


Diwali, la grande festa delle luci
Nel mese di ashwayuja (che solitamente cade tra ottobre e novembre) l’India si accende di luce e di festa. È Diwali, una tradizione che attinge all’antica leggenda del re Rama che dopo 14 anni di esilio nella foresta, torna nella città di Ayodhya accolto da una sfilata (avali) di luci (dipa) in suo onore. Da qui il nome: Dipawali o più semplicemente Diwali. Quest’anno dal 10 al 15 novembre. I festeggiamenti iniziano con la pulizia di tutti gli ambienti della casa dove, nei diversi punti – ingresso, davanzali, sale – vengono posizionate tante piccole lampade che nel buio della notte trasformano la città in un fantasmagorico, fiabesco scenario. La lampada è il simbolo del sapere e della conoscenza interiori. Ma i significati, come in un caleidoscopio, si intersecano e si amplificano: il sapere sconfigge l’ignoranza; l’interiorità porta alla pace. Il bene vince sul male; la luce trionfa sulle tenebre e fa sprigionare la forza della vita. Diwali è tutto questo e ancora. È una festa attesa tutto l’anno. Nel terzo giorno – il vero e proprio Diwali – la gente indossa vestiti nuovi, si adorna di coroncine di fiori e di monili luccicanti, scambia doni ad amici e parenti, specialmente dolci e snack fatti in casa. Tutti partecipano alla funzione religiosa in onore di Laskshmi, la dea del benessere. In un’atmosfera di pace, portano sementi, foglie, monete ed icone religiose, recitando mantra vedici per ottenere la sua benedizione. Non mancano poi i giochi di società (carte, specialmente il ramino) mimi, balli, caccia al tesoro, giochi pirotecnici. Diwali non è solo una celebrazione indù. È anche un fatto culturale e sociale che coinvolge tutto il Paese, sia pure con diversità a seconda degli stati e della prevalenza religiosa. Fanno festa musulmani, buddisti, cristiani. In quei cinque giorni si illuminano a festa anche i centri dei Focolari che sono a Mumbai, Nuova Delhi, Bangalore, Goa e i 13 centri educativi ad essi legati cui sono inseriti complessivamente 1.500 bambini e adolescenti, prevalentemente indù, che grazie al sostegno a distanza vi trovano scolarità, un pasto caldo al giorno, prevenzione e cure sanitarie (www.afnonlus.org).
I rituali Diwali lasciano intravvedere la grande sensibilità del popolo indiano anche nel valorizzare la famiglia, l’amicizia, l’armonia del vivere, ma anche il rispetto per l’ambiente. È significativo che per Diwali, non si ricorra ad anonimi oggetti comprati ma si donino cose fatte con le proprie mani. Come è significativo che, insieme alle preghiere, si offrano i frutti della terra, esprimendo così la propria riconoscenza per la Natura e i suoi doni. Un’usanza che trova eco nell’enciclica di papa Francesco Laudato si’. Ed è proprio da tale documento e dal nesso inscindibile tra il vivere in armonia con il creato e con gli altri, che trae spunto l’augurio inviato al quasi miliardo di seguaci delle religioni del Sanatana Dhama (quello che gli occidentali chiamano induismo) dal Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso a nome di papa Francesco. A cominciare dal suo titolo: Cristiani e Indù: promuoviamo insieme l’ecologia umana. Il messaggio per i festeggiamenti Diwali trasmette anche l’auspicio che, insieme, riusciamo ad adoperarci consapevolmente “alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla costruzione di una rete di rispetto e di fraternità”. “Possiamo noi – continua il messaggio – indù e cristiani, insieme con le persone di tutte le altre tradizioni religiose e di buona volontà, nutrire una cultura che promuova l’ecologia umana”. In tal modo vi sarà armonia dentro di noi e nelle nostre relazioni con gli altri, con la natura e con Dio, e questo, preannuncia il messaggio “favorirà la crescita dell’albero della pace”. Un albero, quello della pace, che nel mondo attende di essere sempre più irrobustito da gesti concreti di tolleranza, accoglienza, dialogo a tutto campo. (altro…)

Una voce dall’Islam: rafforzare la fratellanza
«La tragica notizia degli orribili attentati terroristici perpetrati nella capitale francese ci ha colmato di profondo dolore. Il nostro pensiero, la nostra solidarietà, le nostre preghiere vanno alle vittime, ai feriti, alle loro famiglie, ai loro cari e al popolo francese». Sono le parole di cordoglio di Mustafa Cenap Aydin, direttore del Centro Tevere per il dialogo di Roma. «Mi unisco al messaggio – continua il direttore del Centro Tevere – trasmesso dal dotto studioso musulmano, scrittore ed educatore attivista M. Fethullah Gülen che condanna fermamente “Ogni attività terroristica, da chiunque e da dovunque provenga” perché “è un pesante colpo alla pace e alla tranquillità dell’umanità intera. Questi vili atti di terrorismo sono attacchi non solamente al popolo francese, ma anche ai valori umani universali e alla fratellanza umana”. «Non ci stancheremo mai di condannare tutti coloro che alimentano la violenza, l’odio, la paura, abusando impropriamente di una religione, un’ideologia per fini crudeli, disumani. «Gülen, ispiratore di milioni di persone attratte dal suo messaggio di amore e compassione, invita tutti ad unirsi alla sua preghiera affinché Dio conduca “l’intera umanità ad un mondo di pace e tranquillità” e “ad agire in solidarietà contro ogni forma di terrorismo e ad impegnarsi alla realizzazione della pace universale”. «Risponderemo a questi attacchi “disumani” – conclude Mustafa Cenap Aydin – rafforzando ancora di più lo spirito di unità e fratellanza; questi attacchi non possono che convincerci maggiormente dell’importanza del dialogo, della conciliazione, della fratellanza e aumentare ulteriormente il nostro impegno per diffonderla; siamo senz’altro convinti che la pace avrà la meglio. Chiediamo e facciamo appello a tutti perché possano unirsi a noi in questo sforzo». Fonte: Città Nuova L’imam del Veneto L’imam di Firenze (altro…)

Loppiano – Marcia per la pace
La cittadella del Movimento dei Focolari di Loppiano, insieme alla comunità araba di Figline, altre associazioni e 3 comuni del Valdarno fiorentino (Figline e Incisa Valdarno, Reggello, Rignano sull’Arno) promuove una marcia per la pace con una fiaccolata per le vie della città, come espressione di vicinanza alle famiglie delle vittime colpite dagli attentati di Parigi e di tutti gli attacchi terroristici avvenuti in tutto il mondo.

L’ora della diversità riconciliata
La casa dei luterani a Roma, la Christuskirche, domenica 15 novembre ha accolto papa Francesco: prima di lui vi hanno messo piede Giovanni Paolo II, nel 1983, primo Pontefice ad entrare in una Chiesa luterana e Benedetto XVI nel 2010. «Siamo una comunità relativamente piccola, con 500 membri, protagonisti in prima linea nel campo ecumenico: come parrocchia siamo presenti nelle varie realtà della città, ma anche nella propria famiglia, con i colleghi di lavoro, con i vicini di casa o come me che vivo da più di trent’anni in una comunità del Movimento dei Focolari», racconta Heike Vesper, che domenica era tra i presenti, insieme alle focolarine cattoliche che spesso l’accompagnano alla liturgia della domenica. «Un Papa “evangelico”», lo definisce Heike, «un pastore – il vescovo di Roma – che ha centrato il messaggio di oggi sulla comune testimonianza di Gesù Cristo “sia in lingua luterana che in lingua cattolica”, sull’importanza della vita e non tanto dell’interpretazione. E a cuore aperto ci ha confidato ciò che a lui piace: incontrare i malati, visitare i carcerati … L’incontro e la preghiera con il Papa è stato nuovo nel suo genere, si potrebbe dire che è stata una lezione su cosa è importante fra cristiani di varie tradizioni: il dialogo, l’ascolto profondo, fiducia reciproca, risposte sincere nella verità, pregare insieme ascoltando il Vangelo». Il Pastore della chiesa evangelica luterana, Jens-Martin Kruse ha dato un caloroso benvenuto, ricordando le vittime degli attentati di Parigi: “Confidiamo che Gesù ha vinto il mondo e perciò non ci facciamo condizionare dalla paura”, ha affermato. “Mio fratello pastore ha nominato Parigi – ha detto il Papa – cuori chiusi. Anche il nome di Dio viene usato per chiudere i cuori”.
«Commovente la sincerità e la libertà di Francesco – scrive ancora Heike –. Ha risposto come uno che si mette in cammino con gli ascoltatori. Ha sottolineato l’importanza di seguire la coscienza, dell’essere per il prossimo; e che con la fede e il servizio – cioè con l’amore – cadranno tutti i muri». Un dialogo a braccio ha creato un clima di famiglia «sempre più profondo e incoraggiante». Tre le domande rivolte a Francesco: cosa significa essere Papa, come deve essere l’impegno cristiano verso i bisognosi e cosa fare per poter celebrare insieme l’Eucaristia, la Cena del Signore, quando marito e moglie sono di chiese diverse. «Quelli che si trovano in questa situazione – spiega Heike – soffrono di più la divisione. Non è facile per il Papa rispondere, infatti, nonostante i tanti passi fatti rimangono aperte questioni teologiche sul magistero, sulla visone di chiesa, che impediscono ancora una celebrazione insieme. Il Papa indica qualche possibile via per condividere la cena del Signore. Fa riferimento al Vangelo, a San Paolo: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo.” (Ef 4:5). Invita ad ascoltare la propria coscienza, a dare più peso alla vita, al cammino insieme, più che alle varie interpretazioni. Le sue parole trasmettono pace e speranza. Anche il dono che ha portato ha una dimensione profetica: il calice e la patena per la celebrazione eucaristica». «Il Vangelo è quello del giudizio finale (Mt 23) che ricorda che saremo giudicati dall’amore per i poveri e i bisognosi. E il Papa ha ricordato, a chi dice che “i nostri libri dogmatici dicono una cosa e i vostri dicono l’altra”, le parole di un esponente luterano: “C’è l’ora della diversità riconciliata”. E ha concluso: “Chiediamo oggi la grazia di questa diversità riconciliata nel Signore, di quel Dio che è venuto tra noi per servire e non per essere servito». (altro…)

Religioni per la Pace: dalla paura alla fiducia
A 8 anni di distanza dall’ultima assise continentale, tenutasi anche in quell’occasione in Italia, rappresentanti delle diverse fedi e tradizioni religiose presenti in Europa si sono confrontati per alcuni giorni (Castel Gandolfo, 28 – 31 ottobre): la paura del diverso, dell’altro, dello straniero, sono sentimenti che si acuiscono puntualmente dopo eventi tragici, come quelli di Parigi in questi giorni – e portano a islamofobia e cristiano fobia. Di fronte a questo è necessario cogliere le grandi opportunità che si aprono a livello continentale, soprattutto, per le giovani generazioni. «L’orribile strage terroristica di Parigi, riconosciamolo, è un colpo al cuore per tutti e forse ancora di più per quanti si impegnano a favorire la coesistenza pacifica fondata sul valore della dignità umana e sul rispetto positivo delle differenze», dichiara Religioni per la Pace subito dopo gli attentati del 13 novembre. «Ogni persona di buona volontà – continua – può dare il suo contributo affinché la Paura non prenda il possesso definitivo nei nostri cuori e nelle nostre menti con tutto il carico di violenza e distruzione che essa inevitabilmente comporta».
Andare “dalla paura alla fiducia” – accogliendosi l’un l’altro, era anche il titolo del convegno che ha radunato una cinquantina di giovani e centocinquanta adulti, fra i quali alcuni esponenti di spicco delle diverse tradizioni religiose. Esperienze positive di dialogo ed integrazione, raccontate da protagonisti provenienti da diversi paesi dell’Europa hanno costituito le buone pratiche condivise fra tutti e risultate particolarmente efficaci. I lavori, in plenaria e nei workshop, hanno cercato di rispondere alle sfide che il continente europeo si trova ad affrontare oggi, sia di fronte alle ondate migratorie, sia di fronte al crescere di sentimenti personali e di gruppo di carattere razzista. Un’attenzione particolare è stata data anche al ruolo dei media e alla possibilità che essi hanno di manipolare in negativo l’opinione pubblica aumentando le paure a scapito del positivo che esiste e che non fa notizia. Dalla presentazione dei giovani è emerso uno spaccato dell’Europa multietnica, multiculturale e multi religiosa che, più che una proiezione futura, è già una realtà e dell’impegno delle giovani generazioni a lavorare per rapporti costruttivi fra persone di diverse tradizioni. Dai quattro giorni di lavoro è emerso un ruolo aggiornato di Religioni per la Pace in Europa, dove l’organismo, attivo da vari decenni è oggi chiamato a coordinare, e a lavorare in collaborazione e in net-working con altre agenzie impegnate attivamente nel campo sia del dialogo interreligioso ed interculturale che nell’accoglienza e nell’integrazione. Un impegno che, mentre si esprime «la fraterna vicinanza ai familiari ed agli amici delle vittime innocenti ed a tutto il popolo francese, attraverso l’affetto e la preghiera» si rinnova nel desiderio di «proseguire nell’azione comune per la giustizia e la pace». Leggi anche: Protagonisti nel costruire un mondo di pace – intervento della presidente dei Focolari Maria Voce in apertura dei lavori (altro…)

