Ago 21, 2017 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Eugene è un ingegnere, Ann un tecnico informatico. «Ma – precisa lei – dopo 10 anni di brillante carriera ho deciso di dedicarmi completamente al nostro progetto di famiglia. Subito dopo questa decisione, l’attesa di un bambino ci ha riempito di gioia». A novembre 2009 la felicità per la nascita di Erin dura poco. Dopo due settimane, il 6 dicembre, notando una certa difficoltà a nutrirla, decidono di portare la piccola in ospedale. Dopo alcuni accertamenti, la diagnosi parla di sepsi neonatale e meningite, potenzialmente letale. Eugene e Ann rivivono quei momenti con commozione. «Era il 7 dicembre – ricorda Eugene – il mattino presto abbiamo rinnovato il nostro “sì” alla volontà di Dio. Subito dopo il medico ci informa che l’infezione era in uno stadio avanzato e la bambina in condizioni critiche. Il pomeriggio, Erin ha ricevuto il battesimo». Il giorno dopo, il battito è debole, gli occhi insensibili alla luce. I medici consigliano di trasferirla in un ospedale più attrezzato, e più costoso. Sempre Eugene: «Ann mi ha aiutato a compiere un atto di fede, accettando di fare tutto e di preoccuparci delle spese in seguito. Ho chiesto a Dio: “Perché?”. In ambulanza cercavo di stimolarla, accarezzandola e cantandole la ninna nanna. Il battito stava cessando. Ma in fondo continuavamo a credere che ci fosse una ragione, anche se incomprensibile. Ancora una volta pronunciamo il nostro “sì”. Al pronto soccorso, vedendo il suo corpicino pieno di aghi e tubicini, non potevamo non piangere, rendendoci conto della gravità della situazione. Era l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione di Maria. Nella cappella dell’ospedale Le affidiamo la nostra piccola». Ann: «La situazione era critica, l’infezione sembrava aver raggiunto il cervello. In passato, ci dicono i medici, altri pazienti in analoghe condizioni non erano sopravvissuti o erano rimasti handicappati. Ci restava solo da sperare e pregare. Ancora prove, trasfusioni, ulteriori esami. Erin sembrava un piccolo Gesù crocifisso, sofferente e impotente. Potevamo solo stare anche noi “ai piedi della croce”, come Maria».
Riprende Eugene: «Ci guardavamo, assicurandoci l’un l’altro il nostro amore e il desiderio di restare uniti. Quella notte, ci siamo chiesti se fossimo davvero pronti a qualsiasi cosa. Ann si ricordò di Abramo, pronto a sacrificare il figlio Isacco. E di Giobbe, fedele anche quando aveva perso tutto: “Il Signore dà, il Signore prende”. Erin non era nostra, apparteneva a Dio». Ann si illumina: «Con il passare dei giorni, notavamo però dei miglioramenti. Erin rispondeva bene alle cure. Un esame approfondito rivelò che l’attività cerebrale era normale, nonostante la gravità dell’infezione. Presto i medici e gli infermieri lo definirono un piccolo miracolo. Giorno dopo giorno, diventava sempre più forte, una piccola donna che combatteva coraggiosamente per vivere. Grazie a lei, abbiamo imparato che “essere” è più importante di “avere” o “fare”. Ci stava insegnando la vita». Eugene: « In ospedale abbiamo trascorso il nostro primo Natale in tre. In mezzo a tante incertezze ci siamo ricordati quello che Chiara Lubich aveva detto: “Solo Dio è fonte di gioia e di felicità piena”. Ci sostenevano la presenza di Gesù in mezzo a noi, la comunità dei Focolari, la famiglia e gli amici. Dopo 23 giorni siamo tornati a casa. Erin era guarita del tutto». Conclude Ann: «Come tutti, abbiamo anche noi le nostre preoccupazioni. Ma sappiamo che le nostre figlie appartengono prima di tutto a Dio. Compito di noi genitori è accompagnarli nella scoperta del disegno che Dio ha su di loro». Mentre parlano, Erin, vivacissima, gioca allegra con la sorellina Anica. 7 e 5 anni di gioia e spensieratezza. (altro…)
Lug 19, 2017 | Chiara Lubich, Famiglie, Focolari nel Mondo, Sociale, Spiritualità

Chiara Lubich con Anna Maria e Danilo Zanzucchi, e Gianna Fumagalli. Foto CSC Audiovisivi
