
Facciamo vedere il mondo unito

Michelle Sopala

https://youtu.be/LX6rNkyGjoE (altro…)
Michelle Sopala
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«Avevo solo 12 anni quando ho conosciuto Chiara Lubich. Se non fosse stato per l’amicizia con lei e per il carisma dell’unità non avrei resistito in un ambiente così fortemente competitivo e pieno di sabbie mobili. Ho un profondo senso di gratitudine per tutti quelli con cui condivido questa sfida». Fernando Muraca, dopo gli studi universitari a Roma, ha iniziato la sua attività come regista e autore di teatro. Dopo il successo ottenuto con la regia di alcune puntate in due serie televisive, l’esordio nel mondo del cinema con la C maiuscola. Tra i suoi lavori più recenti, il coraggioso “La terra dei santi”, intenso film sul ruolo delle donne di mafia calabresi, ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti. A una platea molto attenta Fernando racconta la sua storia: «Una sera mi arriva una mail dal mio amico Giampietro, missionario in Brasile. Tempo prima avevo girato gratuitamente un documentario per raccogliere fondi per la sua comunità, impegnata a salvare donne, uomini e bambini che vivevano sotto i ponti di San Paolo. Nella mail mi chiedeva se ero disposto a lasciare per qualche anno il mio lavoro per documentare quello che stava succedendo lì. La sua missione, ora, si occupava anche di persone cadute nella schiavitù della droga. L’approccio senza pregiudizi, basato sull’amore evangelico, aveva già salvato 10 mila persone destinate a morte certa. Un risultato che doveva essere documentato».
«Nella mail – continua Fernando – Giampietro spiegava un antefatto. Un uomo molto ricco, dopo averlo fatto pedinare e aver scoperto chi era veramente, aveva deciso di offrirgli metà delle sue ricchezze. Giampietro non poteva accettare, aveva fatto voto di povertà. Ma aveva un desiderio: che io andassi in Brasile a documentare il lavoro della missione. Così quell’uomo si era offerto di pagare tutte le spese, comprese le bollette di casa durante la mia assenza». Sorride Fernando: «Sembra un film, lo so, ma è accaduto davvero». E continua: «Ne ho parlato con mia moglie e i nostri figli. Si trattava di lasciare il mio lavoro per due o tre anni, uscire dal giro, mettere a rischio la mia carriera, e mia moglie avrebbe dovuto mandare avanti la famiglia da sola durante la mia assenza. Lei rispose che era pronta a questo sacrificio, se era utile a rendere visibili le sofferenze di quelle persone. E il più grande dei figli: “Papà, non possiamo girarci dall’altra parte”. Anche i miei amici mi hanno incoraggiato ad accettare. Stava per uscire nelle sale il mio film, e io dovevo partire dopo 15 giorni. Una follia. Il lungometraggio aveva una piccola distribuzione. Senza la mia presenza a promuoverlo forse sarebbe morto e avrei bruciato la mia unica chance di carriera nel cinema. Ma la risposta di mio figlio, Non possiamo girarci dall’altra parte, fu decisiva per me».
«A San Paolo, documentare la vita di persone che vivevano sotto i ponti era all’inizio quasi impossibile. Odiavano essere fotografate, figuriamoci filmate! Per far capire che non volevo approfittare della loro immagine dovevo fare come i missionari. Ho cominciato a dormire anch’io sotto i ponti, a condividere la loro giornata, e così hanno accettato. Dopo un mese sono tornato in Italia per staccare un po’. L’impatto era stato duro. Dovevo ragionare sul materiale che stavo girando e riorganizzare un nuovo viaggio più lungo. Intanto in Italia era successo quello che tutti avevano previsto. Senza soldi per la promozione e senza la presenza del regista, il mio film stava velocemente sparendo dalle sale.
