Movimento dei Focolari

Il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella a Trento

Sabato 25 gennaio 2020 nel contesto delle celebrazioni per il centenario della nascita di Chiara Lubich, avrà luogo presso il Centro Mariapoli “Chiara Lubich” a Cadine di Trento (Italia), l’evento “Trento incontra Chiara”. All’evento parteciperà il Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella e sarà accolto dalla Presidente dei Focolari Maria Voce, dall’Arcivescovo di Trento, Mons. Lauro Tisi, dal Presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti e dal sindaco della città, Alessandro Andreatta. L’intero programma sarà trasmesso in diretta streaming dalle ore 15.55 sulla homepage dei siti www.centenariolubichtrento.it e www.focolare.org Nel corso dell’incontro, accanto agli interventi delle autorità, fra le quali la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, saranno ripercorsi i tratti più significativi della figura di Chiara e saranno offerte alcune testimonianze, da tutto il mondo, di persone che sono state, e sono, ispirate da Chiara e dal suo carisma nel proprio agire personale e sociale: Lawrence Chong di Singapore e Stanislaw Lencz della Slovacchia, imprenditori; Amy Uelman, avvocato e docente universitario degli Stati Uniti; João Braz de Aviz, cardinale del Brasile; Arthur Ngoy e Florance Mwanabute, medici, della Repubblica Democratica del Congo; Alberto Pacher, ex-sindaco di Trento ed altri. La manifestazione prenderà il via alle ore 15.55 per concludersi attorno alle 17:30. L’accesso alla sala Marilen, sede dell’evento nel contesto del Centro Mariapoli, per motivi di sicurezza, è riservato e ad invito. Sarà inoltre possibile seguire in video-collegamento l’evento nella sala Athenagoras, sempre al Centro Mariapoli, ed in Sala Depero presso il palazzo della Provincia in piazza Dante.

Stefania Tanesini

Chiara Lubich – Città Mondo

Prende il via il 7 dicembre 2019 la mostra internazionale dedicata alla persona e al carisma di Chiara Lubich. Si tratta della prima esposizione multimediale mai realizzata su di lei. Giuseppe Ferrandi, direttore del Museo storico del Trentino e Anna Maria Rossi, una dei curatori, raccontano la genesi, il percorso e le novità. https://vimeo.com/377594540 (altro…)

Centenario di Chiara Lubich: messaggio di Maria Voce

100 anni fa nasceva a Trento la fondatrice del Movimento dei Focolari. La parola della Presidente Maria Voce. In un mondo in cui “emergono continuamente correnti di particolarismi e di divisioni e sorgono nuovi muri e nuove frontiere” il messaggio di unità di Chiara Lubich è “di estrema attualità”. È questo il pensiero centrale di un videomessaggio con il quale Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari, ricorda oggi 22 gennaio 2020, i 100 anni dalla nascita della fondatrice dei Focolari. https://vimeo.com/385802261 Testo del videomessaggio (altro…)

Il tempo presente domanda di ricomporre l’unità

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani viene celebrata ogni anno, nell’emisfero nord dal 18 al 25 gennaio, nell’emisfero sud tra la festa dell’Ascensione e quella di Pentecoste. Per il 2020 il motto scelto è un versetto degli Atti degli apostoli proposto da cristiani di varie Chiese dell’isola di Malta: “Ci hanno trattati con rara umanità” (At 28,2). Per questa occasione riproponiamo uno stralcio del tema che Chiara Lubich ha fatto il 27 ottobre del 2002 nella Cattedrale protestante di St. Pierre a Ginevra (Svizzera). L’amore! Quanto bisogno d’amore nel mondo! Ed in noi, cristiani! Tutti noi insieme delle varie Chiese siamo più d’un miliardo. Molti, dunque, e dovremmo essere ben visibili. Ma siamo così divisi che tanti non ci vedono, né vedono Gesù attraverso di noi. Egli ha detto che il mondo ci avrebbe riconosciuti come suoi e, attraverso noi, avrebbe riconosciuto Lui, dall’amore reciproco, dall’unità: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). L’amore reciproco, l’unità doveva essere, dunque, la nostra divisa, il nostro distintivo. E il distintivo della sua Chiesa. Ma la piena comunione visibile non l’abbiamo mantenuta e non c’è ancora. Per cui è nostra convinzione che anche le Chiese in quanto tali debbano amarsi con questo amore. E ci sforziamo di lavorare in questo senso. Quante volte le Chiese sembrano aver obliato il testamento di Gesù, hanno scandalizzato, con le loro divisioni, il mondo, che dovevano conquistarGli! Infatti, se diamo uno sguardo alla nostra storia di 2000 anni ed in particolare a quella del secondo millennio, non possiamo non costatare come essa sia stata spesso un susseguirsi di incomprensioni, di liti, di lotte che hanno spezzato in molti punti la tunica inconsutile di Cristo, che è la sua Chiesa. Colpa certamente anche di circostanze storiche, culturali, politiche, geografiche, sociali… Ma pure del venir meno fra noi di quest’elemento unificatore, nostro tipico: l’amore. E’ per questo che ora, per poter tentare di rimediare a così tanto male, per attingere nuova forza per ricominciare, dobbiamo porre tutta la nostra fiducia in quest’amore evangelico. Se diffonderemo amore e amore reciproco fra le Chiese, quest’amore le porterà, pur diverse, a divenire ognuna dono alle altre. Carissimi fratelli e sorelle, l’abbiamo capito: il tempo presente domanda a ciascuno di noi amore, domanda unità, comunione, solidarietà. E chiama anche le Chiese a ricomporre l’unità lacerata da secoli. E’ questa la riforma delle riforme che il Cielo ci chiede. E’ il primo e necessario passo verso la fraternità universale con tutti gli uomini e donne del mondo. Il mondo infatti crederà se noi saremo uniti. Lo ha detto Gesù: “Che tutti siano uno (…) affinché il mondo creda” (cf Gv 17,21). Dio questo vuole! Credetemi! E lo ripete e lo grida con le presenti circostanze che permette. Che Egli ci dia la grazia, se non di veder realizzato tutto ciò, almeno di prepararlo.

Chiara Lubich

Tratto da: Il dialogo è vita (Città Nuova 2007, pagg. 16-33)

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In Albania, dopo il sisma la priorità è la cura delle vittime

In Albania, dopo il sisma la priorità è la cura delle vittime

Il Movimento dei Focolari accanto ai tanti che hanno subito perdite e danni: “La persona col suo vissuto e le sue esigenze è al centro dei nostri sforzi. Ascoltare, accogliere, condividere è ciò che ci impegna in queste ore. Ma un grande sforzo servirà per pianificare la ricostruzione”. Non si ferma la solidarietà verso le vittime del terremoto che ha colpito l’Albania il 26 novembre 2019, causando 52 morti, oltre 2mila feriti e danni ingenti alle strutture. A due mesi circa dal sisma, iniziative di raccolta fondi, eventi commemorativi e interventi di aiuto sul territorio coinvolgono istituzioni, realtà ecclesiali e assistenziali. Passata l’emergenza, tutte le energie sono indirizzate a favorire il coordinamento delle forze in campo per pianificare e avviare la ricostruzione. Nell’incertezza del presente, grande conforto viene dal sentirsi parte di una famiglia, una rete allargata di persone che assicura supporto e vicinanza. Sta qui il cuore dell’impegno che vede in prima linea il Movimento dei Focolari. Abbiamo sentito Fabio Fiorelli, focolarino che vive e opera presso uno dei centri di Tirana. Dalla notte del sisma, quali iniziative ha potuto realizzare il Movimento a sostegno delle persone colpite? “Alcuni di noi si sono messi in collegamento con la Caritas nazionale e diocesana collaborando a preparare vestiario e coperte da far arrivare a chi era fuori casa, e andando nelle strutture provvisorie di accoglienza per dare ascolto alle persone e far giocare i bambini. Su proposta delle famiglie appartenenti al Movimento, il 21 dicembre scorso abbiamo preparato un pomeriggio di festa natalizia per i bambini più piccoli – e non solo – con canti, giochi, il presepe ‘vivente’ e i doni di Babbo Natale: una pausa di serenità e di comunione per andare avanti. Inoltre, a Durazzo, una psicologa del Movimento, lei stessa con la casa sinistrata, collabora con una équipe che raggiunge villaggi periferici molto colpiti dal sisma, dove le persone vivono in tenda e mancano dei beni primari. A livello molto pratico, sono state censite le famiglie del Movimento che hanno subìto gravi danni alle loro case, nostri ingegneri hanno fatto sopralluoghi e sono state fatte analisi dei costi per sistemare le abitazioni”. Quali altre attività avete in programma? “E’ stato stilato un “progetto” con obiettivi e strategie da intraprendere in sinergia con l’Associazione Mondo Unito (AMU), che fa capo al Movimento, e siamo in attesa di poterne avviare la concretizzazione”. Fin dalle prime ore dopo il sisma, in piena fase di emergenza, Marcella Ioele, responsabile di uno dei centri dei Focolari di Tirana, insieme ad altri ha raggiunto Durazzo e le aree limitrofe per avviare i primi aiuti in coordinamento con la Caritas e la Chiesa locale e per dare supporto alle vittime. Le abbiamo chiesto quali esperienze l’hanno colpita nei colloqui con le persone sfollate: “Una giovane mi ha raccontato che all’inizio delle scosse, suo fratello, che era in casa con la famiglia, d’istinto è scappato per uscire dall’edificio, ma subito è tornato indietro per prendersi cura di loro. Questo gesto l’ha aiutata a capire che in questi momenti non deve pensare solo a se stessa ma a coloro che le sono accanto. Un’altra ragazza avrebbe voluto attivarsi per aiutare chi è in difficoltà, ma dovendo assistere la mamma anziana non poteva allontanarsi. Però – ci ha detto – poteva dare ascolto e consolazione ai tanti che passavano di lì, ed era felice perché sentiva di dare così il suo contributo”. Quali sono oggi i sentimenti prevalenti fra la popolazione? “Da un lato si riconosce come di fronte ai crolli ci siano delle responsabilità per chi ha autorizzato la costruzione di edifici non sicuri e si osserva l’impreparazione nella gestione dell’emergenza. Dall’altro la solidarietà manifestata nella fase iniziale dagli altri Paesi suscita l’auspicio che da qui possa ripartire un’Albania migliore. Vedere popoli, che fino a ieri erano separati da antichi odi, lavorare insieme è stato un segno di speranza. C’è grande gratitudine soprattutto verso i kosovari che si sono resi presenti in modo molto forte, quasi a voler ricambiare quell’amore che avevano ricevuto quando erano stati qui durante l’emergenza Kosovo. Alcuni di loro sono venuti a prendere delle famiglie per portarle nelle loro case. “Il terremoto – mi diceva un giovane – ci ha avvicinato gli uni altri come mai prima era successo”. Altri ci hanno detto di cogliere la presenza di Dio anche in questa realtà di dolore”.

Claudia Di Lorenzi

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Vangelo vissuto: superare giudizi e prevenzioni

“Gesù ci ha dimostrato che amare significa accogliere l’altro così com’è, a quel modo con cui egli ha accolto ciascuno di noi. Accogliere l’altro, con i suoi gusti, le sue idee, i suoi difetti, la sua diversità. (…) Fargli spazio dentro di noi, sgombrando dal nostro cuore ogni prevenzione, giudizio e istinto di rifiuto”. (Chiara Lubich) Il “Villaggio della miseria” Gli abitanti di questa baraccopoli, che si estende sulle rive pantanose di un fiume, si arrangiano con lavoretti e, dovendo rimanere fuori casa tutto il giorno, sono costretti a lasciare i loro bambini da soli. Qualche tempo fa, il fiume in piena per una pioggia torrenziale ha portato via da una baracca un bimbo di pochi mesi. Noi abitiamo in un vicino quartiere residenziale. Sconvolti dall’accaduto, tentiamo di affrontare questa terribile piaga coinvolgendo parenti e amici. Presi in affitto dei locali, iniziamo un asilo-nido dove i genitori possono lasciare i loro bimbi al sicuro durante il giorno. Nei locali attigui diamo avvio a una scuola materna per togliere dalla strada i più grandicelli. L’iniziativa sta portando frutti: rapporti nuovi tra il personale che lavora e le famiglie e condivisione di beni, di tempo e di prestazioni. Pian piano si sta facendo realtà anche un altro sogno: togliere il maggior numero di famiglie dal “Villaggio della miseria”. Con un sistema di autogestione abbiamo costruito e inaugurato quest’anno le prime nove case. (S.J.B. – Argentina) Convinzioni politiche Era inevitabile, in ufficio, parlare di politica. Inevitabile sperimentare la distanza che esisteva fra i rispettivi punti di vista. Stanca di questa tensione che aumentava giorno dopo giorno, soprattutto quando qualcuno proclamava “verità” non condivisibili, sono giunta alla conclusione che più che cambiare ufficio, dovevo cambiare io. Così mi sono impegnata a capire meglio cosa spingesse l’uno o l’altro dei miei colleghi a difendere una certa posizione. Questo mio modo di comportarmi ha provocato una certa curiosità, soprattutto in quanti mi avevano sempre attaccata come cattolica- conservatrice-bigotta. Certamente è stata la preghiera ad aiutarmi, ma anche la mia comunità parrocchiale che mi incoraggiava ad avere più carità. Un giorno il mio “nemico” più acerrimo mi ha detto: “Non so più dove attaccarti …e vedo che sei felice. La tua libertà mi disorienta”. Senza troppe spiegazioni si è stabilita un’amicizia costruttiva che ora aiuta anche gli altri ad avere un atteggiamento più comprensivo tra noi, pur restando nelle proprie convinzioni. (F.H. – Ungheria) Con occhi di madre Nostro figlio aveva sposato L. sull’onda della contestazione, scambiando per amore la comune fede politica. Io l’amavo come una figlia e ne apprezzavo le doti di sensibilità e attenzione verso gli ultimi della società. Quando, dopo appena un anno di matrimonio, entrambi sono venuti a comunicarci la difficoltà di continuare una vita insieme, ero quasi preparata a questo annuncio. A perderci è stato soprattutto il nostro ragazzo, che aveva impegnato tutto sé stesso nella costruzione di un rapporto coniugale vero. Quanto a L., più che giudicarla, ho cercato di tenere presente quanto di bello e di positivo avevo colto in lei prima e di considerare la situazione con occhi di madre. l suoi genitori, constatando che dalla nostra bocca non era uscita mai, né con loro né con altri, una parola di giudizio nei confronti della figlia, hanno espresso la loro stima per quest’atteggiamento e hanno continuato a mantenere con noi un rapporto fraterno. Da allora sono passati molti anni. L. ci considera ormai un punto fermo della sua vita. (F.B. – Francia) Ladri in casa Avevo aperto loro la porta perché mi erano sembrati dei bravi ragazzi. Invece mi hanno chiesto subito dove avessi i soldi e cominciato ad aprire cassetti, armadi. Uno di loro mi teneva ferma per le braccia dietro la schiena. Per la paura, non avevo neanche la forza di gridare … Quando sono andati via, mi sono trovata a terra, un po’ stordita. Forse avevano avuto pietà della mia età. Poi sono uscita sul balcone e ho gridato aiuto, ma i ladri erano già fuggiti. Dei vicini sono accorsi, ma non potevano fare altro che aiutarmi a mettere un po’ di ordine in giro mentre mi rendevo conto di ciò che era sparito. Cosa fare? Quel giorno la tragedia della solitudine e della vecchiaia mi è apparsa in tutta la sua crudeltà. La notte non sono riuscita a prendere sonno: davanti ai miei occhi si ripresentava la stessa scena. Eppure sembravano bravi ragazzi, potevano essere miei nipoti. Perché agivano così? Un po’ di pace l’ho trovata quando mi sono messa a pregare per loro e per le loro mamme. Ho ringraziato Dio di essere ancora viva. (Z.G. – ltalia) Non negare la vita Da molti anni non rivedevo la mia vicina di casa, e precisamente da quando avevamo traslocato. Ora ritrovavo una donna più vecchia della sua reale età, come un’altra persona. Sembrava che lei aspettasse l’occasione per aprire il suo cuore, perché senza indugio cominciò a espormi le sue pene: “Tutto era iniziato il giorno in cui, decidendomi per l’aborto, avevo sperato di risolvere i problemi tra me e mio marito … Invece lui, dopo aver accollato su di me la colpa del figlio che non gli avevo dato, se ne andò con un’altra, lasciandomi in un mare di guai con due figlie adolescenti. Più tardi una di loro mi confessò di essere incinta; il suo ragazzo l’aveva messa alle strette: o abortiva o l’avrebbe lasciata. Le confidai quello che avevo sempre taciuto e le raccomandai di non negare la vita, come avevo fatto io. Fu lei a consolarmi, vedendomi piangere. Soggiunse poi che, vedendo il mio dolore, aveva deciso di tenersi il bambino. Così fece. Il suo ragazzo non la lasciò. Ora vivono felici con quel figlioletto che è anche la mia consolazione”. (S.d.G. – Malta)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno VI, n.1, gennaio-febbraio 2020)

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Filippine: evacuata la Mariapoli Pace per l’attività del vulcano Taal

Filippine: evacuata la Mariapoli Pace per l’attività del vulcano Taal

Ha fatto il giro del mondo la notizia dell’eruzione del vulcano Taal, iniziata il 12 gennaio scorso, a pochi Km di distanza dalla Mariapoli Pace dei Focolari a Tagaytay sull’isola filippina di Luzon. Grazie ai Social le foto delle case e delle strade ricoperte di cenere e fango sono arrivate ovunque, come pure le notizie di prima mano dei moltissimi che in questi giorni stanno lasciando la regione turistica di Tagaytay, a circa 60 Km dalla capitale Manila. Le autorità filippine hanno sollecitato l’evacuazione totale di circa 500.000 persone in seguito all’allerta diramata dall’istituto di vulcanologia e sismologia delle Filippine (PHILVOLCS). Si teme infatti un’eruzione esplosiva. “Sembra di camminare per una città fantasma – commenta una ragazza su Facebook, descrivendo Tagaytay, la sua città: tutto è di un unico colore: grigio; manca elettricità, acqua e le scosse di terremoto sono frequenti”. A circa 30 Km dal vulcano Taal c’è anche la Mariapoli Pace dei Focolari; è nata nel 1982 con una spiccata vocazione al dialogo tra persone di religioni diverse e questa mattina abbiamo raggiunto Ding Dalisay e Chun Boc Tay, responsabili dei Focolari nelle Filippine, per avere notizie dei suoi abitanti; ci hanno assicurato che è stata quasi del tutto completata l’evacuazione dei suoi abitanti. “Quasi tutte le focolarine sono partite; i sacerdoti e i seminaristi sono stati trasferiti presso il Seminario di San Carlos e i 7 Gen – i giovani dei Focolari –  ora sono a Manila. I focolarini sono in parte presso i loro familiari e alcuni sono rimasti nei rispettivi focolari, le nostre famiglie stanno abbastanza bene e alcune sono partite. Stiamo distribuendo cibo e acqua per i bisognosi e ci stiamo organizzando per ospitare gli sfollati, se necessario. E’ difficile comunicare perché non possiamo ricaricare le batterie dei cellulari e utilizzare i computer. Ieri abbiamo celebrato la messa e cenato insieme a lume di candela. Cerchiamo di meritare la presenza di Gesù in mezzo a noi”. Ding racconta poi la straordinaria resilienza del popolo filippino, visibile in gesti normali che diventano eroici in situazioni estreme come questa: “E’ incredibile la creatività delle persone più povere che, pur non avendo nulla, inventano risorse insperate al servizio di chi ha più bisogno di loro. Abbiamo visto un uomo con un handicap che ha messo al bordo della strada un tavolino per distribuire gratis delle mascherine contro la fuliggine; oppure il proprietario di una piccola trattoria che ha esposto un cartello con su scritto: ‘Chi ha bisogno di un pasto può entrare senza pagare’; o un signore che si offre di ripulire dalla cenere ogni macchina che circola con la sua pompa d’acqua”. La comunità dei Focolari di Tagaytay e dintorni ringrazia tutti nel mondo per le preghiere, i messaggi, le tante chiamate. Continuiamo a seguire la situazione e a darne notizia soprattutto attraverso i social del Movimento dei Focolari.