Perché Parigi
«Siamo in una situazione di grande sgomento e di orrore di fronte a questi massacri. Ma siamo anche molto sorpresi dall’impatto internazionale, da tutte le manifestazioni di sostegno, e ci sentiamo responsabili di fronte alle risposte che dovremo dare». È la voce di Muriel Fleury, direttrice della rivista francese dei Focolari, Nouvelle Cité. Alla domanda di Radio inBlu su come mai proprio in Francia, dove percorsi di integrazione sono più antichi rispetto ad altri Paesi europei, si verifichino episodi di questo genere, risponde: «Se da una parte, nella nostra storia, siamo riusciti a integrare altri popoli, sembra che negli ultimi anni siamo rimasti un po’ indietro. Vogliamo il multiculturalismo, piuttosto nel senso di accogliere gli altri, ma senza tenere sempre conto della loro cultura, dei valori che sono assai diversi dai nostri. Per questo tutti i posti dove possiamo avere momenti di dialogo, di incontro, di vero scambio culturale e anche religioso, vanno sviluppati. Perché il fatto di non essersi incontrati nel senso vero, fa che oggi siamo in una situazione tragica». A questo proposito, Paul Wirth, membro dei Focolari impegnato nel dialogo interreligioso, dichiara: «Faccio parte di un gruppo di amicizia islamo-cristiana (GAIC), che esiste in tutta la Francia: ogni anno facciamo una settimana di incontri (l’ultima era iniziata il 12 novembre…). Sentiamo che è molto importante far conoscere tutto questo, perché le persone distinguano fra i veri musulmani e quelli che dicono di essere musulmani, ma danno un’immagine di odio». E sulla reazione degli amici musulmani agli attentati di venerdì sera, risponde: «Ci sono tante associazioni musulmane che hanno scritto comunicati denunciando questi atti come barbari, intollerabili; si sentono vicini a tutte le vittime, alle loro famiglie. Ho visto ancora oggi che molte associazioni musulmane dicono che è un momento difficile, ma noi cristiani crediamo che questi tragici avvenimenti non cambiano i rapporti d’amore fraterno che abbiamo stabilito fra noi». Nella sua analisi, Muriel Fleury, direttrice di Nouvelle Cité, individua altre cause del disagio: «Per motivi anche economici sembra che abbiamo abbandonato quartieri interi, dove ormai neanche la polizia si arrischia più ad entrare. E la rinuncia ad occuparsi di questa gioventù straniera, il non poter dare loro una sana occupazione, non essere stati loro vicini, fa che oggi alcuni si siano avvicinati a gruppi pseudo-religiosi radicali, che hanno preso tanti di loro portandoli ad un tipo di integrismo di cui oggi vediamo i risultati». Da dove ripartire allora per ricucire un tessuto così complesso? «Il problema – conclude Fleury – è che siamo in Francia dove purtroppo abbiamo generato un certo vuoto spirituale. Questa laicità alla francese ha portato alla negazione della dimensione spirituale dell’uomo. Oggi c’è un nuovo cammino che va fatto, appunto per sviluppare la cultura dell’incontro, del vivere insieme, e per questo una delle strade sarà che le religioni possano lavorare insieme, anche con la Repubblica. Oggi, già ci sono segnali che vanno in questo senso, che cercano di trovare soluzioni che possano tenere conto di tutte le voci e delle diverse religioni». (altro…)

Insieme, per l’Europa

© Thomas Mandl
Ulteriori informazioni su Insieme per l’Europa: http://www.together4europe.org/
“Insieme per l‘Europa” è una rete internazionale di oltre 300 Movimenti e Comunità cristiane di tutta l’Europa. Ha il suo inizio nel 1999 e ne fanno parte cristiani evangelici, cattolici, anglicani, ortodossi come pure membri di chiese libere e di nuove comunità. 70 Movimenti / Comunità costituiscono il gruppo degli “Amici di Insieme per l‘Europa”.

Congo: un rap per la pace
«Immaginate 2.000 bimbi che cantano a ritmo rap “Pace! Pace!”e che gridano all’unisono: la guerra è la morte, la pace è amore. https://vimeo.com/147705350 E immaginate ancora che tutto questo avvenga in un Paese martoriato da decenni da conflitti armati le cui maggiori vittime sono proprio loro, i bambini. Ora non immaginate più – racconta Martine – perché tutto questo è realmente accaduto lo scorso 7 novembre a Kinshasa, nella R.D.C. L’arte d’amare per la pace è infatti il titolo della giornata che i bambini del Movimento dei Focolari di Kinshasa, con le scuole del progetto sociale Petite Flamme, hanno voluto organizzare per dire a tutti: no alla guerra e sì alla pace e all’amore, coinvolgendo nell’impresa i loro amici e altre venti scuole della città. Sabato mattina, sotto un cielo che sembrava minacciare la pioggia e che poi si è aperto mostrando un sole cocente, uno stuolo di bimbi ha invaso il grande prato della scuola principale di Petite Flamme. Canti, danze, poesie e scenette per gridare al mondo che la Pace è l’amore, la guerra è la morte. E ad assistere, travolti dal loro entusiasmo, anche diverse autorità civili, diplomatiche ed ecclesiastiche, come i rappresentanti delle Ambasciate di Italia e Germania, il coordinatore delle scuole protestanti di Kinshasa, con circa 300 bambini, insieme al coordinatore delle scuole cattoliche. «Lanciando e spiegando il Dado dell’amore – continua Martine -, i bimbi hanno dimostrato che “la pace comincia con noi”. E i tanti dadi che hanno colorato il palco sono stati poi consegnati solennemente, alla conclusione, ad ogni scuola presente, segno di un cammino e di un impegno alla pace che ormai è avviato insieme. I 22 direttori delle scuole protestanti che abbiamo coinvolto nell’iniziativa, si sono dichiarati entusiasti ed hanno espresso il desiderio di continuare ad impegnarsi con noi in questo tipo di attività. Sono stati i bambini i veri protagonisti sin dai preparativi, con la loro capacità di coinvolgere tutti, nelle prove dei canti o dei presentatori; con il loro coraggio nell’annunciare e presentare la giornata in una trasmissione televisiva… C’erano gioia, entusiasmo ed impegno. E anche la benedizione di Dio con la sua Provvidenza non è mancata! Dalla nostra comunione dei beni, ai doni di genitori, ambasciate, persino una banca ha sponsorizzato l’evento offrendo il palco e la sonorizzazione! L’evento è stato poi trasmesso dalla televisione nazionale, la stessa che aveva lanciato l’iniziativa alcuni giorni prima. E a noi, dai 0 ai 99 anni che abbiamo vissuto questa bellissima giornata per la pace cosa rimane in fondo al cuore dopo aver letto la gioia sui visi dei bambini? La speranza. Una speranza tenace. Perchè il futuro è in buone mani». (altro…)

Camminare nella volontà di Dio frutta l’unità
«Guarda al sole e ai suoi raggi. Il sole è simbolo della volontà divina, che è lo stesso Dio. I raggi sono questa divina volontà su ciascuno. Cammina verso il sole nella luce del tuo raggio, diverso e distinto da tutti gli altri, e compi il meraviglioso, particolare disegno che Dio vuole da te. Infinito numero di raggi, tutti provenienti dallo stesso sole: unica volontà, particolare su ciascuno. I raggi, quanto più si avvicinano al sole, tanto più si avvicinano fra loro. Anche noi […], quanto più ci avviciniamo a Dio con l’adempimento sempre più perfetto della divina volontà, tanto più ci avviciniamo fra noi… finché saremo tutti uno». (Chiara Lubich, L’unità, Città Nuova, Roma 2015, a cura di D. Falmi e F. Gillet, p. 48-49). (altro…)
Parigi: nuove responsabilità per i costruttori di pace
«Di fronte ai drammatici avvenimenti accaduti a Parigi ieri sera, che si aggiungono a quelli recenti in tante altre aree del mondo, siamo in lutto, insieme a quanti sono stati colpiti negli affetti e a quanti credono possibile l’unità della famiglia umana. Nello sgomento e nella ferma condanna di simili atti contro la vita umana, emerge forte anche una domanda: abbiamo fatto ogni passo e intrapreso ogni azione possibile per costruire quelle condizioni necessarie, tra cui il favorire più parità, più uguaglianza, più solidarietà, più comunione dei beni, per cui violenza e azione terroristiche perdono possibilità di agire? Di fronte a un disegno che appare perverso, è evidente che non c’è una sola risposta. Ma è anche evidente che neppure la reazione incontrollata alla violenza farà indietreggiare coloro che vogliono annientare le forze vive dei popoli e la loro aspirazione a convivere in pace. La convinzione che il mondo può camminare verso l’unità, e superare lo scontro e la violenza delle armi, resta viva nell’animo e nell’azione di quanti hanno a cuore l’amore per ogni uomo e il futuro della famiglia umana e vogliono realizzarla mediante l’azione della politica, gli strumenti dell’economia, le regole del diritto. Il Movimento dei Focolari, mentre piange con chi piange, continua a credere nella via del dialogo, dell’accoglienza e del rispetto dell’altro, chiunque esso sia e di qualunque provenienza, credo religioso e appartenenza etnica. Per questo, assieme a quanti nelle diverse responsabilità si adoperano anche con un rischio personale per la pace, i Focolari rinnovano il proprio impegno ad intensificare e moltiplicare atti e gesti di riconciliazione, spazi di dialogo e comunione, occasioni di incontro e condivisione a tutti i livelli e a tutte le latitudini, per raccogliere il grido dell’umanità e trasformarlo in nuova speranza». (altro…)

Chiesa italiana: il coraggio di essere umani
Il convegno di Firenze si è concluso. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: come leggere il significato profondo di questo evento per la chiesa italiana? «Ci sarebbero tante letture, però penso che sia un momento decisivo e storico per la chiesa italiana. Prima di tutto per il forte messaggio che papa Francesco ha consegnato ai 2000 delegati, presente tutta la Conferenza Episcopale. L’evento accade nel cuore del pontificato, in un momento dove le riforme si fanno pressanti e concrete. Avendo come specchio la riforma che vuole Francesco, la Chiesa italiana è inesorabilmente spinta a riformare se stessa. Il discorso del Papa è soprattutto un richiamo alla conversione, a tutti i livelli: conversione delle persone, delle comunità, delle strutture…». Quali i passaggi centrali delle parole di Francesco? «La figura che il Papa ci ha presentato è l’Ecce Homo: Cristo che spoglia se stesso, che non si affida ai procedimenti né all’organizzazione, che non pretende di occupare spazi di potere, ma che si fa carico dei dolori dell’umanità. È Gesù nella sua vera essenza, nella sua missione come inviato del Padre per la salvezza di tutti gli uomini. Questa è la prima cosa. Poi, il Papa invita la chiesa italiana ad essere più evangelica, più come la vuole lo Spirito nell’oggi della storia. Solo una Chiesa, come ha detto lui, che riesce ad essere umile, disinteressata, che si riflette nelle beatitudini, può assomigliare a questo Maestro, a questo Ecce Homo, può presentarsi come amore per la società. D’altra parte il Papa radicalizza l’umanesimo cristiano sulla base del superamento dei due rischi da lui indicati. Il rischio del pelagianesimo, cioè la tentazione di voler fare tutto noi, di affidarci alle nostre capacità, ai nostri strumenti, al potere, anche alla capacità di programmare. E il rischio dello gnosticismo che vuol dire rischio della disincarnazione, della “non-incarnazione” proprio. Cioè presentare un Gesù che non si tocca con le mani, che non si afferra. Attualizzazione dell’umanesimo cristiano, significa che esso deve partire da Gesù, deve essere centrato in Lui, non nelle nostre forze. Deve essere incarnato, non può rimanere nei documenti, nei proclami e neanche nelle opere d’arte, bellissime, come le abbiamo viste qui a Firenze. L’umanesimo cristiano deve essere incarnato nella vita della gente». Il 50% dei partecipanti, laici, indica una forza della chiesa che si vuole mettere in gioco. Quali novità nei lavori di gruppo? «Una delle novità di Firenze è la metodologia. Una giornata e mezza dedicata ai lavori di gruppo, ha reso possibile una maggiore partecipazione, dove ognuno ha potuto donare se stesso. Ma, se su 2000 partecipanti, la metà è ancora clero, non è ancora sufficiente. Perché la società, la chiesa italiana non è così. Ci sono donne, sì, ma poche ancora. Giovani, sì, ma pochi ancora. Speriamo che si vada avanti in questa linea, verso una rappresentatività maggiore». Un’impressione a caldo, dopo aver partecipato a tutto il Convegno? «Un clima bellissimo, di apertura, cordialità nel senso profondo, dove si vive mescolati con tutti. I vescovi pranzano con tutti: nei gruppi sono uno in più, così i sacerdoti. Questo già di per sé crea molta famiglia e quindi c’è entusiasmo, c’è gioia, c’è tanta condivisione, comunione, un desiderio profondo di ascolto e questo dà molta speranza». Sul convegno di Firenze leggi anche: Attualizzare l’umanesimo cristiano Francesco inizia da Prato “Mi piace una chiesa italiana inquieta” Ripartire dalla Fortezza da Basso Francesco, il profeta di una chiesa povera e dei poveri A Firenze non si parte da zero Un Dio che si svuota (altro…)
Vangelo vissuto: vivere nel dono scambievole di sé.
Quella serata con gli amici «Ho degli amici molto cari, per la maggior parte agnostici, ai quali non avevo mai esplicitamente parlato della mia vita spirituale. Questo mi aveva sempre lasciato un certo senso di incompletezza. Una sera passeggiavamo. Passando davanti ad una chiesa, ho sentito forte il desiderio di entrare un momento a salutare Gesù. Essendo in compagnia con altri mi sembrava fuori luogo, però ho voluto seguire questo impulso. Durante la breve sosta in chiesa, mi è venuto da dire a Gesù: «Stai con me, perché io sono con te». Poco dopo, a cena, ho sentito di dovermi “scoprire” davanti agli amici, ma non sapevo da dove iniziare! Ad un certo punto è nato spontaneo da parte loro affrontare l’argomento fede. È stato un momento di condivisione bellissimo. Loro mi hanno espresso le proprie perplessità, e dalla mia bocca sono uscite parole che nemmeno io mi aspettavo. E tutto ciò nel rispetto reciproco! Mai sarebbe potuta accadere una cosa del genere se non ci fosse stato come base questo rapporto profondo fra noi». G. – Italia Delicatezza “Sono infermiera nel reparto di radiologia. Nel corridoio alcuni pazienti attendono nel loro lettino. Una di loro, con le braccia fasciate, è rimasta scoperta. La saluto e con delicatezza la copro con il lenzuolo. Passano gli anni. Un giorno, alla presentazione di un libro, si avvicina a me una signora molto elegante: «La ringrazio per come quel giorno lei ha rispettato la mia dignità». Quasi non la riconosco. Continua: «È quando si soffre che si ha più bisogno di essere rispettati come uomini. Grazie perché il suo servizio non l’ha resa insensibile»”. E.M. – Ungheria L’abbraccio «Seduto alla scrivania del Centro Caritas presso cui lavoro, sto ascoltando un rifugiato che nell’aspetto e nel vestito denuncia un passato di sofferenza. È disperato perché, da tempo senza lavoro, tra pochi giorni subirà lo sfratto da dove alloggia per non aver pagato l’affitto. Gli chiedo, come faccio con tanti come lui, se ha degli amici qui in città, che possano dargli aiuto. Inaspettata la sua reazione: scoppia in singhiozzi convulsi ripetendo: «Sono solo, solo! Non ho nessuno!». Rimango senza parole, schiacciato da un senso di impotenza. Poi, d’impulso, mi alzo e vado ad abbracciarlo. Pian piano si calma. Si alza anche lui, con tono di voce pacato dichiara: «Ora so che non sono più solo» e fa per andarsene, come se quel semplice gesto fraterno fosse bastato a ridargli speranza. A questo punto sono io a trattenerlo per indicargli come procurarsi dei vestiti, fruire della mensa Caritas e anche di un letto presso il nostro dormitorio. Quando ci separiamo è ormai del tutto sereno».S. Italia (altro…)

Migrazioni. Da Malta, un segnale

Valletta Summit (11-12 novembre 2015): Rappresentanti dell’EU e dell’Africa alla vertige sulla migrazione.