Poi un fatto imprevisto. A Roma, all’ultimo giorno di proiezione si presenta un importante critico cinematografico. Il giorno dopo, su un quotidiano nazionale, sia nell’edizione on line che su quella cartacea, escono due recensioni molto positive. Il film inizia a essere invitato ai festival, in Italia e all’estero. Vince molti premi, alcuni prestigiosi. Da allora sono passati tre anni. Terminato il lavoro in Brasile, ho ripreso le fila della mia vita. Non ho girato altri film, ma ne ho diversi in cantiere, su argomenti che prima non avevo il coraggio di affrontare. Ho scritto due romanzi e un saggio sull’esperienza di “incarnazione” dei miei ideali nell’arte. Ho maturato anche il progetto di dedicarmi ai giovani. In questo “mestiere” c’è bisogno di conforto e incoraggiamento. E di punti di riferimento». Chiara Favotti (altro…)
Nell’anno del 50° del Gen Verde, la band internazionale ha pubblicato TURN IT UP! «Un invito – dicono – ad “alzare il volume dell’unità”. E ciò richiede un amore concreto, universale e che sa prendere l’iniziativa». L’idea ha viaggiato insieme al gruppo per il mondo, è riecheggiata nelle piazze, nelle scuole e nelle case. Ha contagiato tanti ed è diventato un impegno di vita. «Ora che l’anno si chiude – aggiungono le artiste – l’idea ci ritorna “vestita di mille colori”, cantata da innumerevoli voci, danzata con la fantasia di popoli diversi. Sono 465 ragazzi e ragazze, di 31 città, di 21 Paesi dei 5 continenti, i protagonisti del video montaggio TURN IT UP!, con la loro passione, entusiasmo e gioia». https://youtu.be/DKoodP6IYqg?t=40 (altro…)
È in corso il tour brasiliano del complesso musicale Gen Rosso Ogni vita ha una speranza, organizzato dalla Fazenda da Esperança. Dopo una prima tappa a Joinville, nello Stato di Santa Caterina, il tour sta ora proseguendo nel Centro e nel Nord del Paese. Joinville, dieci ore di pullman da San Paolo, è una città moderna, punto di riferimento per tutti gli amanti del ballo, non solo sudamericano. Fuori da Mosca, è l’unica al mondo ad ospitare una scuola del Teatro Bolshoi, dove si insegna con l’antico metodo russo. Nella città della danza, dal 24 settembre al 1° ottobre scorso, nove tra ballerini e ballerine del Bolshoi e altri quattro della scuola del Centro di Cultura hanno contribuito alla realizzazione del musical. Streetlight è un progetto originale, che coinvolge sulla scena oltre 200 giovani con problemi di dipendenza dalla droga. Tre giorni di intenso lavoro, imparando e limando passi e musica, fianco a fianco artisti e ragazzi, all’insegna del motto uno per l’altro. Al termine, il sipario si alza e lo spettacolo va in scena. Non un lavoro “per” i giovani, ma “con” i giovani, come evidenziato da TV Globo – l’emittente televisiva più seguita in Brasile – che ha dedicato al progetto spot e interviste. Parallelamente, un workshop dedicato agli educatori e agli operatori sociali che operano in città affronta tematiche riguardanti i processi psicologici, sociali e famigliari legati al recupero dalle varie forme di dipendenza.
Padre Luiz, attuale presidente della Fazenda, insieme ad Angelucia, Nelson e Iracì, tra i pionieri della “fabbrica” di speranza che dal Brasile si è diffusa in tutta l’America Latina, nelle Filippine, in Africa, in Russia e nel Centro Europa, lavorano fianco a fianco con il Gen Rosso, che per l’occasione si presenta con una compagine allargata, che coinvolge anche altri membri della comunità del Focolare del posto. Tra i giovani coinvolti sulla scena, l’entusiasmo è alle stelle. «Vale la pena cercare di superare i propri limiti! Ringrazio la Fazenda per averci dato questa opportunità di lavorare con il Gen Rosso». Coinvolto dalla musica e dal ritmo, un ragazzo, in passato a capo di una gang violenta, osserva: «L’adrenalina che provavo quando facevo del male per me era il massimo. Ma ho visto che si può essere ancora più felici quando si fa il bene, senza droga né alcol. Per me è una novità».
