Nel luglio 2008 si è tenuta la prima Assemblea Generale del Movimento dei Focolari senza la fondatrice. In effetti, Chiara Lubich ci aveva lasciato pochi mesi prima, il 14 marzo. Un’incognita aleggiava nell’atmosfera già densa di emozioni e interrogativi: chi avrebbe dovuto succedere a Chiara alla guida del Movimento? Sembrava ovvio pensare alle prime compagne di Chiara, ormai anziane, ma ancora in grado di guidare una prima fase post-fondativa, almeno alcune di loro.
Durante la prima sessione dell’Assemblea, Carlos Clariá, avvocato argentino, consigliere generale, e María Voce, per molti anni segretaria della delegata centrale Gisella Cagliari, hanno tenuto un discorso di carattere giuridico su un tema rilevante per l’Assemblea. Ricordo che ero seduto accanto al noto teologo Piero Coda. Quando hanno concluso il loro intervento, gli ho detto con una certa sfrontatezza: «Ecco la nostra nuova presidente». La verità è che il modo in cui aveva spiegato le cose mi aveva impressionato molto.
Maria Voce (Emmaus) è stata eletta al terzo scrutinio, non senza una certa “suspense”. Iniziava una nuova tappa per l’Opera di Maria. Anche io sono stato eletto come consigliere.
Un pomeriggio, dopo le elezioni, mentre uscivamo dal Centro Mariapoli di Castelgandolfo, Emmaus mi si avvicinò e mi disse più o meno queste parole: «Ho pensato di affidarti la cura degli studi e la cultura nel nuovo consiglio. Sei un uomo di pensiero e mi sono sempre piaciuti i report annuali che facevi quando eri responsabile regionale in America Latina». Durante i sei anni seguenti, il rapporto con lei è stato caratterizzato dalla normalità.
Nell’Assemblea del 2014 Emmaus è stata rieletta, mentre i partecipanti hanno riposto la loro fiducia in me come Copresidente. Da quel momento il rapporto si è intensificato enormemente, senza perdere la sua normalità. Ricordo che all’inizio provavo una certa apprensione all’idea di dover lavorare fianco a fianco con una presidente che apparteneva alla generazione immediatamente successiva a quella della prima ora, ma questa sensazione è durata poco. Ho sempre percepito da parte sua grande rispetto e considerazione, il che mi ha lasciato molta libertà. Io arrivavo con una manciata di idee nuove e lei mi sosteneva con la sua saggezza ed esperienza. Nei nostri interventi congiunti preparavamo l’essenziale e ci completavamo con semplicità. Una volta le ho detto: «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, mi sento sicuro di esporre alcune idee creative solo quando ti ho al mio fianco». Abbiamo fatto lunghi e importanti viaggi in India e in Cina, dove ho potuto constatare la sua capacità di penetrare nelle situazioni più intricate e di relazionarsi con personalità molto diverse.
Maria Voce, Emmaus, passerà alla storia del Movimento dei Focolari come la prima presidente della fase post-Chiara Lubich. Se pensiamo che quando ha assunto l’incarico erano ancora vivi molti dei primi compagni e compagne di Chiara, possiamo capire la “resilienza spirituale” con cui ha operato in quei primi anni; non perché fossero persone difficili, semplicemente perché erano i primi, le braccia della fondatrice, persone che in qualche modo erano partecipi del carisma fondante.
Emmaus passerà alla storia del Movimento dei Focolari per essere stata la presidente del “nuovo assetto”, il primo passo innovativo-organizzativo del Movimento nell’era post-Chiara, in fedeltà creativa al carisma. Nel suo primo mandato, mentre l’assenza di Chiara si faceva sentire e poteva provocare scoraggiamento, ha girato il mondo per confermare i membri e gli aderenti delle comunità dei Focolari nel loro impegno per un mondo più fraterno e unito – secondo il carisma della fondatrice. Nel secondo mandato ha iniziato a preparare il Movimento alla fase di inevitabile “crisi” che si profilava all’orizzonte e che papa Francesco ha identificato come una grande opportunità. E, a proposito, la grande stima che il papa argentino le ha tributato, facendoglielo notare in ogni occasione, dimostra un’altra sua caratteristica: il suo spirito ecclesiale.
Ho sempre ammirato in Emmaus la sua sobrietà, la sua libertà interiore, la sua determinazione e la sua capacità di discernimento, in cui era aiutata da una solida formazione giuridica che la supportava.
Maria Voce passerà alla storia del Movimento come “Emmaus”, ad evocare la centralità di Gesù in mezzo ai suoi, un principio assolutamente non negoziabile per lei.
Grazie, Emmaus, per aver detto un “sì” solenne, nel momento più difficile della nostra ancora breve storia. Maria ti avrà accolto tra le sue braccia, ti avrà presentato suo Figlio e insieme ti avranno portato nel seno del Padre che è stato la fonte perenne della tua ispirazione.
Jesús Morán Copresidente del Movimento dei Focolari
Maria Voce, la prima presidente del Movimento dei Focolari (Opera di Maria) dopo la fondatrice, Chiara Lubich, ci ha lasciati ieri, a 87 anni nella sua casa di Rocca di Papa (Italia), circondata dall’affetto e dalle preghiere di tanti.
Lo ha annunciato ieri sera Margaret Karram, attuale Presidente a tutti gli appartenenti ai Focolari nel mondo.
In una nota, ha poi espresso l’immenso dolore che la sua dipartita ha suscitato e il legame fraterno e filiale che la legava a Maria Voce. “Come prima presidente del Movimento dei Focolari, dopo la nostra fondatrice, ha saputo gestire con intelligenza, lungimiranza e la necessaria determinazione il difficile passaggio della nostra Opera dalla fase fondativa a quella post-fondativa. È riuscita a coniugare la sua luminosa fedeltà al Carisma dell’Unità con il coraggio di affrontare le numerose sfide di una associazione mondiale come la nostra, che agisce su tanti livelli della vita umana, sociale e istituzionale.
Il nome “Emmaus”, ricevuto come programma di vita da Chiara Lubich, è diventato anche programma del suo governo: camminare insieme, in modo sinodale, fidandoci – nonostante le domande e le perplessità che possono sorgere lungo il cammino – della presenza di Dio in mezzo ai suoi.
Quando poi, nel 2021, le sono succeduta alla presidenza dei Focolari, mi ha accompagnata sempre con una vicinanza discreta, ma presente e con i suoi consigli pieni di Sapienza. Oltre alla sua preparazione spirituale, teologica e giuridica era dotata anche di una profonda ed accogliente umanità e di un umorismo coinvolgente e sempre rispettoso. La sua levatura umana e sapienziale è stata riconosciuta dalle più varie personalità religiose e civili: da Papa Benedetto XVI e Papa Francesco; dai leader delle varie Chiese, fino ai rappresentanti delle altre Religioni e culture.
Poche ore prima della sua partenza per l’altra vita, Jesús Morán ed io abbiamo potuto visitarla per un’ultima volta. Era serena. Mi consola il pensiero che ad attenderla in Cielo c’è la Vergine Maria, alla quale era legata da un rapporto molto profondo, direi esistenziale.”
Jesús Morán, che ha vissuto accanto a Maria Voce i primi sei anni del suo servizio come Copresidente dei Focolari, riconosce che con la sua elezione è iniziata una nuova tappa per i Focolari. Scrive: “Emmaus, passerà alla storia del Movimento non solo come la prima presidente della fase post-Chiara Lubich, ma anche come colei che ha mosso il primo passo innovativo-organizzativo del Movimento nell’era della post fondazione, in perfetta fedeltà creativa al carisma. Nel suo primo mandato, mentre l’assenza di Chiara si faceva sentire e poteva provocare scoraggiamento, ha girato il mondo per confermare i membri e gli aderenti delle comunità dei Focolari nel loro impegno per un mondo più fraterno e unito – secondo il carisma della fondatrice. Nel secondo mandato, ha iniziato a preparare il Movimento alla fase di inevitabile ‘crisi’ che si profilava all’orizzonte e che papa Francesco ha identificato come una grande opportunità. E, a proposito, la grande stima che il papa argentino le ha tributato, facendoglielo notare in ogni occasione, dimostra un’altra sua caratteristica: il suo spirito ecclesiale.
Ho sempre ammirato in Emmaus la sua sobrietà, la sua libertà interiore, la sua determinazione e la sua capacità di discernimento, in cui era aiutata da una solida formazione giuridica che la supportava.
Grazie, Emmaus, per aver detto un “sì” solenne, nel momento più difficile della nostra ancora breve storia. Maria ti avrà accolto tra le sue braccia, ti avrà presentato suo Figlio e insieme ti avranno portato nel seno del Padre che è stato la fonte perenne della tua ispirazione”.
I funerali si terranno lunedì prossimo, 23 giugno 2025, alle ore 15.00 presso il Centro internazionale dei Focolari a Rocca di Papa (Roma), via di Frascati, 306 – Rocca di Papa (Roma).(*)
Stefania Tanesini
Nota biografica
Maria Voce nasce ad Ajello Calabro (Cosenza – Italia), il 16 luglio 1937, prima di sette figli. Il padre era medico; la madre, casalinga. Nell’ultimo anno di studi di giurisprudenza a Roma (1959) incontra all’università un gruppo di giovani focolarini e inizia a seguirne la spiritualità. Terminati gli studi esercita la professione a Cosenza diventando il primo avvocato donna nel foro della città. Successivamente compie studi di teologia e di diritto canonico.