Mentre si svolgeva la prima Scuola dei focolarini sposati, Chiara Lubich, parafrasando un’espressione che il giorno prima, all’udienza generale, Paolo VI aveva rivolto ai giovani dei Focolari, annunciò che in quella data (19 luglio 1967) in seno ai Focolari sarebbe nato “un Movimento esplosivo, apostolico e diffusivo” per il mondo della famiglia. A distanza di 50 anni si può ben dire che quelle parole, con la loro vita, le Famiglie Nuove le hanno davvero portate a concretezza. In questi anni infatti, coppie di sposi, fidanzati, e quanti hanno a che fare col mondo della famiglia, a contatto con il carisma dell’unità hanno visto rinvigorire il loro amore reciproco da quell’amore che attinge al Vangelo, trasformandolo in testimonianza dell’amore di Dio per l’umanità. Un amore che ha generato, come conseguenza, la diffusione del Movimento nella maggior parte dei Paesi del mondo, fino alle isole Fiji (Oceano Pacifico). Nel video-collage che qui proponiamo, realizzato nel 2007 (a 40 anni dall’inizio di Famiglie Nuove), le parole di Chiara risuonano più che mai un’attuale, luminosa risposta alle necessità della famiglia di oggi, in linea profetica con l’esortazione “Amoris Laetitia”. Non sono solo parole le sue. Sono il frutto della vita di una moltitudine di famiglie che nella loro quotidiana testimonianza di unità e nell’attuazione di un centinaio di progetti di cooperazione internazionale e di sostegno a distanza, contribuiscono al rinnovamento della società e alla realizzazione del testamento di Gesù: “Che tutti siano una cosa sola”. https://vimeo.com/225160629 (altro…)
Lug 10, 2017 | Famiglie, Focolare Worldwide, Focolari nel Mondo, Nuove Generazioni, Sociale, Spiritualità
«Il mio Paese, il Libano, per molti anni è stato sotto il controllo della Siria. Per questo motivo tra i due Paesi si è sviluppata una forte tensione, peggiorata dall’arrivo di un gran numero di rifugiati siriani, circa due milioni di persone su quattro milioni e mezzo di abitanti, quasi la metà della popolazione. All’inizio della guerra in Siria, alcune famiglie della comunità dei Focolari di Aleppo erano venute in Libano per allontanarsi per qualche tempo dalla guerra. In seguito, essendo peggiorata la situazione nel loro Paese, non sono più potute tornare in patria e sono state accolte in un centro del Movimento. Nel clima di ostilità generale che li circondava, aiutarli era una scelta decisamente contro corrente, che richiedeva da parte nostra lo sforzo di cancellare tutti i pregiudizi che il popolo libanese nutriva nei confronti dei siriani. Volevamo testimoniare la pace e l’amore tra noi. Abbiamo cominciato a visitarli, costruendo con loro un forte legame. Genitori, giovani e bambini, tutti ci siamo impegnati perché queste famiglie non si sentissero sole in un momento così difficile. Trascorrevamo le giornate insieme, organizzando serate, cercando di alleggerire le loro angosce, capirli e ascoltarli. Non potevamo risolvere i problemi degli Stati, ma potevamo almeno costruire delle oasi di pace intorno a noi. Non avevano nulla, erano arrivati senza poter portare con sé oggetti o vestiti. Abbiamo fatto tra noi una comunione dei beni, raccogliendo soprattutto vestiario, che abbiamo offerto con delicatezza, non era facile per loro accettare un aiuto materiale. Le loro condizioni di vita erano dure. Erano senza lavoro, in terra nemica, spesso in attesa di notizie dei loro parenti o amici. Noi giovani siamo andati insieme sulla spiaggia, per cercare di allentare l’atmosfera di tensione. Spesso. Abbiamo cominciato a frequentarci, a trascorrere insieme molto tempo, anche a leggere con loro la parola di vita, per condividere le nostre vite e le esperienze. Abbiamo cominciato a sentirci parte di un’unica famiglia. Un anno più tardi, queste famiglie hanno dovuto iniziare a cercare casa. Erano angosciate e con grosse difficoltà finanziarie. Ma abbiamo creduto insieme alla provvidenza di Dio. Cercando con loro case e lavoro, eravamo consapevoli delle difficoltà cui saremmo andati incontro. Entravamo nelle case per cercare un alloggio “per i nostri amici siriani” e ricevevamo in cambio reazioni molto dure. Ad esempio, i proprietari degli appartamenti ci proponevano degli affitti eccessivamente costosi, per non riceverli. Prima di lasciare il centro, l’ultimo giorno, un’unica famiglia non aveva ancora trovato né casa, né mobili. Una di noi ci ha ricordato che dovevamo avere fiducia nell’intervento di Dio. Con nostra grande gioia, il giorno dopo, abbiamo trovato gratuitamente una casa e un’altra persona che doveva traslocare ha regalato tutti i suoi mobili. Abbiamo anche trovato delle scuole semi gratuite per i loro figli. Con un gruppo di insegnanti abbiamo avviato una scuola di francese, che ha permesso ai bambini delle famiglie siriane di