Stefania Tanesini

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Ristabilire il dialogo tra USA e Iran 

Il Movimento Politico per l’Unità e New Humanity promuovono l’istituzione di un comitato trilaterale ad alto livello fra rappresentanti speciali degli Stati Uniti, dell’Unione europea e dell’Iran con il mandato di ristabilire il dialogo tra USA e Iran. L’appello è stato inviato a Josep Borrell, (Alto rappresentante EU), a Seyed Mohammad Ali Hosseini (Ambasciatore dell’Iran a Roma) e a Lewis M. Eisenberg (Ambasciatore USA a Roma). Di seguito il testo: Il Movimento politico per l’unità esprime la sua grave preoccupazione per l’intensificarsi del conflitto tra Iran e Stati Uniti. La politica internazionale, con le proprie istituzioni, ma anche con le proprie organizzazioni non governative, ha una responsabilità speciale nel mettere la sua azione al servizio della pace e dei diritti dei popoli. Solo il dialogo internazionale e la diplomazia – quella residua, quella che fa sperare contro ogni speranza – possono ancora assumere iniziative nella logica della pace. Questa è una delle nostre maggiori sfide del ventunesimo secolo. La strada per la soluzione ci deve essere e ci viene indicata dai valori dell’uomo e dalla docilità dei cuori. “Il volto dell’uomo non lo vediamo più: l’uomo che soffre, che è limitato, tormentato e alla fine macellato sui campi di battaglia”, declamava l’On. Igino Giordani, in un accorato discorso nel Parlamento Italiano. Siamo chiamati a vedere, a riscoprire il volto dell’uomo per dire no alla guerra, ad ogni atto di guerra. Per arrivare alla pace occorre però soprattutto diplomazia e negoziazione, senza stancarsi, perché guerra e terrorismo sono la grande sconfitta dell’intera umanità. Questo è il motivo per cui proponiamo e sollecitiamo l’istituzione di un comitato trilaterale ad alto livello fra rappresentanti speciali degli Stati Uniti, dell’Unione Europea e dell’Iran, con il mandato di ristabilire un dialogo significativo e, in definitiva, raggiungere una soluzione pacifica al conflitto. Mario Bruno                                                                                     Marco Desalvo President – Mppu Movement                                                        President – New Humanity NGO contact: Mario Bruno +39 334 998 0260   Appello in pdf (altro…)

7 dicembre 1943-7 dicembre 2019

A distanza di 76 anni da quel 7 dicembre 1943, Paolo Balduzzi ci porta a Trento per visitare alcuni dei luoghi dei primi tempi di Chiara e della comunità dei Focolari. Oggi la città da cui tutto è iniziato porta nel suo tessuto civile e sociale segni e pratiche di una mentalità di fraternità che da lì ha raggiunto i confini del mondo. https://vimeo.com/377594227 (altro…)

Un vero capitano – L’ultimo saluto ad Albert Dreston

Il 30 agosto 2019, in una delle ultime soleggiate estive ci ha lasciati Albert Dreston, professore, teologo, focolarino e protagonista, per generazioni, anche del calcio di Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari in Italia dove ha vissuto 52 anni. La sua storia fin dai primi anni di vita è tutt’altro che semplice. Nasce in Renania nel 1939, all’età di sei anni perde il padre durante la Seconda Guerra Mondiale. Nonostante il dolore, tra le lacrime, fa la prima grande scoperta di Dio: “All’improvviso – racconta – una forza e una voce dentro di me, come se Dio mi dicesse: ‘Non sei orfano, sono io tuo padre’. Da quel momento non mi è mai più mancato mio padre, non mi sono mai più sentito solo”. In età giovanile devono asportargli un rene e sembra non possa vivere a lungo. Come spesso accade però, il passo di chi è pronto a lasciare tutto è anche il primo verso la rivelazione di un grande “tesoro”. Così nel 1957 a Münster, in un incontro con alcuni focolarini viene colpito da “Gesù in mezzo frutto dell’amore reciproco.” La sua vita imbocca qui la strada dell’Ideale che lo aiuterà a vivere le tribolazioni e gli affanni fisici con una nuova consapevolezza. L’anno successivo don Foresi e Chiara gli accordano di entrare in focolare e alcuni anni più tardi è lo stesso don Foresi a comunicargli che, una volta terminati gli studi di Antico Testamento, sarebbe andato a insegnare a Loppiano, prima Mariapoli permanente. È il 1967, Albert ha 28 anni, le condizioni fisiche migliorano, a Loppiano lo sport viene vissuto come elemento imprescindibile per la relazione con gli altri, l’accoglienza e la conoscenza reciproca. In questa cornice comincia per lui un periodo nuovo: giovane formatore in mezzo a giovani di tutto il mondo. Negli anni di servizio nella cittadella non ha mai smesso di essere un punto di riferimento. Insegnava in aula e nel campo sportivo, con la dedizione dell’appassionato di calcio, l’intelligenza del maestro e l’affetto del focolarino. Non si può certo dire che sia stato un fuoriclasse dalla giocata raffinata e neppure un grande goleador. Era qualcosa di più. Negli ultimi anni, oltrepassate le 75 primavere, poteva capitare che non si sentisse di giocare, eppure lo trovavi lì, 30 minuti prima dell’orario stabilito, ad accogliere i giocatori e sistemare quello stesso campo che tra pochi mesi verrà intitolato a suo nome. Era qualcosa di più sì, difensore dal grande tempismo, in un’unica partita era capace di fare il custode del campo, l’allenatore, l’arbitro, il guardalinee, il libero e soprattutto il direttore sportivo… perché prima di tutto c’era da fare le squadre e lui un paio di difensori bravi (che fossero africani, brasiliani o asiatici) riusciva a prenderseli sempre. Per tutto questo Albert Dreston “era” il calcio a Loppiano, un vero capitano, perché compagno di squadra di tutti, anche quando avversario. Un’autentica …”leggenda”. Pronunciare il suo nome oggi è aprire il grande libro del Movimento dei Focolari, ricco di persone care, vite preziose. È soffermarsi sul capitolo di un uomo che nelle forme più diverse ha saputo donare il suo tempo per aiutare gli altri. Negli ultimi anni qualcuno si domandava se potesse giocare ancora a calcio, se non fosse arrivato il momento di fare una partita d’addio, appendere le scarpette al chiodo e chiudere in bellezza questa storia. Qualcuno aveva il coraggio di sussurrarglielo con rispetto. Ingenui tutti noi che ci abbiamo provato. Albert, con testarda e teutonica coerenza rispondeva: “Io passerò direttamente dal campo sportivo al campo santo.” E così, in un certo senso, è stato. Ci ha salutati di venerdì. Come al solito, tempismo perfetto: per le ultime convocazioni alla vigilia del match, per fare le squadre e continuare a rinviare dal fondo… tra i campi Elisi. Buon paradiso calcistico capitano… e grazie!

Andrea Cardinali

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Un anno rivoluzionario

Chiara Lubich ha affermato più volte che lavorare per stabilire rapporti di pace nel mondo è un fatto rivoluzionario. Si apre un nuovo decennio che coincide anche con il centenario della nascita della fondatrice dei Focolari 
“Sai chi sono gli operatori di pace di cui parla Gesù?” Esordisce così Chiara Lubich nel suo commento alla Parola di vita del mese di febbraio 1981. Una domanda che rivolge anche a noi oggi più che mai, nella Giornata internazionale della pace. Chi opera la pace crea e stabilisce legami, appiana le tensioni – spiega Chiara. Scopriremo così che sono infinite le occasioni per essere veri operatori di pace.

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Burkina Faso: in missione nella terra degli uomini integri

Burkina Faso: in missione nella terra degli uomini integri

Una delle cose più belle del nostro lavoro alla redazione di focolare.org è il rapporto con le persone e le comunità dei Focolari nel mondo e, anzi, approfittiamo di queste festività natalizie per ringraziare quanti di voi ci mandano notizie, consentendo così che la vita del carisma dell’unità diventi d’ispirazione per molti. In questo spirito, la mail di p. Domenico De Martino, 36 anni, originario di Napoli (Italia), ora in missione in Burkina Faso, è stata un vero dono perché apre le porte su di un pezzo di mondo che sta vivendo un tempo difficile, dove pace, dignità e libertà religiosa sono gravemente minacciate e che è fuori dai radar mediatici internazionali. Negli ultimi cinque anni il Burkina Faso è stato colpito dalla violenza di gruppi estremisti che hanno causato la morte di centinaia di persone, un’ondata di rapimenti e la chiusura di molte scuole e chiese. Una violenza che ha portato a un massiccio e continuo spostamento di popolazioni dalle regioni colpite verso la capitale e i grandi centri urbani. Secondo le ultime informazioni delle Nazioni Unite, all’inizio di ottobre sono stati registrati 486.360 sfollati interni, più del doppio rispetto a luglio e le cifre sono in costante crescita. C’è chi parla addirittura di un milione di sfollati interni. P. Domenico fa parte della Comunità Missionaria di Villaregia e ha avuto i primi contatti con il Focolare a 12 anni quando ha letto per la prima volta la Parola di Vita, il mensile commento alle scritture nello spirito del carisma dell’unità, iniziato da Chiara Lubich oltre quarant’anni fa. Lo trovava quando andava a far visita ai missionari. “Poi, a 17 anni ho scritto a Chiara Lubich per chiederle di indicarmi una parola del Vangelo che fosse di luce per la mia vita e perché volevo condividere con lei il mio percorso di ricerca vocazionale. Custodisco ancora la sua risposta nella mia bibbia e ogni tanto la riprendo. La parola che mi ha dato è: ‘Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’ (GV 14.23). Una Parola impegnativa e forte di cui cerco di comprendere sempre di più il senso per la mia vita. Nel 2012 sono stato ordinato prete dopo un’esperienza di un anno in Perù, a Lima”. Da due anni p. Domenico è in missione a Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso e si occupa di progetti di promozione umana. “Burkina Faso significa letteralmente ‘terra degli uomini integri’ e tra i valori del popolo burkinabé ci sono la famiglia e il senso di comunità. Abbiamo iniziato una scuola di alfabetizzazione che oggi conta 160 iscritti; la maggior parte sono ragazze e giovani madri che non hanno potuto studiare. Abbiamo attivato anche un progetto per donne che hanno iniziato piccole imprese con le quali sbarcano il lunario: le domande da selezionare sono molte e questo non è sempre facile. Il Vangelo e il desiderio di essere immersi in questo popolo ci guidano nelle scelte”. In questi ultimi mesi sono ricominciate le lezioni nelle scuole della capitale; lo stesso, purtroppo, non si può dire per altre zone del Paese. Nel Nord, Nord-Est e Nord-Ovest del Paese molte scuole sono state bruciate da gruppi terroristici e al termine dello scorso anno scolastico diversi insegnanti sono stati uccisi. “Le modalità sono sempre le stesse: i banditi o terroristi arrivano nei villaggi, prendono tutto – bestiame e raccolto – svuotano i piccoli negozi e poi cercano gli insegnanti dicendo loro che se non se ne vanno saranno le prossime vittime a meno ché non insegnino l’arabo o quella che loro definiscono ‘la vera religione’. Ho avuto modo di parlare con alcuni insegnanti che nonostante questa situazione di crisi devono raggiungere il posto di lavoro in queste province perché lo stato non puo’ permettere che cessino le attività ma la paura é grande. Anche se la nostra zona é tranquilla, cerchiamo di essere vicini alla nostra gente, condividendo paure e angosce. Nel settembre scorso in un attacco a una base militare hanno perso la vita 40 soldati tra cui 3 nostri giovani parrocchiani. Eravamo particolarmente vicini a uno di loro, primogenito di una famiglia che conosciamo molto bene. Quando siamo andati a casa sua per le condoglianze, di fronte alla vedova e ai due figli distrutti dal dolore non riuscivo a dare una risposta al perché di tanto odio e orrore. Incrociando lo sguardo di Jean, il padre del giovane ucciso, che mi dice sempre: ‘Voi preti siete il segno di Dio per noi; a voi possiamo domandare tutto perché ci date la parola di Dio, il suo conforto e la sua volontà’, non ho potuto far altro che stringergli la mano impotente, senza potergli dire nulla ma solo fargli sentire che Dio gli é vicino”. In questa situazione di grave instabilità un segno di speranza é la comunione crescente tra le diverse chiese cristiane e con persone di altre religioni, in particolare i musulmani, con i quali ci riuniamo in preghiera e invochiamo la pace. Un altro segno di speranza che p. Domenico ci racconta é il progetto per poter sostenere la retta scolastica di alcuni bambini. Ad oggi sono 96 i bambini che ne hanno usufruito. “Ci ha sconcertato renderci conto che moltissimi bambini non sono in possesso di alcun atto di nascita e dunque per lo stato e per il mondo non esistono. Le situazioni che incontriamo sono molto complesse e richiedono un accompagnamento su diversi fronti. É bello vedere come un progetto fatto mettendo Dio al centro porta a una comprensione e una gestione delle cose più profonda, perché si guarda alla persona nella sua globalità. Per i certificati di nascita ci stiamo organizzando e questo ci permetterà di ridare dignità ai bambini dei nostri quartieri”. Tra le righe comprendiamo che p. Domenico potrebbe raccontarci ancora moltissime cose e le sue parole dense di amore per il popolo burkinabé ci avvicinano a questa terra. “La comunione – conclude p. Domenico – ci aiuta ad essere Chiesa nel vero senso del termine, con i piedi per terra e le mani in pasta per tutti i figli di Dio che sono nella prova e in necessità”.

 Stefania Tanesini

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Romaamor: servire i poveri per costruire fraternità

Romaamor: servire i poveri per costruire fraternità

Una onlus che opera da tredici anni nella capitale italiana, recuperando alimenti in eccedenza o rimasti invenduti, prepara ogni giorni 250 pasti per i poveri e lavora anche per favorire la loro inclusione sociale Accumulo e spreco sono piaghe del nostro tempo e di molte delle nostre società, ma c’è anche chi, silenziosamente, raccoglie il cibo che andrebbe buttato e lo dona alle persone più povere. E lo fa non solo per offrire assistenza, ma come gesto concreto di accompagnamento verso un percorso di riscatto. È la storia di Dino Impagliazzo e di Romaamor, la onlus a cui ha dato vita nella capitale in risposta all’invito di Chiara Lubich, che nel 2000, ricevendo la cittadinanza onoraria di Roma, chiedeva di cooperare per una “rivoluzione d’amore” nella città. Da 13 anni Romaamor offre 250 pasti al giorno ai senzatetto che si trovano alle stazioni Tuscolana e Ostiense e in piazza San Pietro. E Dino, che ha ormai 90 anni, ogni giorno sperimenta la stessa gioia nel donarsi agli altri: “Nell’aiutare queste persone ci sono a volte tante difficoltà – spiega – bisogna sacrificarsi, ma poi senti una grande gioia per aver fatto del bene. Cristo ci ha insegnato che l’essenza del cristianesimo è amare Dio e il prossimo, e Chiara Lubich ci invita a vivere per la fratellanza universale: questo è il fondamento del nostro servizio ai poveri”. Per il suo impegno Dino ha ricevuto il premio internazionale Cartagine 2018, perché  “La sua opera di sensibilizzazione e formazione restituisce etica alla città e concretamente crea alternative valide che ridanno giusto valore alle persone e alle cose”. Inoltre, il 20 dicembre scorso, il fondatore di Romaamor ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, l’onorificenza al merito della Repubblica, conferita “per l’impegno nella solidarietà, nel soccorso (…) nella promozione della coesione sociale e dell’integrazione”. Lo abbiamo intervistato: Come è iniziata l’esperienza di Romaamor? Ho cominciato da solo, per caso, portando un panino ad una persona povera che ho incontrato alla stazione, e pian piano ho pensato di coinvolgere il maggior numero di persone possibile. A partire da mia moglie, poi i miei condomini, il quartiere. Da sempre ci rapportiamo ai poveri nella consapevolezza che nel prossimo, che sia ricco, povero, sano o malato, c’è mio fratello e quando mio fratello è in difficoltà va aiutato e considerato come tale. Per la Giornata dell’Alimentazione 2019, il Papa ha sottolineato come sia necessario un ritorno alla sobrietà negli stili di vita, per coltivare un rapporto sano con noi stessi, i fratelli e il Creato… E’ una scelta essenziale. Se sei cristiano e sai bene che ciascuna persona è tuo fratello, perché te l’ha detto Gesù, se vivi non solo per te stesso ma in relazione agli altri e sai che tra di noi c’è gente che sta bene e gente che sta male, allora come puoi pensarla diversamente? La tua disponibilità deve essere sempre piena e offerta con gioia. Di fronte al predominio della “cultura dello scarto”, voi che scegliete di servire i poveri andate controcorrente… Questo è importante, ma noi non ci limitiamo a raccogliere il cibo in scadenza, cucinarlo e portarlo alle persone in difficoltà. Cerchiamo anche di entrare in rapporto con loro per fare qualcosa in più del semplice sfamare. Cerchiamo di adeguare i pasti alle persone che aiutiamo: bambini, anziani, donne, malati hanno esigenze diverse, e per i nostri ospiti musulmani prepariamo pasti senza utilizzare carne di maiale. Il nostro obiettivo è poi favorire l’inclusione: invito i volontari a cercare di instaurare un rapporto stretto almeno con qualcuna di queste persone. Nell’offrire il pasto chiedo che portino due vassoi, uno per il povero e uno per loro, per sedersi e mangiare insieme. Qual è il valore del gruppo? È fondamentale, siamo insieme in tutto, nel decidere il menù, cucinare, dividere i compiti. Se uno pensa a vedere se ci sono malati, un altro si dà da fare per chi ha bisogno di relazionarsi con gli enti pubblici, e l’uno dà forza all’altro. Le ore che passiamo insieme sono tante: cominciamo a cucinare nel pomeriggio, finiamo alle otto, usciamo e stiamo fuori per due ore. Si condivide tutto, anche le gioie e le difficoltà. Qualcuna delle persone che aiutate è poi diventata volontaria? Certo! Tra i volontari un terzo sono stranieri che, per esempio, sono nei centri di accoglienza e aspettano di essere riconosciuti come rifugiati politici. Alcuni ci vengono segnalati dai giudici per fare servizi sociali, e ci sono seminaristi inviati dalle diocesi. Siamo di provenienza diversa ma tutti operiamo per lo stesso fine. Perché un giovane dovrebbe venire a Romaamor? Tra i volontari c’è una marea di giovani che cresce in continuazione. Fanno questa esperienza con gioia, sono felici, e cercano di portare i loro amici.

Claudia Di Lorenzi

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Collaborare insieme per il bene dell’umanità

Collaborare insieme per il bene dell’umanità

Firmato un accordo di partnership tra la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. Obiettivo: continuare a lavorare insieme per sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030.

©FAO/Giulio Napolitano.

Un accordo che rafforza una collaborazione già in atto, un documento che conferma il comune impegno per far sparire la fame e la povertà dal nostro pianeta. E’ questo il senso dell’accordo di partnership firmato il 19 dicembre scorso a Roma tra la FAO, la più grande agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura, e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. L’accordo è indirizzato alla promozione, in particolare con le nuove generazioni, di azioni, attività, iniziative per realizzare il progetto Fame Zero, secondo degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. “Grazie per il lavoro che avete già svolto con noi come New Humanity collaborando per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), per Fame Zero e per il futuro del pianeta e del mondo”. Con queste parole la Dott.ssa Yasmina Bouziane, Direttrice dell’Ufficio per la Comunicazione Istituzionale della FAO, ha accolto nella sede della FAO di Roma il dott. Marco Desalvo, Presidente della ONG New Humanity insieme ad una piccola delegazione di giovani dei Focolari. “Sappiamo che abbiamo solo altri 10 anni per raggiungere gli Obiettivi. Ciò che voi fate con i giovani di ogni estrazione è estremamente importante, perché i giovani sono l’innovazione, il cambiamento, sono quelli che si aspettano le informazioni, senza di esse non possiamo arrivare alle azioni concrete che vogliamo fare”. “Quello che firmiamo oggi – ha aggiunto – è un’altra conferma che è solo in partnership che possiamo andare avanti. Già apprezziamo molto ciò che il Movimento dei Focolari e New Humanity hanno fatto con le proprie iniziative, quindi, insieme, penso che possiamo sicuramente andare avanti e sostenere veramente i Paesi e l’intero pianeta per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030” . “Grazie. Anche per noi, questa firma significa molto – ha detto Marco Desalvo parlando dell’accordo – Penso alle migliaia di giovani che stanno già lavorando per il progetto Fame Zero. Ma questo è anche un nuovo impegno per noi. Pensavo ieri che Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha iniziato andando verso coloro che avevano fame, a Trento, pensando di risolvere il problema sociale della città. Ora siamo in tutto il mondo e vogliamo continuare e raggiungere l’obiettivo”. La collaborazione tra la FAO e New Humanity è già iniziata da qualche tempo. Raccogliendo l’invito della FAO ai ragazzi e giovani ad impegnarsi in particolare per Fame Zero, molte sono state le iniziative alle quali si è dato vita. Un gruppo di ragazzi di 11 Paesi ha elaborato la “Carta d’Impegno” (http://www.teens4unity.org/cosa-facciamo/famezero/) dei Ragazzi per l’Unità verso Fame Zero. Ogni anno in maggio, la “Settimana Mondo Unito” e la staffetta mondiale “Run4Unity” sono dedicate anche alla sensibilizzazione e azione sul fronte Fame Zero. La rivista bimestrale Teens ha una rubrica dedicata a queste tematiche Fame Zero (https://www.cittanuova.it/riviste/9772499790212/).- Nel giugno 2018 sono state accolte nella sede FAO di Roma 630 giovani ragazze (dai 9 ai 14 anni) del Movimento dei Focolari (https://www.focolare.org/news/2018/06/26/prime-cittadine-famezero/). A fronte del loro impegno per questo obiettivo è stato consegnato a ciascuna un passaporto e sono divenute “le prime cittadine Fame Zero”. Recentemente è stato realizzato un libro (http://new-humanity.org/it/pdf/italiano/diritto-allo-sviluppo/214-new-humanity-e-fao-libro-generazione-fame-zero-ragazzi-in-cammino-verso-un-mondo-senza-fame/file.html), frutto della collaborazione tra FAO e New Humanity per i ragazzi (12-14 anni) dal titolo “Generazione #FameZero. Ragazzi in cammino verso un mondo senza fame”. In esso si propone, partendo da testimonianza vere, un nuovo stile di vita che possa concorrere a realizzare un mondo unito e, quindi, vincere anche la fame e la povertà. Una copia è stata consegnata anche alla Dott.ssa Bouziane “Custodirò questo libro, grazie!”. Ha continuato affermando che, come giovani e ragazzi, devono valutare insieme quali sono le priorità sulle quali si vogliono impegnare. Di esse, hanno spiegato i giovani presenti, si parlerà anche nei prossimi incontri internazionali di formazione per le nuove generazioni a Trento ad inizio 2020 e nei Cantieri dei Ragazzi per l’unità in Kenya e Costa d’Avorio. “Il nostro impegno – ha concluso la Dott.ssa Bouziane – è lavorare con voi sulle vostre priorità per poter raggiungere Fame Zero, perché la nostra priorità è raggiungere Fame Zero con voi, insieme”.