Nel 1963 la chiamata di Dio a seguire la strada di Chiara Lubich a cui risponde con immediatezza. Nel Movimento Maria Voce è conosciuta come “Emmaus”, un nome che rimanda al noto episodio dei due discepoli in cammino con Gesù dopo la resurrezione. Lei stessa racconta come Chiara glielo ha proposto: “Chiara, confermò un’intuizione che avevo sentito dentro forte: che la mia vita doveva essere spesa perché chi avesse avuto occasione di incontrarmi facesse l’esperienza di Gesù in mezzo”. Da quel momento il suo impegno è stato quello di costruire ponti di unità, fino a meritare la presenza di Dio tra le persone.
Dal ‘64 al ‘72 è nelle comunità dei Focolari in Sicilia (Italia) a Siracusa e Catania e dal ‘72 al ‘78 fa parte della segreteria personale di Chiara Lubich.
Nel ’77 Chiara Lubich ha fatto un importante viaggio a Istanbul (Turchia) dove da anni coltivava un rapporto profondo con il Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli. In quegli anni, Maria Voce è in focolare proprio in quella città e racconta: “E’ stata un’esperienza forte, sia per i contatti preziosi con le varie Chiese, con l’Islam, e sia anche proprio perché sentivamo che solo Gesù tra noi ci rendeva forti di fronte ai tanti problemi di quella terra”.
Ad Istanbul intreccia rapporti a livello ecumenico con l’allora Patriarca di Costantinopoli Demetrio I e numerosi Metropoliti, tra cui l’attuale Patriarca Bartolomeo I, oltre ad esponenti di varie Chiese.
Nel 1988 Chiara chiede ad Emmaus di tornare in Italia per lavorare al Centro Internazionale a Rocca di Papa e per la scuola Abbà, il Centro Studi interdisciplinare dei Focolari della quale diventa membro dal 1995 come esperta in Diritto. Dal 2000 è anche corresponsabile della Commissione internazionale di “Comunione e diritto”, rete di professionisti e studiosi impegnati nel campo della Giustizia. Dal 2002 al 2007 collabora direttamente con Chiara per l’aggiornamento degli Statuti Generali del Movimento.
Il 7 luglio 2008, a pochi mesi dalla morte di Chiara Lubich, viene eletta presidente del Movimento dei Focolari, riconfermata per un secondo mandato il 12 settembre 2014. Ha sempre indicato come stile della sua presidenza l’impegno a «privilegiare i rapporti» e a tendere con tutte le forze al fine per cui è nato il Movimento: perseguire l’unità a tutti i livelli, in tutti i campi, percorrendo le vie del dialogo. Lei stessa più volte ha ribadito quanto sia importante il dialogo. “Se c’è un estremismo della Violenza – affermava nel 2015 alle Nazioni Unite, a New York – adesso si risponde con altrettanta radicalità ma in modo strutturalmente diverso, cioè con l’estremismo del dialogo”.
Numerosi i viaggi in tutti i continenti per incontrare le comunità del Movimento sparse nel mondo e proseguire nei contatti con personalità del mondo civile ed ecclesiale, dell’ambito culturale e politico, ecumenico ed interreligioso; tappe importanti per rafforzare i legami di amicizia e collaborazione intrapresi dal Movimento dei Focolari e per incoraggiare gli sviluppi sul cammino della fraternità tra i popoli.
Durante la sua presidenza, sia con Papa Benedetto XVI che con Papa Francesco, Maria Voce ha avuto incontri e udienze dove emergevano da ambo le parti espressioni di stima e affetto fraterno. Il 23 aprile 2010 papa Benedetto XVI la riceve in udienza privata. A proposito della spiritualità dei Focolari, il Papa parla di «carisma che costruisce ponti, che fa unità» e invita a continuare nella sua attuazione con amore sempre più profondo e nella tensione alla santità. Nell’ottobre del 2008 partecipa e interviene al Sinodo dei Vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa”. Il 24 novembre 2009 Papa Benedetto la nominaConsultore del Pontificio Consiglio per i Laici ed il 7 dicembre 2011 Consultore del Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione.
Il 13 settembre 2013 Papa Francesco la riceve in udienza insieme all’allora Copresidente Giancarlo Faletti. Di quel momento Emmaus ricorda: “Ci ha subito accolto con una grande accoglienza. Lui mi ha fatto sentire a casa. Ho provato una grande gioia: di sentirmi davanti ad un padre, ma prima di tutto un fratello. Io mi sono sentita sua sorella e questo senso è rimasto sempre”.
E in un’altra occasione, ha detto: “Papa Francesco ci ha sempre incoraggiato ad andare avanti, ad accogliere i segni dei tempi per attualizzare il carisma – lui diceva – ricevuto per il bene di molti, dandone gioiosa testimonianza”. Una di queste occasioni è stata la visita del Santo Padre presso la cittadella internazionale di Loppiano (Firenze, Italia) nel 2018. Maria Voce è lì ad accoglierlo: “Santo Padre, abbiamo una meta alta, vogliamo ‘puntare in alto’. Vorremmo Fare dell’amore reciproco la legge della convivenza, che vuol dire sperimentare la gioia del Vangelo e sentirsi protagonisti di una nuova pagina di storia”.
Con Papa Benedetto XVICon Papa FrancescoCon Papa Francesco a LoppianoCon il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ICon Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica ItalianaDurante il suo intervento all’ONUCon Nikkio Niwano, Rissho Kosei-kaiIn un incontro interreligiosoMaria Voce con Chiara Lubich
vi scrivo con grande dolore e profonda commozione per annunciarvi che oggi, alle 17.22, Dio ha chiamato a Sé la nostra Emmaus, Maria Voce, la prima presidente del Movimento dei Focolari dopo Chiara Lubich.
Il suo Santo Viaggio si è compiuto a Rocca di Papa, nella sua casa, circondata dalle cure e dall’amore delle focolarine del suo focolare e dalla preghiera di tutti noi. Oggi, nel primo pomeriggio, Jesús ed io abbiamo potuto visitarla per un’ultima volta. Era serena.
Mi lega a Lei un grande affetto e l’immensa stima per la sua donazione a Dio nell’Opera di Maria fino alla fine.
Dalla mia elezione come Presidente, la sua vicinanza così discreta ma viva, mi ha accompagnata sempre, sostenendomi con i suoi consigli così pieni di Sapienza. Era presente nelle più varie occasioni, feste, anniversari, viaggi; mi assicurava le sue preghiere, l’offerta della sua vita e spesso mi faceva trovare un dono, un fiore, una sua poesia.
Il nome “Emmaus”, avuto da Chiara, che richiama l’esperienza del Risorto in cammino con noi, ha segnato tutta la sua vita. Affermava infatti: “Come si fa l’Opera di Dio? Con Gesù in mezzo!”
Restano stampati nei nostri cuori la sua luminosa fedeltà al Carisma di Chiara, il coraggio nell’affrontare le numerose sfide e il suo credere nell’unità, nella comunione.
Innumerevoli sono i riconoscimenti per la sua levatura umana, spirituale e sapienziale da parte delle più varie personalità religiose e civili: da Papa Benedetto XVI e Papa Francesco; dai leader delle varie Chiese, fino ai rappresentanti delle altre Religioni e culture.
I funerali saranno lunedì prossimo, 23 giugno alle 15.00 (ora italiana) presso il Centro Internazionale di Rocca di Papa.
La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro, come lo era il sacrificio dei primogeniti al dio Baal : e ciò a motivo del terrore che incute, della retorica onde si veste e degli interessi che implica. Quando l’umanità sarà progredita spiritualmente, la guerra verrà catalogata accanto ai riti cruenti, alle superstizioni della stregoneria e ai fenomeni di barbarie.
Essa sta all’umanità, come la malattia alla salute, come il peccato all’anima : è distruzione e scempio e investe anima e corpo, i singoli e la collettività.
[…]
«Tutte le cose appetiscono la pace», secondo san Tommaso. Difatti tutte appetiscono la vita. Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una «inutile strage». Strage, e per di più inutile. Una vittoria sulla vita, e che sta divenendo un suicidio dell’umanità.
«Tutte le cose appetiscono la pace», secondo san Tommaso. Difatti tutte appetiscono la vita. Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte. E morte è la guerra.
[…] Dicendo che la guerra è una « inutile strage », Benedetto XV diede la definizione più precisa. Il Card. Schuster la definì « un macello di uomini ». Significa regioni intere distrutte, migliaia e migliaia di povera gente senza più nè casa nè averi, ridotti ad errare per la campagna desolata, fintanto che non venga a falciarli di fame o di freddo la morte.
[…] I vantaggi materiali che si possono trarre da una guerra vittoriosa, non riescono mai a compensare i danni che essa importa ; tanto, che si richiedono parecchie generazioni successive per ricostruire stentatamente tutta quella somma di valori spirituali e morali che erano andati distrutti durante un eccesso di frenesie belliche » [1]. […]
L’ingegno umano, destinato a ben altri scopi, ha escogitato e introdotto oggi strumenti di guerra di tale potenza da destare orrore nell’animo di qualunque persona onesta, soprattutto perché non colpiscono soltanto gli eserciti, ma spesso travolgono ancora i privati cittadini, i fanciulli, le donne, i vecchi, i malati, e insieme, gli edifici sacri e i più insigni monumenti di arte ! Chi non inorridisce al pensiero che nuovi cimiteri si aggiungeranno a quelli tanto numerosi del recente conflitto e nuove fumanti rovine di borghi e città accumuleranno altri tristissimi ruderi ? » [2]. […]
Dopo la pubblicazione della prima parte della biografia di Don Foresi dedicata al periodo iniziale della sua vita, è uscita anche la seconda parte dal titolo: “La regola e l’eccesso” (editrice Città Nuova), delle tre previste, che affronta gli anni dal 1954 al 1962. Che cosa secondo lei, nel presente volume, emerge come nota caratterizzante di questo periodo della vita di Foresi?
