Vivere la gioia per donarla
Vivere la gioia per donarla
Vivere la gioia per donarla
Sapersi stupire
Molto già si è detto e si dirà ancora sull’importanza ecumenica dell’anno 2025. Il 1700º anniversario del Concilio di Nicea è solo uno – anche se fondamentale – dei vari anniversari importanti per tutta la cristianità che ricorrono quest’anno. Perché è fondamentale ricordare Nicea ancora oggi? Qual è la sua attualità? Per capirlo bene dobbiamo fare un salto indietro nel quarto secolo.
Nel 313 l’imperatore Costantino concordò di dare libertà di culto ai cristiani ponendo fine alle persecuzioni religiose in tutto l’impero. Più tardi, nel 324, Costantino diventò autorità massima di tutto l’impero, di occidente e oriente, ma capì che una controversia dottrinale rischiava di scombussolare la pace nel territorio. Decise dunque di convocare un Concilio di tutta la Chiesa per dirimere la questione; lui era, infatti, cosciente che si trattasse di una questione religiosa, ma era anche convinto che l’unità religiosa fosse un fattore importante per la stabilità politica. A Nicea arrivarono dai 250 a 318 vescovi da tutte le parti dell’Impero. Lo scopo principale era quello di difendere e confermare la fede e la dottrina tramandata dagli apostoli sulla Persona divina e umana di Gesù Cristo, contro un’altra dottrina che serpeggiava tra i cristiani, ossia il pensiero del presbitero Ario di Alessandria d’Egitto e dei suoi sostenitori, che affermavano che Gesù Cristo non era Dio da sempre ma la prima più sublime creatura di Dio.
È comprensibile che un tale mistero, cioè della persona di Gesù Cristo, rappresentasse una sfida per l’intelligenza umana. Ma allo stesso tempo era più forte la testimonianza degli apostoli e di tanti cristiani capaci di morire –pur di difendere questa fede. Perfino tra i vescovi accorsi al Concilio molti portavano ancora i segni delle torture e delle sofferenze subite per tale ragione.
Così quel Concilio definì la fede su cui si basa il cristianesimo e che tutte le Chiese cristiane professano, il Dio rivelato da Gesù Cristo è un Dio unico ma non solitario: Padre, Figlio e Spirito Santo sono un unico Dio in tre Persone distinte che esistono da sempre.
Ricordare Nicea oggi è dunque di grande importanza e attualità: un Concilio che ha messo le basi per la struttura sinodale della Chiesa, di cui oggi ricerchiamo maggiore concretizzazione; un Concilio che ha unificato per tutta la Chiesa il giorno della celebrazione della Pasqua (secoli più tardi – fino ad oggi – con il cambiamento di calendari, la data è poi diventata diversa per le Chiese d’occidente e d’oriente) e che ha fissato i punti cardini della fede cristiana. In particolare, questo ultimo punto ci interpella oggi in maniera forte. Forse la tendenza di non credere alla divinità di Gesù Cristo non è mai sparita del tutto. Oggi per molti è più facile e comodo parlare di Gesù privilegiando le sue prerogative umane di uomo saggio, esemplare, profeta piuttosto che crederlo Figlio unigenito di Dio, della stessa sostanza del Padre.
Dinanzi a queste sfide possiamo pensare che Gesù Cristo rivolga anche a noi, oggi, la stessa domanda che ha rivolto un giorno agli apostoli: “E voi chi dite che io sia?” (Mt 16, 13-17).
Accettare il Credo di Nicea e professarlo insieme dunque, è ecumenicamente importante anche perché la riconciliazione dei cristiani significa riconciliazione non solo con e tra le Chiese nel presente, ma anche con la tradizione della Chiesa primitiva e apostolica.
Considerando il mondo di oggi, con tutte le sue ansie, i suoi problemi e le sue aspettative, ci rendiamo ancora più conto di come l’unità dei cristiani non sia solo un’esigenza evangelica, ma anche un’urgenza storica.
Se vogliamo confessare insieme che Gesù è Dio, allora le Sue Parole, soprattutto quello che Lui ha definito il suo comandamento nuovo, criterio messo da Lui perché il mondo ci riconosca come Suoi discepoli, acquisteranno un grande valore per noi. Vivere questo comandamento “sarà l’unico modo o sicuramente il più efficace per parlare di Dio oggi a chi non crede, per rendere traducibile la Risurrezione di Cristo in categorie comprensibili per l’uomo di oggi”[1].
