terra, poi delle madri dei gemelli e infine quella del Fon con tutti i capi tribù. In segno di riconoscenza per i valori spirituali portati dal Movimento, la Mafua (regina) di Fontem, Cristina, ha fatto indossare a Chiara un vestito africano simile al suo e il Fon, dott. Lucas Njifua, le ha posto sul capo un caratteristico copricapo ornato con penne di uccello. Le parole del Fon, sottolineate da un lungo applauso, esprimevano gratitudine per il contributo spirituale dato alla popolazione, più ancora che per le molte opere realizzate dal Movimento a Fontem. “Quando abbiamo il timore di Dio allora siamo in pace. Ci aiuta ad avere una buona morale. Anche per la lotta alla piaga dell’Aids è importante questa coscienza morale“. Le parole di Chiara e la sua proposta finale sono state accolte da tutti con immediatezza: la grande festa è stata suggellata da un patto di amore scambievole tra tutta la popolazione, forte e vincolante, espresso con una stretta di mano: “E’ come un giuramento in cui ci impegniamo ad essere sempre nella piena pace fra noi e a ricomporla sempre, ogni volta si fosse incrinata. Solo se l’amore continuerà a brillare in questa città, la benedizione continuerà a scendere dal Cielo per voi, per i vostri figli, per i vostri nipoti.” E’ infatti proprio l’esperienza di “una benedizione dal Cielo” che segna la storia della cittadina di Fontem: ha preso forma, in poco più di 30 anni, a partire da un piccolo villaggio sperduto nel cuore della foresta, dove la tribù dei Bangwa rischiava l’estinzione per l’altissima mortalità infantile che aveva superato il 90 per cento. Chiara ne ripercorre le tappe: “Siamo nel 1964. Mons. Peeters, il vescovo di una cittadina vicina, riceve una delegazione mandata dal Fon di Fontem,  che porta un’offerta. Chiede al vescovo di far pregare i cristiani perché Dio mandi loro aiuto. Il vescovo si rivolge ai focolarini. I primi medici e infermieri arrivano a Fontem agli inizi del ’66. Inizia il primo dispensario in una capanna”. Pochi mesi dopo Chiara visita Fontem. “Ricordo, e lo racconto spesso, come la prima volta io avessi sentito, al momento del raduno nella grande spianata, la presenza di Dio, quasi un sole che tutti ci avvolgeva. E come quella presenza ci avesse dato la forza, l’entusiasmo, la luce per incominciare insieme quest’avventura divina“. Ora si vede apparire un’armoniosa cittadina, con case, chiesa, ospedale, college, scuole elementari e materne, attività lavorative. E’ stato costruito l’acquedotto, arriva l’energia elettrica, strade collegano Fontem con villaggi vicini. Chiara esprime una grande gioia, “soprattutto perché posso costatare che quanto ci aveva fatto prevedere il Signore, durante la seconda visita, nel lontano ’69, si è realizzato“. Suscita commozione in tutti il ricordo di quelle sue parole: “Vedo sorgere in questo posto una grande città che diverrà famosa in tutto il mondo, non tanto perché avrà ricchezze materiali, ma perché in essa brillerà una luce che illuminerà; è la luce che scaturisce dall’amore fraterno tenuto acceso fra noi, in nome di Dio. E qui accorrerà tanta gente per imparare come si fa ad amare“. Da allora questa città è stata meta di molti, da tutta l’Africa, così segnata da conflitti etnici. “Fontem è divenuta centro di irradiazione dell’amore evangelico nel resto dell’Africa e nel mondo”. In questi anni il popolo Bangwa e i popoli vicini Nweh-Mundani, di religione animista, hanno conosciuto il cristianesimo. Chiara, nel suo saluto, richiama il grande messaggio del Giubileo, anno della riconciliazione e del perdono. Ma non tutti sono cristiani. Rivolgendosi a chi è di altre chiese o di altre religioni, ricorda la cosiddetta “regola d’oro“, presente in tutte le religioni del mondo: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te“.  “Perciò tutti – aggiunge – possiamo e dobbiamo continuare ad amarci“. Questa la vocazione di Fontem. Quel patto dell’amore scambievole ha avuto la nota di una grande solennità. Viva la consapevolezza che è la garanzia perché “anche in futuro, la vocazione di Fontem possa continuare ad essere – come dice Gesù – ‘città sul monte’ perché tutti la possano vedere ed imitare“. L’eco di Fontem in questi anni ha raggiunto il mondo, proprio perché lo sviluppo della città è dovuto agli aiuti giunti dal movimento, da tutti i continenti. Chiara infatti nel ’68 lanciava l’Operazione Africa, rivolgendosi soprattutto ai giovani. Ed ha avuto il via una mobilitazione mondiale di comunione di beni durata vari anni, animata dalla presa di coscienza di “dover far giustizia” e contribuire “a colmare il debito che il mondo occidentale ha verso quel continente“. E, insieme a questa grande mobilitazione di solidarietà, di pari passo si sono scoperte le ricchezze dei valori e tradizioni africane. (altro…)