Una nota che caratterizza profondamente la vita e l’esperienza di Pasquale Foresi negli anni indicati, si può esprimere in questo modo: si è trattato di uno spirito libero, di una persona animata da una tensione creativa tra carisma e cultura, mossa dall’esigenza di tradurre spiritualmente e operativamente l’ispirazione di Chiara Lubich (il carisma dell’unità) e il bisogno, in certo qual modo, di conferirle spessore teologico, filosofico e istituzionale, in un contesto ecclesiale ancora largamente preconciliare. Il libro lo descrive molto bene come continuamente impegnato, accanto alla Lubich, ad “incarnare” il carisma in forme comprensibili alla Chiesa del tempo, al mondo culturale e laico in generale. In tal senso si può arrivare a definirlo, oltre che un co-fondatore, anche un interprete ecclesiale del carisma, colui che cercava di renderlo “spiegabile” nei codici della Chiesa e che ha provato ad essere il costruttore di ponti tra la dimensione mistica della Lubich e la teologia classica, rendendola accessibile a molti senza annacquarla.
Al tempo stesso Foresi era un intellettuale atipico e un pensatore originale. Pur non lasciando grandi opere sistematiche (non si era dato quello come compito specifico), esercitò un forte impatto sull’Opera di Maria (Movimento dei Focolari), proprio nel lasso di tempo descritto dal volume. Questo secondo libro documenta un’esistenza dinamica, attraversata da un senso di urgenza, come se le parole del Vangelo proprie dello sviluppo del Movimento dei Focolari dovessero essere incarnate “subito”, senza rimandi.
“Don Foresi, uno spirito libero, di una persona animata da una tensione creativa tra carisma e cultura”.
Il nostro intervistato, il prof. Marco Luppi, ricercatore in Storia Contemporanea presso l’Istituto Universitario Sophia di Loppiano (Italia)
Le oltre 600 pagine del testo affrontano non solo le vicende che riguardano la vita di Foresi nel periodo preso in esame, ma tratteggiano anche la vita e la storia di Chiara Lubich e del Movimento dei Focolari di quegli anni, soffermandosi anche su racconti ed episodi ai quali Foresi non era presente, come l’autore stesso afferma. Perché secondo lei questa scelta editoriale?
Zanzucchi include eventi e vicende anche non direttamente vissuti da Foresi perché la sua figura è inscindibile dalla storia del Movimento dei Focolari. Raccontare il contesto, i protagonisti e le dinamiche collettive permette di cogliere il significato del contributo di Foresi, inserendolo nella trama viva di un’esperienza comunitaria. Come afferma chiaramente nella sua introduzione, Zanzucchi vede in Foresi non solo un protagonista, ma un co-fondatore, cioè uno degli elementi strutturali e costitutivi del Movimento dei Focolari. Di conseguenza la biografia di Foresi è inseparabile dalla biografia del Movimento. In altri termini, l’autore adotta una prospettiva che potremmo definire di “biografia immersa”: non una semplice ricostruzione individuale, ma una narrazione relazionale e contestuale, dove il senso della figura di Foresi emerge nel dialogo vivo con altri attori (Chiara Lubich, Igino Giordani, personalità di ambito ecclesiale, etc.) e con la storia collettiva del Movimento.
Don Foresi con Chiara Lubich ad un congresso (1967)Con i giovani (1976)
Il lavoro di Michele Zanzucchi è la prima biografia su Foresi. Quali sono secondo lei gli aspetti della vita di Foresi che meriterebbero ulteriori approfondimenti ed indagini storiche?
Zanzucchi ama spesso dire che egli non è uno storico puro, ma piuttosto un narratore e divulgatore attento e scrupoloso e che quindi in diversi momenti si è preso anche qualche licenza, al fine di chiarire qualche passaggio non troppo esplicito. Ma questo è certamente un lavoro molto importante ed un primo sforzo di restituirci la personalità e il vissuto di Foresi con uno sguardo completo. Si tratta di uno sguardo, e molti altri potranno esserci, attraverso quello stesso spirito critico, aperto a molteplici interpretazioni, che deve animare la ricostruzione della storia di tutto il Movimento dei Focolari e delle sue figure di riferimento. Tra i molti approfondimenti che riguardano possibili future ricerche su Foresi, ne indicherei tre. Una prima sul pensiero teologico e filosofico di Foresi. Zanzucchi evidenzia che Foresi non fu un teologo accademico, ma un “visionario culturale”, con una produzione sparsa in articoli, discorsi, appunti. Quindi si avverte la mancanza di un’esposizione organica del suo pensiero su temi-chiave come Chiesa, sacramenti, rapporto fede-ragione, etc. Inoltre, andrebbe studiata l’originalità del suo pensiero ecclesiologico, che anticipa alcune intuizioni conciliari. Una seconda ricerca potrebbe essere quella sul ruolo “politico” di Foresi e le relazioni con il mondo ecclesiastico romano. L’autore accenna ripetutamente ai legami di Foresi con la curia vaticana e con alcune personalità ecclesiastiche. Tuttavia non è ancora ben chiaro quanto peso ebbe Foresi nelle mediazioni politiche o ecclesiali del secondo dopoguerra e quindi sarebbe utile esplorarlo, specialmente nei momenti di tensione con la gerarchia. Infine un terzo, stimolante fronte potrebbe essere la stagione editoriale e il “laboratorio culturale” di Città Nuova. Zanzucchi sottolinea il ruolo di Foresi come fondatore, direttore e ispiratore della rivista “Città Nuova”. Che tipo di “cultura” cercava di proporre Foresi? Come si posizionava rispetto ad altre testate cattoliche (Civiltà Cattolica, L’Osservatore Romano, Il Regno)? Prima o poi servirà una monografia anche sull’operato di Foresi come editore e giornalista, nel contesto della stampa cattolica del Novecento.
Nel mondo esistono anche luoghi in cui la fraternità viene coltivata con uno scopo. Uno di questi è MilONGa, un progetto che si è affermato come iniziativa chiave nel campo del volontariato internazionale, con l’obiettivo di promuovere la pace e la solidarietà attraverso azioni concrete.
MilONGa propone un’alternativa concreta: vivere la solidarietà in prima persona, attraverso esperienze che trascendono i confini culturali, sociali e geografici.
Il suo nome, che sta per “Mille organizzazioni non governative attive”, è molto più di un progetto. È una rete che mette in contatto i giovani con organizzazioni in varie parti del mondo, dando loro l’opportunità di impegnarsi attivamente in iniziative sociali, educative, ambientali e culturali. Fin dalla sua nascita, il programma è cresciuto tessendo una comunità globale che riconosce valori comuni: pace, reciprocità e cittadinanza attiva.
Ciò che distingue MilONGa non è solo la diversità delle sue destinazioni o la ricchezza delle sue attività, ma il tipo di esperienza che offre: una profonda immersione nelle realtà locali, dove ogni volontario non viene per “aiutare”, ma per imparare, scambiare e costruire insieme. È un percorso di formazione integrale che trasforma sia chi lo vive sia le comunità che lo accolgono.
I Paesi in cui queste esperienze possono essere realizzate sono diversi come i giovani che vi partecipano e coprono diverse latitudini: Messico, Argentina, Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Paraguay, Uruguay e Perù in America, Kenya in Africa, Spagna, Italia, Portogallo e Germania in Europa, Libano e Giordania in Medio Oriente.
In ognuno di essi, MilONGa collabora con organizzazioni locali impegnate nello sviluppo sociale e nella costruzione di una cultura di pace, offrendo ai volontari opportunità di servizio che hanno un impatto reale e duraturo.
Dietro MilONGa c’è una solida rete di partenariati internazionali. Il progetto è sostenuto dal progettoAFR.E.S.H., cofinanziato dall’Unione Europea, che gli permette di consolidare la sua struttura e ampliare il suo impatto. Fa inoltre parte dell’ecosistema di New Humanity, un’organizzazione internazionale impegnata a promuovere una cultura dell’unità e del dialogo tra i popoli.
Una storia che lascia un segno
Francesco Sorrenti è stato uno dei volontari che si sono recati in Africa con il programma MilONGa. La sua motivazione non era solo il desiderio di “aiutare”, ma un bisogno più profondo di capire e avvicinarsi a una realtà che sentiva lontana. “Era qualcosa che mi portavo dentro da anni: una profonda curiosità, quasi un’urgenza di vedere con i miei occhi, per cercare di avvicinarmi a una realtà che sentivo lontana”, racconta Francesco della sua esperienza in Kenya.
La sua esperienza in Kenya è stata segnata da momenti che lo hanno trasformato. Uno di questi è stata la visita a Mathare, una baraccopoli di Nairobi. “Quando uno di loro mi ha detto: ‘Guarda, qui è dove vivono i miei genitori. Io sono nato qui, i miei figli sono nati qui. Mia moglie l’ho conosciuta qui e probabilmente moriremo qui’, ho provato un fortissimo senso di impotenza. Ho capito che prima di fare qualcosa era necessario fermarsi. Che non ero lì per sistemare le cose, ma per guardare, anziché girarmi dall’altra parte”.