Centro “Uno”
Per approfondire di più è disponibile il video: Da Nicea camminando insieme verso l’unità
[1] BENEDETTO XVI, Luce del mondo. Il Papa, la Chiesa e i segni dei tempi. Una conversazione con Peter Seewald, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 98.
Pregare per la pace
Aperti a chiedere e dare perdono
Oltre 150 delegazioni di tutto il mondo, leaders politici, capi di varie Chiese cristiane, rappresentanti di diverse religioni ed oltre 200.000 fedeli di ogni parte del pianeta hanno partecipato in Vaticano, oggi, 18 maggio 2025, alla celebrazione per l’inizio del ministero di Papa Leone XIV. E proprio dall’incontro con i pellegrini, il Pontefice ha voluto iniziare, percorrendo in auto Piazza San Pietro fino alla fine di via della Conciliazione, in un saluto lungo, gioioso, commosso. Poi la sosta sulla tomba di Pietro del quale è chiamato ad essere il successore e l’inizio della celebrazione eucaristica.
Era presente anche un gruppo del centro internazionale dei Focolari in rappresentanza della Presidente del Movimento, Margaret Karram, e del Copresidente Jesús Morán che in questi giorni sono in viaggio negli Stati Uniti.
“Un’esperienza di universalità della Chiesa – definisce il momento vissuto a Piazza San Pietro Silvia Escandell (Argentina), delegata centrale dei Focolari -. Ho sentito come Papa Leone XIV, sicuramente anche per il suo carisma, raccoglie questa profonda diversità nell’unità. Mi ha impressionato come lui abbia fatto leva subito su due parole ‘amore e unità’ e tutto il suo discorso lo abbia tracciato su questa scia”. “Mi ha colpito anche quando – continua Silvia – ha fatto riferimento a Pietro al quale Gesù diceva di gettare le reti e ci ha chiamato a farlo un’altra volta. Ma sapendo che queste sono le reti del Vangelo, che va incontro ad ogni uomo. Mi sembra un segno di tanta speranza, per la Chiesa e per l’umanità”.
Nelle foto: piazza San Pietro gremita di fedeli, un momento della celebrazione ed il gruppo del Centro Internazionale dei Focolari
“Per me oggi è stata una forte esperienza in cammino verso il mondo unito – dice Ray Asprer (Filippine) delegato centrale del Movimento dei Focolari – . Vedere tutta la piazza piena e, soprattutto, ascoltare l’appello del Papa che esprimeva la sua visione di una Chiesa strumento di unità, mi sembrava che fosse proprio quello che si è vissuto qui, in tutta la solennità, ma anche proprio come esperienza. Si stava insieme da tutto il mondo, intorno al Papa che proclamava che la missione della Chiesa è amore e unità. Ho sentito un richiamo verso l’unità come un segno dei tempi”.
E di speranza parla Chiara Cuneo (Italia), consigliera al centro internazionale dei Focolari e co-responsabile del dialogo tra Movimenti e nuove Comunità nell’ambito della Chiesa cattolica. “In questo mondo, in questo tempo così buio – dice – la speranza è una luce che ci guida. Durante la Messa ho pensato che, a volte, ci vuole proprio il deserto, perché si vedano germogli di speranza. E oggi è uno di questi germogli: c’è qualcosa che cresce”.
“Anche le parole del Papa di camminare insieme – osserva – sono molto inclusive, veramente ha citato tutti, eravamo tutti dentro, tutti, tutti, tutti”.
“Ho potuto salutare – conclude – insieme a tanti, alcuni fondatori e presidenti di vari Movimenti della Chiesa. E’ stato un momento di festa, di gioia e di speranza rinnovata per ciascuno. Con il desiderio di continuare questo cammino insieme, augurandoci veramente di volerci sempre più bene, come ha detto il Papa”.
Enno Dijkema (Olanda) è consigliere del centro Internazionale dei Focolari e co-direttore del Centro Uno per l’unità dei cristiani. “C’erano anche tantissimi capi di altre Chiese cristiane – osserva – e il Papa ha proprio detto che vuole essere in dialogo con tutti e vuole essere un servitore dell’unità della Chiesa di Cristo”. “Sono stato molto toccato – continua – anche quando lui ha parlato del suo ministero e lo ha descritto non come sopra tutti, ma sotto, come amore, come servizio che è gioia e fede per tutti i cristiani e per tutto il mondo. Davanti a tanti capi di Stato mi è sembrata una bella testimonianza, una bella indicazione del ‘potere’ inteso come amore, come servizio”.