William, della scuola del Bolshoi: «Ho imparato che si può ballare, oltre che con la tecnica e la disciplina, anche con il cuore. Una esperienza gioiosa e al tempo stesso armoniosa che si esprime anche con il sorriso». Una ballerina del Centro di Cultura: «La nostra professionalità si è incontrata con la forza dell’esperienza di vita di molti giovani: una sorpresa per me e un miracolo dell’arte uno per l’altro». Anche dal pubblico arrivano commenti di sorpresa ed entusiasmo: «Ho visto coinvolta tutta la città». «È arte che si fa servizio alla società». «Avete rinforzato l’unità tra le diverse comunità civili. Una esperienza molto preziosa che dobbiamo proseguire in futuro». Intanto, dopo il concerto, in ogni città toccata dal tour, il gruppo di lavoro, costituito per connettere tra loro le varie istituzioni sociali che si occupano di formazione e recupero dalla droga e dalle dipendenze, si consolida e rafforza. Perché non si spengano le luci accese sulla strada. Video di Streetlight (altro…)
Un mese all’insegna del dialogo, dell’incontro e della riscoperta del valore dell’”altro”. In un Paese dalla forte connotazione multietnica, il ritmo e la musica hanno avuto un potere coagulante. Il 9 settembre, nella cittadina di Stadthagen, regione della Bassa Sassonia, in occasione dei festeggiamenti per il giubileo della Riforma, il Gen Verde (22 le componenti, provenienti da 14 diversi paesi) ha portato una nota di internazionalità con lo spettacolo On the Other Side. Un viaggio da una parte all’altra del pianeta attraverso il racconto di storie personali o di un intero popolo, per mettere in luce la ricchezza della diversità e il potenziale di chiunque si trovi “dall’altra parte”. Il 15 settembre, a Boppard, nella locale Fazenda da Esperança, comunità che sfida la tossicodipendenza nella prospettiva di una rinascita, il concerto La vita LIVE è diventato occasione di incontro personale tra le componenti della band e le esperienze dei giovani. L’opportunità per capire che ciascuno può fare un piccolo ma grandissimo passo per cambiare qualcosa e per scoprirsi tutti fratelli.
Nei giorni successivi, la tipica “cifra” artistica del Gen Verde ha trovato espressione nel laboratorio Start Now: un workshop intenso, della durata di cinque giorni in ciascuna delle tre tappe, lavorando fianco a fianco con gruppi di ragazzi e giovani. Durante il processo creativo, che si rinnova ogni volta in maniera nuova e imprevedibile, i ragazzi lavorano in squadra sviluppando i propri talenti e potenzialità, coprotagonisti di una avvincente esperienza creativa basata sull’ascolto reciproco e la trasparenza. Dopo due giorni di intenso lavoro, sorretti dalla fiducia e dal rispetto del gruppo, i ragazzi si esibiscono insieme alla band durante lo spettacolo finale, in un crescendo di emozioni.
Tre le tappe del laboratorio-spettacolo: a Dortmund, dove il gruppo ha lavorato insieme a 170 ragazzi, a Duderstadt, con gli studenti di tre scuole, tra cui un folto numero di immigrati, e infine a Mannheim, con donne e uomini ospiti di un enorme campo profughi. In ogni città, durante lo spettacolo finale, si è ripetuto, con caratteristiche diverse, lo stesso miracolo: cambiamenti di vita, atmosfera di profonda fraternità, coinvolgimento anche di chi era inizialmente restio. «È incredibile quello che si può fare in due giorni!» ha esclamato ancora incredula una ragazza. E un giovane: «Gli errori non ci hanno bloccato, anzi siamo stati incoraggiati ad andare avanti». In particolare nella tappa di Mannheim, il Gen Verde ha incontrato persone che hanno patito dolori strazianti, subito atrocità, perso tutto. Raccontano le componenti del gruppo: «Siamo andate a trovarli dove vivono, ci hanno fatto dono delle loro storie. Durante la serata, nella canzone “Chi piange per te”, in tanti hanno ritrovato squarci di tragedie vissute». E le parole “No one is a stranger to me” (nessuno è straniero) non sono mai risuonate così vere. Fotogallery
https://vimeo.com/236654355 (altro…)