Stefania Tanesini

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Un evento quasi scandaloso

Un evento quasi scandaloso

Auguri di Natale di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari Natale è per tutti noi che lo festeggiamo ogni anno un momento tanto atteso, pieno di emozioni, di gioia, di rapporti. Ma in mezzo all’atmosfera natalizia così gioiosa e allegra spesso dimentichiamo che alla base di questa festa c’è un evento misterioso, direi quasi scandaloso: lo scandalo di un Dio che si abbassa e diventa uomo, dell’Onnipotente che diventa un bambino debole, dell’Illimitato che entra nei limiti della carne umana. E Dio non lo fa soltanto per solidarietà, per essere vicino a noi e condividere la nostra esistenza. Lui entra nella condizione umana per dimostrarci con la nostra lingua, con i nostri gesti, con le nostre emozioni la sua stessa vita: quella di un Dio; una vita capace di ricomporre fratture, risanare ferite, ricostruire rapporti. Lo ha fatto 2000 anni fa e lo vuole fare anche oggi. Fra un mese, il 22 gennaio, ricorre il centenario della nascita di Chiara Lubich, la fondatrice del nostro Movimento dei Focolari. E in questa occasione non posso non ricordare il nucleo del suo messaggio, della sua spiritualità dell’unità: la scoperta che Gesù può nascere anche oggi, laddove due o più si vogliono bene “con quell’amore di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, ai pesi, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli, con quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo” . Da qui la proposta di fare dei nostri rapporti umani il presepe, la culla, che accoglie Gesù in mezzo a noi, che vuole ricomporre il nostro mondo, oggi così frammentato. Il mio augurio per questo Natale è che sia per tutti una festa di profonda gioia, nell’impegno ad allenarci ogni giorno per attirare, con l’amore reciproco, la presenza di Gesù fra noi, permettendogli così di trasformare il mondo. (altro…)

Scomparso il Gran Maestro Ajahn Thong

Figura di primo piano del buddismo theravada thailandese, il Venerabile Phra Phrom Mongkol, vi si è spento il 12 dicembre scorso a 97 anni. Altissima l’esperienza di dialogo buddhista-cristiano tra lui e Chiara Lubich. A metà degli anni Novanta, grazie a Phramaha Thongratana, monaco che aveva avuto l’occasione di incontrare Giovanni Paolo II e di conoscere il Movimento dei Focolari e Chiara Lubich, il Gran Maestro aveva trascorso un periodo nella cittadella di Loppiano, insieme al suo giovane seguace, noto in ambito cattolico anche con il nome di Luce Ardente. Dopo i primi incontri che questi aveva avuto con la fondatrice dei Focolari, era nato il desiderio di un dialogo fra buddismo e cristianesimo in Thailandia, che, nelle parole del monaco doveva essere realizzato «dolcemente, con una carità squisita, con tanto amore ed occupandocene con il cuore». A questo aggiungeva una considerazione fondamentale per il dialogo: «Questi due termini – buddhismo e cristianesimo – sono soltanto due parole […] il bene, l’amore, è ciò che unisce tutti gli uomini di qualsiasi razza, religione, lingua e fa sì che tutti possano ritrovarsi e convivere insieme». Da qui, il suo impegno, deciso e, per certi versi, sorprendente: «Finchè avrò respiro, finchè avrò vita, cercherò di costruire rapporti veri e belli con tutti nel mondo». La Lubich confermava questi sentimenti con un invito che è anche profezia: «Continuiamo a preparare la strada vivendo secondo la Luce che abbiamo ricevuto e tanti ci seguiranno». Con questa preparazione l’anziano e venerabile monaco era giunto nella cittadella di Loppiano dove aveva soggiornato presso il Centro di spiritualità chiamato Claritas, che accoglie regolarmente religiosi di diverse congregazioni che desiderano vivere una esperienza di comunione di carismi. Due monaci theravada insieme a francescani, salesiani, gesuiti, domenicani ed altri: una vera profezia. Il Ven. Phra Phrom Mongkol era rimasto profondamente toccato dall’accoglienza ricevuta e, incontrando la Lubich, aveva commentato: «Il fatto che tu hai invitato dei monaci buddhisti a venire qui in mezzo al tuo popolo, è una cosa bellissima». Tutto questo non era semplicemente formalità e gentilezza, aspetti sia pure tipici della cultura thai. Si trattava dei primi passi di una profonda esperienza spirituale, di cui i due monaci erano ben consapevoli. Chiara Lubich aveva confermato la sua attesa di quel primo incontro con un atteggiamento di ascolto volto a imparare, piuttosto che a insegnare: «io sono contenta di questa visita anche per imparare qualcosa di bello. Qual è il cuore del vostro insegnamento?» Da qui, era iniziato un percorso imprevedibile. Agli inizi del 1997, infatti, la leader cattolica era stata invitata in Thailandia da queste personalità del monachesimo buddhista e non si trattava solo di una visita di cortesia. Chiara fu invitata a rivolgere la sua parola di testimonianza cristiana a diversi gruppi di monaci, monache e laici buddhisti sia a Bangkok che, soprattutto, a Chiang Mai. Proprio qui, presso il Wat Rampoeng Temple, il Gran Maestro la introdusse con parole sorprendenti: «Tutti voi, miei seguaci, vi domandate perché la mamma che è una donna è stata invitata. Vorrei che voi monaci e seminaristi, dimenticaste questa domanda e non pensaste che lei è una donna. Chi è saggio ed è in grado di indicare la strada giusta per la nostra vita, che sia donna o uomo, merita rispetto. E’ come quando siamo al buio: se c’è qualcuno che viene a portarci una lampada per guidarci gli siamo grati, e non ci importa se quella persona che è venuta a portarci la luce per farci camminare sulla strada giusta è una donna o un uomo, un bambino o un adulto». In queste poche parole sembra condensarsi la grande sapienza di quest’uomo capace, insieme ad altri, di camminare sulla via del dialogo senza timore, trascinando altri in questa esperienza profetica. La stessa Lubich, toccata da questa apertura e sensibilità, aveva colto una presenza superiore in questo rapporto e si era rivolta al Gran Maestro con parole che sembrano una profezia «Continuiamo a preparare la strada vivendo secondo la Luce che abbiamo ricevuto e tanti ci seguiranno». E così è stato. Da venticinque anni questa esperienza di dialogo continua e si sviluppa. Anche nella morte qualcosa sembra accomunare questo vegliardo monaco della millenaria tradizione theravada con la donna cattolica fondatrice di un movimento ecclesiale recente. Il 7 dicembre, infatti, a Trento si sono aperti i festeggiamenti per il centenario della nascita della Lubich, tra questi un evento interreligioso il 7 giugno 2020. Il Ven. Gran Maestro aveva espresso il desiderio di essere presente per quella occasione. Un’amicizia destinata ora a continuare nell’eterno.

Roberto Catalano (Co-responsabile Dialogo Interreligioso Movimento dei Focolari)

 A colloquio con il Gran Maestro Ajahn Thong, un servizio del Collegamento CH del 13 febbraio 2016 https://vimeo.com/155437353 (altro…)

In Uruguay si scommette per la pace

In Uruguay si scommette per la pace

Il Centro “Nueva Vida” dei Focolari da 15 anni porta avanti un’importante azione sociale di sostegno ai più giovani e alle loro famiglie in un quartiere della periferia di Montevideo (Uruguay). A colloquio con Luis Mayobre, direttore del centro. “Il motore di ‘Nueva Vida’ sono i giovani e questa azione sociale ci interpella e ci stimola a non perdere di vista ciò che è importante, ovvero l’amore reciproco, che vorremmo fosse l’unica legge del nostro centro”. Esordisce così Luis Mayobre, presidente del centro sin quasi dagli inizi, nel 2004, quando l’arcivescovo di Montevideo chiede ai Focolari di continuare a gestire un’opera sociale avviata da una religiosa in un quartiere di periferia della capitale uruguaiana. Nasce così “Nueva Vida”, i cui obiettivi sono inscritti nel nome stesso: aprire alla speranza di un nuovo inizio quanti varcano le porte del centro. Il centro fa parte dell’associazione CO.DE.SO (Comunione per lo sviluppo sociale istituita dai Focolari) e collabora con l’INAU, l’istituto del bambino e dell’adolescente, organismo pubblico che gestisce le politiche per l’infanzia e l’adolescenza in Uruguay. “Il 2018 è stato segnato da un clima di violenza nel ‘Barrio Borro’ – racconta Mayobre –. Sono stati mesi di angoscia. A causa dello scontro tra due famiglie di narcotrafficanti rivali, chiunque rischiava la vita. La gente, insieme agli educatori e al personale di Nueva Vida, hanno affrontato con coraggio le continue sparatorie che scoppiavano di giorno e di notte. Abbiamo dovuto raddoppiare la nostra presenza al centro perché le famiglie ce lo chiedevano; tante sono state derubate e le loro povere abitazioni occupate dai narcotrafficanti”. Come vi siete mossi in un clima così ostile? “Ci siamo rivolti al Ministro dell’Interno, ma siccome la risposta tardava ad arrivare, abbiamo dovuto accogliere e proteggere alcune famiglie che, poi, abbiamo derivato ai servizi statali che ha dato loro delle nuove abitazioni. Una di queste famiglie – due dei loro figli partecipano alle attività del centro giovanile – era stata minacciata a morte. La nostra coordinatrice ha contattato un’altra figlia, il cui aiuto non era scontato poiché aveva un rapporto problematico con i genitori. Il tutto si è risolto nel migliore dei modi, perché lei ha messo a disposizione parte di un terreno di sua proprietà per la costruzione di una nuova casa più degna e sicura. Ricordo anche un caso di violenza famigliare di cui il nostro team è venuto a conoscenza, che ha portato all’intervento delle autorità per salvaguardare i bambini e la madre. Nonostante le minacce e gli insulti ricevuti, siamo andati avanti, consentendo alla famiglia di ritrovare pace e sicurezza”. Chi si rivolge al Centro e che servizi offrite? “Portiamo avanti tre progetti: il CAIF, il Club Bambini e il Centro Giovanile. In questo clima di violenza ci siamo riproposti di essere costruttori di pace, di speranza e, soprattutto, gioia, per vincere l’odio e la paura. L’ambiente favorevole che si è creato ha permesso a 48 bambini tra i 2 e i 3 anni e a 60 più piccoli – da 0 a 2 anni – di partecipare a vari workshop con le proprie madri. Abbiamo organizzato anche escursioni didattiche per creare spazi di bellezza e armonia. Un’esperienza positiva alla quale hanno partecipato anche famiglie cosiddette “rivali”, i cui rapporti sono migliorati notevolmente. Nel Club Bambini ci prendiamo cura anche di 62 bambini in età scolare (dai 6 agli 11 anni). Siamo impegnati nella lotta contro l’abbandono scolastico e lavoriamo per garantire a tutti l’avanzamento alle classi superiori. Ora solo il 5% dei bambini abbandona la scuola a fronte del 36% nel 2004. Abbiamo incentivato i workshop di arte, musica, ricreazione, per sensibilizzare i piccoli a sviluppare i valori culturali della convivenza, dell’attenzione all’altro e per apprendere la ‘cultura del dare’. Abbiamo lavorato per escludere la violenza dagli stili di comportamento. Inoltre le lezioni di nuoto e le uscite favoriscono l’apprendimento della cura del corpo e dell’igiene. Nel Centro Giovanile accogliamo 52 ragazzi e giovani tra i 12 e i 18 anni. Quest’anno circa il 95% partecipa alle attività che svolgiamo al di fuori degli orari scolastici, una meta che ci siamo proposti sin dall’inizio. Tra di loro 6 frequentano il liceo; un grande successo dato che nel quartiere la media non supera i primi anni di scuola. Inoltre organizziamo dei workshop complementari alla loro formazione come lavorazione dei tessuti, falegnameria e comunicazione. Tutti sono portati avanti in modo volontario da persone dei Focolari”. In quale rapporto è il centro con le associazioni che lavorano in zona? “Con gli anni si è costruita una rete con tutte le istituzioni che lavorano nel Borro, con le quali collaboriamo e ci aiutiamo. Partecipiamo anche alla vita della parrocchia della zona, ‘Nostra Signora di Guadalupe’. Il parroco e un altro sacerdote ci visitano una volta la settimana. Spesso arrivano anche volontari di altri Paesi, come è successo quest’anno con Elisa Ranzi e Matteo Allione, italiani, che hanno lasciato un segno profondo. Ringraziamo sempre chi ci aiuta. La loro collaborazione è molto importante per sostenere parte delle attività che portiamo avanti. Ogni aiuto, pur piccolo che sia, è prezioso”.

Stefania Tanesini

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Chiara Lubich e don Oreste Benzi. Le sorprese dello Spirito

Nel novembre 2019 la chiusura della fase diocesana delle cause di beatificazione di Chiara Lubich e di don Oreste Benzi fondatori rispettivamente di un Movimento e di una nuova Comunità ecclesiale. È nel fermento del ’68, fenomeno rivoluzionario del XX secolo che interessa Paesi a varie latitudini, che nascono, suscitate da carismi, tante nuove Comunità ecclesiali. Fondate da laici irrompono nella vita di giovani donne e di giovani uomini, immediatamente mettono radici, coinvolgono e si diffondono nella società. Anch’esse portano una rivoluzione, ma evangelica, la preghiera allo Spirito Santo dei Padri che avevano partecipato al Concilio Ecumenico Vaticano II, conclusosi nel 1965, si palesava senza farsi attendere. Già agli albori del ‘900 germogliano nuove realtà carismatiche nella Chiesa. Verso la metà del secolo, quindi vent’anni prima del Concilio, sorge il Movimento dei Focolari e porta con sé delle novità: l’ispirazione è “consegnata” ad una giovane trentina laica, Chiara Lubich. Nata nel 1920, è contraddistinta da una fede generosa e realizza il suo sogno di donarsi a Dio all’alba del 7 dicembre 1943, a fare da sfondo la seconda guerra mondiale. La predilezione per i poveri, la vita comunitaria sostanziata da una spiritualità collettiva, che poggia sulla Parola di Dio, è il luogo dove si incarna il carisma dell’unità che a breve si aprirà al mondo. Don Oreste Benzi nasce nel 1927 a San Clemente, paesino dell’entroterra riminese. Ordinato sacerdote a 24 anni, si dedica agli adolescenti. Fare “un incontro simpatico con Cristo”, sarà il leitmotiv della sua vita. Con gli adolescenti trascorre i periodi estivi nella Casa Madonna delle Vette di Canazei, lì, nel 1968, nascerà l’Associazione Papa Giovanni XXIII, che fa proprio l’impegno di amare il più povero tra i poveri in stretto rapporto con Cristo perché: “solo chi sa stare in ginocchio può stare in piedi accanto ai poveri”. Compie opere ritenute irrealizzabili: dalla condivisione quotidiana con gli emarginati al contrasto della tratta degli esseri umani. Chiara e don Benzi due persone diverse: una donna e un uomo, una laica e un sacerdote, una donna di montagna e un uomo di collina vicino al mare, entrambi fondatori di opere generate da un carisma, luce che si inserisce nella storia. Realtà inedite nella Chiesa, ripropongono l’annuncio antico e nuovo di Gesù, coinvolgendo chi vi aderisce in un cammino rinnovato di fede e di umanità. La testimonianza adamantina del Vangelo, non si ferma ai fondatori, ma si allarga ai membri. È anche grazie a Movimenti e nuove Comunità che alla fine del secondo millennio, e a seguire, la santità di popolo avanza, inserendosi nella quotidianità. Chiara conia il simpatico slogan delle sei S, per seguire Gesù: “Sarò santo se sono santo subito.” Varie, nei Focolari, le cause di beatificazione in corso. Don Benzi, quando nel 2004 arriva il Decreto ecclesiale di riconoscimento definitivo della sua Associazione, afferma: “Un dono inestimabile” perché, “i fratelli e le sorelle membri della Comunità (…) possono vivere gioiosi e sereni nella certezza assoluta che la vocazione della Comunità è via sicura per santificarsi (…).” Nell’Associazione Papa Giovanni XXIII è avviata la causa di beatificazione della Serva di Dio Sandra Sabattini. È del 2 ottobre scorso la notizia che Sandra sarà proclama beata nel 2020. Tra le ultime telefonate di don Oreste quella del 31 ottobre 2007 al Centro internazionale del Movimento dei Focolari, la sua voce mite ha urgenza di informare Chiara dell’iniziativa che l’Associazione sta organizzando e se lei intende sostenerla. Purtroppo non farà in tempo a sapere la risposta positiva di Chiara: la notte seguente, tra l’uno e il due novembre, lascerà questa terra. Nel 2008, il 14 marzo, anche Chiara ritornerà alla casa del Padre. Oggi, questo mese di novembre, sembra il simbolo dei loro due percorsi, distinti ma vicini.

Lina Ciampi

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Vangelo vissuto: un’attesa piena di vita

Ogni piccolo gesto d’amore, ogni gentilezza, ogni sorriso donato trasforma la nostra esistenza in una continua e feconda attesa. Coro di bambini In preparazione alle feste natalizie siamo andati in un ospedale con un bel gruppo di bambini per allietare Gesù presente nei piccoli ricoverati con i nostri canti. Non ci è stato consentito di accedere al loro reparto, ma abbiamo ricevuto il permesso di esibirci nella sala d’entrata dell’ospedale. Era sorprendente assistere alla metamorfosi dei visitatori: entravano magari con un viso serio e, appena visti i piccoli cantare, accennavano un sorriso. In diversi poi sono tornati ad ascoltare assieme ai pazienti che erano venuti a trovare. Altri malati che non aspettavano visite si sono fatti portare nella grande hall per assistere alla performance e tanti si sono uniti al coro. Anche il personale dell’ospedale ha gioito per questa insolita atmosfera. La direzione dell’ospedale ci ha già invitati per l’anno prossimo, promettendo di farci entrare anche nel reparto riservato ai bambini. (N.L. – Olanda) In cucina Cuoco nella cucina di un asilo, non mi risparmiavo nel mio lavoro. Un giorno, mentre ascoltavo un’inserviente raccontare che per lei ogni bambino era un tesoro da proteggere, mi sono reso conto che non pensavo affatto a mettere amore in tutto quanto facevo. Ora invece, considerare che ogni pasto era nutrimento di persone che un giorno avrebbero avuto il mondo in mano, diventava un vero incentivo alla fantasia. Nei piatti ho cominciato a mettere qualche ornamento imprevedibile, a sistemare il cibo in modo sempre nuovo. La gioia e la sorpresa dei bambini mi hanno confermato che non si sa cosa può nascere da un semplice gesto d’amore. (K.J. – Corea) L’incidente Il lavoro al centro di recupero per tossicodipendenti s’era fatto alienante. Presa dal vortice delle cose da fare, avvertivo sempre più un senso di vuoto e Dio sempre più lontano. Una sera in cui pioveva a dirotto l’auto che mi riportava a casa sbandò, urtò contro un muro e andò a finire nella corsia opposta. Quando arrivai al pronto soccorso, la vista di un crocifisso appeso al muro mi diede coraggio. Mentre i medici si occupavano di me, provavo una pace sottile, come da tempo non sentivo più. Per fortuna, a parte ferite e contusioni di poco conto, non c’era niente di grave, per cui quasi subito venni dimessa. Per settimane accanto al letto dov’ero immobile ci fu un viavai di persone, tra telefonate e regali. Toccanti le visite ripetute dei miei tossicodipendenti: “Tu ce l’hai fatta perché fai del bene”. Anche i miei colleghi di lavoro mi furono molto vicini: evidentemente si era costruito con loro un legame solido. Grazie a quel riposo forzato, ritrovai anche il gusto della preghiera e credetti di capire perché Dio non mi aveva presa con sé quella volta. (Lucia – Italia) Stoviglie da lavare Dopo una festa in parrocchia organizzata per dare un pasto caldo ai barboni, mi son trovato in mezzo a un disordine di rifiuti e di pentole e stoviglie da lavare. In cucina il parroco stava già rigovernando,felice della serata. Colpito da una sua frase, “Tutto è preghiera”, gli ho chiesto: “Anche lavare i piatti?”. E lui: “Il tesoro più grande è arrivare a capire che tutto ha valore immenso perché dietro quella pentola c’è un prossimo che ha bisogno di me”. Da quel momento il mio pesante lavoro di muratore, i figli da accompagnare all’asilo, il lampadario da riparare … tutto è divenuto occasione per me di sublimare l’azione e farla diventare sacra. (G.F. – ltalia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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Le migrazioni dalla sponda sud del Mediterraneo/2 parte