Ha anche sperimentato momenti di luce nel suo lavoro con i bambini di una scuola locale. “La gioia di questi bambini era contagiosa, fisica. Non c’era bisogno di molte parole: bastava essere lì, giocare, condividere. È stato allora che ho capito che non si tratta di fare grandi cose, ma semplicemente di essere presenti”, racconta.
A due anni dalla sua esperienza, Francesco ne sente ancora l’impatto. “Il mio modo di vedere le cose è cambiato: ora do più valore a ciò che conta davvero e ho imparato ad apprezzare la semplicità. Questa esperienza mi ha lasciato anche una forma di forza, una tenacia interiore. Ti rimane una sorta di resilienza, come quella che ho visto negli occhi di chi, all’alba, voleva fare tutto anche se non aveva nulla”.
Incontri che moltiplicano l’impegno
Nell’aprile 2025, la MilONGa ha partecipato al congresso internazionale “Solidarity in Action, Builders of Peace” (“Solidarietà in azione, costruttori di pace”), che si è svolto nella città di Porto, in Portogallo. L’incontro, organizzato congiuntamente da AMU (Azione per un Mondo Unito), New Humanity NGO e Movimento dei Focolari del Portogallo, ha riunito giovani leader di tutto il mondo legati ai programmi Living Peace International e MilONGa.
Per tre giorni, Porto si è trasformata in un laboratorio di dialogo e azione, dove i giovani partecipanti hanno scambiato esperienze, condiviso buone pratiche e costruito strategie comuni per rafforzare il loro ruolo di agenti di pace. MilONGa ha svolto un ruolo chiave, non solo attraverso la partecipazione attiva dei suoi volontari, ma anche creando sinergie con altre reti giovanili impegnate nella trasformazione sociale.
Uno dei momenti più significativi del congresso è stato lo spazio del laboratorio collaborativo, dove i partecipanti hanno immaginato e progettato progetti concreti con impatto locale e globale.
MilONGa non si definisce solo per quello che fa, ma per l’orizzonte che propone: un mondo più giusto, più unito, più umano. Un mondo dove la solidarietà non è uno slogan, ma una pratica quotidiana; dove la pace non è un’utopia, ma una responsabilità condivisa.
Provengo da un contesto familiare di divisione, sono nata dalla relazione extra-coniugale di mio padre. Per questo lui ha tenuto segreta la mia esistenza e, per molto tempo, ho sperimentato, soprattutto da bambina, un temporaneo abbandono da parte sua.
Sentivo che la mia storia aveva qualcosa che rimaneva come oscuro. Quello che non sapevo era che Gesù avrebbe iniziato un processo di conversione radicale nella vita di mio padre, che lo avrebbe portato a diventare un pastore pentecostale.
La mia storia e il senso di abbandono avrebbero potuto senza dubbio essere un motivo per allontanarmi dalla fede. Tuttavia, non è quello che è successo. Di fronte all’esperienza dell’abbandono, non potevo che interrogarmi su quell’amore che, anche di fronte al dolore di una bambina, aveva raggiunto la vita di mio padre. A volte mi chiedevo: “Che tipo di amore è questo, capace di attraversare il dolore che sto provando?”. A 16 anni, durante una crociera per il diploma della scuola, ho trovato quell’amore. Una sera, seduta in cima alla nave, la voce del Signore ha parlato chiaramente al mio cuore: “Non sei nata per fare quello che fanno i tuoi amici, Mayara, tu sei mia”. Grazie a ciò che è iniziato lì, sono diventata una giovane pentecostale convinta.
A 19 anni sono entrata alla Pontificia Università Cattolica di San Paolo (Brasile) per studiare teologia. In una storia che solo lo Spirito può scrivere, sono diventata presidente del Centro accademico e della Commissione studentesca di teologia dello Stato di San Paolo. Ero molto amica di alcuni seminaristi, e ho avuto contatti con varie diocesi, ordini religiosi, alcuni i sacerdoti visitavano spesso la mia casa. All’inizio mia madre scherzava: “Non avrei mai immaginato di avere così tanti sacerdoti in casa mia, Mayara”.
Per mezzo di questa esperienza ho deciso di scrivere la mia tesi finale sull’unità dei cristiani, ma quando ho iniziato a pensare a quale strada intraprendere, sono successe molte cose che mi hanno portata a riflettere sulla mia storia familiare; ho attraversato un profondo processo di perdono e riconciliazione. E così, mentre perdonavo, scrivevo. In ogni momento, la mia memoria mi ricordava quanto potesse far male avere una famiglia divisa, ma è stato in questi momenti che il Signore mi ha anche chiesto: “E la mia famiglia, la Chiesa”? Potevo, ed ho sentito che era necessario, unire il mio abbandono a quello di Gesù.
“Ho deciso di scrivere la mia tesi finale sull’unità dei cristiani (…) e sono successe molte cose che mi hanno portata a riflettere sulla mia storia familiare; ho attraversato un profondo processo di perdono e riconciliazione”.
Nella foto: Mayara durante il Congresso Ecumenico a Castel Gandolfo nel mese di marzo 2025
Partendo dal patrimonio comune della Sacra Scrittura, ho concluso questa sofferta tappa scrivendo sul tema: “Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni! La figura della Sposa come risposta profetica all’unità della Chiesa”. È stato questo passo a condurmi al dialogo cattolico-pentecostale: alla Commissione per l’unità Rinnovamento carismatico cattolico- SP e alla Missione Siamo uno. Fondata da laici nel contesto di una comunità cattolica (Coração Novo-RJ), la Missione Siamo uno si basa su una lettera di intenti firmata da leader cattolici ed evangelici nella quale si definiscono i quattro pilastri del cammino di dialogo: rispetto delle identità confessionali, ecclesialità, non proselitismo e cultura dell’incontro. Nel calendario ufficiale della città di Rio de Janeiro c’è perfino una settimana intitolata “Settimana Siamo uno” e siamo stati sorpresi di ricevere il riconoscimento di Patrimonio culturale e immateriale. In pratica, la Missione riunisce leader evangelici, cattolici e pentecostali con uno scopo comune: proclamare l’unità dei cristiani. Il dialogo teologico è stato reso possibile dalla creazione di un Gruppo di lavoro (GdL) cattolico-pentecostale nazionale. Il suo obiettivo è riflettere teologicamente e pastoralmente sull’esperienza carismatico-pentecostale, a partire dalla realtà latino-americana. Recentemente abbiamo pubblicato il primo rapporto, frutto dei nostri incontri, sui doni dello Spirito Santo. Nel 2022 è iniziato il lavoro della Missione Giovani Siamo uno, un gruppo in cui mi trovo totalmente coinvolta con tutto il mio cuore e il mio servizio. Per questi motivi, vedo la MissioneSiamo uno come un segno di speranza. In primo luogo, per tutta la comunione che ho sperimentato e, in secondo luogo, perché la mia storia personale si intreccia senza dubbio con essa.
Incaricati di essere “pellegrini della speranza”, vorrei concludere questa condivisione con una frase che mio padre dice quando racconta la storia della nostra famiglia. Ripete innumerevoli volte che è nata tra dolori e ferite, ma inondata dall’amore infinito di Dio: “la tribolazione è diventata vocazione”. Quando mio padre intravede questa realtà, cita sempre la lettera di S. Paolo ai Romani: “Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia di Dio” (Rm 5,20). Parafrasando questo testo biblico, in questa “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani 2025”, nell’anno del Giubileo e della celebrazione di tanti anniversari importanti come il Concilio di Nicea, mi dà coraggio e mi fa pensare che: in mezzo a tante ferite abbondanti lungo la storia della Chiesa, Dio fa certamente sovrabbondare la sua speranza.
Up2Me è un programma di formazione ed educazione all’affettività e alla sessualità proposto dal Movimento dei Focolari. Nasce nel 2015 come risposta alle sfide educative per le giovani generazioni del terzo millennio. Oggi è diffuso in 35 Paesi di tutto il mondo e offre percorsi rivolti in maniera specifica ad ogni fascia d’età: i bambini con le loro famiglie, i ragazzi preadolescenti e adolescenti (con un percorso parallelo per i loro genitori) e i giovani.
Approfondiamo il percorso adatto ai bambini, età 4-8 anni, insieme a Paolo e Teresa Radere che da anni si impegnano nella formazione, in particolare alle nuove generazioni dei Focolari.
Team Up2Me Bambini
Paolo, Teresa, in cosa consiste Up2Me bambini?
È un’esperienza che i bambini fanno con i loro genitori, un itinerario per la formazione integrale a partire dallo sviluppo delle dimensioni dell’affettività, emotività e sessualità, sollecitando anche la sfera spirituale e l’intelligenza esistenziale, al fine di assumere già dall’infanzia uno sguardo aperto e profondo sul mondo e sulle persone. Il percorso punta ad una relazionalità positiva, aperta creativamente al dialogo, all’accoglienza, al rispetto delle dimensioni di unicità e irripetibilità della persona umana, a generare la culla necessaria per un’esperienza di crescita personale e comunitaria, all’apertura all’altro da noi.
A chi si rivolge?