![[:de]Die Seite der Fokolar-Bewegung[:]](https://www.focolare.org/wp-content/uploads/et_temp/Screenshot_FokolarBewegung-72593_855x675.jpg)
[:de]Die Seite der Fokolar-Bewegung[:]
[:de]Auch die inhaltliche Ausrichtung wurde überarbeitet und bietet jetzt interessierten Usern einen guten ersten Einblick in Leben und Initiativen der Fokolar-Bewegung. Vor allem aber lässt die neue Seite Menschen zu Wort kommen, die sich an der Spiritualität der Fokolare orientieren. Ganz neu etwa: „Ich bin dabei, weil…“ – Freunde der Fokolare fassen in wenigen Sätzen zusammen, warum sie sich in der geistlichen Gemeinschaft engagieren. „Die Seite hat etwas von einem Springbrunnen“, schreibt eine der ersten Besucherinnen. „Die Startseite wirkt zunächst sehr ruhig, aufgeräumt… Und wenn man dann etwas anklickt, springt einem sehr lebendiges Leben, Vielfalt, “Buntheit“ entgegen“. Kommen Sie uns gern mal besuchen! www.fokolar-bewegung.de[:]

Ambiente e diritti
Ambiente e Diritti: un tema di grande attualità, a pochi mesi dalla Laudato Si’, l’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente, e alla vigilia della COP 21, la Conferenza ONU a Parigi sui cambiamenti climatici. Come nasce l’idea? «È un progetto al quale stiamo lavorando da due anni, che cade in un momento estremamente favorevole per l’attenzione all’ambiente. Il Congresso, dal titolo “Ambiente e “diritti” tra responsabilità e partecipazione”, nasce dall’esperienza condivisa con un magistrato impegnato da anni in processi da cui emergono le tragiche conseguenze e i gravi danni dovuti all’uso irresponsabile delle risorse naturali. Conoscendo come la rete di Comunione e Diritto è estesa in tutto il mondo, ha colto in essa la possibilità di far conoscere e condividere difficoltà e problemi anche dei Paesi più lontani e dimenticati. Dal confronto è nata l’idea di fare qualcosa, che potesse essere una risposta positiva globale». Dal programma emerge un forte coinvolgimento dei giovani. Che percorso avete seguito? «Si tratta del risultato di un confronto avvenuto durante il Seminario internazionale a Castel Gandolfo, in Italia (marzo 2014) tra 40 studiosi e studenti dell’Europa, Africa e Brasile e dalla Summer school ad Abrigada, in Portogallo (luglio 2014) tra giovani europei e africani. Questi ultimi hanno approfondito il tema dell’ambiente nella prospettiva della responsabilità e partecipazione e si sono impegnati a continuare la ricerca sino al Congresso, in programma per il 13-15 novembre prossimi». I partecipanti arrivano da 4 Continenti, rappresentano 21 Paesi. Una prospettiva internazionale dunque, dalla quale guardare le legislazioni vigenti in materia ambientale, con quali obiettivi? «Vorremmo mettere in luce il concetto di relazionalità che è costitutiva della persona. Il nostro essere con gli altri, in una relazione di cura e di attenzione, esige responsabilità nei nostri rapporti sia con l’altro che con la natura. Se vissuti così, questi rapporti ci permettono di cogliere anche le relazioni di Amore che sottostanno al Creato. Un altro obiettivo è quello di rafforzare il concetto di partecipazione nell’attività legislativa. Durante il congresso si valuterà, anche una proposta di legge popolare che va in questa direzione. La proposta parte da una legge regionale siciliana relativa al territorio di Pachino che ha evidenziato il contrasto tra la “procedura legislativa” e il “potere partecipativo”. In pratica assume un ruolo fondamentale la comunicazione con i soggetti interessati, in modo che essi possano valutare le proposte legislative e regolamentari in corso». «Inoltre, vogliamo dare voce a Paesi diversi e distanti tra loro, spesso dimenticati o alla ribalta per situazioni drammatiche, come ad esempio la Repubblica Centrafricana. Si parlerà non solo attraverso un approccio teorico, ma con storie e testimonianze: conduzione di inchieste sui danni all’ambiente per illeciti, “alt” ai poteri forti negli apparati statali, il problema della deforestazione e desertificazione nell’Africa sub sahariana…». È anche un convegno con un approccio interdisciplinare. Tra i partecipanti ad esempio, EcoOne, è una rete di studiosi in campo ambientale ed ecologico che esprime da anni l’attenzione dei Focolari per l’ambiente… «Studiosi di ecologia, fisica ambientale, ma anche economisti, pedagogisti, politologi, architetti, saranno presenti insieme a noi. Con loro, in particolare nella tavola rotonda della domenica mattina, la riflessione si sposterà sulla prospettiva di una visione unitaria che possa ricomporre i due termini: uomo e natura. Nell’ultima sessione interverrà la presidente dei Focolari Maria Voce, avvocato, che tra l’altro è stata tra gli iniziatori di Comunione e Diritto, la rete di studiosi, studenti e operatori del diritto, nata nel 2001 da un’intuizione di Chiara Lubich. CeD, in sintesi, promuove e affianca le più varie iniziative per elaborare e diffondere una nuova cultura fondata sulla relazionalità quale categoria giuridica, ma anche chiave dei rapporti tra operatori del diritto». Comunicato stampa (altro…)

Solidarietà con la Repubblica Centrafricana
L’inasprirsi nella Repubblica Centrafricana dei gravi disordini politico-militari non fa cambiare programma a Papa Francesco che da autentico messaggero di pace, nell’omelia di Ognissanti annuncia che il 29 novembre si porterà in quel martoriato Paese. Lì da oltre tre anni si sta consumando uno dei tanti focolai di guerra che punteggiano il pianeta, ai quali neppure la Comunità Internazionale sembra dare peso. Guerre fratricide, guerre dimenticate. Tutto ha inizio nel 2012 con l’occupazione di vaste zone del Paese da parte di gruppi di ribelli, con distruzioni non solo di sedi istituzionali ma anche di tutto ciò che di cristiano incontrano: un fattore nuovo per la Repubblica Centrafricana, prevalentemente cristiana, con una minoranza di musulmani e persone di religioni tradizionali che coabitano pacificamente. Profanazione di chiese, saccheggio delle opere sociali, scuole, ospedali, dispensari, negozi e case di cristiani, portano ad un’altissima emergenza alimentare e sanitaria. Su una popolazione di 5 milioni di abitanti, 820.000 debbono lasciare le proprie case. Non si può più costruire, mandare i figli a scuola, non si può più coltivare. Anche quel terreno comunitario, che una decina d’anni orsono una Fondazione italiana aveva comprato per le famiglie dei Focolari, rimane forzatamente incolto. Un pezzo di terra recintato, un pozzo, la casetta del custode e, di anno in anno, le risorse per acquistare le sementi. Un progetto che consentiva di sfamare le famiglie e anche di ricavare qualcosa vendendo alcuni prodotti, che ora non ci sono più. Rimane attivo il progetto AFN (www.afnonlus.org) di sostegno a distanza per bambini e adolescenti, ma le sottoscrizioni sono solo 89, una goccia nel mare. Nel 2013 Petula e Patrick Moulo, tre figli e due adottati, accolgono nella loro casa di Bangui 34 persone, condividendo quanto hanno. Anche se è tutto limitato – cibo, spazio, coperte – sopperisce l’amore, facendo tutti insieme l’esperienza del “Meglio un pezzo di pane secco nella pace, che l’abbondanza di carne nella discordia” (Prov. 17,1). Fra essi c’è anche una donna musulmana con i suoi piccoli figli. Anche le altre famiglie dei Focolari aprono casa e cuore. La gente cerca di mantenere un atteggiamento pacifico, di non resistenza, con la speranza di attenuare la repressione. Non è così. Quando sembra tutto risolto – la cosiddetta ‘liberazione’ del dicembre 2013 – la guerriglia si riaccende, lasciando una scia di devastazione. Tanti corpi rimangono insepolti. Dopo due mesi si vedono ancora le salme di persone torturate e uccise scendere nel corso dei fiumi. Ci si rifugia nei campi, al freddo e senza mangiare. In ogni famiglia c’è qualcuno rimasto ucciso. Una guerra nascosta, subdola, che in tre anni fa più di 5.000 vittime, sconvolgendo l’intera popolazione con fame, malattie, insicurezza, stipendi a singhiozzo. All’inizio 2015 si apre un periodo di tregua, ma i recenti fatti di sangue del 26 settembre e del 29 ottobre riaccendono il terrore: morti, feriti, case bruciate. In una notte tutti i campi profughi che via via si stavano svuotando si riempiono di nuovo. Nel ‘campo’ dei Focolari dormono (all’aperto) 96 adulti, mentre i loro bambini dormono ammassati nella casetta di Irene e Innocent, i custodi del progetto. La comunità dei Focolari mette insieme il poco che ha: vestiti, cibo, coperte, da condividere con chi tra loro ha perso tutto, portando aiuto anche agli sfollati che si trovano nei vari campi di accoglienza. La popolazione è allo strenuo. Papa Francesco fra poco sarà lì con loro, “per manifestare la vicinanza orante di tutta la Chiesa (…) ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione…”. Ad accompagnarlo saranno le preghiere di tutti noi, insieme ad auspicabili, doverosi, gesti concreti di solidarietà. (altro…)
Creating a better world for all
From 21-25 October 2015, at the Mariapolis Centre in Castel Gandolfo (Rome), a workshop dedicated to the second phase of the Cayrus* International Youth Project, entitled “Launching Peace”, brought together 60 members from eight countries who belong to associations aimed at highlighting the use of arts to promote awareness and to inspire creative activism in peace building. The meeting started off with participants sharing their impressions from the previous conference held in Cairo, Egypt, during April-May this year. This was followed by a presentation of the European Union programs by Marco De Salvo, and the idea was launched to work together on a project.
After working in groups, some very interesting proposals emerged. One which attracted everyone was using the culture of food as a tool towards fraternity and promoting peace. The idea is to bring together young people from all participating associations and to share foods from their cultures. During the experience, which will last for five days, the young people will also deepen the theme on how to be builders of peace in their respective nations. One very interesting initiative which is worth mentioning concerns a Palestinian couple, Milad William and Manar Whab. Together they run an NGO called Vision Center for Culture and Arts (VCCA), a non-profit and non-political organization which aims to promote music, arts, and drama as communication for peace and understanding, in order to serve the four villages Al-Azaria, Abu Dees, Al-Sawahra, and AL-sheikh Sa’ed.
James Mwania
* The Cayrus Project is co-financed by the European Union in the contest of the Erasmus+ program which offers opportunities for cooperation across the education, training, youth and sport sectors.