Anna Lisa Innocenti
Foto: Vatican Media Live e © A.L.I.-CSC Audiovisivi
Rimanere in intimità con Dio
Prontezza nell’accogliere tutti
Venerdì 9 maggio presso il Focolare meeting point, nel cuore di Roma (Italia) e attraverso una diretta online, si è tenuta la premiazione del concorso per le scuole dal titolo “Una città non basta. Chiara Lubich cittadina del mondo”. Il concorso è dedicato alla figura della fondatrice del Movimento dei Focolari, una donna che ha saputo unire educazione, politica e dialogo per la pace.
Il tema proposto per la quinta edizione è stato: “Esplorare il concetto di pace, in relazione al pensiero di Chiara Lubich”. Sono pervenuti 118 elaborati (individuali e di gruppo) presentati da 35 Istituzioni scolastiche di 15 Regioni italiane.
Il concorso è promosso da New Humanity, Centro Chiara Lubich e Fondazione Museo storico del Trentino ed è realizzato in collaborazione con il Ministero italiano dell’Istruzione e del Merito. Si conferma come occasione per docenti ed alunni nel riflettere sui valori della fraternità, dell’accoglienza e del dialogo tra culture, temi centrali nel pensiero e nell’azione di Chiara Lubich.
I lavori premiati
Scuola secondaria di II grado
1° posto: Costruire l’infinito, dalla classe 5^ A Linguistico, Liceo A. Maffei – Riva del Garda (Trento). Con immagini pertinenti, le alunne e gli alunni hanno saputo presentare con creatività la loro riflessione sul tema della pace coniugandolo con elementi caratteristici del pensiero di Chiara Lubich che tanto rilievo ha dato alle relazioni di prossimità̀: dove c’è amore c’è unità e dove c’è unità c’è pace.
2° posto ex aequo: Vivere la pace, della classe 2^ H, Liceo classico Quinto Orazio Flacco – Bari. Nell’elaborato scritto, si apprezza il particolare accento che la riflessione pone sulla pace, come un’opera da vivere quotidianamente. Significativi i riferimenti scelti dal pensiero di Chiara Lubich che lascia un’eredità di fraternità e impegno concreto per un mondo più̀ unito.
2° posto ex aequo: Sguardo, di Elena Scandarelli 3^ AU, Liceo Maria Ausiliatrice – Riviera San Benedetto (Padova). In modo semplice ed efficace l’immagine comunica esplicitamente l’importanza che Chiara Lubich dà nel saper guardare al Mondo oltre le umane sfide del mondo, vivendole con uno sguardo di speranza.
Scuola secondaria di I grado
1° posto: 1920-2011, di Alessia Tombacco 3^ C, IC Elisabetta “Betty” Pierazzo – Noale (Venezia). Il testo presentato offre un’originale riflessione in cui emerge l’attualità del pensiero di Chiara Lubich e la possibilità di un incontro vitale con lei, anche in un tempo diverso da quello vissuto da Chiara. Ricca di fiducia nel presente e speranza per il futuro, è l’immagine dell’uomo cellula: portatore di nuove relazioni per un mondo senza frontiere.
2° posto: Voci di fraternità, della classe 3^ D, IC Giovanni XXIII – Villa San Giovanni (Reggio Calabria). Nell’elaborato multimediale si apprezza in modo particolare il coinvolgimento attivo degli allievi, primi testimoni di un frammento di mondo più unito e fraterno. Particolarmente significativo il riferimento alla possibilità di essere “operatori di pace” a partire dalle relazioni più prossime.
Scuola primaria
1° posto: Un seme di unità, Aurora Pellegrino 5^ A, IC Radice-Alighieri – Catona (Reggio Calabria). La composizione poetica esprime un’originale riflessione sul tema della pace alla luce del contributo specifico di Chiara Lubich, donna del dialogo.
2° posto: Una città non basta, classe 4^ A, IC Antonio Gramsci – Tissi (Sassari). L’elaborato multimediale presenta, in modo originale ed efficace, spazi e valori di un mondo ideale in cui, con l’amore, si può superare ogni forma di discriminazione.
Per le menzioni al merito e maggiori approfondimenti sui contenuti degli elaborati, clicca qui
Lorenzo Russo
Dimostrare amicizia
Accogliere e condividere
Il 18 marzo 2025 ci ha lasciati Luciana Scalacci, una donna straordinaria, testimonianza viva di impegno concreto e fattivo nel dialogo a 360°. Luciana, sposata con Nicola, entrambi di convinzioni non religiose, hanno sempre sentito che il dialogo è un aspetto fondamentale nella società contemporanea caratterizzata da tante forme di divisioni e conflitto. “Io e mio marito siamo non credenti – ha raccontato qualche anno fa Luciana durante un incontro dei Focolari -, o meglio, non credenti in Dio, perché noi crediamo nell’uomo e nelle sue potenzialità”.