È rivolto a tutti i nuclei familiari che abbiano bambini preferenzialmente nella fascia 4-8 anni. Qualora, come avviene in tutte le famiglie, ci siano figli più grandi o più piccoli, la partecipazione ad Up2Me non è un problema ma un’opportunità, perché è la famiglia tutta che fa un’esperienza. Il percorso si può offrire anche a bambini di genitori affidatari, separati o genitori single. In questi casi, i bambini saranno accompagnati nel percorso dalla figura adulta che il bambino vive come riferimento (uno dei due genitori naturali o affidatari o entrambi, uno zio, un nonno…).
Il progetto si può proporre e svolgere anche in gruppi di famiglia, in parrocchia o in ambito scolastico.
Quali sono gli obiettivi?
Per i bambini l’obiettivo finale è quello di fare delle esperienze condivise con i loro genitori e altre figure di riferimento, necessarie per lo sviluppo della loro identità e per una crescita integrale e armonica. Riconoscere, accogliere ed esprimere in modo adeguato al contesto le emozioni primarie con una valenza positiva; sperimentare una buona ed efficace comunicazione con i genitori; sviluppare l’interiorità, la conoscenza di sé, crescere nella dimensione spirituale – intesa come la capacità di contemplare e trascendere, imparare a prendersi cura del proprio corpo, degli altri, della natura.
Per i genitori invece il corso è utile nel favorire la crescita nella capacità di dialogare tra generazioni all’interno del nucleo familiare, tra famiglie e con la cultura contemporanea per valorizzarne le potenzialità latenti; approfondire la conoscenza sullo sviluppo socio cognitivo e psicologico del bambino e sul tipo di relazioni che lo favoriscono; comprendere quanto le modalità di azione e relazione dei genitori con i propri figli influiscono sulla loro crescita e imparare buone pratiche educative per la regolazione emotiva; conoscere l’influenza delle nuove tecnologie nella formazione dei bambini e il ruolo dei genitori in esso.
Quali sono i contenuti del percorso?
Dall’esperienza e dallo studio di questi anni e per dare organicità al cammino abbiamo scelto la metafora di ‘un viaggio insieme verso la felicità’. Si è scelto di lavorare sulla educazione emozionale-relazionale dei bambini perché questa costituisce la base della loro relazione affettiva e sessuale; le emozioni permettono poi di articolare il corpo e la mente per cui favoriscono la crescita personale integrale. Il metodo della formazione esperienziale permette ai genitori e ai bambini di condividere le loro esperienze quotidiane in incontri comunitari, di dialogare, approfondire e illuminare, costruendo così un nuovo sapere che nasce dalla propria sapienza e da quella degli altri.
I contenuti sono presentati attraverso una pluralità di linguaggi: del gioco, del movimento, della sensorialità, della rappresentazione iconica, della narrazione, delle immagini, della danza come caratteristiche dell’approccio ai diversi temi.
L’idea è quella di un viaggio in aereo che dà al bambino l’immagine della continuità del percorso, il senso dell’attesa e della scoperta, la necessità di lavoro di preparazione al viaggio. Dopo ogni tappa l’esperienza continua a casa perché ad ogni nucleo familiare viene consegnata una proposta che aiuti a continuare il dialogo e il clima costruito con l’obiettivo di ricercare gli spazi di crescita come famiglia.
Siamo Aureliana e Julián del Paraguay, sposati da 36 anni e abbiamo cinque figli e sei nipoti.
JULIAN: Aureliana aveva 18 anni ed io 19 quando ci siamo sposati. Eravamo molto innamorati ed entusiasti di costruire la nostra vita insieme. I primi cinque anni sono stati molto belli, eravamo ottimi compagni, lavoravamo insieme, ci aiutavamo e ci completavamo bene. Dopo 7 anni di matrimonio, siamo entrati in una crisi molto forte che ci ha quasi portato alla separazione. La comunicazione è diventata difficile: non riuscivamo a parlare di noi stessi, della nostra relazione, e questo ci ha gradualmente allontanato. Tuttavia, entrambi avevamo il desiderio di dare il meglio per le nostre figlie e di progredire economicamente. Ognuno viveva a modo suo, litigavamo abbastanza, ma riuscivamo ad andare avanti.
AURELIANA: Quando le nostre figlie hanno raggiunto l’adolescenza una di loro aveva atteggiamenti ribelli e, a 17 anni, è rimasta incinta ed è andata a convivere. In quel momento abbiamo iniziato a chiedere aiuto per rafforzarci come genitori anche spiritualmente. Frequentavamo le riunioni dei gruppi di famiglie e i ritiri spirituali. Così siamo riusciti a superare sfide difficili, mettendo ognuno molta buona volontà.
JULIAN: Avevamo stabilità economica, una bella famiglia, salute e un’azienda familiare ben posizionata: avevamo tutto! Un giorno ho iniziato ad avere contatti attraverso i social network, con una persona, ci siamo conosciuti e ho iniziato un rapporto extraconiugale con lei. A quel tempo mio padre ammalato era a casa con noi e per nostra figlia è stato molto difficile adattarsi alla maternità; quindi, Aureliana ha dovuto dividersi in mille pezzi per stare con lei, lavorare e organizzare la casa. Ero molto coinvolto in quella relazione extraconiugale e non aiutavo per niente Aureliana, anzi dicevo che non avevo tempo da dedicare, lei si lamentava ed io mi arrabbiavo. In quel tempo, abbiamo fatto un viaggio insieme in Europa e lì Aureliana ha scoperto che le ero infedele. Tutto è crollato, eravamo lontani da tutti, soli tra quattro mura in una stanza d’albergo.
AURELIANA: Mi è caduto il mondo addosso! Non sapevo cosa fare, non riuscivo a credere che potesse succedere una cosa del genere. All’inizio sono rimasta zitta, pensando che saremmo riusciti a terminare il viaggio, ma dopo un po’ sono esplosa: ho rotto il silenzio urlando, piangendo e chiedendo una risposta. Lui da parte sua ha cominciato a implorare disperatamente pietà, a chiedere perdono a Dio e a me e questo, nonostante il terribile dolore che provavo, ha toccato il mio cuore. Sapevo che dovevo fare un passo e ho riposto tutta la mia fiducia nell’aiuto di Dio per realizzarlo. Finalmente sono riuscita a vedere il volto di Gesù crocifisso in Julián. Gli ho offerto le mie braccia e ci siamo un po’ tranquillizzati. Tuttavia, nonostante il passo interiore, spesso ero sopraffatta dal dolore e dalla tristezza.
“È questo che vogliamo annunciare al mondo: siamo qui per essere ‘uno’ come il Signore ci vuole ‘uno’, nelle nostre famiglie e là dove viviamo, lavoriamo e studiamo: diversi, eppure uno, tanti, eppure uno, sempre, in ogni circostanza e in ogni età della vita. (…) E non dimentichiamo: dalle famiglie viene generato il futuro dei popoli.”
JULIAN: Di notte Aureliana non dormiva, piangeva. Le è stata diagnosticata una depressione. Io mi sentivo impotente e colpevole. Ho pregato tanto: sentivo che mia moglie e la mia famiglia erano un bene molto prezioso, ma ormai il danno era fatto e dovevo accettare il mio errore, ma anche volevo mettere tutto il mio impegno e la mia fiducia in Dio.
AURELIANA: La nostra famiglia era divisa, i figli non sapevano a chi dare la colpa e si sono ribellati. Poi Julián si è ammalato: gli è stato trovato un tumore al cervello. Questo fatto mi ha scosso molto e ha quasi rimosso il mio stato depressivo. Ricevuto l’esito della TAC, ci siamo riuniti con i figli e abbiamo cercato la migliore alternativa per l’intervento chirurgico. Sentivamo che l’unità della famiglia era il bene più prezioso, che era al di sopra di ogni avversità ed io mi sono resa conto che ero di nuovo capace di dare la vita per mio marito e di vivere fino in fondo la mia fedeltà a lui, “nella salute e nella malattia”.
JULIAN: Mi sono sentito amato e sono riuscito a superare due interventi chirurgici al cervello con un recupero in tempi record. Appena dimesso dall’ospedale, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a un incontro per coppie in crisi, perché ancora avevamo bisogno di guarire le nostre ferite.
AURELIANA: In questo incontro sono riuscita a chiarire tanti dubbi. Abbiamo ricevuto molto affetto dai partecipanti, approfittando della presenza di professionisti e coppie con molti anni di esperienza e abbiamo scoperto una nuova via d’uscita.
JULIAN: Ho capito che la volontà di perdonare è una cosa, però, guarire il trauma richiede un processo; la ferita che le ho causato è stata molto profonda e lei aveva bisogno di tempo, di pazienza ed amore da parte mia. Ho ricevuto il dono più grande da Dio, che è il perdono. Abbiamo rinnovato il nostro matrimonio, Aureliana mi ha detto di nuovo il suo SÌ per sempre e abbiamo ricominciato.
AURELIANA: La nostra vita è cambiata completamente, dopo 35 anni di matrimonio abbiamo smesso di lottare. Viviamo una vita piena come coppia e possiamo guardarci negli occhi ed amarci come mai prima d’ora.
Ogni giorno accadono avvenimenti terribili, di una tale dimensione da farci sentire impotenti: i migranti che affrontano viaggi di morte in condizioni disperate, le popolazioni che vivono la tragedia quotidiana della guerra o le drammatiche ingiustizie sociali che affliggono il pianeta.
“Che cosa posso fare io?”: è possibile che questa domanda ci paralizzi e ci faccia chiudere in un rassegnato individualismo. La prima sfida per la propria coscienza è quella di lasciarsi interrogare proprio da quella domanda. “Che cosa posso fare io?”