Dal Congo: due donne, due storie
Neppure lei sa come ci sia riuscita. Sta di fatto che Émerence, da sola, gestisce una rivendita di bibite alcoliche e zuccherate a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo. Gli affari vanno bene. Entrate, uscite, ricavo, guadagno. Émerence prende così tanta dimestichezza con questi termini da vedere la sua attività crescere di giorno in giorno, nella assoluta trasparenza con fornitori e clienti. E col fisco. Ad ispirare le sue mosse è il progetto Economia di Comunione (EdC), dal quale apprende che prima del profitto viene la persona e che la sua attenzione di imprenditrice deve essere centrata non sui soldi ma sui poveri. Decide di investire gli utili a favore di questi ultimi e apre prima uno e poi un altro punto-ristoro dove anche i poveri – che spesso non dispongono di cucina né di stoviglie – possono acquistare a poco prezzo del cibo pronto. Un business questo che certamente non va ad incrementare il suo capitale, anzi. Ma come tutti gli imprenditori che aderiscono al progetto EdC, anche Émerence sa di poter contare su un socio ‘nascosto’ che è la divina Provvidenza. In quattro anni, senza averli cercati o richiesti, le sono arrivati due congelatori (usati ma di valore), due stabilizzatori per l’elettricità, 52 sedie e 14 tavolini. Oltre ad uno stock di bibite. Le sue dipendenti sono per lo più ragazze a rischio o mamme sole, alle quali dà piena fiducia mettendole al corrente dell’andamento dei conti aziendali e anche degli straordinari interventi del suo socio ‘segreto’. “Una volta – racconta Émerence – avevo dato dei vestiti e qualche cosa da mangiare ad una ragazza madre. La sua salute mentale, allora, non era buona, ma poi pareva ne stesse uscendo. Mi ha chiesto di lavorare e l’ho assunta”. Émerence le dà fiducia, le insegna il lavoro e dopo due anni non solo questa ragazza ritrova pienamente il suo equilibrio, ma riesce a mettersi in proprio. Lo stesso fanno anche altre quattro ragazze le quali, diventate a loro volta piccole commercianti di cibo pronto, continuano a rimanere in contatto con Émerence quale loro consigliera permanente. L’altra donna di cui merita parlare è Albertine, anche lei di Kinshasa, madre di sei figli. Albertine è educatrice nella scuola materna del progetto Petite Flamme, un centro sociale ad opera dei Focolari finanziato dal sostegno a distanza di AFN (www.afnonlus.org). “Da diversi anni – confida Albertine – mio marito ha lasciato la casa senza motivo e tuttora non sappiamo dove sia”. Non è difficile immaginare quanto sia problematico per una donna sola portare avanti una famiglia di sei figli. Come secondo lavoro Albertine decide di vendere scarpe che compera grazie ad un prestito del centro sociale dove insegna. “Il prezzo delle scarpe che vendo non è esagerato ed è per questo che Dio mi benedice!”, asserisce convinta Albertine, che con gli introiti di questa attività riesce a pagare affitto e bollette. Così i figli possono continuare gli studi, due dei quali frequentano già l’università. “Ogni giorno rinnovo la mia scelta di Dio e Lui mi dà la forza per andare avanti – racconta Albertine -. Cerco di promuovere intorno a me i valori umani e sociali contenuti nel Vangelo. È in questo modo che potremo trasformare la società”. E se Albertine con il suo micro commercio di scarpe riesce a far vivere dignitosamente i suoi sei figli, recentemente Emérence ha visto registrata la sua attività fra due grandi marchi di fornitori di bibite della Repubblica Democratica del Congo (Bralima e Bracongo). Tutto fa pensare che il socio ‘nascosto’ sia più attivo che mai. (altro…)
Lungo la via Gocciadoro
«Sulla via Gocciadoro, Chiara mi indicava le stelle. Non ricordo le sue parole. Pensandoci bene, mi par di capire che era l’ansia di uscir fuori dal nostro piccolo mondo per spaziare in un mondo più vasto». Così Giosi Guella annota i suoi primi incontri con Chiara Lubich nella primavera del 1944 a Trento. La via Gocciadoro dove Chiara abitava con la sua famiglia prima del bombardamento del 13 maggio 1944, che la rese inagibile, e l’omonimo bosco (ora parco cittadino) che allora lambiva il capoluogo trentino, resta tra i luoghi simbolo del Movimento dei Focolari nella sua città d’origine. Di qui il titolo del racconto della sua vita accanto alla fondatrice dei Focolari, che con lei ha condiviso i vari momenti di luce e di prova che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo di questa nuova realtà nella Chiesa. Tra il primo gruppo che si unì a Chiara Lubich, Giosi Guella spiccava per la sua essenzialità, schiettezza, concretezza. Già nell’autunno del 1944, aveva condiviso con Chiara il piccolo appartamento in piazza Cappuccini 2, a Trento. Iniziava in tal modo a prendere forma la prima cellula di quello che sarebbe stato il Movimento dei Focolari. Dovunque ha vissuto, Giosi ha accolto e sollevato sofferenze, offerto consigli accorti, aiutato a trovare casa, lavoro, fiducia. Ha dato così impulso al consolidamento di tante comunità dei Focolari, facendo sì che fra tutti fossero condivisi dolori e gioie, conquiste e sconfitte, offerte inaspettate di risorse che andavano a ripianare richieste impellenti di aiuto. Tutto contribuiva al “capitale di Dio” che si andava formando, composto di beni, ma anche di bisogni, di cui fin da allora fu amministratrice oculata e allo stesso tempo generosa. Con la sua attenzione costante verso gli ultimi, le fu congeniale organizzare, a partire dal 1948, la comunione dei beni del primo gruppo trentino: si tratta di quella pratica, poi diffusa nel Movimento dei Focolari in tutto il mondo, che si ispira alla vita della prima comunità cristiana, dove si mettevano in comune i propri beni, affinché non ci fosse nessun indigente. In seguito, man mano si diffondeva il Movimento in vari paesi e si rendevano necessarie azioni sociali di vario tipo, continuò a seguirne lo sviluppo. Ebbe poi modo di accompagnare i primi passi del progetto per un’“Economia di Comunione”, lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991. A vent’anni dalla sua morte, viene pubblicata una sua biografia, certamente non esaustiva, attingendo dai suoi pochi scritti e discorsi registrati. Infatti, lei non amava tanto scrivere, preferiva “agire”. Sono dunque tanto più preziose quelle pagine, di una straordinaria franchezza e disarmante semplicità. Mi sono affidata perciò a quegli scritti, sul crinale tra cronaca e storia, lasciando a lei la parola per quanto mi è stato possibile. E quando il racconto si interrompeva, ho potuto raccogliere alcune interviste di quanti hanno condiviso con lei tanti tratti del cammino di un’Opera di Dio che, “scritta in cielo”, man mano si andava dispiegando in terra lungo vie misteriose e ancora inesplorate. Le loro testimonianze mi hanno permesso di tratteggiare alcuni passaggi di questa semplice, “troppo semplice” vita, eppure fortemente intrecciata con quella dei Focolari, alla cui costruzione Giosi ha dato tutta se stessa con il proprio inconfondibile timbro. Caterina Ruggiu Lungo la via Gocciadoro, Città Nuova editrice (altro…)

Il doppio salario
«Non si è mai parlato di diritti del lavoro come ai tempi nostri; e non si è mai fatto tanto abuso dei lavoratori come in questi tempi. Essi hanno fornito le masse per i raduni e le cataste per le stragi, e la carne per le rappresaglie; sono stati rastrellati per strada… I sopravvissuti sono rimasti spesso senza casa e senza famiglia. E pure oggi bisogna riprendersi, rivincere la morte: fare come Pietro pescatore che dice al Maestro: “Ci siamo affaticati tutta la notte, non abbiamo pescato niente; pure, sopra la tua parola, calerò la rete”. Sopra la parola di Gesù, con speranza, dopo la notte di rovine e di sangue, bisogna ricominciare. E il Padre premierà la nostra fiducia. Noi siamo impegnati tutti, lavoratori del braccio e dell’ingegno, a una grande impresa: ritirare su l’edificio sociale e politico sfasciato, con coraggio e senso di responsabilità, senza tentennamenti… Non ci voltiamo indietro e non paventiamo. Dietro le nostre spalle sono gli sfruttatori dell’uomo, i tiranni che hanno arse le case e inceppato la libertà, i semidei che scatenano la guerra: sono i carnefici e i becchini. E noi avanziamo, sia pure con la croce sulle spalle, verso la Redenzione, che vuol dire libertà: libertà da ogni male, e quindi anche dal bisogno e dalla paura». (Igino Giordani, «Fides», giugno 1951) «Si svaluta il lavoro dissociandone il valore economico dal valore spirituale. Quando Dio si mescolò agli uomini, lo fece da lavoratore fra lavoratori. Per trent’anni compì anche lui opere manuali, del cui frutto aiutò la cerchia dei familiari e dei vicini: poi per tre anni compì opere spirituali, del cui frutto beneficò l’umanità intera, di tutti i tempi. Il lavorare è connaturato con l’uomo e necessario alla sua vita, come il respirare, come il mangiare. Tenere l’uomo ozioso equivale a obbligare gli uccelli a non volare. Con l’avvento del Redentore, – un lavoratore manuale che era Dio – furono rivalorizzati divinamente lavoro e fatica e trasfigurati in mezzi ordinari di santificazione. Uno che lavora secondo la legge di Dio, sopportando la fatica per amore di Lui, si santifica; l’opera spesa ai campi, all’officina, all’ufficio, in chiesa gli vale, se fatta come Dio vuole, al pari di una preghiera. E anche il salario è duplice. Si è pagati per il valore economico prodotto con le mani e con l’ingegno, sul piano umano; e si è pagati per i meriti di pazienza, ascesi e distacco, acquistati sul piano divino. Uno mentre costruisce una cosa, se sopporta la fatica facendone materia di redenzione, costruisce anche un tratto del suo destino eterno. Il figliol prodigo inizia la riabilitazione quando si mette a lavorare, così come aveva iniziato la degradazione quando s’era messo ad oziare. Lo sfruttamento vero del lavoro e quindi del lavoratore avviene in forza della pretesa materialistica di negare la partecipazione dello spirito all’opera delle mani o dell’intelligenza: di divaricare il divino dall’umano, lo spirito dal corpo, la morale dall’economia, il Padre nostro che è nei cieli dal pane nostro che ci serve quotidianamente in terra. L’uomo non vive di solo pane per lo stomaco: abbisogna anche d’un nutrimento per l’anima. Respinger l’uomo contro la sola istanza economica è come volerlo sfamare da una metà per affamarlo dall’altra. L’uomo-Dio ha visto e vede sempre il divino e l’umano. Non uno solo dei due, ma tutti e due. E allora poiché i pescatori suoi ospiti non hanno pescato niente durante tutta la notte di fatica e poiché per lui vale la norma “chi non lavora non mangi”, li invita, dovendo pur mangiare, essi e le loro famiglie, a ricominciare l’opera: a gittare di nuovo le reti nelle acque del lago. E quelli nel Suo nome ricominciano. Dio invita di continuo a non scoraggiarsi, a non disperare, ma a riprendere il lavoro, sempre, in nome Suo. Al pari della persona umana, la società ha bisogno di entrambi i lavori, perché possa respirare con entrambi i polmoni, e vivere sana e libera. Se no, agonizza, poiché patisce o della fame corporale o della fame spirituale: senza dire che l’una fame trae con sè anche l’altra. Se non c’è il Padre in cielo, viene a scarseggiare anche il pane in terra; perché in mancanza di Lui, i lavoratori non si sentono più fratelli – e allora si combattono e derubano- ; – come è successo e succede contro tanti nostri emigranti che da altri lavoratori sono osteggiati e respinti». (Igino Giordani «La Via», 1952) (altro…)

Jerusalemexpo2015
Nel cinquantesimo anniversario del Documento Conciliare “Nostra Aetate”, Jerusalemexpo2015 valorizzerà, mostrandolo, un meraviglioso caleidoscopio di quotidiano impegno a rinsaldare la fraternità, incrementare il dialogo e superare ogni sorta di divisione. Famosi artisti oltre che i talenti più diversi hanno aderito alla chiamata di comporre insieme, il prossimo 12 novembre, la suddetta expo. Un evento che vuole evidenziare che a Gerusalemme, nonostante la ricorrente violenza, c’è un forte desiderio di unità che si esprime in iniziative genuine e fraterne. L’evento sarà trasmesso in streaming. Website: http://www.jerusalemexpo2015.com/ Facebook: https://www.facebook.com/NostraAetateJerusalem/ (altro…)
“Insieme per l’Europa. Incontro. Riconciliazione. Futuro”
L’evento si articola in un Congresso (30 Giugno-1 Luglio 2016) e in una manifestazione pubblica all’aperto il giorno seguente (2 Luglio 2016) con la quale si vuole dare un segno forte di speranza. Attraverso vari interventi, testimonianze, canti, preghiere si desidera testimoniare che l’unità è possibile, che la riconciliazione è la porta per l’unità nella diversità – come si è sperimentato da oltre 15 anni nell’insieme di Comunità e Movimenti di varie Chiese. L’unità è possibile. Vivendo il Vangelo di Gesù Cristo si possono superare le divisioni tra persone, tra popolazioni e partiti, tra culture e anche tra le Chiese e confessioni cristiane.

Giappone, a 70 anni dalla fine della guerra
«Il 22 agosto 1944, ho perso l’unica mia sorella nella tragedia navale di Tsushima maru», la nave passeggeri affondata da un sommergibile americano, in cui morirono oltre 1400 civili, tra cui oltre 700 bambini. «Mia madre, fino alla morte a 96 anni, ha continuato a soffrire e a ripetere: “La guerra me l’ha mangiata”». A raccontare la sua storia, dal profondo del cuore, è la signora Toshiko Tsuhako. La sua città, sull’isola Okinawa, è stata teatro tra aprile e giugno del 1945 dell’unica battaglia via terra combattuta in Giappone: 150mila morti. «Avevo ancora l’età di una bambina innocente quando mi sono trovata immersa nella tragica esperienza della guerra a contatto con le dolorose ferite che essa causa al corpo e agli animi delle persone. A 12 anni è arrivata la fine della guerra. Mia madre era di costituzione fragile ed essendo rimasta figlia unica mi sono dedicata con tutte le mie forze a cercare di sostenerla e di alleviare le sue afflizioni. A 16 anni ho incontrato la fede cristiana ed ho ricevuto la grazia del battesimo». Già adulta viene a contatto con la spiritualità dei Focolari: «Sono rimasta molto sorpresa nel sentire che la fondatrice Chiara Lubich durante la II Guerra Mondiale ha capito che Dio ci ama immensamente e che siamo tutti fratelli e sorelle che aspirano a un mondo unito, perché questa realtà coincideva con il grande sogno che portavo in me da quando ero ragazza». «Anche se sapevo che tutto ciò che succede è nelle mani di Dio, innumerevoli volte mi chiedevo: “perché ci sono ancora le guerre dolorose e crudeli?”, mentre io continuavo a sognare sempre una “Famiglia globale” dove le persone vivono la gratitudine vicendevole e la comunione». «Per costruire un mondo vero di pace penso che Dio abbia bisogno della collaborazione degli uomini. Occorre coltivare cuori che amino anche il proprio Paese, ma più di ogni altra cosa, anime sensibili che si donino al bene delle persone, che sappiano amare». «In questa ricorrenza della fine della guerra – testimonia Toshiko – rinnovo la mia fiducia in Dio e il mio impegno a proseguire il cammino nella costruzione della pace». (altro…)