Il fenomeno delle migrazioni forzate verso l’Europa resta uno dei temi irrisolti del dibattito tra i paesi UE. Troppo divisi da interessi particolari per individuare una politica comune, ispirata a principi di solidarietà e sostenibilità. Ne abbiamo parlato con Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano in Algeria. Secondo l’UNHCR*, dal 1 gennaio al 21 ottobre 2019 sono sbarcati via mare sulle coste Europee di Italia, Malta, Cipro, Spagna e Grecia 75.522 migranti. A questi si aggiungono i 16.322 arrivati via terra in Grecia e Spagna per un totale di 91.844 persone, di cui 9.270 in Italia, 2.738 a Malta, 1.183 a Cipro, 25.191 in Spagna, 53.462 in Grecia. Dati che seguono un trend in calo e archiviano la fase d’emergenza, ma non bastano all’Europa per avviare un dialogo allargato e costruttivo sul tema: la prospettiva della creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi resta assai remota, e in generale il confronto a livello istituzionale non tiene conto della prospettiva dei paesi africani. Ad Algeri abbiamo raggiunto l’Ambasciatore italiano, Pasquale Ferrara: (2° PARTE) Si dice da tempo che è necessario strutturare una collaborazione con i paesi del Nord Africa, ma anche con quelli di transito. Buoni propositi ma pochi fatti concreti…. Per passare ai fatti concreti bisogna prendere atto della realtà, del fatto che i paesi africani, soprattutto quelli del Nord, che consideriamo paesi di transito sono essi stessi paesi di destinazione dell’emigrazione. L’Egitto ospita oltre 200 mila rifugiati sul proprio territorio, mentre in tutta Europa nel 2018 sono arrivate poco più di 120 mila persone. Le poche centinaia di migranti irregolari che arrivano dall’Algeria sono tutti algerini, non subsahariani che transitano dall’Algeria, perché spesso questi migranti restano qui. Inoltre questi paesi non accettano programmi tendenti a creare “hotspot” (centri di raccolta) per i migranti subsahariani. Qui non funziona il modello della Turchia, alla quale l’Unione Europea ha dato 6 miliardi di euro per gestire campi dove ospitare oltre 4 milioni di profughi siriani e non solo. Con la Turchia l’operazione funzionò perché c’era la guerra in Siria e per gli interessi strategici della Turchia. In Africa i fenomeni sono molto diversi bisogna trovare altri modi. Quali potrebbero essere le forme di collaborazione? Non servono collaborazioni asimmetriche ma partenariati alla pari. Dobbiamo considerare che non siamo solo noi europei ad avere il problema migratorio, e dunque è necessario rispettare questi paesi con le loro esigenze interne, anche in fatto di migrazione. Solo poi si può cercare insieme di gestire il fenomeno. Per esempio esistono già accordi di cooperazione fra l’Italia e l’Algeria che risalgono al 2000 ed al 2009 e che funzionano bene. Cosa prevedono? La gestione congiunta del fenomeno migratorio in termini di lotta allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani, alla criminalità trans-nazionale che utilizza il fenomeno per finanziarsi, al pericolo di infiltrazioni terroristiche. Vi sono anche disposizioni per il rimpatrio concordato, ordinato e dignitoso dei migranti irregolari. Si parla del fatto che i paesi occidentali debbano sostenere quelli africani per creare condizioni di vita migliori, tali da scoraggiare le partenze. Quanto è praticabile questa strada? Nelle condizioni attuali dell’economia e della cultura politica internazionale lo vedo poco praticabile e tutto sommato poco efficace. In primo luogo, parliamo già di un miliardo di africani: nessun “piano Marshall” europeo o mondiale potrebbe affrontare tali dimensioni demografiche. Tra l’altro l’Africa è molto diversificata, ci sono paesi in condizioni di sviluppo avanzate: il Ghana ha un tasso di innovazione tecnologica superiore a vari paesi sviluppati; l’Angola è un paese ricchissimo di risorse che sta tentando di riorganizzare la sua struttura economica in modo più partecipativo. Abbiamo dei leader, come il neo premio Nobel per la pace, il Primo Ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, che ha 42 anni e guarda alle nuove generazioni. Ha già fatto piantare 350 milioni di alberi in un programma di riforestazione mondiale chiamato “Trillion Tree Campaign”. L’Uganda vive una fase di forte sviluppo. Il problema piuttosto sono le disparità economiche, drammatiche e ingiuste, e qui l’Occidente può intervenire aiutando a migliorare la governance di questi paesi, perché sia più inclusiva e partecipata. Ma ricordiamoci che sono gli stessi problemi di polarizzazione socio-economica che abbiamo in Europa: purtroppo, non possiamo dare molte lezioni in questo campo. Nelle riflessioni sul fenomeno migratorio a livello istituzionale in primo piano c’è la dimensione economica, mentre viene trascurata quella umana. Cosa significa mettere l’uomo al centro del problema migratorio? Dietro ogni migrante c’è una storia, una famiglia, un percorso accidentato, la fatica di procurarsi il denaro e forse debiti con organizzazioni criminali. Certamente non possiamo ammettere l’immigrazione irregolare perché tutto deve svolgersi nel rispetto delle leggi, ma dare valore alla dimensione umana significa tenere conto di questo passato e non vedere in queste persone dei numeri che arrivano a bordo di barconi o via terra. Mi ha profondamente colpito la storia di quel ragazzo di 14 anni, proveniente dal Mali, trovato in fondo al mare con una pagella cucita dentro il giubbotto, con ottimi voti. Quella è una storia che ci lascia senza parole. E dietro c’è una tragedia familiare, umana, un tessuto sociale lacerato. Consiglio il bel libro di Cristina Cattaneo, “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”. Non dimentichiamo però anche le storie della nostra Marina militare – in particolare quella della comandante Catia Pellegrino – che ha salvato migliaia di naufraghi. Persone, volti, eventi reali. * https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean (leggi la 1° parte dell’intervista)

A cura di Claudia Di Lorenzi

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Il racconto di un decennio di luce

Il racconto di un decennio di luce

Inaugurata la mostra “Chiara Lubich Città Mondo” a Tonadico di Primiero “Chiara non è comprensibile senza situarla nel contesto in cui è vissuta”. Con queste parole, Jesús Morán, co-presidente del Movimento dei Focolari la domenica, 8 dicembre, ha concluso gli interventi della cerimonia di inaugurazione della mostra intitolata a Chiara Lubich aperta a Palazzo Scopoli a Tonadico di Primiero ad un giorno di distanza da quella di Trento. “Chiara durante la guerra si è spesa per la sua città, Trento, ma è a Primiero, nel ’49, che Dio le ha dato la chiave di comprensione di quanto era chiamata a compiere. Chiara ha trovato qui, fra le montagne, la luce, ma occorre andare a Trento ed in ogni città per capire quali sono le conseguenze del suo carisma.” Ecco il legame profondo fra le due mostre, dove quella di Tonadico non è un’appendice di quella di Trento, ma il racconto di un decennio di luce. La gratitudine della valle del Primiero è stata espressa con toni diversi dall’assessore alla cultura Francesca Franceschi (“Primiero rappresenta l’origine, il ritiro dove Chiara ha trovato risposte alle sue domande”), dal vicesindaco Paolo Secco (“Il nostro compito non è solo quello di mantenere viva la memoria, ma di essere una comunità che risponde alle ispirazioni ideali che hanno mosso Chiara”), dal presidente della Comunità del Primiero, Roberto Pradel (“Chiara si è spesa per costruire relazioni fra le persone: che il seme che ha gettato porti frutti”). Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha illustrato il significato più profondo delle due mostre: “Per la prima volta la nostra Fondazione realizza una mostra dedicata ad una persona: lo abbiamo fatto perché Chiara è una figura con cui il Trentino, e non solo, deve fare i conti. Il Trentino, che può rivendicarne la nascita, deve scoprire la dimensione di forte attaccamento alle tradizioni vivo in Chiara, frutto di relazioni, ma senza fermarsi ad esse per aprirsi al mondo al fine di non risultare sterile. Chi meglio di Chiara Lubich ci può garantire questa capacità di relazioni di cui il mondo oggi ha bisogno?” Alba Sgariglia, corresponsabile del Centro Chiara Lubich, ha espresso la gratitudine di tutto il Movimento alla Fondazione: “Abbiamo lavorato in tandem per questa tappa storica. Da qui, da queste montagne, Chiara si è proiettata verso l’umanità intera: questa la missione che lei qui ha compreso”. Annamaria Rossi e Giuliano Ruzzier, curatori della mostra con Maurizio Gentilini, ne hanno sottolineato le caratteristiche: grandi immagini, citazioni e brevi didascalie scorrono a fianco di Palazzo Scopoli, proprio di fronte a quella baita in cui Chiara ed alcune delle sue prime compagne andarono a riposare nell’estate del 1949. Al piano terra del palazzo, che conserva stacchi degli affreschi della cappella di San Vittore, si trovano alcuni scritti e ricordi fondamentali di quell’estate e video delle prime Mariapoli, le vacanze estive, che fino al 1959, di anno in anno, si arricchirono di persone di diverse vocazioni, culture e provenienze. Significativa la testimonianza delle “cittadelle” del Movimento nel mondo, Mariapoli permanenti, in cui oggi come nell’esperienza del Primiero, si sperimenta e si testimonia un’unità possibile.

Paolo Crepaz

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Schönstatt e i Focolari: un’amicizia che cresce

Schönstatt e i Focolari: un’amicizia che cresce

Mercoledì, 20 novembre, i responsabili di Schönstatt di diversi Paesi europei hanno visitato il Centro internazionale dei Focolari a Rocca di Papa (Roma, Italia). Mercoledì, 20 novembre, i responsabili del Movimento di Schönstatt di Austria, Repubblica Ceca, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna e Svizzera hanno visitato il Centro internazionale dei Focolari a Rocca di Papa. Il gruppo è stato accompagnato da padre Heinrich Walter, già presidente del Presidium generale di Schönstatt. “Incontrare Chiara” visitando la sua casa e pregando sulla sua tomba è stato uno degli scopi di questa visita. Un secondo obiettivo dei responsabili di Schönstatt è stato quello di entrare in dialogo con i Focolari sui cambiamenti sociali e politici in Europa, il ruolo dei Movimenti con i loro carismi e il significato della comunione tra di loro – in modo particolare di Insieme per l’Europa – nel contesto delle trasformazioni ecclesiali, politiche e culturali. La delegazione è stata accolta al Centro dei Focolari dal Copresidente, Jesús Morán e da diversi consiglieri. Per poter mettere i carismi a servizio del bene del continente nel dialogo è emersa in modo evidente la necessità di realizzare progetti culturali che siano frutto dello specifico di ciascuno ma anche della comunione tra tutti . L’incontro e il dialogo sono stati definiti da ambedue le parti cordiali, preziosi e fruttuosi. Ovviamente si è trattata solo di una tappa dell’ormai lungo cammino di comunione e di collaborazione tra Schönstatt e i Focolari che ha avuto inizio nel 1998 alla Vigilia della Pentecoste sulla Piazza San Pietro a Roma. Inoltre, da ormai 20 anni, cioè fin dall’inizio, anche Schönstatt è parte di quella rete di movimenti e comunità che compongono l‘iniziativa Insieme per l’Europa e padre Heinrich Walter è membro effettivo del comitato d’orientamento. In questi anni sono cresciute tra i Focolari e Schönstatt, ma non solo, relazioni fraterne, improntate sull’unità fra cristiani, fra varie Chiese e confessioni; unità che presuppone come importante premessa una profonda e vera riconciliazione, considerata accesso diretto all’unità pur mantenendo la necessaria diversità che l’altro arricchisce e completa. Il Movimento di Schönstatt è stato fondato da p. Josef Kentenich nel 1914 a Schönstatt, vicino a Koblenz in Germania, con un carisma pedagogico. È diffuso in modo particolare in Europa, nelle Americhe e in Africa ed è composto da una ventina di istituti secolari, leghe e movimenti autonomi.

Severin Schmid

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Vangelo vissuto: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42)

Vegliare: è un invito a tenere gli occhi aperti, a riconoscere i segni della presenza di Dio nella storia, nel quotidiano ed aiutare altri che vivono nel buio a trovare la strada della vita. Un altro figlio Ero pronta ad avere altri figli dato che ne avevo già tre? A questa domanda di un amica ho risposto raccontando come ogni figlio sia un dono unico e l’esperienza della maternità non sia paragonabile a nessun’altra, perché la gioia che porta una nuova nascita è un bene di tutta la famiglia, per non parlare dell’aspetto economico che misteriosamente sembra sottolineare che ogni figlio è voluto dal Cielo. Al che l’amica mi ha confidato di essere in attesa del secondo. Col marito aveva pensato all’aborto, perché una nuova creatura avrebbe compromesso la situazione economica della famiglia. Andando via, mi diceva: “Mi sento pronta ad una nuova maternità”. (P.A. – Italia) Dare fiducia Avevamo un cugino con le “mani lunghe”: quando veniva a trovarci, piccoli oggetti sparivano dalla nostra casa per ricomparire in quella degli zii. Delicatamente la mamma segnalò loro la cosa, ma rimasero così offesi che troncarono i rapporti con noi. Da cristiani, cercammo un’occasione per riallacciarli ed essa si presentò quando il cugino, ormai adolescente, fu espulso dalla scuola, perché scoperto a rubare ai compagni. Fu allora che mio padre suggerì a quei parenti il nome di uno specialista che avrebbe potuto essere di aiuto. Pur con immenso dolore e vergogna, gli zii ammisero che il figlio era cleptomane. Mia madre propose loro di fare le vacanze insieme e a noi figli raccomandò di essere generosi con il cugino, dandogli la massima fiducia. Furono giorni belli e sereni. Anche lui era felice. L’accompagnamento psicoterapeutico, anche con medicine, giovò a tutta la famiglia. Mia zia un giorno si confidò: “Eravamo così orgogliosi della nostra famiglia che ci sentivamo superiori. Eravamo malati di superbia”. (J.G. – Spagna) Giustizia e comprensione Come magistrato in una località ad alta densità mafiosa, interrogavo da ore un detenuto che ne aveva combinate di grosse. Passata l’ora di pranzo, mi fu chiesto se desideravo mangiare. Accettai, a patto di portare qualcosa anche per il detenuto. Quel semplice gesto fu per lui un piccolo shock. Quasi non ci credeva. Un’improvvisa paura di trovarmi a tu per tu col pregiudicato in quel momento di pausa consigliava di allontanarmi. Ma ecco un altro pensiero: “No, se sto qui a voler bene a questo mio prossimo, non ho niente da temere”. L’interrogatorio proseguì con lo stesso atteggiamento nei suoi confronti: cercavo di fargli capire la gravità di quello che aveva fatto, ma senza giudicarlo, parlandogli serenamente. Tempo dopo mi giunse una sua lettera dal carcere. Qualche richiesta di commutazione della pena? No, solo un lungo sfogo col racconto delle proprie miserie e la richiesta di comprensione. Strano che la scrivesse proprio a me che avevo emesso un giudizio di condanna nei suoi confronti. Evidentemente aveva colto qualcosa d’altro. (Elena – Italia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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Centenario: inaugurata la mostra “Chiara Lubich, Città Mondo”

Aperte a Trento le celebrazioni dei 100 anni dalla nascita della fondatrice dei Focolari. La Provincia autonoma ha assegnato a Maria Voce il “Sigillo di San Venceslao” Chiara Lubich, Città Mondoè il titolo della mostra che il 7 dicembre, è stata inaugurata alle “Gallerie” di Trento, un evento che ha aperto il Centenario della nascita della fondatrice del Movimento dei Focolari. La mostra, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica italiana, è promossa dalla Fondazione Museo storico del Trentino in collaborazione con il Centro Chiara Lubich. Il Direttore della Fondazione Museo storico, Giuseppe Ferrandi, ha introdotto e coordinato gli interventi della giornata inaugurale dalla quale è emersa la figura di Chiara Lubich, quale personalità di grande respiro, con profonde radici in terra trentina, nella sua storia, cultura e tradizioni, ma che, attraverso il suo carisma, ha saputo parlare un linguaggio universale; ha superato ogni frontiera, geografica e culturale, per portare un messaggio di pace e fraternità. La mostra offre un percorso coinvolgente e interattivo, che accompagna il visitatore a conoscere Chiara Lubich, con l’invito ad impegnarsi nell’oggi per continuare a concretizzare quei valori che hanno contrassegnato la sua vita. La Provincia autonoma di Trento ha voluto insignire Maria Voce, Presidente dei Focolari, del “Sigillo di San Venceslao” “per aver saputo interpretare – si legge nella motivazione – con impegno instancabile i valori dell’unità e della pace”. “Sono veramente grata e commossa di questo riconoscimento – ha detto Maria Voce – che, siccome sottolinea i valori della personalità di Chiara Lubich e dei Focolari, lo sento per tutto il Movimento”. “Due sono le parole che mi vengono in mente quando penso a Chiara Lubich: carisma e profezia”, ha detto Giorgio Postal, Presidente della Fondazione Museo Storico del Trentino in occasione dell’inaugurazione della mostra. “Interrogarci su Chiara Lubich e collocarla nella storia diventa dunque un modo per affrontare le sfide che ci stanno di fronte, come società e come singoli”. “Siamo orgogliosi di partecipare a questo percorso – ha detto il Presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti – che ci permette di conoscere ed approfondire il grande messaggio di Chiara Lubich, una figura eccezionale, una donna e una trentina che riuscì a portare il suo straordinario messaggio di pace e di unità in tutto il mondo”. Mons. Lauro Tisi, Arcivescovo di Trento, ha invitato tutti in questo anno e, soprattutto il Movimento dei Focolari, a far “conoscere il Dio di Chiara per capovolgere la narrazione di Dio, questo Dio della tutela irrevocabile dell’altro”. “Da questa visione di Dio amore – ha concluso – nasce una visione positiva sulla creazione, sulla natura, sull’uomo e sul corpo”. Un invito che è stato subito accolto con adesione dal copresidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán che ha ricordato il motto del Centenario “Celebrare per incontrare” Chiara Lubich, una donna che “ha incarnato l’unità a 360° e ci ha dato la carta di navigazione del terzo millennio”. “Questo Centenario sarà occasione straordinaria per scoprire tante Chiara”, ha detto il sindaco di Trento Alessandro Andreatta. “Quella dell’incontro, del dialogo, dell’unità. Donna di fede, di servizio, di speranza, quella che è nel cuore della Chiesa e dell’umanità”. E Lorenzo Dellai, già Sindaco di Trento, che nel 1995 consegnò a Chiara Lubich il sigillo della città, ha ricordato come lei esortasse i trentini ad essere all’altezza dell’anima di questa città. “Io penso che di questo carisma, di questa profezia oggi ci sia sempre più bisogno”. Il sen. Stanislao Di Piazza, sottosegretario di Stato del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ha portato il saluto del Governo italiano: “Chiara è stata una persona che ha amato particolarmente l’Italia”. Ha ricordato come avesse incontrato politici di tutti i partiti per portare avanti il valore della fraternità, affinché si potesse “creare un nuovo modello politico”. Hanno inoltre portato un saluto ai presenti i rappresentanti delle mostre che si apriranno nel mondo nel corso dell’anno: a Città del Messico, Sidney, Mumbai, San Paolo, Gerusalemme, Algeri e Nairobi. Un progetto che ha ottenuto il Patrocinio dal Consiglio d’Europa. Le mostre riprodurranno quella trentina, ma ciascuna avrà una sua peculiarità: da quella di San Paolo, dove centrale sarà il progetto per una Economia di Comunione lanciato in Brasile da Chiara Lubich, a quella di Sidney, terra multiculturale; da quella di Gerusalemme, città che forse più di ogni altra necessita di pace e fraternità, a quella in India rappresentata dal messaggio della console italiana a Mumbai Stefania Constanza. Presenti all’inaugurazione anche Veronica Cimino, vice-sindaco reggente di Rocca di Papa (Roma); Francesca Franceschi, assessore del Comune di Primiero San Martino di Castrozza; Alba Sgariglia e Joao Manoel Motta, co-responsabili del Centro Chiara Lubich ed i curatori della mostra Giuliano Ruzzier, Anna Maria Rossi e Maurizio Gentilini, autore, quest’ultimo, della recente biografia della fondatrice dei Focolari. Numerosi i parenti di Chiara Lubich presenti all’inaugurazione. La mostra alle “Gallerie” sarà aperta fino al 7 dicembre 2020 (dal martedì alla domenica dalle 09:00 alle 18:00) e l’esposizione è fruibile con supporti linguistici nelle principali lingue europee. L’ingresso è libero. Accanto alle tre sezioni della mostra allestite nelle “Gallerie” a Trento, vi è una sezione distaccata che sarà inaugurata l’8 dicembre 2019 alle ore 17,00 nelle sale di Palazzo Scopoli, a Tonadico, nel Comune di Primiero San Martino di Castrozza (Tn). Questa sezione è dedicata in particolare agli anni 1949-1959: dalla profonda esperienza spirituale vissuta da Chiara Lubich nel Primiero nell’estate ’49 alle Mariapoli estive che vi si svolsero fino al 1959.