iniziare a frequentare la scuola. Ora tutte queste famiglie hanno lasciato il Libano e si sono trasferite in Canada, Belgio, Olanda. Ci hanno scritto per dire che in Libano si sono sentiti sostenuti, a casa. Una famiglia ha detto: «Senza il sostegno delle famiglie libanesi non avremmo mai potuto ricominciare tutto daccapo così facilmente». Quando sono partite, hanno lasciato quello che avevano per le famiglie che sarebbero arrivate dopo. Adesso disponiamo di tre alloggi che usiamo per aiutare le famiglie siriane e irachene di passaggio in Libano per emigrare, cercando di essere sempre disponibili ad amarli e a custodire questa relazione di pace». (altro…)
Giu 16, 2017 | Cultura, Ecumenismo, Famiglie, Focolari nel Mondo, Senza categoria, Spiritualità
Quando abbiamo cominciato a frequentarci eravamo ben coscienti delle differenze che esistevano fra noi, soprattutto in materia di dottrina. Sentivamo però che il nostro amore era più forte di ogni differenza: questo ci dava l’ardire di credere che dietro al nostro matrimonio poteva esserci un disegno di unità che andava oltre noi due. Fin da ragazzi, con la spiritualità dei Focolari avevamo imparato che per raggiungere l’unità occorre puntare a ciò che ci unisce – che è tantissimo –, anziché guardare a quello che ci divide. Ciononostante, quando la domenica ognuno di noi prende una strada diversa per andare a Messa, è sempre un dolore, quello stesso che avvertiamo quando involontariamente nei nostri discorsi viene fuori il “noi” e il “voi”, o quando a ciascuno viene da criticare qualcosa della Chiesa dell’altro. In questi casi ci rendiamo conto che niente è costruito una volta per tutte e che, fra le tante occasioni per far crescere l’amore tra noi, deve esserci l’impegno di amare la Chiesa dell’altro come la propria. Un’altra chance tipica di noi coppie ‘miste’ è di offrire a Dio le piccole o grandi disunità che ci fanno soffrire, per la piena unità dei cristiani. A volte, proprio per vivere anche in modo visibile l’unità fra noi e nella nostra famiglia, decidiamo di andare tutti insieme nell’una o nell’altra chiesa, condividendo anche certe pratiche spirituali, come, ad esempio il digiuno. Un momento significativo è stato il battesimo della nostra prima figlia. Avevamo discusso a lungo e per diverso tempo, ma non riuscivamo a decidere quale fosse la cosa più giusta: il battesimo cattolico o quello ortodosso. Ovviamente, il valore del sacramento è uguale in entrambe le Chiese, ma le conseguenze sarebbero state profondamente diverse. Hani, infatti, è diacono ed era già stato temporaneamente allontanato dalla sua Chiesa a causa del matrimonio celebrato con rito cattolico-misto. Il battesimo cattolico della figlia lo avrebbe messo in seria difficoltà e non riuscivamo a prendere una decisione. Liliana allora ha deciso di andare a spiegare la situazione al suo vescovo, il quale, dopo averla ascoltata fino in fondo, le ha assicurato che egli avrebbe capito e appoggiato qualsiasi decisione avessimo preso secondo la nostra coscienza. In questa, come in mille altre occasioni, non si è trattato e non si tratta di trovare dei compromessi, ma di cercare di cogliere qual è la volontà di Dio nelle varie situazioni. È chiaro che tutto ciò costa una fatica supplementare, costa sudore, anche con i figli, che da piccoli non capivano perché potevano ricevere l’Eucaristia nella chiesa ortodossa, ma non in quella cattolica. Infatti, nella Chiesa ortodossa, insieme al battesimo, vengono somministrati anche i sacramenti della comunione e della cresima. Un periodo piuttosto difficile è stato quando la più grande dei nostri figli aveva circa 15 anni. Lei iniziava, con una certa aggressività, a chiedere autonomia ma noi non eravamo preparati a questo suo repentino cambiamento. Le liti, anche molto accese, erano praticamente quotidiane. Cercavamo di proteggerla da alcune situazioni che ritenevamo a rischio ma, più le stavamo addosso, più lei si ribellava. Non è stato facile anche tra di noi, perché spesso il modo in cui ciascuno dei due affrontava la situazione non era condiviso. In tutta questa confusione, abbiamo sempre cercato di mantenere alcuni punti che ci sembravano importanti, come la preghiera tutti insieme, oppure l’umiltà di chiederci scusa, anche con i ragazzi. Ad un certo momento abbiamo capito chiaramente che prima di tutto dovevamo puntare all’unità tra noi due. Fatto questo passo, insieme abbiamo trovato la luce per decidere di darle fiducia. La situazione in casa è migliorata, a conferma che anche nel matrimonio ‘misto’ i due sposi hanno la possibilità di essere “una sola cosa in Dio” e dare questa testimonianza ai figli e al mondo circostante. (altro…)