A unidade
Vivemos num mundo em que as relações humanas não são mais condicionadas pelos limites geográficos, em que as informações em poucos segundos giram o mundo pelas redes sociais. Tudo isso, ao lado das tensões que há no mundo, revela o longo caminho para uma convivência pacífica e harmoniosa de homens e mulheres. As palavras unidade e relações fraternas têm sido repetidas por líderes e membros de Igrejas cristãs e de outras religiões. Nos documentos do Concílio Vaticano II, a Igreja Católica se define como “instrumento de unidade dos homens com Deus e entre si” (LG 1). Nos anos 1940, Chiara Lubich foi marcada pela oração de Jesus, no capítulo 17 do Evangelho de João: “ut omnes unum sint…” [que todos sejam um], a unidade. A seleção de textos contida neste livro, em parte inéditos, apresenta a compreensão de Chiara e sua vivência inspirada nesse pedido de Jesus a Seu Pai. A unidade é um dom divino, fruto de um empenho mútuo em viver o mandamento de Jesus: “Como eu vos amei, amai-vos também uns aos outros” (Jo 13,34). Organizadores: Donato Falmi [1949-] é editor, graduado em Letras e em Teologia pela Pontifícia Universidade Lateranense (Roma). Florence Gillet [1943-] é doutora em teologia. Atualmente trabalha no Centro Chiara Lubich, Rocca di Papa, Itália. Para mais informações: (11) 4158-8893 comunicacao@cidadenova.org.br Editora Cidade Nova

L’orizzonte aperto da Nostra Aetate al mondo cristiano
Il 28 ottobre del 1965, i Padri del Concilio, ormai avviati verso la conclusione della storica assise mondiale dei vescovi della Chiesa cattolica, promulgavano Nostra Aetate, il documento di gran lunga più breve fra quelli emersi dai lavori conciliari. È trascorso mezzo secolo da quel giorno e la portata di quelle brevi pagine si è rivelata profetica se si pensa che la Chiesa cattolica veniva da secoli di convinzione pressoché adamantina che ‘fuori della Chiesa non c’è salvezza’ – il famoso adagio latino extra ecclesiam nulla salus. Benedetto XVI, nel febbraio del 2013, pochi giorni dopo aver annunciato il suo ‘ritiro’, riflettendo sul Concilio, al termine dell’anno che celebrava il cinquantesimo del suo inizio, definiva questo documento, insieme a Gaudium et Spes e a quello sulla libertà religiosa, come «una trilogia molto importante, la cui importanza si è mostrata solo nel corso dei decenni». In effetti Nostra Aetate ha aperto l’orizzonte del mondo cristiano verso gli altri in quanto ‘altri’, ma la sua gestazione, all’interno dei procedimenti conciliari, era stata tutt’altro che facile. Nata da un suggerimento personale a Giovanni XXIII da parte dello storico ebreo francese Jules Isaac, lo schema iniziale era stato affidato dal Papa al card. Bea. Si pensava ad un documento che contribuisse a scongiurare il ripetersi di tragedie come la Shoà ma, dopo lunghe e complesse discussioni, il Concilio arrivò a quelle poche pagine che si rivolgevano a tutte le religioni del mondo. In effetti, attraverso un laborioso e non facile percorso, il documento si apre a tutte le maggiori fedi religiose, con un accento, senza dubbio, particolare nei confronti dell’ebraismo e dell’islam. Nostra Aetate sottolinea come gli ebrei debbano essere presentati in positivo: «non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura». Soprattutto, si esclude la responsabilità collettiva di Israele nella morte di Gesù. Cambia così radicalmente la prospettiva cristiana e cattolica vecchia di secoli, potremmo dire di quasi due millenni. Allo stesso tempo emerge un grande rispetto anche nei confronti dell’Islam. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani – dichiara il documento – e, «se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Come accennato, è chiaro anche il riconoscimento di tradizioni come induismo e buddhismo senza dimenticare le religioni tradizionali. Infatti, vi si afferma che “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”. Quelle che spesso nel corso della storia non erano state riconosciute come religioni erano ora valorizzate dalla tradizione cattolica che riconosceva la presenza di verità e santità anche nelle loro tradizioni.
In questi giorni una grande varietà di eventi vengono celebrati in diverse parti del mondo per riflettere sul valore di Nostra Aetate e sulle conseguenze che essa ha significato nell’incontro fra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. Fra tutti, particolarmente significativo è stato quello tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana ed organizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Per tre giorni, dal 26 al 28 ottobre, circa 400 persone di diverse provenienze sia geografiche che culturali e religiose, hanno vissuto e riflettuto insieme su quanto avvenuto in questi cinquant’anni. Erano presenti rappresentanti di tutte le maggiori religioni del mondo (ebrei, musulmani, indù, giainisti, buddhisti, sikhs, e rappresentanti della Tenri-kyo e delle religioni tradizionali africane). Si è riflettuto su argomenti di grande rilevanza oggi: violenza e impegno per la pace, la sfida della libertà religiosa, educazione e trasmissione dei valori.
Il convegno, aperto dal card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e dal card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, si è concluso con una ricca ed articolata riflessione su ‘Educare alla pace’ da parte del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato. I partecipanti hanno, poi, preso parte all’Udienza in Piazza S. Pietro dove Papa Francesco ha dedicato la sua catechesi proprio a Nostra Aetate proponendo una road-map per il futuro del dialogo, incoraggiando a lavorare insieme per i poveri, per la giustizia e per l’ambiente, senza dimenticare la pace. Al convegno hanno partecipato Rita Mousalem e Roberto Catalano, co-direttori del Centro del Dialogo Interreligioso del Movimento dei Focolari, che hanno portato ai presenti il saluto di Maria Voce e del Movimento e brevemente tracciato i tratti salienti del dialogo dei Focolari, assicurando l’impegno dei membri a continuare a lavorare per l’incontro e l’amicizia fra uomini e donne di diverse fedi. Roberto Catalano (altro…)

Scuola interamericana di Economia di Comunione
Connettere i sogni, diffondere una nuova cultura: un titolo programmatico quello scelto per la Scuola interamericana di Economia di Comunione che si è svolta dal 26 al 31 ottobre nella Mariapoli Ginetta (San Paolo – Brasile), il luogo che, nel 1991, ha visto nascere dall’ispirazione di Chiara Lubich, il progetto EdC. 60 giovani partecipanti provenienti da Paraguay, Argentina, Messico, Guatemala, Cuba, Colombia, Bolivia e Brasile, hanno dato la loro decisa adesione ad avventurarsi nel mondo dell’imprenditoria secondo i principi innovativi presentati dalla fondatrice dei Focolari alla nascita del progetto. A sostegno della realizzazione di sogni e progetti, gli imprenditori presenti hanno dichiarato la loro piena disponibilità ad accompagnare con la propria esperienza questo cammino certo non facile che i giovani intendono intraprendere. La proposta è stata accolta con entusiasmo. Già a conclusione della scuola, ogni studente ha ricevuto dal proprio partner il certificato di partecipazione. È nata così una nuova esperienza di comunione che è stata chiamata “Operazione uno per uno”. Non solo. Maria Clézia Pinto, responsabile dei progetti dell’Anpecom (associazione che coordina le varie iniziative per un’Economia di Comunione in Brasile) ha annunciato l’avvio di un Programma di sostegno economico rivolto a piccole imprese che operano in situazioni di vulnerabilità sociale, offrono prodotti di alimentazione o servizi a favore dell’educazione, salute e abitazioni e ad iniziative tese allo sviluppo umano e sociale a favore delle classi di reddito medio-basso, basso e a quelle più indigenti. Si tratta di un programma ispirato ad iniziative già in atto in altre aree del mondo che offrono finanziamento e benefici vincolati all’adesione alle linee generali dell’EdC.
Nell’invito, chi ha lavorato alla preparazione della scuola aveva scritto rivolgendosi ai coetanei: “Non ci arrendiamo di fronte alle disuguaglianze e ingiustizie sociali”, lanciando una sfida: “E se questa trasformazione cominciasse dal prendere coscienza di che cosa sono povertà, economia, lavoro, relazioni interpersonali”? È stato su questi e altri temi di grande attualità, che si sono svolte tavole rotonde, incontri di gruppo, dove protagonisti erano proprio i giovani, insieme ad esperti ed imprenditori di anni di esperienza. Anouk Grevin, della Commissione Internazionale dell’EdC, nel suo intervento conclusivo, ha confidato che, sin dalla fase preparatoria, viva era l’aspettativa che la Scuola fosse come un laboratorio che potesse aprire nuove strade per l’EdC non solo in America Latina, ma nel mondo. (altro…)

Unity
Unity offers the reader the opportunity to develop a deeper appreciation of the communal aspect of Christian life, and the implications of a communitarian spirituality for the Church and humanity. Available also as an eBook For more information see New City Press (NY)

La questione operaia e il cristianesimo
La questione operaia e il cristianesimo è l’opera più famosa nella storia del pensiero sociale della Chiesa. A scriverla non fu un docente universitario, né un capopopolo proveniente dalle masse lavoratrici, ma l’arcivescovo di Magonza, Wilhelm Emmanuel von Ketteler. La scrisse nel 1864, cioè qualche anno prima che Marx pubblicasse Il capitale. Molte delle tesi contenute in La questione operaia e il cristianesimo confluirono nella Rerum novarum di Leone XIII. Dunque l’opera di Ketteler anticipa tutto e tutti: è prima di Marx, precorre la Rerum novarum, inaugura il filone moderno della dottrina sociale della Chiesa. Come spesso accade, queste pietre miliari del cristianesimo – quando non sono dimenticate – sono più citate che lette. Nel caso di Ketteler, tale risultato è stato favorito dal fatto che l’unica traduzione in italiano di questo volume risale al lontano 1870, e che tale libro è oggi introvabile anche presso le biblioteche! Finalmente ora ne abbiamo una nuova edizione, con una nuova traduzione a cura del Centro Studi Igino Giordani. Non poteva che essere tale Centro Studi a condurre questa operazione impegnativa. Giordani fu tra i grandi divulgatori di Ketteler. Nella prima metà del Ventesimo secolo, egli presentava il pensiero del vescovo di Magonza per spiegare il punto di vista del cristianesimo sulla realtà politica ed economica del suo tempo, soprattutto nei confronti con il socialismo e il liberalismo. La questione operaia e il cristianesimo, infatti, presenta con ordine e precisione la posizione cristiana attorno ai temi della proprietà privata, del lavoro e dello sfruttamento. Pone al centro del discorso la dignità della persona, contro lo sfaldamento sociale preteso dal liberalismo individualista, e l’idolatria dello Stato voluto dal socialismo. In tal senso, l’insegnamento di Ketteler è attualissimo in tempi, come quelli di oggi, in cui di fronte alla globalizzazione si vorrebbe la rottura dei legami comunitari e/o l’assorbimento di ogni cosa nel grande minestrone della mondialità. A cura del Centro Studi Igino Giordani www.iginogiordani.info

Vangelo vissuto: tutti candidati all’unità
Sull’autobus Sul bus 45 che prendo tutti i giorni per andare a lavoro sale un uomo visibilmente di cattivo umore. La gente che se n’è accorta gli fa spazio e si allontana. Io però rimango dove sono e lo aiuto a sistemare i sacchetti di plastica che ha in mano. La mia giornata sembra diventare più luminosa. Un altro giorno, sullo stesso bus, ecco ancora quell’uomo. Appena mi vede, viene subito a salutarmi. E questo continua ad accadere. Basta veramente poco perché l’altro, qualsiasi prossimo che incontro nella mia giornata, si senta accolto e amato. E. M. – Ungheria Tatuaggi In treno, sono seduta accanto a una ragazza e a un ragazzo coperti di tatuaggi dal carattere satanico. La mia propensione a cercare il positivo negli altri mi fa pensare che i due avranno un motivo per esibire certi simboli. Dopo qualche esitazione, mi faccio coraggio e chiedo loro il senso di quei tatuaggi. I loro occhi si accendono. Si alternano nel rispondermi, ma con la stessa dolcezza: «Le siamo grati per questa domanda. In genere la gente ci giudica e nel migliore dei casi finge di non vederci. Non siamo come appare, vogliamo solo dare uno schiaffo a questa società paralizzata e senza midollo spinale». M. I. – Francia Una carrozzina per Jamal Era una domenica pomeriggio. Jamal, un operaio marocchino di mia conoscenza, mi aveva portato delle mele. Parlando con lui, sono venuta a sapere che verso dicembre gli sarebbe nato un figlio. Però non avevano nulla del necessario per questa creatura; soprattutto sarebbe servita una carrozzina. Dopo averlo ascoltato attentamente, mi è venuta un’idea: «Perché non chiediamo noi due insieme aiuto a Dio? Lui è uno per tutti, puoi chiamarlo con un altro nome, ma è sempre Dio. Lui saprà come farci arrivare la carrozzina». A Jamal è piaciuta la proposta. Eravamo nel cortile, all’aperto; abbiamo alzato gli occhi al cielo e abbiamo pregato così: «Signore Dio, abbiamo bisogno di una carrozzina. Pensaci tu». Eravamo un giovane musulmano e una donna cattolica: due fedi diverse, eppure uniti nel chiedere. Dio ha accolto la nostra preghiera: già il giovedì successivo è arrivata in dono la carrozzina richiesta. V. M. – Italia (altro…)
Stati Uniti, la sfida di Caitlin
https://vimeo.com/140569797 (altro…)

Chi sono i santi?