Anna Lisa Innocenti

 

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“Dio”

“Datti tutta a me” – 7 dicembre 1943 Si apre oggi l’anno del centenario della nascita di Chiara Lubich che verrà festeggiato ovunque vi sono delle persone che hanno fatto proprio il suo “Ideale” – com’era solita dire – di unità e di fraternità universale. “Celebrare per incontrare”, è questo il motto che si  propone di informare le più varie manifestazioni che man mano verranno alla luce nel decorrere del 2020. “Celebrare” perché la si ricorderà, ma sarà per dare a tanti la possibilità di conoscere il messaggio che impersonava. Di particolare importanza risulta la mostra “Chiara Lubich città mondo”, ideata dalla Fondazione Museo storico del Trentino e dal Centro Chiara Lubich (Rocca di Papa), che viene oggi inaugurata nella Gallerie a Trento, sua città natale. Perché mai il 7 dicembre 2019 e non il 22 gennaio 2020, giorno dell’anniversario di Chiara, oppure il 14 marzo, giorno del suo dies natalis? Semplicemente perché il 7 dicembre 1943, Silvia Lubich è divenuta Chiara, se così si può dire. Pochi giorni prima infatti, al posto delle due sorelline restie ad uscire di casa per via del freddo, aveva risposto ad una richiesta della loro mamma di andare a prendere del latte in una fattoria vicina e, mentre compiva questo atto di amore, aveva avvertito limpida e forte una chiamata: “Datti tutta a me”. Tornata a casa Silvia aveva scritto una lettera infuocata al sacerdote che la accompagnava ed egli, dopo averla messa alla prova, l’aveva autorizzata a  donarsi a Dio per sempre. Così, quel 7 dicembre 1943, ancora prima dell’alba, durante una messa mattutina celebrata per l’occasione, Silvia aveva, in gran segreto, – come lei stessa dirà – “sposato Dio”. Scriverà al riguardo 30 anni più tardi: “Immaginate una ragazza innamorata; innamorata di quell’amore che è il primo, il più puro, quello non ancora dichiarato, ma che incomincia a bruciare l’anima. Con una sola differenza: la ragazza innamorata così, su questa terra, ha negli occhi la figura del suo amato; questa, non lo vede, non lo sente, non lo tocca, non ne avverte il profumo, con i sensi di questo corpo, ma con quelli dell’anima, attraverso i quali l’Amore è entrato e l’ha invasa tutta. Di qui una gioia caratteristica, difficile a riprovare nella vita, gioia segreta, serena, esultante”. Silvia Lubich, all’anagrafe, era rimasta affascinata dalla risposta data da Chiara d’Assisi a san Francesco che le aveva chiesto cosa desiderasse: “Dio!”. Quella diciottenne di Assisi, bellissima e piena di speranze, aveva saputo racchiudere tutti i desideri del suo cuore in quel solo Essere degno di tutto l’amore: “Dio”. Con questo esempio negli occhi, Silvia aveva tramutato il suo nome in Chiara, perché pure lei avvertiva dentro di sé i medesimi sentimenti. Cambiare nome è come acquisire una nuova identità. Tale cambiamento, voluto prima col cuore, si è di fatto attuato il 7 dicembre 1943. Quella mattina Silvia ha sposato Dio ed è diventata Chiara. In seguito è stato scelto il 7 dicembre quale data di nascita simbolica del Movimento dei Focolari. Con quell’atto di totale donazione ne era stata posta infatti la prima pietra. Anni dopo, la Chiesa cattolica darà a quell’edificio il nome di “Opera di Maria”. Con il nome “Dio”  è incominciata la divina avventura di Chiara e con essa anche quella del Movimento dei Focolari. “Dio” è quanto significa il 7 dicembre per Chiara Lubich. Non vi è dunque di certo data migliore per inaugurare l’anno del centenario della sua nascita.

                                                        Michel Vandeleene

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Riscrivere la storia di Chiara

Dall’intervento di Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio e amico personale di Chiara, alla conferenza stampa del 18 novembre scorso. A pochi giorni dall’apertura ufficiale del centenario di Chiara Lubich, il 7 dicembre prossimo, proponiamo gran parte dell’intervento di Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, alla conferenza stampa del 18 novembre scorso. Amico personale di Chiara, collaboratore nella costruzione del cammino di unità dei movimenti nella Chiesa, offre una riflessione sull’umanità e la storicità della sua figura, ancora molto da scoprire. Il tempo a volte riduce le grandi figure a dei “santini”, le impolvera o le fa dimenticare. Chiara aveva un cuore pieno di Santità, ma non era un santino, era una donna vera, una donna “vulcanica”, una trentina che si è aperta al mondo. E’ partita da Trento per andare nel mondo intero; questa è stata la storia di Chiara: da Trento, a Roma, al mondo. Ed è vero quello che è stato detto: se vai in tante parti del mondo, ignote, anche dell’Africa, trovi non solo figli di Chiara, ma senti il passaggio di Chiara e del suo pensiero. Sono passati cento anni dalla sua nascita. Cento anni sono tanti. Chiara è nata nel 1920, lo stesso anno di nascita di Giovanni Paolo II, che sempre quando la vedeva la chiamava: “la mia coetanea”. Entrambi sono stati toccati dal dramma della Seconda Guerra Mondiale. A Trento Chiara lo ha sentito fortemente e ha maturato il suo Carisma – se così posso dire – nel cuore della seconda guerra mondiale, in un mondo profondamente diviso e lacerato dal dolore della guerra. Chiara, secondo me, è una figura importante anche al di fuori della Chiesa perché non è stata una figura solo interna alla Chiesa, seppure profondamente radicata nella Chiesa, in unità con essa, ma sempre protesa nel mondo. Non è stata una cristiana “di sacrestia”, ma ha amato e guardato il mondo. Chiara è stata un personaggio storico. In una storia del cristianesimo del Novecento fatta in gran parte di uomini che alle donne hanno lasciato qualche angolo di mistica o di qualche esperienza di carità, Chiara è stata una donna che ha fatto la storia a tutto tondo: mistica, carità, ma anche politica, cambiamento della vita, passione. Così io l’ho conosciuta. Aveva una grande capacità di rapporto personale, di amicizia: aveva il Carisma dell’amicizia, nessuno era uguale all’altro. Era una donna che incontrava migliaia di persone, eppure, per lei, nessuno era uguale a un altro. Aveva poi una grande capacità: quella di comunicare una passione. È stata una donna appassionata, appassionata all’unità del mondo. L’Unità è la cifra con cui capire la sua esistenza e la sua ricerca della pace, che è anche ecumenismo. Visse una profonda sensibilità ecumenica -più di tanti esperti di ecumenismo- e vorrei ricordare, a questo proposito- il suo rapporto con il Patriarca Atenagora, su cui ho anche scritto in un volume. C’è anche una lettera che ho pubblicato in cui si afferma “della signorina Chiara Lubich si dice che essendo donna e non essendo teologa si infervora facile…”, ma oggi vorrei dire che, proprio non essendo teologa ed essendo donna, Chiara aveva capito di più dei tecnici dell’ecumenismo. Unità è anche dialogo per raggiungere la pace. Chiara scrive “I figli di Dio sono i figli dell’amore, combattono con un’arma che è la vita stessa dell’uomo”. Cioè la vita come dono e, attraverso il dono della vita, si lotta per cambiare il mondo e per cambiare gli altri e realizzare questo ideale. Chiara è stata consumata dalla passione per l’ideale. E questo a me sembra un punto fondamentale su cui tornare a riflettere. Maria Voce ha accennato che siamo in un tempo di divisione. Aggiungerei che siamo anche in un tempo di piccole passioni. Chiara può essere anche molto impopolare oggi, proprio perché crediamo nelle divisioni e viviamo di piccole passioni. Ma credo che questo anno che voi dedicate, che noi dedichiamo, a ricordare e a far rivivere e incontrare Chiara Lubich è anche un anno che mette in discussione le modeste passioni e la rassegnazione a un mondo diviso. Chiara scrive “Speriamo che il Signore componga un ordine nuovo nel mondo. Egli, il solo capace di fare dell’umanità una famiglia, di coltivare quelle distinzioni tra i popoli perché nello splendore di ciascuno al servizio dell’altro riluca l’unica luce di vita che abbellendo la patria terrena fa di essa un’anticamera della patria eterna”. Penso che celebrare questo Centenario sia un servizio all’umanità e anche al pensiero un po’ inaridito del nostro tempo. Il suo coetaneo Wojtyla scriveva “il mondo soffre, soprattutto per mancanza di visione”. Credo che questo nostro mondo può rifiorire per una visione che è quella di Chiara Lubich. Una sola avvertenza: quando noi usiamo la parola celebrazione dobbiamo stare attenti. Giustamente Maria preferisce parlare di incontro. È un incontro impegnativo e questo incontro, cara Maria, deve essere anche storia. Noi dobbiamo avere il coraggio di riscrivere la storia di Chiara Lubich nel suo tempo, per capire meglio come la sua azione ha cambiato la storia. Penso ad esempio all’avventura di mandare i focolarini nell’Est europeo e come abbia contribuito così anche alla caduta del muro. Chiara non ha scelto di rifugiarsi in Occidente, accettando il muro. E quindi sono sicuro che questo anno, che si apre oggi, farà crescere la figura di Chiara in un nuovo incontro con il nostro tempo e non la farà rimpicciolire. (altro…)

Sintonia e collaborazione

Incontro tra la Presidenza dell’Azione Cattolica italiana e il Consiglio Generale del Movimento dei Focolari. Emerge un impegno comune per le vittime del terremoto in Albania. Nel pomeriggio del 29 novembre 2019, una cinquantina di persone, tra i membri della presidenza nazionale dell’Azione Cattolica, quelli del Consiglio Generale del Movimento ed i dirigenti dei Focolari per l’Italia, convengono al Centro Internazionale dei Focolari a Rocca di Papa. Tangibile sin dall’inizio una grande sintonia che, nell’evolversi dell’incontro, manifesta tutta la ricchezza della comunione: “È una stagione propizia, lo Spirito spinge in quella direzione”, dice Matteo Truffelli, presidente dell’Azione Cattolica Italiana (ACI). “Nello stare insieme ad altre realtà ecclesiali si sperimenta un surplus di ecclesialità” afferma Jesús Morán, copresidente del Movimento dei Focolari. In seguito ad una preghiera di Mons. Gualtiero Sigismondi, assistente ecclesiastico dell’ACI, Maria Voce, presidente dei Focolari, spiega la specifica vocazione del Movimento all’unità. Matteo Truffelli a sua volta presenta i punti focali della sua associazione: la missionarietà alla quale Papa Francesco ha invitato l’Azione Cattolica. Una sfida che si vuole cogliere con entusiasmo è quella all’universalità. A seguire le esperienze delle due organizzazioni in vari ambiti. I Focolari ripercorrono l’ispirazione di Chiara in campo interreligioso, culturale ed ecumenico. Dagli evangelici, agli ortodossi e anglicani, oggi un’iniziativa vede ingaggiati Movimenti di varie Chiese cristiane nel dare risposte concrete all’Europa nel cammino Insieme per l’Europa. Il dialogo interreligioso trova la sua chiave nella fratellanza umana. Proficui anche i rapporti con fondatori di movimenti di altre religioni. Nell’era del pluralismo la difficile sfida è gestire la diversità culturale, il rifiuto del diverso, il rischio del fondamentalismo o dell’assimilazione. Vasto il ventaglio di iniziative in ambito politico, economico, del disarmo, dell’ambiente, della scuola, ma si vuole rendere più bella anche la Chiesa. Ragazzi e giovani, tra i protagonisti delle più importanti questioni contemporanee. Interrogandosi su come concretizzare la propria esperienza di fede nella ferialità, l’Azione Cattolica ha avviato il progetto Fuori Sede per giovani, studenti o lavoratori, che debbono proseguire altrove il loro compito. Con il Pellegrinaggio Mariano si pensa anche a chi tra gli adulti ha affinità con la religiosità popolare. Infine, si collabora con il progetto Policoro della Conferenza episcopale italiana. Alla fine di questo pomeriggio di comunione Matteo Truffelli propone un’azione comune a sostegno della popolazione colpita nei giorni scorsi da un forte terremoto in Albania. Jesús Morán si fa portavoce dell’eco immediatamente positiva. Gli esperti delle due organizzazioni stanno già sviluppando un piano di azione per realizzare questa collaborazione.

Lina Ciampi

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Le migrazioni dalla sponda sud del Mediterraneo/1 parte

Che visione si ha dal Nord Africa del fenomeno migratorio verso l’Europa? In che modo è possibile mettere l’uomo al centro, passando così da una visione puramente economica a quella umana delle migrazioni? Intervista a Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano ad Algeri. Secondo l’UNHCR*, dal 1 gennaio al 21 ottobre 2019 sono sbarcati via mare sulle coste Europee di Italia, Malta, Cipro, Spagna e Grecia 75.522 migranti. A questi si aggiungono i 16.322 arrivati via terra in Grecia e Spagna per un totale di 91.844 persone, di cui 9.270 in Italia, 2.738 a Malta, 1.183 a Cipro, 25.191 in Spagna, 53.462 in Grecia. Dati che seguono un trend in calo e archiviano la fase d’emergenza, ma non bastano all’Europa per avviare un dialogo allargato e costruttivo sul tema: la prospettiva della creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi resta assai remota, e in generale il confronto a livello istituzionale non tiene conto della prospettiva dei paesi africani. Ad Algeri abbiamo raggiunto l’Ambasciatore italiano, Pasquale Ferrara: Ambasciatore, che visione si ha dal Nord Africa del fenomeno delle migrazioni verso l’Europa? Visto dall’Africa si tratta di un fenomeno storico e strutturale, soprattutto infra-africano, perché la stragrande maggioranza dei movimenti di migranti e rifugiati avviene tra paesi africani: oltre 20 milioni di persone vivono in un paese diverso da quello di origine. Altra cosa è la migrazione verso l’Europa, che teme un afflusso incontrollato. Qui il quadro entro cui leggere il fenomeno è solo parzialmente quello del differenziale di sviluppo. In Europa spesso si fa la distinzione fra rifugiati politici e migranti economici. Ma spesso i migranti economici africani sono il risultato di una pessima gestione politica degli stati, perché c’è un problema di governance, di appropriazione delle risorse da parte di oligarchie, di inclusione sociale. Quindi in qualche modo anch’essi sono qualificabili come rifugiati politici. Al di là delle migrazioni irregolari, per ciò che riguarda l’Africa del nord, bisognerebbe ripristinare nel Mediterraneo quella mobilità circolare delle popolazioni che nella storia si è sempre osservata. Significa per esempio la possibilità di venire in Europa per un periodo di studio o lavoro, per poi tornare nel paese di origine. Al momento questi spostamenti sono subordinati alla concessione del visto, che però è molto difficile ottenere per via dei molti e necessari controlli. Per molti rappresenta un dramma, per cui la tentazione di chi riceve il visto, anche se si tratta di persone di buone intenzioni, è spesso quella di non tornare nel paese di origine. Il visto va mantenuto, ma, nell’ottica di favorire la mobilità circolare, è necessario pensare ad un sistema più strutturato. C’è poi un altro fattore che dà impulso alla migrazione, ed è la differenza nella qualità dei servizi che una società offre: quelli sanitari e quelli previdenziali in genere, la cui scarsa disponibilità e qualità influisce anch’essa, assieme ad altri fattori come la violenza endemica, sul senso di sicurezza, o quelli scolastici per cui anche chi non è in una situazione di miseria assoluta tenta di approdare in Europa per dare un’educazione migliore ai figli. Quindi dovremmo investire di più nella formazione delle classi dirigenti, dei professionisti, degli educatori. Ad Algeri, pur con numeri ridotti, stiamo cercando di farlo, aumentando le borse di studio per i giovani algerini che vanno in Italia a studiare musica, arte, restauro, come investimento per il loro futuro professionale. C’è una responsabilità dell’Occidente nell’impoverimento dei Paesi africani? “Sarei molto prudente. Questa è una narrazione che fa comodo a certe oligarchie afro-africane per scaricare le proprie responsabilità anche rispetto ad una governance che è dubbia nella sua legittimazione e nei suoi risultati. Il periodo coloniale ha segnato molto l’Africa e le responsabilità passate dell’Occidente sono accertate, ma dalla decolonizzazione sono trascorsi almeno 50 anni ed è difficile imputare all’Occidente le problematiche delle società africane di oggi. La qualità della governance ha un grande peso. Piuttosto oggi in Africa c’è una presenza forte della Cina con programmi legati alle risorse naturali e minerali in quasi tutti i paesi. La Cina considera l’Africa un grande mercato, ma lo scambio è asimmetrico a favore di Pechino. Tuttavia, per compensare questo squilibrio la Cina realizza a proprie spese opere infrastrutturali, stadi, teatri, centri culturali per miliardi di dollari. Nella gestione del fenomeno l’Europa fa passi incerti. Mancano politiche comunitarie e sembra che il principio di responsabilità condivisa non scaldi i cuori in Europa.. La scelta della solidarietà non può dipendere dalla buona volontà dei singoli governi e dal variare degli orientamenti degli stessi. La questione migratoria deve diventare una competenza esclusiva dell’Unione europea in quanto tale, come avviene per le politiche commerciali per le quali gli stati dell’UE hanno dato a Bruxelles la responsabilità esclusiva di negoziare accordi con paesi extraeuropei. Oggi invece da un lato, per una questione di sovranità nazionale, gli stati vogliono mantenere il controllo sulle migrazioni e sulle frontiere, ed è comprensibile. Dall’altro accusano di inerzia l’Europa a cui però non danno le competenze necessarie per operare efficacemente. Ma passare a questa dimensione decisiva mi sembra improbabile ora, considerando la resistenza che questo tema incontra rispetto alle politiche interne. * https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean Fine 1° PARTE

 A cura di Claudia Di Lorenzi

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Albania: unire le forze

La comunità locale dei Focolari e il Coordinamento Emergenze del Movimento, insieme con la Caritas e altre famiglie religiose, sono al lavoro per aiutare le persone colpite dal sisma. Nella notte tra il 25 e il 26 novembre scorsi, un forte terremoto ha colpito la costa settentrionale dell’Albania, nell’area della città di Durazzo. Ad oggi si contano almeno 47 morti, 600 feriti e migliaia di sfollati, ma sembrano essere molte le persone ancora sotto le macerie. Il sisma ha prodotto danni enormi, edifici crollati e centinaia di persone senza tetto, ed è stato avvertito in altre zone dell’Albania e della costa adriatica. La comunità locale dei Focolari è impegnata insieme alla Caritas Albania, alle Caritas diocesane, alle parrocchie e ad altre famiglie religiose nel mappare il territorio per censire case, scuole, chiese ed edifici danneggiati, e nel pianificare interventi coordinati. “Siamo insieme con la Caritas e le altre realtà e, come sempre, operiamo insieme” fanno sapere da Tirana. Una particolare attenzione è dedicata ai villaggi e alle aree lontane dai più grandi centri urbani – sconosciute ai media – che pure hanno subito danni significativi. “Creare ponti, favorire canali di comunicazione, mettere in rete esigenze e risorse – sottolineano – è una priorità condivisa”. Forme di sostegno concreto da parte del Movimento dei Focolari si attuano nel dare accoglienza alle famiglie e alle persone che non possono rientrare nelle loro case danneggiate, offrendo alloggio presso abitazioni di altre famiglie in zone non colpite dal sisma. Si offre anche la possibilità di effettuare una stima tecnica dei danni subiti. La presenza dei Focolari è tangibile poi nel prestare assistenza psicologica alle vittime del terremoto, che risentono anche dello stato di allerta continuo dovuto al perdurare delle scosse. Solidarietà è stata manifestata dai centri dei focolari in Macedonia e anche i giovani del Movimento si stanno attivando per portare aiuto. C’è la chiara consapevolezza che uno sforzo corale di coordinamento è la priorità di questi primi giorni di emergenza, mentre nei mesi futuri seguirà l’esigenza di strutturare un piano di ricostruzione. Anche Papa Francesco ha inteso esprimere la sua vicinanza spirituale e il suo paterno sostegno nei confronti delle persone e dei territori colpiti: “Sono vicino alle vittime, prego per i morti, per i feriti, per le famiglie – ha detto all’Udienza generale di mercoledì 27 novembre – Che il Signore benedica questo popolo a cui voglio tanto bene”. ________________________________________ Per chi vuole collaborare, sono stati attivati i seguenti conti correnti: Azione per un Mondo Unito ONLUS (AMU) IBAN: IT58 S050 1803 2000 0001 1204 344 Codice SWIFT/BIC: CCRTIT2T presso Banca Popolare Etica Azione per Famiglie Nuove ONLUS (AFN) IBAN: IT11G0306909606100000001060 Codice SWIFT/BIC: BCITITMM presso Banca Intesa San Paolo CAUSALE : Emergenza terremoto in Albania ——————————————————- I contributi versati sui due conti correnti con questa causale verranno gestiti congiuntamente da AMU e AFN. Per tali donazioni sono previsti benefici fiscali in molti Paesi dell’Unione Europea e in altri Paesi del mondo, secondo le diverse normative locali. I contribuenti italiani potranno ottenere deduzioni e detrazioni dal reddito, secondo la normativa prevista per le Onlus, fino al 10% del reddito e con il limite di € 70.000,00 annuali, ad esclusione delle donazioni effettuate in contanti. (altro…)

2020: sarà l’anno di Chiara

2020: sarà l’anno di Chiara

All’insegna del motto “Celebrare per incontrare” è stata annunciata alla stampa l’apertura del centenario di Chiara Lubich il prossimo 7 dicembre. Si parte da Trento, con l’inaugurazione della mostra internazionale “Chiara Lubich città mondo”.