Giu 14, 2017 | Famiglie, Focolari nel Mondo, Spiritualità

Škofja Loka
Damijan e Natalija abitano a Škofja Loka, una piccola città nel nord ovest della Slovenia, a una ventina di chilometri dalla capitale Lubiana. Sono sposati da 12 anni e hanno 4 figli, dai 4 agli 11 anni. Dialogando con loro, Natalija e Damijan si alternano con naturalezza. «Fin dall’inizio del nostro cammino insieme – comincia lei – abbiamo voluto metter Dio al primo posto. Per noi questo significa perdonare, ricominciare sempre dopo ogni battuta d’arresto, amare per primi e tutti. Vuol dire anche che quando è dura, e siamo stanchi, proviamo a non aspettarci nulla dall’altro, ma sapendo che possiamo sempre contare l’uno sull’altra». E l’educazione dei figli? Damijan spiega: «Ai bambini cerchiamo di dare valori solidi per la vita. Questo richiede da un lato una grande pazienza e perseveranza nell’amore, dall’altro di avere una linea chiara, di decidere cosa è bianco e cosa è nero, anche se a volte questo porta alla loro insoddisfazione o alla loro rivolta. Ci sembra importante che i nostri figli siano il più possibile autonomi e indipendenti. Li coinvolgiamo nei lavori di casa (cucinare, pulire, stirare, sistemare il bucato, ecc.). All’inizio è tutto molto interessante, quasi un gioco. Poi, quando il lavoro deve essere fatto con regolarità, qualcosa sempre si blocca. Ma loro sanno che, se ci aiutiamo tutti, finiamo prima e rimane più tempo per giocare, uscire e fare tutte quelle cose che, come loro dicono, non sono “lavorare”».
«Un anno e mezzo fa – è Natalija a raccontare – abbiamo portato il più piccolo, Lovro, a una visita. La diagnosi è stata: sindrome da deficit di attenzione. Da pedagoga ed ex insegnante, mi sono passati davanti agli occhi tutti i bambini con questo tipo di problemi e le grandi difficoltà che accompagnano questa diagnosi. Spaventata sono ritornata all’asilo “Raggio di Sole” dove, allora, lavoravamo sia io che Damijan. Appena mi ha visto, ha capito che qualcosa non andava. Quello stesso giorno abbiamo parlato a lungo. Ci era chiaro che per stare accanto a Lovro era necessario che uno di noi due lasciasse il lavoro». Damijan: «Considerando il mutuo e la famiglia numerosa, uno stipendio solo non era sufficiente. Abbiamo esplorato tutte le possibili soluzioni finanziarie ma, nonostante umanamente l’incertezza la facesse da padrona, ci sembrava la cosa giusta da fare. Sicuramente Dio non ci avrebbe abbandonato. Abbiamo scritto una lettera ai colleghi di lavoro, che hanno capito e ci hanno sostenuto. Non potevamo immaginare il seguito. Una settimana dopo, mia mamma ha avuto un ictus ed è rimasta paralizzata, quindi abbiamo cominciato a prenderci cura anche di lei, anche se all’inizio era sufficiente farla sedere e portarle da mangiare, perché era ancora in grado di mangiare da sola. Ma dopo due mesi, un secondo ictus l’ha portata alla cecità e a problemi di demenza. Aveva bisogno di attenzioni e cure sempre maggiori. Abbiamo deciso di non portarla in un ospizio, ma di tenerla con noi, fino al suo ultimo respiro. Intanto, anche se non potevamo dedicargli molto tempo, Lovro andava migliorando. In tutto questo tempo, anche se con un solo stipendio, possiamo dire con certezza che nemmeno per un istante abbiamo avuto la sensazione che ci mancasse qualcosa. Abbiamo fatto delle rinunce, ma non le abbiamo vissute come una privazione. Piuttosto, ci siamo resi conto che è stato importante per i bambini rendersi conto da vicino della situazione in casa e prendersi cura della nonna. Hanno sperimentato cosa significa dare vero amore al prossimo. E noi abbiamo capito che Dio è davvero grande: se lo lasciamo agire e ci fidiamo, è Lui che ci guida». Natalija: «Dopo la morte della mamma di Damijan, avvenuta nel mese di luglio, ci siamo resi conto che sarebbe stato meglio per noi se Damijan continuava a restare a casa. In questo modo la mattina si può dedicare totalmente a Lovro, con risultati evidenti. Quando io torno, trovo il pranzo pronto e posso affrontare il resto della giornata con maggiore calma e serenità». (altro…)