Parola di vita Maggio 2000

Il discorso d'addio, dopo l'ultima Cena, è ricchissimo di insegnamenti e di raccomandazioni che, con cuore di fratello e di padre, Gesù dona ai suoi di tutti i secoli. Se tutte le sue parole sono divine, queste hanno accenti particolari, essendo quelle in cui il Maestro e Signore condensa la sua dottrina di vita in un testamento che sarà poi la magna charta delle comunità cristiane. Accostiamoci dunque alla Parola di vita di questo mese, che fa parte appunto del testamento di Gesù, con il desiderio di scoprirne il senso profondo e nascosto, per poterne informare tutta la nostra vita. Leggendo questo capitolo di Giovanni, la prima cosa che balza agli occhi, è l'immagine della vite e dei tralci, così familiare a un popolo che da secoli pianta vigne e coltiva viti da uva. E sa bene che solo il tralcio bene innestato nel tronco può diventare verde di foglie e ricco di grappoli. Mentre quello tagliato, avvizzisce e muore. Non c'era un'immagine più forte per dire quale è la natura del nostro legame con Cristo. Ma c'è anche una parola che risuona con insistenza in questa pagina di Vangelo: “rimanere”, nel senso di essere saldamente legati e intimamente inseriti in lui, quale condizione per ricevere la linfa vitale che ci fa vivere della sua stessa vita. “Rimanete in me e io in voi”, “Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto”. “Chi non rimane in me viene gettato via”. Quindi questo verbo “rimanere” deve avere un significato e un valore essenziali per la vita cristiana.

«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato».

“Se”. Questo “se” indica una condizione che sarebbe impossibile ad ogni persona di osservare, se per primo Dio non le si fosse fatto incontro. Anzi, di più: se non si fosse a tal punto calato nell'umanità da farsi una sola cosa con essa. E' lui che per primo si innesta, per così dire, nella nostra carne con il Battesimo e la vivifica con la sua grazia. Sta poi a noi realizzare nella nostra vita ciò che il Battesimo ha operato e scoprire le inesauribili ricchezze che vi ha deposto. Come? Vivendo la Parola, facendola fruttare, dandole stabile dimora nella nostra esistenza. Rimanere in lui significa far sì che le sue parole rimangano in noi, non come pietre in fondo a un pozzo, ma come semi nella terra, perché a suo tempo germoglino e diano frutto. Ma rimanere in lui significa soprattutto – come Gesù stesso spiega in questo passo del Vangelo – rimanere nel suo Amore. E' questa la linfa vitale che sale dalle radici, al tronco e fin nei tralci più distanti. E' l'amore che ci lega a Gesù, che ci fa un tutt'uno con lui, come membra – diremmo oggi – “trapiantate” nel suo corpo; e l'amore consiste nel vivere i suoi comandamenti che si riassumono tutti in quel grande e nuovo comandamento dell'amore reciproco. E quasi per darci una conferma, perché possiamo avere la riprova che siamo innestati in lui, ci promette che ogni nostra preghiera sarà esaudita.

«Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato».

Se è lui stesso a chiedere non può non ottenere. E se noi siamo un tutt'uno con lui, sarà lui stesso a chiedere in noi. Se dunque ci mettiamo a pregare, e a domandare qualcosa a Dio, chiediamoci prima “se” abbiamo vissuto la Parola, se siamo rimasti sempre nell'amore. Chiediamoci se siamo sue parole vive, e un segno concreto del suo amore per tutti e per ciascuno di quelli che incontriamo. Può essere pure che si chiedano grazie, ma senza avere nessuna intenzione di adeguare la nostra vita a quanto Dio domanda. Sarebbe giusto allora che lui ci esaudisca? E questa preghiera non sarebbe forse diversa, se sbocciasse dalla nostra unione con Gesù, e se fosse lui stesso in noi a suggerire le richieste al Padre suo? Quindi chiediamo pure qualsiasi cosa, ma preoccupiamoci prima di tutto di vivere la sua volontà, le sue parole, affinché non siamo più noi a vivere, ma lui a vivere in noi.

Chiara Lubich