© CSC Audiovisivi

“Chiara è viva. È viva nello spirito che Lei ci ha donato, nell’Opera che ha fondato e nella quantità innumerevole dei suoi seguaci, sparsi in tutti i punti della terra”. E’ con queste parole che la presidente dei Focolari, Maria Voce, ha riassunto lo spirito con cui il movimento nel mondo si prepara a vivere il 2020, anno in cui si celebreranno i 100 anni dalla nascita della sua fondatrice. Chiara Lubich è nata il 22 gennaio 1920 a Trento, città “pilota” che ospiterà molti degli eventi del centenario, tra cui quello che lo apre ufficialmente, il 7 dicembre prossimo con una mostra internazionale alle Gallerie di Piedicastello. Data dal forte valore simbolico, perché era il 7 dicembre 1943, in pieno secondo conflitto mondiale, quando Chiara si consacrò a Dio, dando di fatto inizio alla “divina avventura” della sua vita e di quella di milioni di persone nel mondo. Durante la conferenza stampa che si è tenuta il 18 novembre scorso presso la sede romana della Sala Stampa Estera, la Presidente ha spiegato che l’intento dell’anno celebrativo – che ha come motto “Celebrare per incontrare – non è quello di ricordare Chiara, ma quello di “incontrarla” nelle sue opere, nelle testimonianze di chi le è stato accanto, nella vita degli appartenenti al Movimento, e nel suo “messaggio di fraternità, unità e comunione”. Un messaggio che lei ha “vissuto in prima persona” allacciando rapporti “con le persone più varie per cultura, religione, etnia”, perché convinta “che Dio è Padre di tutti e quindi che tutti sono fratelli”. Un messaggio di fraternità universale che risulta oggi più che mai attuale “per tutte le correnti di particolarismi e divisioni, per i muri che si ergono, le frontiere che si cerca di costruire e che noi invece cerchiamo di abbattere e siamo convinti che si possano abbattere”. “L’avventura di mandare i focolarini nell’est europeo è stato un contributo alla caduta del muro” ha spiegato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio – mentre si ricorda il 30ennale dalla caduta del muro di Berlino – che a Chiara fu legato da una profonda amicizia spirituale. Per Riccardi, Chiara è un “personaggio storico” dal profilo inedito: “in una storia del Cristianesimo del ‘900 fatta in gran parte di uomini” e che “alle donne ha lasciato qualche angolo di mistica o qualche esperienza di carità, Chiara è stata una donna che ha fatto la storia a tutto tondo: mistica, carità, ma anche politica, cambiamento di vita, passione”. “L’Unità è la cifra con cui capire la sua esistenza, la sua ricerca della pace che è ecumenismo” ha aggiunto ricordando il suo rapporto con il Patriarca Ecumenico Atenagoras, per poi affermare che, proprio in quanto donna e pur non essendo teologa, Chiara “aveva capito di più dei tecnici dell’ecumenismo”. In questo mondo di divisioni e piccole passioni, che “soffre soprattutto per mancanza di visione” ha affermato citando San Giovanni Paolo II, “Chiara può essere molto impopolare” ma proprio la sua visione può far “rifiorire” l’umanità. Il valore profetico del messaggio della Lubich è stato messo in luce da Maurizio Gentilini, storico e ricercatore, autore della biografia “Chiara Lubich, la via dell’unità fra storia e profezia”, di prossima pubblicazione per Città Nuova. Rispetto alle acquisizioni del Magistero della Chiesa – ha osservato – Chiara si pone “in profonda sintonia, con 20 anni di anticipo, con quelle che saranno le intuizioni e lo spirito del Concilio Vaticano II”. Inoltre, “dopo secoli di ermeneutiche astratte, Chiara sembra dare alla trinità un valore empirico perché afferma che noi siamo fatti di relazione” e “Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo, che ci ha creato a propria immagine, ha impresso in noi questo desiderio di comunione”. Nell’epoca dell’individualismo e gli scontri di civiltà, Ella fa proprio questo desiderio e “lo traduce nella necessità del dialogo, che diventa la via privilegiata per contribuire a comporre nella fraternità la famiglia umana”. Nell’analisi di Gentilini, la Lubich si fa anticipatrice della necessità di una Chiesa in uscita, che troverà “forte stimolo nell’Evangelii Gaudium di Papa Francesco”, e propone il “criterio dell’amore e della misericordia” come guida all’applicazione di ogni legge, che sarà poi “il sunto dell’Amoris Laetitia”.

© CSC Audiovisivi

Proprio la Mostra che darà avvio a Trento al ricco calendario di eventi nei cinque continenti – promossa dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e dal Centro Chiara Lubich – nel suo titolo “Chiara Lubich, Città Mondo” racconta la nascita e la diffusione del messaggio di fratellanza universale di Chiara, che supera i confini di quella prima città per propagarsi nel mondo e raggiungere altre culture, religioni, sensibilità, ma anche quelli del tempo presente, per proiettarsi nel futuro con rinnovata intensità. La scelta del luogo, del resto, è peculiare, spiega Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione: si tratta di due gallerie dismesse fatte di asfalto e cemento armato, costruite nel cuore del quartiere a dividere la piazza dalla cattedrale. L’incontro di questo “luogo di periferia” con Chiara Lubich e il suo messaggio di unità “è formidabile”. Sul sito www.centrochiaralubich.org i dettagli della Mostra e dei prossimi eventi.

Claudia Di Lorenzi

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Una nuova biografia di Chiara Lubich

Una nuova biografia di Chiara Lubich

Edita da Città Nuova s’intitola “Chiara Lubich. La via dell’unità tra storia e profezia” e sarà presentata – per ora in italiano –  in anteprima il 30 novembre prossimo a Roma, presso l’Auditorium del Policlinico Gemelli. S’intitola “Chiara Lubich. La via dell’unità tra storia e profezia” e l’autore è lo storico italiano Maurizio Gentilini. Si tratta dell’ultima biografia scritta sulla fondatrice dei Focolari alla vigilia dei cento anni dalla sua nascita. Sono in programma traduzioni in inglese, spagnolo e coreano. Per chi vive a Roma o dintorni sarà possibile incontrare l’autore il 30 novembre prossimo, presso l’auditorium del policlinico Gemelli alle 16.30. Si tratta di una delle pubblicazioni che l’Editrice Città Nuova ha messo in cantiere per questo centenario, che prende il via il 7 dicembre prossimo; data simbolica perché quel giorno del 1943 Chiara si è consacrata a Dio dando così inizio all’avventura dei Focolari. Il volume rappresenta un tentativo di lettura del percorso biografico della fondatrice del Movimento dei Focolari, a cento anni dalla nascita e a dodici dalla scomparsa. Nasce con un intento e un taglio divulgativo, ma intende anche favorire l’approfondimento di singoli aspetti e grandi tematiche legate alla figura di Chiara e dei Focolari (i laici nella Chiesa, il Vaticano II, la mondialità, l’ecumenismo, la pace …). Vuole offrire una lettura del personaggio calato nei contesti storici che ha attraversato nel corso della sua lunga e complessa esistenza, contribuendo ad arricchire un’offerta editoriale già ampia, ma forse un po’ carente di contributi composti con queste caratteristiche. L’autore, che ama definirsi un “battezzato semplice”, cerca di leggere le vicende che prova a narrare con un costante riferimento alle fonti, con l’applicazione del metodo storico-critico e con la propria sensibilità di credente, nonché con la chiave ermeneutica che trova la sua sintesi nel rapporto tra spiritualità e azione, tra storia e profezia.

Stefania Tanesini

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20 anni “Insieme per l’Europa”

20 anni “Insieme per l’Europa”

Un anniversario importante festeggiato con un incontro nella cittadella ecumenica di Ottmaring e suggellato con una cerimonia nel Municipio di Augsburg (Germania). Un rinnovato impegno ad essere ambasciatori di riconciliazione e segni di speranza nelle diverse Chiese e nella società.

Foto: © Ursula Haaf

Più di 300 membri della rete “Insieme per l’Europa” (IpE) di 55 Movimenti e comunità da 25 Paesi si sono riuniti dal 7 al 9 novembre nella cittadella internazionale dei Focolari di Ottmaring e nella città di Augsburg in Germania. Un appuntamento che quest’anno ha ricordato anche i 20 anni di vita di “Insieme per l’Europa”. Era il 31 ottobre 1999, in occasione della solenne firma della “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” avvenuta nella Chiesa di S. Anna ad Augsburg, quando un gruppo di responsabili di vari gruppi cristiani di diverse confessioni si riunì ad Ottmaring prendendo coscienza della responsabilità comune per una convivenza ecumenica in Europa. Dopo che i rappresentanti della Federazione mondiale luterana e della Chiesa cattolica avevano suggellato con un documento comune che le secolari condanne dottrinali non erano più valide, i rappresentanti dei carismi delle diverse confessioni decisero di conoscersi meglio e lavorare per conciliare le diversità nelle loro Chiese, nella società e in politica. Con questo impegno dettero vita a “Insieme per l’Europa”. Una piccola pianticella oggi diventata un’iniziativa europea, alla quale si sono aggiunte negli anni più di 300 comunità, movimenti e ministeri. “Così tanti Paesi come questa volta non sono mai stati rappresentati ai nostri incontri annuali – ha costatato uno dei rappresentanti del gruppo degli amici della rete di “Insieme per l’Europa “ presente quest’anno – e a 20 anni dalla sua nascita sono nati tanti rapporti profondi anche tra persone di nazioni diverse. I rappresentanti delle Chiese come e anche i politici apprezzano il nostro contributo”,

Foto: © Ursula Haaf

Lo testimonia anche la grande stima che l’iniziativa di “Insieme per l’Europa” gode ormai ad Augsburg. La città ha infatti invitato i rappresentanti dell’Europa presenti all’incontro ad un ricevimento nella “Sala d’oro” del Municipio e il sindaco, Stefan Kiefer, ricevendoli ha sottolineato nel suo discorso i numerosi punti di contatto e gli obiettivi comuni che la rete ha con la città. In occasione del suo giubileo, la città aveva messo a disposizione per l’incontro il Municipio, esprimendo così apprezzamento e gratitudine. Allo stesso tempo, la presenza di autorità civili e religiose ha dimostrato che la rete svolge un’importante funzione di “ponte” nelle Chiese e nella società. “Dobbiamo diventare cittadini attivi, avere il coraggio di difendere i deboli, alzare la voce per la giustizia”, è stato l’invito del senatore ceco Pavel Fischer. La commovente conclusione con una preghiera ecumenica nella chiesa luterana di Sant’Anna e una processione di luci sul piazzale antistante alla chiesa, ha ricordato a molti le forze pacifiche che proprio lo stesso giorno 30 anni fa avevano portato alla caduta del muro di Berlino e ad una nuova era in un’Europa unita. Gerhard Proß, moderatore dell’iniziativa, ha visto un “filo d’oro” che lega questi eventi e una missione per il futuro: “In tempi di allontanamento e tendenze alla demarcazione vogliamo essere con “Insieme per l’Europa” un segno profetico per una convivenza e una collaborazione credibile in Europa”. https://www.together4europe.org/

Andrea Fleming

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In Irlanda del Nord 30 Vescovi di diverse Chiese

In Irlanda del Nord 30 Vescovi di diverse Chiese

“In un mondo diviso, uniti in Cristo” è il titolo dell’annuale incontro tenutosi dal 21 al 25 ottobre scorsi, che da trentotto anni raccoglie Vescovi di varie Chiese. Un appuntamento ecumenico che tanti hanno definito storico per la terra d’Irlanda.  “È davvero profetico che Belfast abbia ospitato questo evento ecumenico internazionale con riflessioni di grande speranza, pur in mezzo a tanta divisione. Lo Spirito Santo soffia!”. È Darren O’Reilly, co-responsabile della comunità Koinonia che ha sede a Belfast, l’autore di questo tweet che ben riassume il cuore – ma anche l’eccezionalità – di quanto è successo dal 21 al 25 ottobre scorsi in Irlanda del Nord, in occasione del trentottesimo appuntamento dei Vescovi di diverse Chiese amici dei Focolari. Focus di questa edizione è stata la condivisione di riflessioni e testimonianze sulla sfida dell’unità in Cristo, in un mondo diviso come quello attuale. Questi incontri, promossi dai Focolari, offrono ai Vescovi uno spazio di dialogo e di condivisione attorno alla spiritualità dell’unità. Per questa edizione i 30 Vescovi appartenenti a 18 Chiese, arrivati da 14 Paesi, si sono incontrati nelle città di Larne e Belfast, scegliendo come ogni anno, per il loro convegno annuale, un luogo simbolo. Quest’anno un luogo dove i Vescovi hanno potuto constatare il “peace process”, cioè l’impegno per la riconciliazione in una società divisa. I partecipanti hanno potuto conoscere la storia e l’attuale cammino ecumenico dell’Irlanda restando molto ammirati da rapporti costruttivi e con notevoli frutti.  Il Vescovo anglicano Trevor Williams della Chiesa d’Irlanda, che ha offerto un apprezzato intervento sulla storia del cristianesimo in Irlanda, commentava: “È stato incoraggiante sentire la preoccupazione dei Vescovi per i nostri ‘affari incompiuti’ di costruzione della pace e la loro gioia di assistere a tante attività intraprese da cristiani di diverse tradizioni per sanare il divario”. Anche il Vescovo del luogo Noel Treanor di Down e Connor, ha dato un importante contributo per tracciare il panorama ecclesiale, sociale e politico. A Belfast i Vescovi hanno visitato luoghi significativi per la riconciliazione e la pace come il Centro metodista in Belfast Est dove li ha accolti il pastore Brian Anderson che è anche il Presidente del Consiglio delle Chiese d’Irlanda, ed hanno partecipato ai servizi liturgici nelle chiese presbiteriana, anglicana e cattolica. E nella Chiesa cattolica di San Patrizio, davanti ai fedeli, i Vescovi hanno dato testimonianza di come vivono il “Comandamento nuovo” di Gesù, rinnovando un “patto”, un solenne l’impegno ad amare la Chiesa altrui come la propria. Questo patto è, ogni volta, uno dei momenti più alti di questi appuntamenti. Ma sarà il pomeriggio aperto del 23 ottobre nella sessione tenutasi a Larne a restare nel cuore di molti: un momento definito “storico”. Un pomeriggio che il Vescovo cattolico di Limerick, Brendan Leahy, ha così descritto: “E’ stata come l’esperienza dei discepoli sulla strada di Emmaus che hanno visto i loro cuori bruciare mentre Gesù tra loro spiegava e parlava con loro”. Vi hanno partecipato oltre un centinaio di persone da tutta l’Irlanda, da molte Chiese (Apostolica Armena, la Chiesa d’Irlanda (anglicana), Ortodossa (Patriarcato di Antiochia), Presbiteriana, Cattolica, Metodista, Moraviana, Luterana e Siro Ortodossa). Presenti il Presidente della Chiesa metodista in Irlanda e il rappresentante del Moderatore della Chiesa Presbiteriana in Irlanda, rappresentanti del  Consiglio irlandese delle Chiese, del Comitato delle Chiese in Irlanda, del Consiglio delle Chiese di Dublino, oltre a diversi movimenti e gruppi. Questo appuntamento con la partecipazione di Vescovi di varie Chiese ha messo in luce i frutti del “dialogo della vita” che Chiara Lubich ha sempre incoraggiato a vivere: un dialogo fatto dal popolo che include anche i suoi pastori; un popolo unito in Cristo per l’amore vissuto da tutti. Un esempio è stata la testimonianza di vera amicizia in Cristo e di collaborazione dei due Arcivescovi di Armagh, Eamon Martin, cattolico e Richard Clarke, anglicano, entrambi primati di tutta l’Irlanda. Un “dialogo della vita” che, in Irlanda, si concretizza anche in impegno per le sfide e le ferite sociali e civili, come l’adesione ad “Embrace Northern Ireland” che si occupa di accoglienza ai rifugiati; l’organizzazione al “Four Corners Festival” (“Il Festival dei 4 angoli”) che sostiene l’incontro e l’amicizia oltre le barriere geografiche e settarie ancora presenti a Belfast; la partecipazione agli incontri del Consiglio delle Chiese di Dublino al quale collaborano 14 Chiese. Il pastore Ken Newell, già moderatore della Chiesa presbiteriana in Irlanda, ha descritto l’evento come una “nuova Pentecoste, in cui i cristiani di diverse Chiese di tutto il mondo erano uniti nello Spirito, dove si sentiva l’unità della Chiesa per il benessere del mondo”.

Stefania Tanesini

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Vangelo vissuto: farsi uno

“Per amare cristianamente occorre “farsi uno” con ogni fratello […]: entrare il più profondamente possibile nell’animo dell’altro; capire veramente i suoi problemi, le sue esigenze; condividere le sue sofferenze, le sue gioie; chinarsi sul fratello; farsi in certo modo lui, farsi l’altro. Questo è il cristianesimo, Gesù si è fatto uomo, si è fatto noi per far noi Dio; in tale maniera il prossimo si sente compreso, sollevato” . (Chiara Lubich) Alunno da bocciare Una collega mi confida preoccupata che un alunno, che anch’io conosco per altre materie, è da proporre per la bocciatura. Le chiedo se ci sono materie dove lui va bene: “Non sarebbe da aiutare e sostenere?”. La collega cambia tono: “Beh, in realtà in alcune è addirittura bravo”. Insieme, riflettiamo su come e cosa fare. Poi invitiamo l’alunno per un colloquio e gli prospettiamo la situazione. Nel giro di poche settimane le cose cambiano in modo impensato. Trovandomi un giorno con la stessa collega, mi confida: “Questa storia mi ha fatto bene anche con i figli. Ero tremendamente arrabbiata col maggiore che perde tempo con la chitarra e trascura tutto il resto. Dopo questo impegno con l’alunno, ho cominciato a incoraggiarlo. Mi ha cantato due poesie che lui aveva musicato: una sorpresa non solo per me, ma anche per mio marito. I fratelli invece, complici, sapevano del suo talento. Fai qualcosa per qualcuno e il tuo cuore si apre e vedi quello che non vedevi”. (C.A. – Polonia) Moglie e suocera Un amico mi confidò il dolore di non riuscire a mettere armonia tra la moglie e la suocera: litigi e risentimenti mettevano il malumore in famiglia e i figli ne risentivano. Lo ascoltai a lungo. Riuscii soltanto a dirgli di non schierarsi, ma di ascoltare sia l’una che l’altra. Poi a casa essere vicini a quella famiglia in difficoltà con qualche dolce e altre attenzioni. Dopo un po’ di tempo l’amico mi venne a trovare sul posto di lavoro. Tutto si era risolto nel modo più impensato. “È stato il tuo ascolto che mi ha dato la forza per fare lo stesso”. (J.F. – Corea) Dono chiama dono Avevo offerto a un barbone una bottiglia che riempivo d’acqua e portavo sempre con me in macchina. Un giorno, preso dalla sete, mi sono fermato a una fontana, ma non era facile bere: sarebbe stata necessaria una bottiglia per attingere ed io me ne ero privato. Stavo quasi per andar via quando un vecchietto che stava caricando in macchina alcune bottiglie mi ha chiesto se avessi sete. “Sì, ma come vede, non ho come attingere l’acqua”. A questo punto augurandomi felicità, mi ha dato una bottiglia delle sue che stava giusta posto in macchina ed ora mi riempie ottimismo, perché mi ricorda che dono chiama dono. (R.A. – Albania) La forza di un’amicizia Trovandomi un giorno con un’amica della parrocchia, mi sento dire che avrei dovuto dedicarmi di più alla mia famiglia. Cosa poteva saperne lei che non era neanche sposata? Ad ogni modo quella frase mi ha turbata e non mi ha lasciata tranquilla. Mi sono analizzata sul rapporto che avevo con i miei quattro figli. Mi sembrava tutto a posto, ma … con M. qualcosa non andava. Mentre era in camera ad ascoltare musica, con una scusa qualsiasi sono andata da lui e gli ho chiesto il parere su una certa faccenda. Lui dopo un po’ è scoppiato a piangere. Strano per me, conoscendolo come un ragazzo forte e sicuro. Ma dopo un po’ è arrivato al nocciolo: aveva avuto una grande delusione con la ragazza e non gli era stata lontana l’idea del suicidio. Sono rimasta di pietra. L’amica mi aveva aperto gli occhi. Questa “attenzione” l’ho rivolta anche agli altri figli. Credevo di essere una madre perfetta, avevo assicurato tutto, ma mancava qualcosa: mancava un amore attuale, pronto agli imprevisti. (F.G. – Filippine)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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Operare per realizzare l’unità

Operare per realizzare l’unità

Il contributo del Movimento dei Focolari al dialogo fra le Chiese cristiane.  L’intervento di Maria Voce all’Angelicum, a Roma, a 25 anni dall’Enciclica Ut unum sint “Tutto muove dalla scoperta che Dio è Amore”. Maria Voce, Presidente del Movimento dei Focolari, individua così il punto di partenza del percorso che ha portato alla progressiva intuizione e definizione della spiritualità dell’unità, che anima il Movimento fondato da Chiara Lubich. Nel suo intervento all’Università San Tommaso d’Aquino, in Roma, nell’ambito di un ciclo di conferenze dedicato ai 25 anni dall’Enciclica Ut unum sint, la Presidente dei Focolari evidenzia il contributo che il carisma donato da Dio a Chiara Lubich, e la spiritualità di comunione che ne è scaturita, offrono al cammino di unità fra le Chiese cristiane. I cardini di questa spiritualità individuano i passi della strada che porta all’unità della famiglia umana. A realizzare la preghiera di Gesù sulla Croce «…che tutti siano uno», “che è divenuta lo scopo del Movimento dei Focolari”. La scoperta dell’Amore di Dio che è Padre suscita la consapevolezza che siamo tutti fratelli. E dunque, spiegava Chiara Lubich, «Amare Dio come figli significava amare i fratelli» . Deriva da ciò – afferma Maria Voce – un altro dei cardini della spiritualità dell’unità: l’amore al prossimo. Che nel concreto si muove seguendo le vie del Vangelo. «Il carisma dell’unità – cita la Lubich – Lo abbiamo percepito subito come […] luce per comprendere meglio il Vangelo, fonte d’amore e d’unità, e forza per viverlo con decisione». Presto ci si accorse – racconta – che il comandamento nuovo di Gesù, “…che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13,34), indicava la misura dell’amare. Quel “come” significava “dare la vita fino ad esser pronti a morire per l’altro”, come fece Cristo. Iniziarono così i primi focolarini a vivere nell’amore reciproco, stipulando fra loro quel patto di unità che costituisce “l’esordio del particolare stile di vita che lo Spirito Santo proponeva: uno stile comunitario”. Mettendo in pratica l’amore vicendevole, Chiara e le sue compagne fecero l’esperienza della presenza di Gesù fra loro. La Presidente dei Focolari cita la Lubich: «Abbiamo avvertito nella nostra anima un balzo di qualità: una pace nuova […] Ci siamo rese conto di quanto stava accadendo, quando abbiamo letto nel Vangelo le parole: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). La vicendevole carità ci aveva unito […] Gesù presente sigillava fra noi l’unità». È da questa ricerca della presenza di Gesù – spiega Maria Voce – che nasce il nome con cui è conosciuto il Movimento dei Focolari: “Opera di Maria”, come espressione della tensione a farne un modello. Come Maria ha generato Cristo, così i focolari vivono cercando di generare fra loro e con gli altri la presenza di Gesù. Nel vivere la spiritualità dell’unità, presto ci si è resi conto che essa poteva trovare applicazione in vari contesti. “All’inizio degli anni ’60 – racconta – Chiara Lubich entra in contatto con fratelli e sorelle della Chiesa luterana, poi con anglicani, battisti, metodisti, ortodossi e membri delle Chiese orientali ortodosse, e si scopre che questa presenza di Gesù in mezzo può essere stabilita anche tra cristiani di Chiese diverse”. È la scoperta che avvierà percorsi di dialogo, sia a livello teologico che sul piano “della vita”, supportati dall’esperienza concreta di unità fra cristiani di Chiese diverse che all’interno del Movimento era già realtà. Non è raro, tuttavia, fare esperienza di una mancata unità. Una condizione che per i focolari è però l’occasione per “lavorare” a ricostruirla. E “la strada per realizzare l’unità – spiega Maria Voce lasciando la parola a Chiara Lubich – è Gesù Abbandonato” sulla Croce: «Poiché Gesù s’è ricoperto di tutti i nostri mali, noi possiamo scoprire dietro ad ogni dolore […] un suo volto, abbracciare Lui, in certo modo, in quelle sofferenze […] e dirgli il nostro sì come ha fatto Lui. […] ed Egli vivrà in noi, come Risorto». Più tardi – continua – Chiara scorgerà Gesù abbandonato anche nelle divisioni fra le Chiese cristiane: operare, anche qui, per sanare l’unità spezzata è «la principale opera del Movimento dei Focolari». In questa prospettiva, Maria Voce evidenzia infine il contributo che un’esperienza di unità fra teologi di varie Chiese “potrebbe offrire al dialogo ecumenico”: “Se i teologi si lasciano guidare dall’essere uno in Cristo” Gesù “faciliterà la comprensione dei diversi punti di vista teologici” e “la verità verrà riscoperta insieme”. Un ultimo passaggio è dedicato al carisma dell’unità come via di santità. Maria Voce ricorda che si è appena conclusa la fase diocesana del processo di canonizzazione di Chiara Lubich, ora allo studio in Vaticano.