Se lo sono chiesti in Italia i pescatori delle coste di Lampedusa, formando insieme alla gente generosa del posto vere e proprie catene umane, per tendere la mano e cercare di salvare uno alla volta almeno uno (e poi dieci, cento, mille…) dei naufraghi disperati abbandonati alle onde del mar Mediterraneo. Se lo sono chiesto le comunità ai confini dei luoghi di guerra (in Europa, in Africa, in Asia…), che hanno aperto le porte delle loro case non in base ad un calcolo politico o economico, ma su una naturale scelta di compassione e accoglienza. Proprio in queste situazioni è possibile osservare piccoli o grandi “miracoli” quotidiani, che non sono sogni utopici, ma sono i gesti che costruiscono la società del futuro.
Cercare la speranza, non aspettare che venga a noi: lo sottolinea il prof. Russell Pearce[1] della Fordham School of Law di New York. Ha condotto interviste in due organizzazioni che promuovono il dialogo e la pace tra israeliani e palestinesi – Parents Circle e Combatants for Peace – finalizzate a comprendere come i loro membri siano riusciti a mantenere le relazioni reciproche all’indomani del 7 ottobre 2023 e durante la successiva guerra a Gaza.
Perché questi gruppi hanno mantenuto i loro legami e questi sono addirittura diventati più forti? Sia i palestinesi che gli israeliani riferiscono che il loro dialogo è stato trasformativo. Dicono che il loro è dialogo d’amore. Un partecipante palestinese osserva: «La trasformazione che abbiamo vissuto è stata per ognuno di noi un’esperienza molto sacra e ha lasciato nelle nostre anime un impatto e anche un legame profondo. Si tratta di un viaggio e di un processo che trasforma l’altro in un fratello».
Un israeliano osserva similmente: «Lavoriamo per costruire la fiducia e diventare una famiglia, anni di un lavoro sacro con tutte le sfide, le dinamiche e i dubbi». Conclude Pearce: i saggi ebrei insegnano che «se salvi una vita, salvi il mondo intero»; un palestinese che guida il programma giovanile del Parents Circle ha spiegato: «Se cambi una persona, cambi un mondo intero».
Diceva Chiara Lubich: «L’aspetto più visibile dell’unità è la fraternità. Questa mi sembra certamente la strada più adatta per risalire la corrente (…) per raggiungere più pienamente la libertà e l’uguaglianza. (…) È una via valida per chi ha in mano le sorti dell’umanità, ma anche per le madri di famiglia, per i volontari che portano brani di solidarietà per il mondo, per chi mette a disposizione parte degli utili della propria azienda per eliminare spazi di povertà, per chi non si arrende alla guerra. La fraternità “dall’alto” e quella “dal basso” si incontreranno così nella pace»[2]
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L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali. dialogue4unity.focolare.org
Siamo in un luogo solitario nei pressi di Betsaida, in Galilea. Gesù sta parlando del Regno di Dio a una folla numerosa. Il maestro vi si era recato con gli apostoli per farli riposare dopo la lunga missione per quella regione, nella quale avevano predicato la conversione “annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni”[1]. Stanchi, ma col cuore pieno, raccontavano ciò che avevano vissuto.
La gente, però, avendolo saputo, li raggiunge. Gesù accoglie tutti: ascolta, parla, cura. La folla aumenta. La sera si avvicina e la fame si fa sentire. Gli apostoli se ne preoccupano e propongono al maestro una soluzione logica e realistica: «Congeda la folla, perché vada nei villaggi per alloggiare e trovare cibo». Dopotutto Gesù aveva fatto già tanto… Ma egli risponde:
«Voi stessi date loro da mangiare».
Rimangono allibiti. È improponibile: hanno solo cinque pani e due pesci per alcune migliaia di persone; non è possibile trovare il necessario nella piccola Betsaida, e non ne avrebbero i soldi per comprarlo.
Gesù vuole aprir loro gli occhi. I bisogni e i problemi delle persone lo toccano e si adopera per darne soluzione. Lo fa partendo dalla realtà e valorizzando quello che c’è. È vero, ciò che hanno è poco, ma li chiama a una missione: essere strumenti della misericordia di Dio che pensa ai suoi figli. Il Padre interviene, e tuttavia “ha bisogno” di loro.
Il miracolo “ha bisogno” della nostra iniziativa e della nostra fede, e poi la farà crescere.
«Voi stessi date loro da mangiare».
All’obiezione degli apostoli, quindi, Gesù risponde facendosi carico, ma chiede loro di fare tutta la propria parte, anche se piccola. Non la disdegna. Non risolve il problema al posto loro; il miracolo avviene, ma richiede la loro partecipazione con tutto quello che hanno e che hanno potuto procurare, messo a disposizione di Gesù per tutti. Questo implica un certo sacrificio e fiducia in lui.
Il maestro parte da ciò che ci accade per insegnarci a occuparci insieme gli uni degli altri. Di fronte alle necessità degli altri non valgono le scuse (“non è compito nostro”, “non posso farci nulla”, “devono arrangiarsi come facciamo tutti…”). Nella società che Dio ha pensato sono beati coloro che danno da mangiare agli affamati, che vestono i poveri, che visitano chi è in necessità[2].
«Voi stessi date loro da mangiare».
La narrazione di questo episodio richiama l’immagine del banchetto descritto nel libro di Isaia, offerto da Dio stesso a tutte le genti, quando Egli «asciugherà le lacrime su ogni volto»[3]. Gesù fa sedere a gruppi di cinquanta, come nelle grandi occasioni. Da Figlio, si comporta come il Padre, e ciò sottolinea la sua divinità.
Lui stesso darà tutto, fino a farsi cibo per noi, nell’eucarestia, il nuovo banchetto della condivisione.
Di fronte alle tante necessità sorte durante la pandemia del covid-19, la comunità dei Focolari di Barcellona ha creato un gruppo, attraverso i social network, nel quale si condividono le necessità e si mettono in comune beni e risorse. Ed è impressionante vedere come circolano mobili, cibo, medicine, elettrodomestici… Perché «da soli possiamo fare poco», dicono, «ma insieme si può fare molto». Ancora oggi il gruppo “Fent família” aiuta a far sì che, come nelle prime comunità cristiane, nessuno tra loro sia bisognoso[4].
A cura di Silvano Malini e del team della Parola di Vita
È il compleanno di un amico molto caro con il quale abbiamo condiviso ideali, gioie e dolori. Ma è da molto tempo che non gli scrivo e che non ci vediamo. Sono un po’ titubante: potrei inviargli un messaggio, ma non so come lo prenderà. Mi incoraggia la Parola di Vita: “Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene” (Gv 21,17). Poco dopo arriva la sua risposta: “Che gioia ricevere il tuo saluto”. E inizia un dialogo: i messaggi vanno e vengono. Mi racconta di lui. È soddisfatto del suo lavoro, ha un ottimo stipendio e mi confida di avere il desiderio di venire a farmi visita. Lo incoraggio e mi metto a disposizione per accoglierlo e organizzare il suo soggiorno. Un motivo in più per averlo presente… e non attendere un altro anno per mandargli un messaggio.
(C. A.- Italia)
Schiacciata dall’orgoglio
A Miguel riuscivo a perdonare le serate trascorse in osteria, ma non l’infedeltà confessata un giorno. Io ero la brava moglie e madre, io la vittima. Da quando però frequentava padre Venancio e altre persone della parrocchia, mio marito sembrava un altro: era più presente in casa, più affettuoso con me, che invece rimanevo scostante ogni qualvolta mi proponeva di leggere insieme il Vangelo per provare a metterlo in pratica. Una volta però, perché era il suo compleanno, acconsentii ad accompagnarlo ad un incontro di famiglie. Fu il primo di altri. Un giorno una frase mi fece riflettere: «Costruire la pace». Come farlo io, che nel frattempo mi ero scoperta egoista, piena di miserie e di rancori? L’orgoglio m’impediva di chiedere perdono a Miguel, mentre lui in 28 anni di matrimonio me l’aveva chiesto più volte. Cercavo tuttavia il momento più adatto per farlo. Finché in un incontro col gruppo di famiglie, chiesto aiuto a Dio, riuscii raccontare la nostra esperienza di coppia e a chiedere perdono a Miguel. In quel giorno sentii rinascere un amore nuovo, vero, per lui.
(R. – Messico)
La cura per il prossimo
Da quando trascorro un periodo a L’Avana, immerso fino al collo nei problemi di sopravvivenza degli abitanti del nostro barrio alle prese con la grave crisi economica del Paese, non mi sono ancora abituato ai puntuali interventi della Provvidenza. Fra i tanti, questo che è l’ultimo. Precedentemente, da una persona che fa parte della nostra comunità ero stato avvisato dell’arrivo di una consistente donazione di farmaci validi, tutti relativi alla cura delle malattie nervose. Sono andato a ritirarli un po’ perplesso perché non rientravano nelle categorie di farmaci richiesti dai poveri che ci frequentano. Poi però mi sono ricordato che una volta al mese, il lunedì mattina, uno psichiatra viene a visitare gratis le persone del barrio che necessitano di cure. Così, alla prima occasione, l’ho contattato, portandogli l’elenco dei medicinali. Man mano che lo scorreva, il volto gli si illuminava: «Sono proprio quelli che cercavo!», ha esclamato stupefatto.
(R.Z. – Cuba)
A cura di Maria Grazia Berretta (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° maggio-giugno 2025)
“Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”. (Mt 5,9)
Sai chi sono gli operatori di pace di cui parla Gesù?