Klaus Hemmerle

Giorno della Riforma
È nello spirito di un fecondo lavoro ecumenico che si è svolto nella cittadina tedesca di Zwochau lo scorso 12 settembre, un incontro a cui hanno partecipato circa 80 cristiani di diverse denominazioni. Già nella sua visita a Zwochau nel 2013 la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, aveva espresso il desiderio di conoscere meglio Martin Lutero e i fedeli luterani; e più di recente, dallo scambio di lettere del maggio scorso tra il cardinale Marx – presidente della conferenza episcopale della chiesa cattolica in Germania – e il vescovo Bedford Strohm – responsabile del consiglio della chiesa evangelica in Germania -, era stata avanzata la proposta di portare avanti iniziative congiunte in vista dei 500 anni dalla Riforma di cui si farà memoria nel 2017. Due i filoni di riflessione pensati per la giornata. Il primo, guidato dal teologo luterano Florian Zobel, ha avuto al centro la figura di Lutero e la sua vita, evidenziandone anche diversi aspetti poco noti e concludendo con le parole di Papa Benedetto XVI, secondo cui “Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso. […] La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? […] Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero”. Il secondo, tenuto dal teologo cattolico e ricercatore su Lutero Hubertus Blaumeiser, è stato incentrato sulla spiritualità del monaco riformatore e, in particolare, sulla “teologia della croce” e il significato di “Riforma” che ne consegue: “Non solamente una trasformazione, un cambiamento o miglioramento secondo i propri piani personali – ha affermato –, ma un nuovo inizio, partendo dalle radici. Vale a dire il ritorno alla Scrittura, […] cioè al vangelo della grazia di Dio e alla nuova scelta di una vita con e per Cristo Crocifisso”. Nel pomeriggio si è poi tenuta una tavola rotonda moderata da Hermann Schweers, con il pastore luterano Axel Meissner di Schkeuditz e con il vescovo emerito Joachim Reinelt di Dresda: numerosi e sentiti sono stati gli interventi del pubblico, toccando temi quali l’importanza del lavoro ecumenico in una società non credente e il significato di Riforma oggi. La giornata si è poi conclusa con una celebrazione ecumenica.

Il Pastore Jens-Martin Kruse. Foto: Harald Krille

Sportmeet nei Balcani: quando lo sport unisce
Può lo sport contribuire a realizzare un mondo più unito? Può essere campo di azione e strumento di unità fra le persone e fra i popoli? Sono alcune delle domande che hanno innescato l’esperienza dei fondatori di Sportmeet, partendo dalla condivisione della comune passione per lo sport. «Non avendo la pretesa di avere la verità in tasca, ci siamo messi a cercare le persone, le esperienze del mondo sportivo che ci potessero aiutare in questo lavoro, da cui in questi anni sono emersi, in sintesi, tre elementi che tratteggiano l’identità di Sportmeet: l’alta considerazione dello sport come fenomeno significativo della società; la capacità e l’obiettivo di riunire le più diverse categorie di persone interessate allo sport; la sfida di coniugare teoria e pratica in un contesto che tiene tendenzialmente separati coloro che studiano e coloro che praticano lo sport». Questi alcuni stralci dell’intervento con cui Paolo Cipolli, presidente di Sportmeet for a United World ha aperto il settimo convegno organizzato dalla rete di Sportmeet a Krizevci (Croazia). Guardare, cioè, lo sport in dialogo con la cultura contemporanea, nella convinzione che può dare un suo contributo specifico, stimolante e positivo alla cultura, alla costruzione di cittadinanza attiva e responsabile.
Un centinaio di partecipanti – presidi, insegnanti di scienze motorie, pedagogisti, atleti, responsabili di club sportivi, arbitri, educatori, studenti universitari, giornalisti sportivi quasi tutti di convinzioni non religiose – provenienti da varie regioni della Croazia e della Serbia, si sono dati appuntamento, dal 2 al 4 ottobre, presso la cittadella “Mariapoli Faro”, in Croazia. Presenti le istituzioni, regionali e locali che hanno patrocinato e finanziato il Convegno, la TV nazionale, la radio locale e l’atleta Branko Zorko, mezzofondista, tre volte campione olimpionico mondiale nella corsa dei 1500 metri, nativo del posto e da tempo in contatto con Sportmeet. Il tema “Tempo libero come risorsa per le giovani generazioni”, ha evidenziato i grandi cambiamenti ed i rischi derivanti dall’uso massiccio di internet e dalla diffusione delle nuove tecnologie, come ha sottolineato con chiarezza ed appassionata preoccupazione Mirna Andrijašević della Facoltà di Scienze Motorie di Zagabria. Alexandar Ivanosky della Facoltà privata di Sport e Salute di Belgrado (Serbia), ha sottolineato l’importanza della presenza degli adulti, chiamati alla sfida di ricercare con i ragazzi un approccio creativo – spesso soli davanti ai potenti stimoli della tecnologia e dei social network -. Milan Čapalija, psichiatra e Majda Fajdetić, pedagogista del Ministero dell’Istruzione di Zagabria, hanno messo in luce metodologie diverse di promozione di un’ azione pedagogica che possa rivalutare il contributo del gioco e dello sport. Diversi laboratori con esperienze di interazione pratica si sono conclusi con un momento di gioco insieme ai ragazzi della scuola media nella graziosa piazza centrale della città. Un banco di prova ed al tempo stesso un occasione per fare esperienza della caratteristica di Sportmeet: il dialogo come risorsa ed opportunità imprescindibile per promuovere una nuova cultura dello sport. A testimoniare il clima di stima e di fiducia cresciuto in questi anni, Alexandar Ivanosky (Serbia) metteva in luce le capacità dello sport croato di eccellere nei giochi di squadra e chiedeva una interazione ancora più stretta per condividere lo spirito di fraternità che anima questo gruppo nei Balcani e non solo. In finale si è annunciata la prossima Summer School 2016 che si svolgerà, dal 14 al 17 luglio, nella stessa città di Krizevci. (altro…)
Roma – Congresso mondiale sull’educazione cattolica
In occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, si svolgerà a Roma il Congresso mondiale “Educare Oggi e Domani. Una passione che si rinnova”, promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. Al Congresso parteciperanno quanti sono coinvolti nella missione educativa nelle scuole e università cattoliche di tutto il mondo. Con uno sguardo globale, si intende riflettere sul contributo che la comunità cristiana può offrire in contesti multiculturali e multireligiosi in rapido cambiamento. L’attuale emergenza educativa e sociale richiede un rinnovamento di proposte formative capaci di trasformare la realtà, alla portata e alle esigenze dei bambini, ragazzi e giovani. Si prevedono relazioni, testimonianze e tavole rotonde con esperti internazionali. Il Convegno è strutturato in tre sessioni:
- la sessione inaugurale (18 Novembre, nell’Aula Paolo VI, Città del Vaticano)
- la sessione centrale, divisa nelle sotto-sezioni: “Scuola e Università” (19-20 Novembre, al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo) e Congresso OIEC (presso l’Auditorium di Via della Conciliazione – Roma)
- la sessione conclusiva (21 Novembre, nell’Aula Paolo VI, Città del Vaticano) con la partecipazione e l’intervento di Papa Francesco.
Nella sessione conclusiva, davanti al Santo Padre, sarà presentata la proposta pedagogica dell’Apprendimento Servizio, approccio che attinge dalla Pedagogia di Comunione di Chiara Lubich alcuni suoi fondamenti filosofici e metodologici, come uno dei percorsi formativi collaudati che la Congregazione per l’Educazione Cattolica consiglierà alle istituzioni educative di tutto il mondo. (altro…)
Istanbul – 34° Convegno Vescovi di Varie Chiese
«Tra un mese riceverò a Costantinopoli i vescovi amici del Movimento»: è lo stesso Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ad annunciare alla stampa il prossimo Convegno di Vescovi di Varie Chiese amici dei Focolari che si svolgerà a Istanbul dal 25 al 30 novembre prossimi. L’occasione dell’annuncio è un’intervista rilasciata subito dopo il conferimento del dottorato honoris causa in Cultura dell’unità il 26 ottobre scorso a Loppiano, da parte dell’Istituto Universitario Sophia. «Avremo una riunione a Halki – continua – nella scuola di teologia e lì avremo l’occasione di ricordare tutti insieme Chiara Lubich e pregare per il riposo della sua anima e per esprimere le nostre esperienze e la nostra volontà di lavorare per l’unità delle Chiese. Noi, come chiesa di Costantinopoli, siamo felici, siamo pronti ad accoglierli, a scambiare le nostre esperienze e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente». (altro…)