Claudia Di Lorenzi

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La comunità accademica di Sophia in udienza dal Papa

La comunità accademica di Sophia in udienza dal Papa

L’esortazione di Francesco all’istituto universitario: «Vi lascio tre parole, esortandovi a continuare con gioia, visione e decisione il vostro cammino: sapienza, patto, uscita». «Sono contento del cammino che avete fatto in questi dodici anni di vita. Avanti! Il cammino è appena iniziato» ha esordito Papa Francesco, salutando la comunità accademica dell’Istituto Universitario Sophia, che ha ricevuto oggi in udienza privata. «Nel percorso che sta davanti a voi non vi mancano i punti di riferimento: in particolare, l’ispirazione del carisma dell’unità da cui è nata la vostra Università e insieme le linee che ho tracciato nella Costituzione apostolica Veritatis Gaudium, in cui il vostro progetto accademico e formativo vuole rispecchiarsi. Anche la vostra partecipazione alla preparazione e agli sviluppi del Patto Educativo Globale va in questa direzione».

© Servizio Fotografico Vaticano

All’udienza, che si è svolta il 14 novembre scorso nella sala del Concistoro, hanno partecipato il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo Metropolita di Firenze e Gran Cancelliere dell’Istituto, la dottoressa Emmaus Maria Voce, Vice Gran Cancelliere dell’Istituto e Presidente del Movimento dei Focolari, l’intera comunità accademica dell’Istituto Universitario Sophia, una rappresentanza del gruppo di lavoro di “antropologia trinitaria” del CELAM e i docenti della futura sede locale di “Sophia” in America Latina e Caraibi. «Vi lascio tre parole, esortandovi a continuare con gioia, visione e decisione il vostro cammino: sapienza, patto, uscita» ha detto loro Papa Francesco. La Sapienza che, ha spiegato il Santo Padre, illumina “tutti gli uomini”, con cui “siamo chiamati a camminare insieme”. Il Patto, perché “è la chiave di volta della creazione e della storia”, “il patto tra Dio e gli uomini, il patto tra le generazioni, il patto tra i popoli e le culture, il patto – nella scuola – tra i docenti e i discenti e anche i genitori, il patto tra l’uomo, gli animali, le piante e persino le realtà inanimate che fanno bella e variopinta la nostra casa comune”. Papa Francesco ha esortato la comunità accademica di Sophia a vivere questo patto per “aprire le strade del futuro a una civiltà nuova che abbracci nella fraternità universale l’umanità e il cosmo”. Infine,

© Servizio Fotografico Vaticano

“uscita”: «Dobbiamo imparare con il cuore, con la mente, con le mani a “uscire dall’accampamento” – come dice la Lettera agli Ebrei (13,13) – per incontrare, proprio lì fuori, il volto di Dio nel volto di ogni fratello e ogni sorella». Al termine dell’udienza, Piero Coda, Preside dell’Istituto, ha commentato: «Siamo grati a Papa Francesco che ha apprezzato la partecipazione di studenti provenienti dai cinque continenti e anche da diverse tradizioni religiose, e il nostro impegno a non guardare dal balcone ma a mettere le “mani in pasta” per camminare da protagonisti su strade nuove di fraternità». L’udienza con papa Francesco giunge solo pochi giorni dopo la cerimonia di inaugurazione dell’a.a. 2019/2020 (lunedì 11 novembre 2019), con il conferimento del dottorato h.c. in Cultura dell’Unità al filosofo e teologo prof. Juan Carlos Scannone S.J., esponente della “teologia del popolo” e professore del giovane seminarista Jorge Mario Bergoglio.

Tamara Pastorelli

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Rapporto uomo-donna: insieme per sfidare il futuro

“Sfidare il futuro. Uomini e donne in dialogo” era il titolo dell’appuntamento che si è tenuto dal 18 al 20 ottobre 2019 a Castel Gandolfo, promosso dal Centro per il dialogo con persone di convinzioni non religiose dei Focolari. Dar voce ad esigenze, aspirazioni e ideali da prospettive culturali differenti attraverso un dialogo a tutto campo tra persone senza un preciso riferimento religioso e cristiani cattolici; presenti anche due giovani musulmane. È stata questa la cifra del convegno “Sfidare il futuro. Uomini e donne in dialogo”, tenutosi a Castelgandolfo (Roma, Italia) dal 18 al 20 ottobre scorsi e promosso dal Movimento dei Focolari.  Una scelta tematica dettata dallo sforzo di leggere nel profondo delle donne e degli uomini di oggi, adulti e giovani, appartenenti a diverse fedi o a convinzioni diverse. Cosa li tiene insieme? Qual è il contributo specifico della sinergia uomo-donna per un futuro di pace e per lavorare al bene comune? Quando e come inizia l’educazione al rapporto uomo-donna?  “Ognuno è diverso, ma a volte i ragazzi vengono esclusi per il loro aspetto. I veri eroi questo non lo fanno, anche se non è sempre facile”. E’ l’incipit di “Eroi veri”, il cortometraggio del regista belga Erik Hendricks  , ha aperto il convegno. Girato con un cast di studenti, il documentario ha aperto la strada ai molteplici contributi che sono stati l’anima e la ricchezza di questi tre giorni. Al centro del convegno, l’approfondimento di una peculiarità dello stile operativo dei Focolari: il lavoro insieme e la corresponsabilità di uomini e donne. Molto importante anche il contributo di Piero Taiti, medico, pioniere del dialogo con persone di convinzioni non religiose, sull’apporto profetico di Chiara Lubich. Moreno Orazi, architetto, che potremmo definire un cristiano inquieto, in ricerca e con molte domande di fede, ha presentato delle testimonianze al maschile e al femminile in ambito sociale. «Pur nel rilevare una forte differenza di impatto dal punto di vista psicologico tra il corpo femminile e quello maschile, constato una sostanziale reciprocità di sentimenti dal punto di vista della condizione esistenziale e affettiva a livello più profondo; per entrambi la solitudine e il mancato riconoscimento del proprio sé e delle proprie aspettative ed aspirazioni è fonte di profonda sofferenza. Esiste una voce interiore che promana dal corpo delle donne, nei confronti della quale l’uomo si è posto in modo ambiguo in passato, amplificata o inascoltata a seconda del proprio interesse del momento ma mai percepita come la chiave per cogliere l’essenza della femminilità». Per Giuseppe Auriemma, medico psichiatra, la reciprocità che scaturisce dal rapporto uomo-donna è una risorsa per superare le differenze. «La reciprocità costa fatica e chiede impegno, chiede di superare la rigidità della contrapposizione, di bloccare la tentazione di risolvere le differenze nell’identità del più forte, superare la mentalità del possedersi e dell’appropriarsi. È in realtà un duro cammino di liberazione. Uomini e donne dovrebbero essere più consapevoli delle loro caratteristiche peculiari, sia come doni e ricchezze, sia come limiti. Solo allora potranno vivere una relazione, un incontro, perché ciascuno avrà qualcosa da dare e qualcosa da ricevere». Donatella Abignente, docente di Teologia morale, ha illustrato il punto di vista cattolico: «Nella Chiesa cattolica c’è un dibattito molto vivace. Al sinodo sull’Amazzonia il Papa chiede che venga riconosciuto ufficialmente il ministero della donna sulla Parola. Ci sono delle resistenze da parte di persone che hanno posto troppo l’accento sui diritti individuali e sui diritti dei più forti, per cui le donne sono diventate importanti solo quando hanno acquistato forza per far valere i propri diritti. Il diritto si afferma sulla base della comunione. Riguardo la reciprocità, essa si costruisce con la gratuità che non è il non occuparsi della piena realizzazione di sé, il volontarismo della mortificazione o un altruismo troppo simile alla ricerca della propria perfezione attraverso il servizio. Non si tratta di divenire donna o uomo ma di divenire persone nella comunione gratuita, compromettendo noi stessi in una trasformazione che dura tutta una vita». Non sono mancati contributi da persone provenienti dai continenti extraeuropei, come per esempio Vania Cheng che ha parlato del rapporto uomo-donna in Cina, di Ray Asprer nella società filippina e quelli di Mounir Farag, Haifa Alsakkaf e Giovanna Perucca sulla donna nei Paesi islamici.  Nella sua relazione “Chiavi interpretative della storia delle relazioni uomo-donna” la sociologa Giulia Paola Di Nicola ha presentato una panoramica storica, inquadrando i mutamenti avvenuti nel corso dei secoli e la divisione dei ruoli, gerarchie e valori che hanno caratterizzato, nei millenni, un certo ordine sociale e di pensiero.

A cura della redazione

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Brasile: In Amazzonia la mia bussola è l’amore

Brasile: In Amazzonia la mia bussola è l’amore

Intervista a fra Gino Alberati, missionario dal 1970 tra la gente del sub-continente amazzonico. Ora che i riflettori mediatici sul polmone verde della terra si sono spenti, perché gli incendi sono stati domati e il Sinodo per l’Amazzonia della Chiesa cattolica ha varato il documento finale, ci sembra importante continuare a dar voce a chi l’Amazzonia la abita e contribuisce al suo sviluppo ogni giorno. Il rischio di guardare a questo pezzo di terra come a una cartolina esotica, distante dalla vita delle nostre metropoli è molto forte. Si tratta di uno dei più estesi laboratori multi-culturali del pianeta, un aspetto che fa sicuramente meno scalpore della questione ambientale, ma il cui rispetto e salvaguardia sono altrettanto centrali per la sopravvivenza della sua popolazione. Per questo raccogliere la sfida culturale in Amazzonia e sostenere educazione e formazione umana è d’importanza vitale.

© ACN Kirche in Not

Della sua popolazione fanno parte anche diverse comunità dei Focolari, famiglie, ragazzi e religiosi, come frei Gino, come tutti lo chiamano. Fra Gino Alberati è un missionario cappuccino italiano che vive e lavora in Amazzonia dal 1970, servendo decine di comunità sul fiume Solimões, al confine brasiliano con Colombia e Perù. Viaggia su di una barca ricevuta in beneficenza, di cui lui stesso cura la manutenzione. Gli permette di celebrare messa e portare la parola di Dio alle comunità dislocate su di un territorio vastissimo e gli consente anche di salvare vite umane perché il medico più vicino spesso dista giorni di viaggio. Lo raggiungiamo a fatica e riusciamo a intervistarlo solo via Whatsapp. Della sua preparazione alla missione, fra Gino racconta di giornate intere trascorse all’ospedale S. Giovanni, a Roma. “Per nove mesi entravo nei laboratori analisi e nelle sale operatorie; lo facevo per imparare qualcosa di medicina, perché sapevo che nella missione a cui ero destinato non ci sarebbe stata alcuna struttura sanitaria e mi sarei dovuto improvvisare medico. Avevo 29 anni quando sono arrivato in Amazzonia e non mi importavano le distanze o i mezzi di trasporto precari che utilizzavo – spiega frei Gino – la mia bussola era l’amore. In questi anni ho fatto davvero di tutto e ora seguo una parrocchia che copre un territorio lungo 400 Km, sul Rio delle Amazzoni e il Rio Içà”. Quando gli chiediamo di cosa viva la gente, risponde che il fiume è la loro vita. “Sul fiume viaggiano e pescano; l’acqua fertilizza le terre più basse. Attualmente seguo 40 comunità, oltre alla parrocchia della città di Santo Antonio do Içà. Sono anche consigliere municipale per la salute pubblica e porto all’amministrazione comunale le necessità sanitarie delle comunità che visito. Non abbiamo vissuto da vicino il dramma degli incendi perché in questa zona siamo lontani dai grandi interessi; ciò nonostante la diminuzione del territorio ricoperto dalla foresta è sotto gli occhi di tutti. Della popolazione fanno parte anche indios di etnia Ticunas; sono circa 45.000 e vivono di agricoltura, caccia e pesca. Lavoriamo molto per dare loro una formazione umana, culturale e spirituale di base. Da poco abbiamo consegnato a 200 leader di 24 comunità la Bibbia dei piccoli, tradotta proprio in lingua Ticuna”. Fra Gino insiste sul ruolo fondamentale degli indios per la conservazione del pianeta: “Sicuramente sono stati fatti molti sforzi per combattere il rischio inquinamento, come ad esempio l’uso dei motori a idrogeno nei mezzi di trasporto, ma, nonostante ciò, i grandi del mondo vedono solo il ‘dio quattrino’ e vogliono prendere le terre dei nativi per estrarre minerali e petrolio. Lo stile di vita degli indios segue il ritmo della natura; prendono dalla terra solo l’essenziale, lavorano piccoli appezzamenti di terra e per questo non sono necessari grandi disboscamenti.” Quando gli chiediamo quale sia la cosa più preziosa di cui gli uomini e le donne dell’Amazzonia abbiano bisogno, dopo le necessità materiali, risponde che è senz’altro l’amore, “l’amore reciproco che porta alla fraternità”, capace di trasformare persone e territori ad ogni latitudine.

Stefania Tanesini

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Chiara Lubich: chiusa la fase diocesana di beatificazione

Chiara Lubich: chiusa la fase diocesana di beatificazione

Si è conclusa domenica 10 novembre la fase diocesana della Causa di canonizzazione e beatificazione di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari. Oltre 500 le persone che hanno riempito la Cattedrale di Frascati (Roma) dove si è svolta l’ultima sessione dell’inchiesta diocesana. Fra i partecipanti il Card. Tarcisio Bertone, la presidente dei Focolari Maria Voce (Emmaus) e il co-presidente Jesús Morán, alcuni parenti di Chiara Lubich, due rappresentanti della Chiesa ortodossa, vari sindaci del Lazio, sacerdoti, laici e religiosi e tanti amici che hanno conosciuto Chiara e il Carisma dell’unità dei Focolari.

Le ultime 3 delle 75 scatole vengono sigillate

Davanti l’altare il tavolo con le 75 scatole contenenti la documentazione raccolta che sarà consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi presso la Santa Sede, dove proseguirà lo studio e la valutazione di quanto raccolto. La cerimonia è stata presieduta da Mons. Raffaello Martinelli, vescovo di Frascati che ha riassunto così questi anni di raccolta di testimonianze e materiale: “La Santa Sede e il processo diocesano devono evidenziare l’eroicità delle virtù, non semplicemente la bontà di una persona, ma l’eroicità. E’ questo che ho chiesto fin dall’inizio anche nelle testimonianze. Dobbiamo dimostrare l’eroicità di come Chiara ha vissuto le virtù cristiane, cioè quelle Teologali (fede speranza, carità), Cardinali (prudenza, giustizia, fortezza, temperanza), e tutta una serie di virtù derivate”. Nella sua relazione il Delegato Episcopale Mons. Angelo Amati ha rilevato che sono stati ascoltati 166 testimoni anche in varie trasferte come nelle Diocesi di Roma, Albano e Fiesole (Italia), Losanna-Ginevra-Fribourg (Svizzera), Augusta-Ottmaring e Bamberga-Norimberga (Germania), Westminster (Inghilterra), Gand e Bruxelles (Belgio) e due rogatorie: a Bangkok (Tailandia) e Lubiana (Slovenia). “L’indagine ha riguardato la vita, le virtù, il carisma e la specifica spiritualità di Chiara, – ha sottolineato Amati – unitamente alle tematiche teologiche presentate quali: l’Unità, Gesù abbandonato e Gesù in mezzo, sulla fondazione dell’Opera di Maria (Mov. dei Focolari) e i contatti interconfessionali e interreligiosi. Totale pagine raccolte: 35.057 in 102 volumi” che contengono materiale di vario tipo (testimonianze, lettere, documenti editi e inediti, scritti, diari, etc…). A seguire la dichiarazione del Promotore di Giustizia Sac. Joselito Loteria – che insieme al Notaio Avv. Patrizia Sabatini e al delegato Episcopale formano il tribunale diocesano istituito per la Causa di Chiara Lubich -, poi il vescovo Martinelli ha letto il decreto di chiusura della fase diocesana e nominato “Portitore” il dott. Daniel Tamborini, che avrà il compito di consegnare la documentazione alla Santa Sede. Quindi i giuramenti del Portitore, del Vescovo Martinelli e di tutti i membri del tribunale diocesano e della Postulazione – Postulatore Sac. Silvestre Marques, Vice-Postulatrice, Dott.ssa Giuseppina Manici, Vice-Postulatore, Dott. Waldery Hilgeman, e la firma del verbale della sessione di chiusura. Il momento centrale ha visto la chiusura e la posa del sigillo alle ultime 3 delle 75 scatole contenenti le 35.000 pagine. “L’unico nostro desiderio ora è quello di offrire alla Chiesa, attraverso questa ampia documentazione, il dono che Chiara è stata per noi e per moltissime persone – ha affermato Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari, nel suo intervento in Cattedrale -. Accogliendo il carisma che Dio le dava, coerentemente, giorno dopo giorno, camminando e tendendo verso la pienezza della vita cristiana e la perfezione della carità, Chiara si è profusa perché questa via di vita evangelica fosse percorsa da molti, in una determinazione sempre rinnovata ad aiutare quanti incontrava a mettere Dio al primo posto e a “farsi santi insieme”. Il suo sguardo e il suo cuore, come ora viene dimostrato, erano mossi da un amore universale, capace di abbracciare tutti gli uomini al di là di ogni differenza, sempre proteso a realizzare il testamento di Gesù: Ut omnes unum sint. È motivo di gioia per tutti noi sapere che ora la Chiesa studierà e valuterà la vita e le virtù della serva di Dio, la nostra amatissima Chiara”. L’iter diocesano Era il 7 dicembre del 2013 quando ha preso il via la fase diocesana della Causa di canonizzazione e beatificazione di Chiara Lubich – dopo poco più di 5 anni dalla morte avvenuta il 14 marzo 2008 – quando ci fu a Castel Gandolfo la firma della petizione ufficiale per l’avvio della Causa. I primi ad essere ascoltati sono stati i testimoni oculari che l’hanno conosciuta fin dai primi tempi di fondazione del Movimento dei Focolari. Successivamente Mons. Raffaello Martinelli ha consultato la Conferenza Episcopale Laziale sull’opportunità di iniziare la Causa ottenendo parere positivo. Il Vescovo ha così costituito una Commissione di 3 periti in materia storica e archivistica che ha avuto il compito di raccogliere tutto il materiale inedito riguardante Chiara. Martinelli ha poi nominato 3 Teologi che hanno esaminato gli scritti editi. Il 29 giugno 2014 la Santa Sede ha concesso il suo Nulla Osta all’apertura ufficiale della Causa. Il 27 gennaio 2015 quindi nella Cattedrale di Frascati si svolse la cerimonia di apertura della fase diocesana, terminata il 10 novembre 2019.