Non sono quelli che chiamiamo pacifici, che preferiscono la tranquillità, che non sopportano le dispute e si manifestano per natura loro conciliante ma spesso rivelano un recondito desiderio di non essere disturbati, di non voler avere noie.
Gli operatori di pace non sono nemmeno quelle brave persone che, fidandosi di Dio, non reagiscono quando sono provocate o offese. Gli operatori di pace sono coloro che amano tanto la pace da non temere di intervenire nei conflitti per procurarla a coloro che sono in discordia. […]
Può essere portatore di pace chi la possiede in sé stesso.
Occorre essere portatore di pace anzitutto nel proprio comportamento di ogni istante, vivendo in accordo con Dio e facendo la sua volontà.
Gli operatori di pace si sforzano poi di creare legami, di stabilire rapporti fra le persone, appianando tensioni, smontando lo stato di guerra fredda che incontrano in tanti ambient di famiglia, di lavoro, di scuola, di sport, fra le nazioni, ecc. […]
La televisione, il giornale, la radio t dicono ogni giorno come il mondo è un immenso ospedale e le nazioni sono spesso grandi malate che avrebbero estremo bisogno di operatori di pace per sanare rapporti spesso tesi e insostenibili che rappresentano minacce di guerra, quando essa non è già in atto. […]
La pace è un aspetto caratteristico dei rapporti tipicamente cristiani che il credente cerca di instaurare con le persone con le quali sta in contatto o che incontra occasionalmente: sono rapporti di sincero amore senza falsità né inganno, senza alcuna forma di implicita violenza o di rivalità, o di concorrenza, o di egocentrismo.
Lavorare e stabilire simili rapporti nel mondo è un fatto rivoluzionario. Le relazioni, infatti, che normalmente esistono nella società, sono di tutt’altro tenore e, purtroppo, rimangono spesso immutate.
Gesù sapeva che la convivenza umana era tale e per questo ha chiesto ai suoi discepoli di far sempre il primo passo senza aspettare l’iniziativa o la risposta dell’altro, senza pretendere la reciprocità: “Io vi dico: amate i vostri nemici… Se date il saluto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?”. […]
Gesù è venuto a portare la pace. Tutto il suo messaggio e comportamento sono orientate in questo senso.
Ma proprio questo rapporto nuovo, stabilito con le persone, smaschera spesso i rapporti sociali falsi, rivela la violenza nascosta nelle relazioni fra gli uomini.
All’uomo non piace che si scopra questa verità e c’è il rischio, in casi estremi, che risponda con l’odio e la violenza contro colui che osa disturbare la convivenza e le strutture esistenti.
Gesù, il portatore di pace, è stato ucciso dalla violenza dell’uomo. […] “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio”.
Come vivrai allora questa Parola?
Anzitutto diffondendo nel mondo l’amore. […] Poi interverrai con prudenza quando, attorno a te, la pace è minacciata. Non di rado basta ascoltare con amore, fino in fondo, le part in lite e una soluzione di pace è trovata.
E per sgonfiare tensioni, che possono nascere fra persone, un mezzo da non disprezzare è lo humour. Dice un testo rabbinico: “Il regno futuro appartiene a coloro che scherzano volentieri perché sono operatori di pace fra gli uomini che litigano”.
Ancora non ti darai pace finché rapporti interrotti, spesso per un nonnulla, non siano ristabiliti.
Forse potrai essere operatore di pace dando vita, in seno a qualche ente o associazione di cui fai parte, ad iniziative particolari dirette a sviluppare una maggiore coscienza della necessità della pace. […]
L’importante è che tu non sta fermo a veder passare i pochi giorni che hai a disposizione senza concludere qualcosa per i tuoi prossimi, senza prepararti convenientemente alla vita che t attende.
Chiara Lubich
(da Parole di Vita, Opere di Chiara Lubich, Citta Nuova Editrice, Roma 2017, pp. 196-197)
Sono Anibelka Gómez, volontaria del Movimento dei Focolari di Santiago de los Caballeros (Repubblica Dominicana), insegnante e attuale direttrice di una scuola pubblica.
L’istruzione non è solo un diritto, ma un potente strumento per trasformare le nostre comunità. Come educatori, abbiamo il potere di influenzare la costruzione di una società più giusta e fraterna. Quindi, dentro di me è nata a un certo punto una grande preoccupazione: come posso contribuire a costruire il “sogno” dell’unità che Gesù ha chiesto al Padre ? Quali azioni concrete posso intraprendere per garantire che l’educazione sia un motore di cambiamento verso la pace nelle nostre comunità?
Così l’anno scorso è nata l’idea di fare qualcosa che andasse oltre i confini della nostra scuola. Sapendo che le forze erano poche, ma credendo nel potere di Gesù che ha promesso di essere presente tra coloro che si amano, abbiamo organizzato il congresso internazionale dal titolo: “Favorire la pedagogia della pace” a Santiago de los Caballeros. Abbiamo deciso di preparare questo congresso basandoci sull’amore reciproco tra gli organizzatori, membri dei Focolari della Repubblica Dominicana e di Porto Rico. Hanno partecipato 140 insegnanti, psicologi, direttori e professionisti dell’educazione, con una rappresentanza di 55 centri educativi, tra cui la Scuola Café con Leche di Santo Domingo, una scuola nella quale ci si impegna a vivere l’arte di amare proposta da Chiara Lubich.
Nelle immagini: Congresso Internazionale “Favorire la pedagogia della pace” (Foto: Anibelka Gómez)
Per la realizzazione di questo grande evento, la provvidenza di Dio si è manifestata attraverso l’aiuto, il sostegno e la collaborazione del direttore Rafael Liriano e del consigliere Ysmailin Collado del Distretto Educativo 08-04, dell’Associazione Nazionale dei Direttori (ASONADEDI), di alcuni imprenditori e della comunità di Santiago, che ci hanno aiutato nella logistica.
Grazie a questo congresso, si è risvegliato l’interesse a conoscere meglio le proposte e le iniziative educative del Movimento dei Focolari, come il Dado della Pace e la Metodologia “6×1” (sei passi per un obiettivo). Per questo motivo, dopo qualche mese si è tenuto il seminario “Cultura della pace e metodologia 6×1”. Vi hanno partecipato 20 scuole rappresentate dai loro presidi e dagli insegnanti, con l’obiettivo di moltiplicarlo per gli insegnanti di altre scuole.
A sinistra: Workshop su FormaT, alla destra: Workshop sul Dado della Pace e Metodologia “6 x 1”(Foto: Anibelka Gómez)
Questo workshop ha sottolineato l’urgenza tra i partecipanti di implementare nelle scuole la novità del Dado della Pace e della Metodologia 6×1. Alcuni presidi e insegnanti hanno affermato che l’attuazione di questi programmi aiuterà i bambini a promuovere una cultura di pace per il bene di una società migliore. Inoltre, per dare continuità a questo progetto, è nata la proposta di realizzare la formazione FormaT, un corso on line rivolto ai formatori che accompagnano bambini, adolescenti e giovani in vari ambienti educativi. L’obiettivo è condividere esperienze, competenze e strumenti per la formazione e l’accompagnamento. Questo programma è tenuto on line dalla Colombia, con la partecipazione di tutti gli insegnanti di 14 centri educativi. La formazione si svolge ogni mese a partire da settembre, è composta da 9 moduli e si concluderà con la consegna di un diploma ai partecipanti.
L’implementazione di questi moduli ha creato un forte legame tra le scuole, tanto che nel periodo quaresimale abbiamo organizzato un ritiro con coloro che partecipano a FormaT, seguito da un fine settimana con i presidi partecipanti. È impressionante per noi vedere come Gesù moltiplica i talenti, tocca i cuori e i frutti vanno al di là di quanto possiamo immaginare dando vita a esperienze di unità.
Sono Letícia Alves e vivo nel nord del Brasile, a Pará.
Nel 2019 ho partecipato al “Progetto Amazzonia” e per 15 giorni io e un gruppo di volontari abbiamo dedicato le nostre vacanze a vivere con le popolazioni della bassa Amazzonia, nella città di Óbidos.
Prima di intraprendere questa avventura, mi chiedevo se sarei stata in grado di dedicarmi completamente a questa esperienza, ambientata in una realtà così diversa dalla mia. Durante il progetto abbiamo visitato alcune comunità fluviali che vivono sulle rive del Rio delle Amazzoni e tutti ci hanno accolto con un amore impareggiabile.
Abbiamo fornito servizi di assistenza sanitaria, legale e familiare, ma la cosa più importante è stata ascoltare profondamente e condividere le vite, le storie e le difficoltà di coloro che abbiamo incontrato. Le storie erano le più diverse: la mancanza di acqua potabile, il bambino che aveva uno spazzolino per tutta la famiglia o anche il figlio che voleva uccidere la madre… Più ascoltavamo, più capivamo il significato della nostra presenza lì.
“La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende lo sforzo di unire TUTTA la famiglia umana”
LS, 13
E tra tante storie, ho potuto vedere quanto possiamo fare la differenza nella vita delle persone: quanto il solo ascolto faccia la differenza, quanto una bottiglia d’acqua potabile faccia la differenza.
Il progetto è stato più che speciale. Abbiamo potuto piantare un seme d’amore in mezzo a tanto dolore e “costruire insieme” ci ha fatto crescere. Quando Gesù è presente tra noi, tutto diventa stimolante, pieno di luce e di gioia.