Firenze – V° Convegno nazionale ecclesiale della Chiesa italiana
Il Convegno ecclesiale di Firenze, come i precedenti, vuole ritmare una stagione nuova di vita e di missione della Chiesa in Italia. I 2500 delegati di tutte le diocesi della Penisola e i rappresentanti dei Movimenti e delle Associazioni Laicali rifletteranno sulle 5 vie proposte dalla Evangeli Gaudium, come percorsi per una Chiesa in uscita. Più che le prolusioni ed i discorsi che avevano caratterizzato i precedenti convegni l’evento sarà scandito da meditazioni, confronti, dialoghi e preghiera che martedì 10 vedrà giungere a Firenze papa Francesco per incontrare i partecipanti del Convegno e celebrare la Messa allo stadio comunale. Il Papa di prima mattina si recherà invece a Prato, significativa porta d’ingresso al Convegno di Firenze, segnale forte che indica come nel cuore del pontefice sia prioritaria, anche rispetto ai lavori di un convegno ecclesiale, l’urgenza dell’incontro con le persone che abitano le periferie, in questo caso la comunità cinese della “città delle stoffe”. A rappresentare ufficialmente il Movimento dei Focolari saranno presenti tra i convegnisti il copresidente Jesús Morán, e i delegati dei Focolari in Italia Rosalba Poli e Andrea Goller, oltre ad alcune decine di membri del Movimento nominati da Diocesi o da Uffici Pastorali Regionali. Ripercorriamo la Traccia di preparazione al convegno attraverso una sintesi dell’intervento di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari ad una delle tappe di preparazione verso il Convegno, il 15/16 maggio scorso. «La “Traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” ci propone cinque vie, le stesse suggerite da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, declinate attraverso cinque verbi che ci indicano la direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Sono verbi che tratteggiano uno stile, implicano una conversione e chiedono delle scelte e delle prassi forti e chiare. Uscire. Il primo verbo dice lo scatto d’anima e di decisione che oggi ci è chiesto nel vivere la “nuova tappa dell’evangelizzazione” che Papa Francesco fa brillare vivida di fronte a noi come esigenza, la più radicale, per servire l’uomo là dove oggi si trova, nelle “periferie esistenziali” della nostra storia. Questo significa almeno due cose. Per prima cosa – come si legge nella “Traccia” – occorre «liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto». No, il futuro non possiamo né dobbiamo presumere d’averlo già scritto noi. Occorre far spazio, e sino in fondo, all’ascolto della Parola di Dio e delle parole dei nostri contemporanei, che devono risuonare come nostre nei nostri cuori. E per far questo ecco la seconda cosa, che dico con le parole di Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale del Movimento, nel settembre scorso: «…dobbiamo uscire con coraggio “verso di Lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore” (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. (…) serve una spiritualità dell’uscire (…): non rimanere dentro chiusi a quattro mandate. (…) Perché la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo». Il secondo e il terzo verbo – annunciare e abitare – mi piace vederli insieme, strettamente anzi indissolubilmente congiunti. Non si può annunciare, infatti, la gioia che viene dal Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e che si è calato nell’abisso di ogni grido dell’uomo abbandonato (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46), se non abitando la carne e le grida, espresse o tacite, degli uomini e delle donne attorno a noi. Solo gesti e parole, che nascono da questa condivisione e da questa immersione, indirizzano «lo sguardo e i desideri a Dio», al Dio di Gesù, che è Misericordia e libertà. Sono venuto – dichiara Gesù – ad «annunciare il Vangelo ai poveri» (cfr. Lc 4, 18‐21). Per questo ci affascina e ci coinvolge il sogno tenace di papa Francesco: «una Chiesa povera e per i poveri». Di qui il quarto verbo: educare. Esso dice, innanzi tutto, l’urgenza di lasciarci educare, tutti, da Dio come suo Popolo lungo i sentieri impervi e interpellanti della storia. Si tratta di lasciarci forgiare, insieme, da quel nuovo paradigma di umanesimo che scaturisce dalla pasqua di Gesù, il Signore crocifisso e risorto, come convivialità del “noi” in cui «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). E infine il quinto verbo: trasfigurare. Si legge nella “Traccia”: «il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello». Ciò si realizza attraverso la preghiera, dove la Luce trasfigurante di Dio inonda il nostro cuore; e attraverso l’Eucaristia, dove la carne trasfigurata di Gesù si fa nostro cibo per trasformarci in Sé. Ma questa trasfigurazione deve manifestare la sua bellezza e la sua promessa nelle trame tormentate e spesso tortuose della nostra storia». Leggi anche: approfondimento sulla rivista Gen’s sul convegno di Firenze
Protagonisti nel costruire un mondo di pace
Accogliersi l’un l’altro, dalla paura alla fiducia. È il titolo, ma anche l’augurio dell’Assemblea europea di Religioni per la Pace (RfP), l’organismo che riunisce a livello mondiale i leader religiosi per camminare insieme nella ricerca della pace e della giustizia, e di cui Maria Voce è tra i co-presidenti. In questo periodo Religions for Peace è impegnata – tra l’altro – in una campagna mondiale, il progetto Faiths for Earth (Religioni per la Terra). «Un’iniziativa importantissima» – dichiara – perché «l’umanità si trova ad affrontare una sfida a livello planetario e con pochissimo tempo disponibile. Le religioni sono chiamate a scendere in campo ancora una volta, a convincere i potenti delle nazioni ad intervenire. Vedo una provvidenziale sintonia con la lettera enciclica di papa Francesco “Laudato si’”, che ha suscitato un grande interesse mondiale». Nel suo intervento in apertura dei lavori, il 29 ottobre, la presidente dei Focolari ripercorre gli eventi recenti che hanno trasformato il volto dell’Europa. Di fronte all’«oceano di “rifugiati” e profughi senza precedenti», «fenomeno che, numericamente, supera di gran lunga i milioni di senzapatria lasciati dalla Seconda Guerra Mondiale», Maria Voce evidenzia la situazione drammatica che «provoca in noi sempre più sgomento, perplessità, disagio». Tra le cause individuate, anche i «drammatici e discutibili interventi militari che hanno sconvolto intere nazioni del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Africa Sub Sahariana ed altri conflitti ancora in corso. E i Paesi europei non sono certo del tutto incolpevoli di fronte a questi conflitti». Desta preoccupazione «la profonda crisi di identità del continente che impedisce di affrontare in modo coordinato ed unitario queste emergenze» e la costatazione che «spesso queste persone in fuga dalla fame e dalla guerra sono al centro di dispute, suscitano reazioni nazionalistiche» e sono «strumentalizzate per calcoli strategici». Ed ecco che entrano in causa i «credenti, appartenenti alle più varie fedi religiose, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà». «Siamo indubbiamente diversi – afferma Maria Voce – ma restiamo tutti accomunati dallo stesso imperativo, sancito dalla “Regola d’Oro” disseminata e ripetuta in tutte le nostre Scritture: “Fai agli altri ciò che vorresti gli altri facciano a te”! Un riferimento etico e spirituale troppo spesso dimenticato, che Papa Francesco ha proposto come vero paradigma socio-politico nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti».Una Regola che «ci interpella davanti a questi drammi, invitandoci come leaders, come comunità, come individui, ad un impegno comune, concreto, costante, eroico se necessario, per venire incontro alle folle di umanità sofferente». E apre uno spiraglio sul ruolo delle religioni, perché, afferma «proprio la religione, da secoli relegata alla sfera privata della vita degli individui e delle comunità, è ritornata di moda all’interno della vita pubblica dei nostri Paesi», come «protagonista nel costruire un mondo di pace». «Questa è la straordinaria avventura che ci è dato di vivere nei nostri giorni e Religions for Peace è una piattaforma provvidenziale. Ognuno di noi ha un ruolo ben preciso nel suo vasto ingranaggio. Siamo una bellissima comunità internazionale, interculturale ed interreligiosa, resa una famiglia anche e soprattutto dal comune ideale», poggiato su alcuni cardini fondamentali: l’unità nella diversità, la reciprocità nei rapporti, l’uguaglianza nella comune dignità umana. Su questa «solida base» sarà possibile «offrire un contributo efficace per la pace e la riconciliazione in Europa, e porsi «un punto di arrivo, un traguardo, una meta, che si raggiunge dopo un lungo, e spesso faticoso, cammino. E il traguardo è: l’umanità nel disegno di Dio realizzato, cioè la fraternità universale». (altro…)
Intervista al Patriarca Bartolomeo I
Parola di Vita – Novembre 2015
È l’ultima accorata preghiera che Gesù rivolge al Padre. Sa di chiedere la cosa che più gli sta a cuore. Dio infatti ha creato l’umanità come la sua famiglia, con la quale condividere ogni bene, la sua stessa vita divina. Cosa sognano i genitori per i figli se non che si vogliano bene, si aiutino, vivano uniti tra loro? E qual è il loro più grande dispiacere se non quello di vederli divisi per gelosie, interessi economici, fino al punto da arrivare a non parlarsi più? Anche Dio ha sognato da tutta l’eternità la propria famiglia unita nella comunione d’amore dei figli con lui e tra di loro. Il drammatico racconto delle origini ci parla del peccato e della progressiva frantumazione della famiglia umana: come leggiamo nel libro della Genesi l’uomo accusa la donna, Caino uccide il proprio fratello, Lamec si vanta della sua spropositata vendetta, Babele genera l’incomprensione e la dispersione dei popoli… Il progetto di Dio sembra fallito. Egli tuttavia non si dà per vinto e con tenacia persegue la riunificazione della propria famiglia. La storia riparte con Noè, con la scelta di Abramo, con la nascita del popolo eletto; e avanti, fino a quando decide di mandare suo figlio sulla terra affidandogli la grande missione: radunare in una sola famiglia i figli dispersi, raccogliere le pecore smarrite in un solo gregge, abbattere i muri di separazione e le inimicizie tra i popoli per creare un unico popolo nuovo (cf. Ef 2,14-16). Dio non smette di sognare l’unità, per questo Gesù gliela chiede come il dono più grande che egli può implorare per tutti noi: Ti prego, Padre, «Perché tutti siano una sola cosa». Ogni famiglia porta l’impronta dei genitori. Così quella creata da Dio. Dio è Amore non soltanto perché ama la sua creatura, ma è Amore in se stesso, nella reciprocità del dono e della comunione, da parte di ognuna delle tre divine Persone verso le altre. Quando dunque ha creato l’umanità egli l’ha plasmata a sua immagine e somiglianza e vi ha impresso la sua stessa capacità di relazione, in modo che ogni persona viva nel dono scambievole di sé. L’intera frase della preghiera di Gesù che vogliamo vivere questo mese dice infatti: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi». Il modello della nostra unità è niente meno che l’unità esistente tra il Padre e Gesù. Sembra impossibile, tanto essa è profonda. Essa è tuttavia resa possibile da quel come, che significa anche perché: possiamo essere uniti come sono uniti il Padre e Gesù proprio perché ci coinvolgono nella loro stessa unità, ce ne fanno dono. «Perché tutti siano una sola cosa» È proprio questa l’opera di Gesù, fare di tutti noi una cosa sola, come lui lo è con il Padre, una sola famiglia, un solo popolo. Per questo si è fatto uno di noi, si è caricato delle nostre divisioni e dei nostri peccati inchiodandoli sulla croce. Egli stesso ha indicato la strada che avrebbe percorso per portarci all’unità: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Come profetizzato dal sommo sacerdote, «doveva morire (…) per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52). Nel suo mistero di morte e risurrezione, ha riassunto tutto in sé (cf. Ef 1,10), ha ricreato l’unità spezzata dal peccato, ha rifatto la famiglia attorno al Padre e ci ha resi nuovamente fratelli e sorelle tra di noi. La sua missione Gesù l’ha compiuta. Adesso rimane la nostra parte, la nostra adesione, il nostro “sì” alla sua preghiera: «Perché tutti siano una sola cosa» Qual è il nostro contributo all’adempimento di questa preghiera? Innanzitutto farla nostra. Possiamo prestare labbra e cuore a Gesù perché continui a rivolgere queste parole al Padre e ripetere ogni giorno con fiducia la sua preghiera. L’unità è un dono dall’alto, da chiedere con fede, senza stancarci mai. Essa inoltre deve rimanere costantemente in cima ai nostri pensieri e desideri. Se questo è il sogno di Dio vogliamo che sia anche il nostro sogno. tanto in tanto, prima di ogni decisione, di ogni scelta, di ogni azione, potremmo domandarci: serve per costruire l’unità, è il meglio in vista dell’unità? Dovremmo infine correre là dove le disunità sono più evidenti e prenderle su di noi, come ha fatto Gesù. Possono essere attriti in famiglia o tra persone che conosciamo, tensioni che si vivono nel quartiere, disaccordi nell’ambiente dilavoro, in parrocchia, tra le Chiese. Non sfuggire i dissidi e le incomprensioni, non restare indifferenti, ma portarvi il proprio amore fatto di ascolto, di attenzione all’altro, di condivisione del dolore che nasce da quella lacerazione. E soprattutto vivere in unità con quanti sono disponibili a condividere l’ideale di Gesù e la sua preghiera, senza dare peso a malintesi o a divergenze di idee, contenti del “meno perfetto in unità che del più perfetto in disunità”, accettando con gioia le differenze, anzi considerandole una ricchezza per un’unità che non è mai riduzione a uniformità. Sì, questo a volte ci metterà in croce, ma è proprio la strada che Gesù ha scelto per rifare l’unità della famiglia umana, la strada che anche noi vogliamo percorrere con lui. Fabio Ciardi (altro…)

Chiara Luce, un esempio luminoso e attuale
Il musical “Life, love, light”, ispirato alla vita della beata Chiara Luce Badano, è arrivato in Perù: lo scorso 10 ottobre, pochi giorni dopo il quinto anniversario della beatificazione della giovane di Sassello, lo spettacolo è infatti andato in scena a Lima. I giovani peruviani del Movimento dei Focolari già mesi fa erano entrati in contatto con i loro coetanei spagnoli – che avevano portato in scena a Burgos quest’opera nella loro lingua – così da avere i materiali; e grazie alla collaborazione con la Comunità di Villaregia e le Misioneras Identes – dato che, ammettono, “l’opera superava le nostre forze” – ed alcuni professionisti hanno intrapreso la preparazione del musical.
Sono stati 75 i giovani che hanno partecipato alla sua realizzazione, sia dei Focolari che delle altre realtà coinvolte. E non è mancata nemmeno una serie di “fortunate coincidenze” in cui questi ragazzi hanno visto la mano della Provvidenza: dalla disponibilità di una sala con centinaia di posti in un rinomato quartiere di Lima, ai pasti per tutta la squadra arrivati grazie alla generosità di un’aderente al Movimento, alle interviste rilasciate a due canali televisivi – di cui uno ha registrato lo spettacolo per trasmetterlo in differita.
Anche i cinquecento spettatori non hanno fatto mancare la loro generosità: l’ingresso era libero, ma con l’invito ad offrire alimenti a lunga conservazione – che sono arrivati in grande quantità – da destinare alle persone assistite dalla Comunità di Villaregia. Di grande successo infine anche lo spettacolo propriamente detto che, nelle testimonianze dei partecipanti, ha permesso loro di scoprire e valorizzare molti talenti. Toccante soprattutto la testimonianza della madre di una ragazza di 13 anni, colpita da una grave forma di depressione, che ha affermato: “Avete cambiato la vita a mia figlia”.
A chiudere la serata è stato il messaggio inviato dai genitori della giovane beata, Ruggero e Maria Teresa Badano, con i ringraziamenti per quanto realizzato: «La sua tensione alla santità e la fedeltà ai valori del Vangelo di Gesù – scrivono – hanno guidato Chiara Luce anche nei momenti più difficili della sua esistenza, e siamo convinti che saprà ispirarvi. Perché – come ripeteva la sua madre spirituale Chiara Lubich – “Avete una vita sola e vale la pena spenderla bene”». (altro…)
Bartolomeo, io e mio fratello Francesco (Tg2000)

Bartolomeo I: la gioia più grande
«Sono molto contento di essere qui nella cittadella di Loppiano. La ragione è che sono stato nominato dottore honoris causa e sono venuto per la cerimonia. Nello stesso tempo è una bellissima coincidenza: la cittadella di Loppiano celebra 50 anni della sua fondazione da parte di Chiara Lubich, di venerata memoria. Ed io come amico del Movimento dei Focolari partecipo alla gioia di questo anniversario. È normale e naturale che mi senta felice e commosso di avere il primo dottorato honoris causa che l’Istituto universitario Sophia ha voluto conferire a qualcuno. Sono il primo e ne sono felice! Ma la mia gioia e la mia felicità più grande e sentita, più che per il dottorato è per il messaggio che il Papa Francesco, mio fratello molto amato, ha voluto indirizzarmi. Attraverso questo il Papa ha voluto onorarmi ancora una volta. La sua alta persona ha voluto esprimere anche in questa occasione la determinazione di lavorare sempre di più per l’unità delle nostre chiese sorelle. Da parte del Patriarcato ecumenico, sono felice di poter assicurare Sua Santità, e voi tutti che mi ascoltate, della simile determinazione della nostra Chiesa di Costantinopoli per far progredire il dialogo ecumenico in genere, ma particolarmente tra la chiesa ortodossa e la chiesa cattolica. Perché noi siamo delle Chiese sorelle, abbiamo tante cose in comune, siamo molto più vicini che con altre chiese e denominazioni cristiane e perciò dobbiamo avanzare. Questo era il messaggio che il Papa ci ha dato venendo a Costantinopoli l’anno scorso per la nostra festa patronale. Questo è il desiderio comune che abbiamo espresso a Gerusalemme nel maggio 2014 quando ci siamo incontrati in Terra Santa per celebrare e sottolineare il 50° anniversario dell’incontro storico dei nostri predecessori. Già all’inizio del suo Pontificato, quando ho avuto la gioia di essere presente al suo insediamento e abbiamo avuto una mezz’ora di incontro privato, ci siamo detti che dobbiamo lavorare e pregare intensamente per l’unità delle nostre chiese, per la ricomposizione dell’unità del corpo di Cristo che è la Chiesa. Questa sera avverto la sua determinazione, rinnovata attraverso il suo messaggio e mi sento felicissimo! Tornerò a Istanbul più forte, più sicuro che a Roma ho un fratello che desidera tanto lavorare con noi e pregare per far accelerare l’unità delle nostre Chiese». Stiamo avvicinandoci ai 50 anni del primo incontro tra il Patriarca Athenagoras e Chiara Lubich ad Istanbul. Era il 13 giugno 1967… «Uno degli ideali del Movimento dei Focolari è l’unità della Chiesa. Chiara e i suoi collaboratori hanno lavorato molto. Lei ha visitato 23 volte Athenagoras a Costantinopoli. Poi ha incontrato Dimitrios e poi me. Nel 2008, ho visitato Chiara nell’ospedale Gemelli pochi giorni prima della sua morte. Sono sicuro che stasera Chiara è con noi, senz’altro è con noi, con la sua presenza spirituale e con la sua preghiera. Si rallegra con noi e prega per l’unità delle nostre Chiese. Tra un mese riceverò a Costantinopoli i vescovi amici del Movimento. Avremo una riunione a Halki nella scuola di teologia e lì avremo l’occasione di ricordare tutti insieme Chiara e pregare per il riposo della sua anima e per esprimere le nostre esperienze e la nostra volontà di lavorare per l’unità delle Chiese. Noi, come chiesa di Costantinopoli, siamo felici, siamo pronti ad accoglierli, a scambiare le nostre esperienze e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente».https://youtu.be/uZPaxbtD3oY (altro…)

Piero Coda: le parole nuove del Patriarca

Piero Coda, Preside dell’Istituto Universitario Sophia, in occasione della consegna del dottorato h. c. in “Cultura dell’Unità” al Patriarca Bartolomeo I. Foto © CSC Audiovisivi