Lorenzo Russo Ufficio Comunicazione Movimento dei Focolari

Testo: Saluto conclusivo di Maria Voce

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Vangelo vissuto: vedere con altri occhi

Le parole di San Paolo “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia; piangete con quelli che sono nel pianto” (Rom 12,15) sono un invito a “farsi uno”, a mettersi “nella pelle dell’altro”, come espressione concreta di una carità vera. Mettendole in pratica potremo vedere un cambiamento negli ambienti dove siamo, iniziando dalle relazioni nelle nostre famiglie, scuole, posti di lavori, comunità, e sperimenteremo con gratitudine che l’amore sincero e gratuito, presto o tardi, ritorna e diventa reciproco. Accoglienza Alla nostra comunità era stata affidata una donna dai trascorsi pesanti. Quando abbiamo appurato chi era, è diventato difficile il rapporto con lei. Infatti avevamo saputo che aveva ucciso il proprio figlio e non era stata in carcere, perché incinta e depressa. Anche se il parroco ci ricordava di non giudicare, era ugualmente difficile non avere davanti agli occhi il suo passato. Col tempo, aiutati anche dal parroco, quella donna è divenuta la misura della nostra capacità di accoglienza. In questo sforzo di “vedere con altri occhi’: la nostra comunità ha fatto un salto di qualità. Ci è parso che, proprio attraverso quella donna bisognosa anche della nostra misericordia, Dio ci stesse facendo una grande lezione di Vangelo. Ma il vero dono è stato quando un giorno, piangendo, lei ci ha raccontato la sua storia, i drammi che aveva vissuto e le violenze subite per poi ringraziarci perché le avevamo dato prova che l’amore esiste e che il mondo non è così cattivo come lei lo aveva conosciuto. (M.P. – Germania) Un istituto per bambini sordomuti Il nostro istituto è in parte sovvenzionato dallo Stato, in parte auto-gestito con piccole attività artigianali interne, ma i bisogni sono sempre tanti. Un giorno passa da noi il parente di un allievo dicendoci che non sa come e dove trovare il denaro per risolvere un problema. Prendo l’ultima somma che abbiamo in cassa e gliela consegno. Nel pomeriggio riceviamo la visita di una signora sconosciuta: “Ho visto nel giardino la statua della Madonna e mi sono fermata a pregare. Quello che voi fate merita ammirazione, rispetto. Non so cosa potrei fare per voi, ma forse questo vi può servire”. E ci offre due banconote che sono il doppio della somma data al mattino. (J. – Libano) In crociera Non ricordo mia madre sana, ma sempre sofferente e negli ultimi decenni sempre a letto. Mio padre, nonostante avesse una brillante carriera, piena di successi, passava il tempo accanto a lei, non facendole mancare nulla nell’assistenza e nelle cure. Un giorno, invitato ad una crociera, accettai, accampando mille scuse per pensare che me la meritavo. Durante il viaggio, mentre un collega mi raccontava della sua famiglia, mi resi conto che avevo poco da dire da parte mia, anzi mi vergognavo quasi di una situazione di dolore senza soluzioni. Quando lui mi chiese dei miei genitori e raccontai di come papà si fosse sempre prodigato con mamma, mi sentii fiero di un tale padre e capii il valore stesso del dolore. Tornato a casa, chiesi perdono ai miei, non tanto per la vacanza fatta, ma perché non avevo saputo intuire se loro avevano bisogno di me. Con quella “crociera” è cambiata la mia vita. Gli ultimi giorni di mia madre sono diventati un dono, per tutta la famiglia. (S.S. – Spagna) Chiedersi scusa Quel mattino, in cucina, mia moglie ed io eravamo agitati da problemi non risolti; ci sembrava tutto nero e destinato a far nascere tra noi, come già avvenuto altre volte, un litigio furibondo. Per un attimo mi sono fermato: tutte le promesse di ricominciare fatte davanti a Dio erano valide oppure erano andate in fumo? Mi sono avvicinato a mia moglie e, anche se mi costava, le ho chiesto scusa. Anche lei subito ha reagito col dire che la colpa era tutta sua … Quando sono arrivati i bambini, hanno trovato non soltanto la colazione pronta, ma dei genitori che crescevano assieme a loro, desiderosi di trasmettere ai figli la giusta chiave per vivere bene la vita. (R.H. – Slovacchia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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Cambia il mondo che cambia

Si è concluso il 27 ottobre 2019 a Castel Gandolfo il laboratorio culturale dei Focolari. Obiettivo: creare sinergie tra discipline e professioni per comprendere come costruire un mondo più unito in una società in continua evoluzione. Provate a immaginare il mondo domani. Provate a proiettarvi in un futuro prossimo e fatevi delle domande su come sarà tra vent’anni il nostro pianeta. Provate a “osare” le idee più utopiche e a sognare di cambiare il mondo, oggi. L’ antico proverbio africano che recita: “Se volete andare in fretta, andate soli; se volete andare lontano, andate insieme” esprime bene la sfida accolta dal gruppo internazionale e multiculturale di adulti e giovani, accademici e professionisti, che si sono ritrovati a Castel Gandolfo (Italia): gestire le complessità del mondo insieme, non da soli, mettendo in rete le singole competenze. Provenienti da più di quaranta nazioni, i partecipanti si sono messi in gioco, accogliendo le proposte delle diverse testimonianze e riflessioni, ciascuno nel proprio campo d’azione e di lavoro, avviando un dialogo ampio, sostenendo e portando avanti proposte concrete. “Cambia il mondo che cambia” era il titolo dell’ultimo giorno e mezzo di programma, gestito dai giovani e rivolto ai loro coetanei. Alcuni hanno sottoscritto la richiesta di poter partecipare ad Assisi, dal 26 al 28 marzo 2020, all’appuntamento “The economy of Francesco”, che il papa rivolge a giovani economisti, imprenditori e change-makers. La proposta è di stringere con essi, al di là delle differenze di credo e di nazionalità, un patto per cambiare l’attuale economia e dare un’anima a quella di domani perché sia più giusta, sostenibile e con un nuovo protagonismo di chi oggi è escluso. E a proposito dell’essere protagonisti, Adelard Kananira, un giovane del Burundi, ha illustrato il progetto Together for a new Africa (T4NA) che ha l’ambizione di creare le basi per una nuova classe dirigente e un nuovo modello di leadership in Africa. Nel 2019 in Kenya è iniziata la prima scuola per questo progetto, con più di 150 tra giovani, tutor e docenti provenienti dall’Africa orientale, con l’obiettivo di fare crollare i muri che esistono tra tribù, partiti politici, etnie ed anche tra Paesi, per raggiungere lo scopo comune dello sviluppo e della pace. Giada e Giorgia vogliono invece cambiare attraverso il loro impegno la realtà dove lavorano. Giada, 23 anni, lavora nel campo del cinema come assistente alla regia, lavoro faticosissimo ma che non cambierebbe per nulla al mondo. Aspira un domani di poter anche realizzare film che trasmettano l’armonia, che lei si sforza di creare ogni giorno con i suoi colleghi, certa che il cinema sia un mezzo potentissimo che può davvero dare un contributo a cambiare il mondo. Giorgia, 32 anni, è assessore in un comune italiano con deleghe alle politiche giovanili, innovazione, partecipazione e distretto di economia civile. Il suo sogno è già diventato realtà: nel suo comune si attua il bilancio partecipato, si tengono presenti gli obiettivi dell’Agenda 2030, si cercano nuovi modelli di sviluppo, si portano avanti iniziative che salvaguardano l’ambiente come gli orti urbani. Attraverso il loro impegno giovani e adulti insieme già toccano il futuro con idee da realizzare e buone pratiche da diffondere e portare avanti, provando a cambiare, già da adesso, il mondo che cambia.

Patrizia Mazzola

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Colombia: Accogliere il fratello

Una grave malattia ed il ricovero inaspettato in un Paese straniero sono l’inizio di un legame profondo di amicizia e condivisione tra due comunità dei Focolari in Colombia e Venezuela. Una telefonata una sera aprì un impensato capitolo nella nostra vita. Ci avvertivano che, in uno degli ospedali della città Bogotà (Colombia), era stato ricoverato il parente di un membro dei Focolari del Venezuela. Questa persona, venezuelana, era arrivata in Colombia come migrante, in condizioni precarie, e lavorava come muratore. Era stato ricoverato, perché gravemente malato. Due persone della comunità dei Focolari il giorno successivo si sono ritrovate in quell’ospedale, entrambe avevano sentito nel cuore che Dio le invitava a voler bene a questo fratello sconosciuto. Dopo essersi presentate, gli hanno assicurato che a Bogotà poteva contare non solo su loro due, ma su una famiglia più grande formata dalla comunità dei Focolari. Lui ha spiegato che era a Bogotà con un figlio che ora lo stava sostituendo nel lavoro. I medici hanno spiegato che le sue condizioni erano molto gravi. Contattando il figlio abbiamo saputo che vivevano in una capanna di fortuna. Attraverso un appello lanciato alla nostra comunità, abbiamo raccolto abiti e scarpe per loro. Qualche tempo dopo anche il figlio ha dovuto lasciare il lavoro per dedicarsi all’assistenza del padre. In quel periodo c’era tra noi chi lo invitava a colazione, a pranzo o a riposare per fargli sentire il calore di una famiglia. Altri facevano turni in ospedale per dargli un cambio e si continuavano a raccogliere beni di prima necessità per loro. Il papà intanto aveva espresso il desiderio di tornare in Venezuela. Ci aveva confidato che l’esperienza in Colombia gli aveva fatto sperimentare l’amore di Dio, portando in lui una vera conversione. Voleva rivedere la figlia piccola, salutare la moglie e morire con la pace nel cuore. Per questo viaggio occorreva però trovare il denaro per i documenti e per l’aereo, non poteva infatti viaggiare via terra. Anche i medici e gli infermieri, colpiti dalla situazione, hanno cercato di aiutarli in vari modi, raccogliendo anche una bella somma. Nell’attesa del viaggio, intanto si è reso necessario trasferirlo in un centro medico specializzato. Nonostante le difficoltà, dopo qualche mese, è stato ammesso. Qui i medici hanno spiegato che non c’era più nulla da fare, avrebbero dovuto dimetterlo, ma, vista la situazione, lo avrebbero tenuto ricoverato fino alla sua partenza per il Venezuela. Abbiamo anche chiesto ad un sacerdote di andarlo a trovare, in quell’occasione ha potuto confessarsi e ricevere l’unzione degli infermi. Il giorno in cui erano già all’aeroporto pronti per partire c’è stato un blackout a Caracas (Venezuela) e l’aereo è dovuto tornare a Bogotà. Ancora tre giorni di sospensione, alloggiati in un albergo vicino all’aeroporto, e poi finalmente la partenza. Poi il figlio ci ha fatto sapere, con gratitudine per l’amore ricevuto, che il papà era riuscito a tornare a casa e, qualche tempo dopo, era morto serenamente.

La comunità di Bogotà (Colombia)

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Camerun: a Fontem la vita continua

Com’è la situazione a Fontem? Continuano ad arrivare richieste d’informazioni sulla prima cittadella sorta in terra africana, nella regione Sud-Ovest del Camerun, dove è tutt’ora in corso un conflitto armato. Pubblichiamo la recente lettera dei responsabili dei Focolari a Fontem Etiènne Kenfack e Margarit Long, che attualmente risiedono a Douala, a circa 300 chilometri a sud di Fontem. Carissimi amici di Fontem in tutto il mondo! Grazie del grande interesse con il quale state seguendo la nostra situazione. La vostra partecipazione ci dà gioia, conforto e coraggio per andare avanti. La crisi socio-politica in questa zona che ha provocato anche atti di violenza non è ancora risolta. Attualmente non ci sono più sparatorie, ma la situazione rimane tesa. Ciononostante la vita va avanti. Anche se possiamo offrire nel nostro ospedale solo un servizio ridotto, la gente continua a chiedere aiuto. Negli ultimi mesi, 1894 persone hanno chiesto consulenza. 644 di loro sono state ricoverate, tra cui 36 donne che hanno dato alla luce un bambino. Attualmente c’è la stagione della pioggia e si cerca di curare al meglio la manutenzione della centrale elettrica per assicurare l’elettricità alle strutture più importanti. Una piccola squadra è anche rimasta al nostro Centro Mariapoli. Assieme ad altri formano un’équipe meravigliosa che cura anche gli ambienti esterni per evitare che, a causa del clima tropicale la foresta invada tutto il territorio. Poco fa, con grande gioia di tutti, il vescovo Nkea ha mandato nuovamente un sacerdote a Fontem. È un segnale forte ed un segno tangibile della premura del Vescovo per il popolo Bangwa. Il sacerdote è in stretto contatto anche con i responsabili locali della nostra comunità focolarina. La sua presenza ha dato nuovo slancio alla partecipazione ai sacramenti, soprattutto alla S. Messa quotidiana e domenicale. In questi mesi si sono ricordati in modo solenne gli anniversari della morte di due dei pionieri di Fontem, Pia Fatica e Fides Maciel sepolte nel nostro cimitero. Spesso ci preoccupa chi cerca di sfruttare i media per motivi politici. A volte, ci rendiamo conto che girano informazioni non esatte, perciò vi chiediamo di accogliere con responsabilità e grande prudenza le notizie che girano su Fontem, anche attraverso canali personali sui social media, e di verificare le fonti di tali informazioni. La nostra “strategia” in questa crisi è quella di aumentare la comunione e la collaborazione tra tutti nella cittadella per arrivare a scelte condivise. Come potete immaginare non è sempre facile; a volte bisogna provare e riprovare, prendersi tempo per ascoltarsi reciprocamente. Alla fine però tutti si rendono conto che questo è l’unico modo per andare avanti insieme e per continuare la testimonianza della vita portata da Chiara Lubich in questa terra. __________________ Aracelis e Charles sono i responsabili della comunità dei Focolari della prima cittadella africana. Fanno il punto sulla situazione e raccontano come si svolge la vita oggi. https://vimeo.com/362734777 (altro…)

Slovacchia: Sono diventata un’attrice per renderti felice

Slovacchia: Sono diventata un’attrice per renderti felice

La storia di Dorotka e della sua famiglia “Qualcosa in più” è il titolo di un film che racconta la storia di Dorotka, una ragazza adolescente di Bratislava, in Slovacchia, affetta dalla sindrome di Down. Un’anomalia genetica che, nonostante le difficoltà, presto si rivela un “valore aggiunto” per tutti quelli che la circondano. Sua mamma Viera racconta cosa succede nel cuore di una famiglia quando si scopre di aspettare un bambino con la sindrome di Down: È stato uno shock! Non ce l’aspettavamo e non avevamo mai visto una persona del genere prima d’ora. Ma Dorotka sembrava proprio come gli altri quattro figli, e sapevamo che di fronte a una situazione sconosciuta il panico non aiuta, serve mantenere il sangue freddo. Ma in segreto, da qualche parte nella mia anima, avevo paura che non saremmo stati in grado di amarla. Nel tempo, cominciarono ad accadere cose straordinarie. Molte persone preziose sono venute nella nostra vita, ci hanno aiutato molto e ci aiutano ancora oggi. I rapporti in famiglia sono diventati più forti. I nostri quattro figli più grandi sono diventati più sensibili, amorevoli e tutta la famiglia è unita come mai prima d’ora. Come si passa dalla sorpresa al sentire questo come un dono? Il nome Dorotka significa dono di Dio. Le abbiamo dato questo nome già durante la gravidanza, sicuri che Dio non fa mai doni cattivi. Avevamo ricevuto qualcosa che non capivamo ma lo sentivamo come una prova della nostra fiducia in Dio. Sentivamo chiaramente che questa era la volontà di Dio per noi. Un nostro amico ci ha inviato una nota con questo testo: “Questa è la vera felicità perché è costruita sul dolore”. Perché avete deciso di condividere la vostra esperienza con altre famiglie? Un medico ci ha presentato ad altre famiglie che avevano figli piccoli con la sindrome di Down. Insieme abbiamo fatto diverse terapie, abbiamo condiviso la nostra esperienza e fondato un’associazione chiamata “Up-Down syndrome”. Volevamo che i bambini crescessero insieme, in modo che non fossero legati solo alla loro famiglia, per prepararli verso una certa indipendenza. Così abbiamo fondato il teatro “Dúhadlo”, che apre nuovi orizzonti per i bambini attraverso la drammaturgia. Come è nata la collaborazione con l’Università di Bratislava? Un nostro amico insegna etica medica alla Facoltà di Medicina. Nove anni fa mi ha invitato a raccontare la nostra storia agli studenti e a far loro conoscere meglio la sindrome di Down. Sono molto grata per questa possibilità. Sentivamo che i giovani medici potevano ancora essere influenzati e nel corso degli anni abbiamo sempre avuto reazioni positive da parte degli studenti. “Qualcosa in più” è il titolo del film che racconta la vita di Dorotka nella sua quotidianità, fra gioie e difficoltà. Perché questo titolo? All’inizio l’intenzione era di fare un breve video per la Giornata Mondiale della Sindrome di Down. Pavol Kadlečík, il regista, non aveva esperienza con queste persone e rimase così stupito che decise di fare un film più lungo. Nessuno di noi sapeva che alla fine sarebbe stato prodotto un documentario così bello. La sindrome di Down è una malattia genetica in cui il 21° cromosoma non forma una coppia, ma una terzina. Pertanto, questa diagnosi viene chiamata anche Trisomia 21. Questo significa che queste persone hanno un cromosoma in più e spesso viene indicato come il cromosoma dell’amore. C’è qualcosa in più in loro che hanno questa speciale capacità di amore incondizionato. Nel film non c’è nessuna finzione narrativa, si racconta la vita quotidiana della protagonista insieme alla sua famiglia, i compagni di classe, di teatro e di musica, con lotte, gioie, conquiste, delusioni. Una testimonianza dell’amore reciproco in questa famiglia e del sì alla vita. Dorotka, ti sei divertita a recitare in un film tutto dedicato a te? Quando ero in piedi davanti alla macchina fotografica a volte ero un po’ ansiosa e avevo paura del palcoscenico, quindi era difficile non guardare direttamente nella macchina fotografica. Ma il cameraman era fantastico e mi è piaciuto molto. Palko ha reso tutti felici dell’idea di questo film e vorrei continuare con uno nuovo. Cosa vorresti dire alle persone che leggono questa intervista? Sono diventata un’attrice per renderti felice. Cerca l’amore per gli altri.

Claudia Di Lorenzi

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Puntare in alto, l’incontro con Dio che risana e libera

Uscire dalla dipendenza dell’azzardo è possibile, ma non solo. La storia di Christian Rigor, filippino, che nella Fazenda da Esperança ha anche ritrovato Dio e il senso più profondo della propria esistenza. Quando pensiamo all’idea di “puntare in alto” ci vengono in mente mete diverse. Obiettivi di lavoro, progetti personali, sogni per cui lottare. Quelle “sfide” spesso totalizzanti a cui votiamo buona parte della nostra vita. Ma ci sono mete e mete, dal valore soggettivo o collettivo. Mete che per raggiungerle devi fare un percorso di crescita, metterti in discussione, sviluppare un senso di responsabilità per la collettività, aprire i tuoi orizzonti a mondi lontani. E mete che portano al ripiegamento su se stessi, che chiudono la persona all’interno dei propri interessi personali, che la isolano e talvolta diventano distruttive. Gli obiettivi che ci poniamo segnano il percorso della nostra vita. Ma cambiare strada si può. Lo sa bene Christian Rigor, 30enne delle Filippine. Un’infanzia serena in una famiglia benestante che gli ha assicurato studi universitari e specializzazioni in Europa. Un vita sociale piena da ragazzo, vissuta però col desiderio di “far soldi” facilmente, senza fatica. Una leggerezza che gli è stata fatale al primo ingresso in un casinò. È iniziato lì il suo percorso di dipendenza dal gioco d’azzardo, a 20 anni. Un ragazzino inebriato dalle prime vincite, presto vittima dell’esaltazione del gioco, intrappolato nel bisogno di recuperare le inevitabili perdite. Un capitolo buio della sua vita vissuto puntando alle mete sbagliate, lungo il quale ha perso amici, lavori, fidanzata, e la fiducia dei suoi familiari. Anche il bene per se stesso, dall’alto di un cornicione al 24° piano di un palazzo che ha segnato il punto più basso della sua esistenza. La svolta è arrivata quando, incoraggiato dalla madre, decide di entrare nella Fazenda da Esperança – un progetto con strutture diffuse in diversi paesi del mondo e che porta nel proprio DNA la spiritualità dell’unità, a cui i suoi fondatori si sono ispirati – per seguire un programma di riabilitazione dedicato alle persone che soffrono di vari tipi di dipendenze. “Nel corso del programma ho imparato a guardare oltre me stesso, oltre i miei egoistici e superficiali desideri mondani, a vivere per uno scopo superiore. Ho imparato a mirare in alto e ho trovato Dio… È così che ho imparato ad amare, Dio e gli altri, in tutto ciò che faccio nel momento presente, anche quando è difficile o doloroso”. Nella Fazenda da Esperança la vita è scandita secondo tre dimensioni: quella spirituale, quella comunitaria e quella lavorativa. Ognuna è occasione di maturazione personale. “Come cattolico, ho imparato ad approfondire il mio rapporto personale con Dio, ad ascoltare e vivere la sua Parola, a cercare l’unità con Lui nella Santa Messa, e a pregare come si parla ad un amico”. La vita comunitaria gli ha insegnato che “per amare pienamente Dio ho bisogno di amare le persone intorno a me, e vedere Gesù in loro”. Lo ha allenato ad andare al di là delle differenze per servire ogni fratello. A condividere il cibo, dare ascolto ai compagni tristi, sbrigare faccende domestiche. Nel lavoro, faticoso o ordinario, Christian ha imparato a dare il meglio di sé, “non importa quanto difficile, fisicamente impegnativo, noioso, sporco o sgradevole sia”. Lungo il percorso di recupero viene chiamato a fare da coordinatore ai suoi compagni. “E’ stato difficile per me modulare gentilezza e fermezza, soprattutto durante i litigi. Una volta sono stato accusato ingiustamente di un furto, non mi sentivo amato. Volevo arrendermi ma poi ho deciso di restare perché volevo guarire dalla dipendenza ed essere una persona nuova. Mi sono immerso nell’amare ogni momento, nonostante il giudizio altrui. Ho chiesto aiuto a Dio e l’ho sentito ancora più vicino”. Oggi Christian affronta la sfida della vita al di fuori del contesto protetto della Fazenda, e di fronte alle tentazioni del gioco d’azzardo trova rifugio in Dio. In effetti ha scoperto che la felicità autentica sta nel puntare ad altre mete: “Mi sono reso conto che trovo la felicità quando amo Dio, quando lo sento presente nella preghiera, nelle persone che incontro, nelle attività che svolgo, quando amo nel momento presente. Per puntare in alto non serve fare grandi cose, basta farle con amore. Questo è oggi il mio stile di vita”.

Claudia Di Lorenzi

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