Non è stato qualcosa che ho vissuto per 15 giorni e poi è finito, ma è stata un’esperienza che ha davvero trasformato la mia vita, ho sentito una forte presenza di Dio e questo mi ha dato la forza di abbracciare i dolori dell’umanità che ho intorno a me in questa costruzione quotidiana di un mondo unito.
Mi chiamo Francisco. Sono nato a Juruti, in Amazzonia, un paese vicino a Óbidos. Mi ha sorpreso sapere che persone provenienti da varie parti del Brasile stavano attraversando il Paese per donarsi e prendersi cura della mia gente e ho voluto unirmi a loro.
Ciò che mi ha colpito di più è stata la felicità di tutti, dei volontari e della gente del posto, che pur vivendo con pochi beni materiali, ha sperimentato la grandezza dell’amore di Dio.
Dopo l’esperienza del progetto Amazzonia a Óbidos, sono tornato a Juruti con una nuova prospettiva e il desiderio di continuare questa missione, ma nella mia città. Lì ho visto gli stessi bisogni che avevo trovato a Óbidos. Questo desiderio non è diventato solo mio, ma di tutta la nostra comunità, che ha sposato la causa. Insieme abbiamo pensato e dato vita al progetto Amazonia nella comunità di São Pedro, con l’obiettivo di ascoltare e rispondere al “grido” di chi ha più bisogno, che spesso non viene ascoltato. Abbiamo scelto una comunità della terraferma, abbiamo iniziato a monitorare i loro bisogni e poi siamo andati alla ricerca di professionisti volontari.
Con la collaborazione di diverse persone, abbiamo portato la vita del Vangelo, l’assistenza medica, l’assistenza psicologica, le medicine e le cure dentistiche a tutta quella comunità. Soprattutto, abbiamo cercato di fermarci ad ascoltare le difficoltà e le gioie di chi incontravamo.
Ho una certezza: per costruire un mondo più fraterno e unito, siamo chiamati ad ascoltare le grida di chi soffre intorno a noi e ad agire, con la certezza che ogni cosa fatta con amore non è piccola e può cambiare il mondo!
L’Europa continua a far parlare di sé, al centro di tensioni internazionali e di accesi dibattiti il cui esito incide sulla vita dei suoi cittadini: quasi mezzo miliardo quelli dell’Unione Europea. Pace versus difesa, guerra o pace commerciale, le scelte sull’energia, le politiche di sviluppo e la giustizia sociale, identità e diversità, apertura e confini: i temi in agenda sono numerosi e, di fronte ai cambiamenti dello scenario interno ed esterno – prima di tutto la guerra in Ucraina -, la rilettura e l’attualizzazione della profezia di Robert Schuman e dei padri fondatori è non solo attuale, ma necessaria.
Sono passati 75 anni da quando l’allora ministro degli esteri francese, il 9 maggio 1950, pronunciò il suo rivoluzionario discorso a Parigi, ponendo le basi per il processo di integrazioneeuropea. Il 15 maggio 2025, nella sede del Parlamento Europeo a Bruxelles, un panel di esperti, esponenti di vari Movimenti cristiani e giovani attivisti, hanno dato voce alla visione dell’unità europea come strumento di pace.
Chiese e Movimenti diversi da vari Paesi d’Europa
L’evento si è svolto per iniziativa di Insieme per l’Europa (IpE)insieme ad alcuni europarlamentari, su invito della parlamentare slovacca Miriam Lexmann – assente per motivi familiari – e ha riunito nella mattinata del 15 maggio, un centinaio di persone da Belgio, Italia, Germania, Olanda, Slovacchia, Austria, Francia, Grecia, Romania. Sono presenti cristiani cattolici, ortodossi e delle Chiese della Riforma; rappresentanti della Comunità Immanuel, YMCA, Focolari, Schoenstatt, Sant’Egidio, Quinta Dimensione, Comunità Papa Giovanni XXIII: la varietà tipica della rete di IpE. A darle voce è il moderatore di Insieme, Gerhard Pross, testimone degli inizi: “Per noi è importante esprimere la forza della fede nel plasmare la società. Tuttavia, non siamo interessati al potere o al dominio, ma a portare la speranza, l’amore e la forza della riconciliazione e dell’insieme insiti nel Vangelo”.
Studenti liceali e universitari vivono un’esperienza europea tra dialogo, istituzioni e spiritualità
Tra il pubblico – e tra i relatori – spicca la forte componente giovanile: in 20 dal liceo Spojená škola Svätá rodina di Bratislava. Studiano cittadinanza attiva e diritto europeo. Sono a Bruxelles con i loro professori, per un’esperienza che può segnare il loro percorso professionale e di vita. Tra loro, Maria Kovaleva: “Io vengo dalla Russia e per me l’Europa significa poter essere qui, indipendentemente dalla mia provenienza o dalla situazione politica nel mio Paese o in Slovacchia, e parlare liberamente – proprio qui, nel cuore dell’Europa. Per me l’Europa è sempre stata un luogo in cui non importa quale religione o nazionalità si abbia. Tutti hanno il diritto di parlare, e di parlare senza censure. Questo è il tipo di Europa che Robert Schuman sognava”.
Peter, 16 anni, si dice sinceramente stupito, trovandosi per la prima volta in un luogo istituzionale dove vengono prese decisioni importanti. È il rappresentante degli studenti e quanto vissuto a Bruxelles è per lui un’ispirazione per il futuro, in cui attraverso il management o l’impegno in politica possa svolgere un ruolo di leadership.
Samuel ha 17 anni. Definisce questi giorni “un’esperienza straordinaria per scoprire qualcosa in più sul resto dell’Europa, come funziona la politica, come lavora il Parlamento; penso di poter parlare a nome di tutta la classe: è stato straordinario!”.
Un’altra rappresentanza studentesca arriva dall’Italia. Sono 10 studenti di scienze politiche e relazioni internazionali della LUMSA, a Roma. Daniele, primo anno di scienze politiche, è colpito particolarmente dal momento del pomeriggio: la preghiera ecumenica nella “Chapel for Europe”. “Mi piace il lavoro di Chiara Lubich, creare ponti per riunire tutti, e si vedeva l’impegno in ciascuno dei presenti. Non è un incontro tra sognatori, ma una ricerca concreta che porta a qualcosa di solido”. Per Diego è un momento in cui la memoria viene rinnovata e porta alla continuità. È ispirato dalla mondialità che si respira a Bruxelles, “un punto di inizio per sviluppi futuri” e ha particolarmente apprezzato gli interventi degli europarlamentari.
Photo: H. Brehm / K. Brand / M. Bacher
L’appello degli europarlamentari ai giovani e ai Movimenti
Erano presenti infatti nella mattinata, Antonella Sberna (Conservatori e Riformisti europei), vice-presidente del Parlamento Europeo e responsabile per l’attuazione dell’articolo 17 TFUE, Leoluca Orlando e Cristina Guarda (Verdi). “Siete l’esempio di che cosa l’UE può fare per i nostri popoli e le nostre civiltà”, afferma la vicepresidente, rivolgendosi a Insieme per l’Europa. E invita i giovani presenti a “essere critici, ma appassionati”, a “studiare bene l’Europa”, per essere “insieme al servizio per correggere ciò che non ci piace e garantire pace nei nostri confini, come esempio di unione dei popoli nel rispetto delle sovranità”.
Leoluca Orlando invita a “cogliere il progetto di futuro che stava nell’azione di Schumann, coltivando una memoria inquieta” e ricorda il principio di fraternità, che fa superare le storiche polarizzazioni tra destra e sinistra su libertà ed uguaglianza. E come esempio di fraternità riporta “l’esperienza profetica di unità tra cattolici e luterani, grazie all’intuizione di Chiara Lubich, a Ottmaring, in Baviera, un luogo nel cuore della Guerra dei Trent’anni”.
Per Cristina Guarda, pace è la parola chiave: “Come Movimenti cristiani vi chiedo di essere parte di questa discussione, e di richiedere la nostra coerenza nella ricerca della pace. E quindi fare scelte giuste e votare correttamente, per rispettare la pace”.
Accompagnare l’Europa a realizzare la sua vocazione
Ed è proprio ad un progetto di pace che la Dichiarazione di Schuman aspira: Jeff Fountain, dello Schuman Centre, offre una lettura delle fondamenta spirituali della Dichiarazione, del suo “coraggioso discorso di tre minuti”: “il suo progetto non era solo politico o economico. Letta a un livello più profondo, la Dichiarazione Schuman rivela che il progetto è profondamente morale, spirituale, radicato nei valori del cuore”. “Le istituzioni che ha contribuito a ispirare – per quanto imperfette – sono una difesa contro il ritorno alla politica del dominio e dell’esclusione, della paura e dell’odio”.
Ma chi dovrebbe dare un’anima all’Europa? Invita a riflettere Alberto Lo Presti. “Non dovremmo aspettarci che tale anima sia prodotta dalle istituzioni politiche europee e trasmessa ai suoi cittadini. Non vorrei vivere in una società nella quale l’istituzione mi inculca, nel cervello, una visione del mondo. A fare così, di solito, sono le organizzazioni politiche totalitarie che anche qui in Europa abbiamo ben conosciuto: per esempio il nazi-fascismo e il comunismo. Si vedrà l’anima dell’Unione Europea quando tale anima sarà visibile nelle scelte quotidiane dei suoi cittadini. Come Insieme per l’Europa vogliamo accompagnare l’Europa alla realizzazione della sua vocazione”.