Bartolomeo I, passione per l’unità
«Tutti i presenti sono stati molto toccati dal sentire questo affetto fraterno che lega il Santo Padre Francesco a Sua Santità il Patriarca Bartolomeo. Il Papa riconosce l’impegno del Patriarca in questo cammino di unità, che definisce comune. Non solo, ma afferma molto coraggiosamente che in questo cammino comune questo riconoscimento costituisce un passo avanti». Lei conosce molto bene il Patriarca, ha vissuto e vive intensamente questo momento di una lunga storia di vicinanza del Movimento dei Focolari con la Chiesa ortodossa e con i Patriarchi. Qual è il suo punto di vista su questa figura e quindi sul significato di questo riconoscimento? «Il Patriarca Bartolomeo è l’erede del grande Patriarca Athenagoras, che aveva veramente questa passione per l’unità, che in lui era quasi una visione profetica ma che non è riuscito a realizzare. Ma questa stessa passione si è trasmessa in particolare al Patriarca Bartolomeo che non manca occasione per sollecitare l’unità nel seno delle Chiese ortodosse proprio per poter parlare insieme, con una voce già in un certo senso sinodale, prima di tutto con la Chiesa di Roma per la quale ha un amore e una stima particolare, così come per Papa Francesco. In tanti modi ci tiene a sottolineare quanto è vivo questo cammino insieme. Mi sembra che siamo veramente in un momento felice perché c’è una spinta che viene dai due capi delle nostre due Chiese e che non può non portare frutto. Ci saranno anche delle resistenze, come ha detto Papa Francesco alla conclusione del Sinodo, però alla fine c’è lo Spirito Santo che aiuta, che spinge sicuramente verso l’unità delle Chiese. Pensiamo che sia un momento felice e che questo riconoscimento sia un passo importante, concreto, in questo cammino». Nel suo discorso, il Patriarca ha detto proprio cos’è l’unità che è diversa da unione, che è diversa da unicità, e ha sottolineato quello che un po’ si chiede all’uomo di oggi: formare una cultura dell’unità nella diversità, diversità come ricchezza, che è un concetto molto presente nel carisma vissuto da Chiara Lubich. Ci può spiegare un po’ meglio come?
«Chiara ci ha sempre ricordato che il cammino delle Chiese è guidato dallo Spirito Santo e che quindi Lui ha sicuramente fatto maturare in ogni Chiesa dei doni che servono all’unità delle Chiese e di tutta la cristianità e che possono servire se vengono messi in comune. Questi doni non appiattiscono ma rispettano le diversità, proprio perché si riconosce in queste diversità una grande ricchezza che non fa altro che rendere più bella la Chiesa, così come Gesù la voleva. Quindi, non un’uniformità, ma una unità nella diversità. Chiara ci diceva che modello altissimo è l’unità che lega la Santissima Trinità, dove il Padre è tale perché non è il Figlio, il Figlio è tale perché non è il Padre ma l’amore che c’è tra il Padre e il Figlio genera addirittura lo Spirito Santo che è terzo in questa dimensione trinitaria, ma è anche primo perché lega il Padre e il Figlio. E può avvenire questo perché ognuna delle tre Persone della Santissima Trinità si perde completamente nell’altra. Anche nel cammino delle chiese si richiede proprio questo, cioè che ognuna sia capace di perdersi completamente nelle altre chiese; che vuol dire donare fino in fondo tutta la propria ricchezza e lasciarsi arricchire anche dalla ricchezza delle altre. Quindi saper essere amore, per costruire quella Chiesa di Cristo in cui ogni cristiano, a qualsiasi comunità ecclesiale appartenga, si senta veramente partecipe del corpo di Cristo». Da questo riconoscimento ci sono prospettive che nascono, che si possono aprire? «Si parlava proprio con il Patriarca di una eventuale possibilità di istituire all’Istituto Universitario Sophia una cattedra che insieme, da parte cattolica e da parte ortodossa, studi le grandi figure di Chiara Lubich e del patriarca Athenagoras e cerchi di cogliere quel contributo che queste figure, nell’incontro dei loro rispettivi carismi, hanno apportato e possono apportare in questo cammino di unità». (Da Radio Vaticana) (altro…)

Bartolomeo I, maestro in Cultura dell’Unità
Ripercorre i rapporti tra le due chiese “sorelle” Bartolomeo I, nella sua lectio magistralis dopo il conferimento del titolo di dottore in Cultura dell’Unità da parte dell’Istituto Universitario Sophia, il 26 ottobre. Rapporti segnati da secoli di incomprensioni e da tempo avviati nel cammino verso l’unità, con la revoca delle reciproche scomuniche e i passi guidati da figure di spicco come Paolo VI e Athenagoras I, di cui Bartolomeo raccoglie oggi l’eredità. È in cammino con Papa Francesco, che di recente ha richiamato proprio il valore della “sinodalità” come elemento chiave per guidare la Chiesa di Cristo, e sono varie le occasioni in cui si è espressa la loro sintonia spirituale. Nel suo messaggio, letto dal card. Betori, Papa Francesco si rivolge “all’amato fratello Bartolomeo” per sottolineare il “cammino comune delle nostre chiese verso la piena e visibile unità, alla quale – scrive – tendiamo con dedizione e perseveranza”. Un messaggio che ha toccato profondamente il cuore del Patriarca, che si è detto “felicissimo” e ha confidato di “tornare a Istanbul più forte, più sicuro”, per il fatto di avere a Roma “un fratello che desidera lavorare con noi e pregare per accelerare l’unità delle nostre chiese”, e al quale risponde inviando il “Bacio di pace” e invocando la preghiera ad multos annos per Papa Francesco. Si respira la storia, quella che ha visto “la mancanza del riconoscimento dell’altro come cristiano”, fino ai “protagonisti della nuova primavera della Chiesa: coloro che dell’unità faranno il centro della propria azione pastorale per il bene di tutti”, con il solo desiderio di “far avanzare le vie di Dio”; e si respira il futuro, quello in cui sia la Chiesa che le istituzioni umane capiranno che “le diversità sono dono e non contrapposizione, ricchezza e non squilibrio, vita e non morte”, come ha detto il Patriarca nel suo discorso. Siamo nella cittadella del Movimento dei Focolari a Loppiano, dove ha sede l’Istituto Universitario Sophia, che con la solenne cerimonia inaugura il suo 8° anno accademico. Per l’eccezionale evento – la presenza di Sua Santità Bartolomeo I – sono presenti, oltre a migliaia di persone, varie delegazioni della Chiesa ortodossa, rappresentanti della Chiesa cattolica, autorità civili, docenti di vari atenei gemellati con Sophia, una comunità musulmana e si registrano oltre 4mila accessi alla diretta internet. Nel riconoscimento attribuito al Patriarca di Costantinopoli, si esprime la gratitudine “per quella tessitura paziente, coraggiosa e operosa di una Cultura dell’Unità”, di cui è “protagonista amato e ascoltato, sulla scena internazionale, nel dialogo in vista della piena unità tra le Chiese, nell’incontro tra diverse tradizioni ed esperienze religiose, nella cooperazione tra donne e uomini di tutte le convinzioni che camminano sui sentieri della fraternità”, così il prof. Piero Coda, Preside dell’Istituto. In un’intervista a margine afferma inoltre – spiegando la cultura dell’unità – che non si tratta di un’utopia, ma di una “ispirazione, attraverso la quale Chiara Lubich ha compreso che il carisma dell’unità, che le era stato donato da Dio, poteva diventare anche espressione culturale: occorrono sempre delle mediazioni, dei paradigmi, come dice papa Francesco, una rivoluzione culturale, per saper incanalare l’esistenza verso nuove frontiere, per questo è nato l’Istituto Universitario Sophia”. Maria Voce, presidente dei Focolari, a nome di tutto il Movimento, esprime, nel suo messaggio al Patriarca la gioia e l’onore di averlo accolto nella cittadella di Loppiano, sottolineando il ruolo di spicco che i Focolari gli attribuiscono come personalità spirituale e intellettuale e il valore della sua testimonianza e dei suoi “richiami alla giustizia e alla salvaguardia dell’ambiente come casa comune dei popoli”. “Il dialogo è la nostra comune priorità”, continua Maria Voce, col desiderio di “proseguire il cammino in piena armonia di ideali e testimonianza di vita”. E una prossima tappa, ricordata da Bartolomeo I in un’intervista a conclusione della cerimonia, sarà a novembre, a Istanbul, dove converranno i vescovi di varie chiese amici dei Focolari: “Lì avremo l’occasione – afferma – per esprimere la nostra volontà di lavorare per l’unità delle nostre Chiese. Noi siamo felici, siamo pronti ad accoglierli e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente”. Unità nella diversità è una delle “parole nuove” che sono state dette e che il preside Piero Coda sottolinea ancora con forza: “il Vangelo non è uniformità, ma valorizzazione delle differenze. Esse sono unità proprio nella misura in cui, scaturendo dall’unica sorgente, si mettono in relazione tra di loro, cioè sanno scoprire reciprocamente i doni di cui ciascuno è portatore. Per cui la diversità è il fiore dell’unità quando è vissuta come relazione, cioè come fraternità, come comunione”. “Ed è proprio dall’accettazione delle diversità – conclude il Patriarca – attraverso il dialogo dell’amore, il reciproco rispetto, l’accoglienza dell’Altro e la nostra disponibilità ad accogliere ed essere accolti, che potremo diventare per il mondo icone di Cristo e come lui, nell’unità, essere anche diversità”.Rivedi la diretta streaming Messaggio di Papa Francesco Comunicato Stampa (altro…)
Sindacalisti per la fratellanza universale
Nella loro “carta etica” si definiscono come coloro che stanno «nelle contraddizioni e nelle difficoltà del tempo presente facendosi carico e condividendo le sofferenze del mondo del lavoro…nell’ottica della fratellanza universale». In questa tensione si possono cogliere i segni di quella necessaria “nuova scuola di pensiero” indicata da Pasquale Foresi (“è la vita che fa capire”), cofondatore del Movimento dei Focolari, che affermava: «il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma è qualcosa d’inerente al nostro essere uomini, e quindi anche un mezzo per conoscere la realtà, per capire la vita». Un metodo visto all’opera con il racconto dell’esperienza dei dipendenti della ex CGlobal di Pisa coinvolti in una delle solite ristrutturazioni e delocalizzazioni di imprese e la storia del fondo sindacale “legami di solidarietà” di Pomigliano d’Arco, a Napoli, nato grazie alla parrocchia San Felice in Pincis, come mutuo aiuto di una comunità che rischia di frantumarsi davanti alla carenza di occupazione dettata dalla divisione internazionale del lavoro guidata dalle società multinazionali. Un quadro completato dall’esposizione di Alberto Botto, segretario generale del sindacato Luz y Fuerza di Rosario in Argentina, sulla resistenza delle organizzazioni dei lavoratori davanti al potere delle dittature militari e delle ricette liberiste di privatizzazione che hanno rischiato di dissolvere il loro Paese.
Di fronte al paradigma “dell’economia che uccide”, citando il Papa, proprio coloro che hanno deciso di agire nel sindacato “per sete di giustizia” stanno sperimentando, in questi anni, la fragilità e i limiti delle loro forme organizzative davanti alla mercificazione della vita intera. La tre giorni ha, perciò, voluto creare un luogo “disarmato” dove ognuno potesse offrire le ragioni profonde del proprio impegno. Una reciprocità che ha visto momenti di esigente dialogo con Maurizio Landini e Marco Bentivogli, segretari nazionali di due sindacati dei metalmeccanici italiani (Fiom Cgil e Fim Cisl), nonché con Giorgio Cremaschi dell’area critica e radicale.
Il programma ha visto il confronto con Cecilia Brighi, per anni per il sindacato nell’organizzazione internazionale del lavoro, e con i docenti Antonio Maria Baggio, Barbara Sena e Alberto Lo Presti che ha presentato l’attualità di un testo fondamentale riedito da Città Nuova (“Questione operaia e cristianesimo”, di Von Ketteler). I lavori del seminario, guidati da Antonella Galluzzi e Stefano Biondi referenti di “made in The World”, e seguiti dai responsabili del dialogo culturale del Movimento dei Focolari, Caterina Mulatero e Joao Manuel Motta, hanno visto la partecipazione della presidente del Movimento, Maria Voce, che ha osservato: «non è vero che manca il lavoro. Dio non ci ha lasciato senza lavoro, basta guardarsi intorno e vedere quante urgenze e necessità ha la comunità civile! Quello che sembra mancare è il denaro. Dov’è finito? Con la corruzione e l’avidità di profitti senza limiti si è creata una frattura tra il lavoro e il denaro, il suo uso». Per questo motivo bisogna «prendersi insieme le piaghe dell’umanità» con la nostra “competenza” che è « la fraternità universale, riconciliare l’uomo con l’uomo». I partecipanti sono partiti con il forte desiderio di condividere quanto hanno vissuto per promuovere spazi di dialogo con altri sindacati. «Abbiamo capito che non siamo soli – ha affermato uno dei sindacalisti argentini –, e che è molto importante rimanere uniti per dare un anima alla lotta sindacale e per portarla a tutti». (altro…)
Dottorato h.c. a Bartolomeo I – diretta streaming
Convinto e attivo protagonista nel cammino ecumenico e nel dialogo tra persone di diverse religioni e promotore di giustizia, pace e rispetto dell’ambiente: sono alcune tra le motivazioni del dottorato Honoris Causa in Cultura dell’unità che lo IUS conferisce a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. È il primo dottorato h.c. del giovane centro accademico fondato da Chiara Lubich, che ha sede a Loppiano, la cittadella dei Focolari vicino Firenze. «Oggi il mondo ha bisogno di figure che cerchino l’unità della famiglia umana – ha spiegato il teologo Piero Coda,preside dell’Istituto Universitario – e il Patriarca svolge un’azione costante e illuminata a servizio di una cultura che mira a riportare la fraternità al centro della storia dell’umanità» […]. Diretta streaming Continua: Bartolomeo I a Loppiano (altro…)
A conclusione del Sinodo sulla famiglia

Papa Francesco con gli uditori laici al Sinodo

Salvare la famiglia con l’amore
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