Luciana era nata ad Abbadia San Salvatore, un paese italiano in provincia di Siena. Si è sempre spesa, fin da bambina, per gli ultimi, i più deboli, trasmettendo a chiunque valori di onestà, integrazione, uguaglianza. Con il marito si sono impegnati in campo politico e sindacale in una militanza di sinistra incentrata sempre sui valori della giustizia, del dialogo, della libertà. L’incontro con il Movimento dei Focolari è avvenuto grazie alla figlia Mascia.
“Un giorno – racconta Luciana – nostra figlia ci scrive una lettera, dove ci dice in sintesi: ‘cari genitori ho trovato un posto dove mettere in pratica i valori che voi mi avete sempre trasmesso’. Aveva conosciuto il Movimento dei Focolari”. Così, per capire meglio la decisione della figlia, Luciana e Nicola decidono di partecipare ad una giornata organizzata dai Focolari. “Era un incontro tra persone di convinzioni diverse, ma noi non lo sapevamo. Pertanto per non creare equivoci, tenemmo subito a precisare la nostra posizione politica e religiosa. La risposta fu: ‘e chi vi ha chiesto nulla!’. Avemmo così subito l’impressione di trovarci in un ambiente dove c’era rispetto per le idee degli altri, trovammo un’apertura che non avevamo mai incontrato in altre associazioni o movimenti religiosi”.
Da quel momento e negli anni a venire, il contributo di Luciana Scalacci per il Movimento dei Focolari è stato essenziale. Era il 1995 quando incontrò per la prima volta Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari. Accanto a lei si è sempre spesa per far nascere e approfondire il dialogo con persone di convinzioni non religiose, che ha preso forza proprio grazie anche all’intelligenza illuminata di Luciana.
Dal 2000 ha fatto parte della Commissione internazionale del dialogo con persone di convinzioni non religiose contribuendo così all’organizzazione di convegni come In dialogo per la pace, Coscienza e povertà, Donne e uomini verso una società solidale e tanti altri. Luciana aveva trovato una sintonia piena con l’Ideale dell’unità, nell’incontro personale con Chiara e con la comunità dei Focolari. Raccontava ad un’amica: “Questo dialogo (tra persone di diverse convinzioni) è nato non per convertire i non credenti, ma perché con Chiara avevamo capito che il mondo unito si fa con tutti. Che tutti siano uno. Se ne escludiamo anche solo uno, non siamo più tutti”.
Il 26 settembre 2014 durante una udienza concessa ai Focolari, saluta Papa Francesco. “In quella giornata straordinaria, ho avuto il privilegio di scambiare con Lei alcune parole che non dimenticherò mai” ha raccontato quest’anno in una lettera che ha indirizzato al Papa mentre lui era ricoverato al Policlinico Gemelli. “Ora, caro papa Francesco, Lei è in un letto di ospedale, e anche io sono nella stessa condizione. Entrambi davanti alla fragilità della nostra umanità. Volevo assicurarle che non smetto di pensarla e pregare laicamente per Lei. Lei preghi cristianamente per me”.
Tante le lacrime di gratitudine e profondissime le parole di ringraziamento nel giorno del suo funerale. Una fra tutte, Vita Zanolini, focolarina e amica di Luciana e Nicola. “Luciana: amica, sorella, compagna nelle frontiere del nuovo, ma nel rispetto della storia e delle radici, maestra di vita e molto altro. – ha detto Vita ricordandola -. Pensando a lei, alla sua libertà, vengono in mente cieli luminosi e tersi, di colore intenso; una sorgente limpida che nel dolce e silenzioso scorrere, si fa anche cascata tumultuosa. Un camino acceso in una casa accogliente che dice un cuore sempre aperto. Ma anche un menù raffinato e ricco con ricette buonissime e sempre creative. Resilienza, rispetto, ascolto, tenacia in tutte le sfumature”.
“Anni fa – continua Vita – in uno dei convegni sul dialogo qualcuno ha posto una domanda, un po’ originale: ‘Qual è la differenza tra un credente e un non credente?’ E la risposta di Luciana, forse inaspettata per molti: ‘I credenti credono in Dio, i non credenti… Dio crede in loro’. E penso possiamo dire che Luciana non ha deluso o disatteso questa fede di Dio in lei!”
Gli ultimi giorni di vita terrena Luciana li ha trascorsi in un hospice dov’era ricoverata. Era sempre vigilissima e attiva nel comunicare quanto aveva in cuore, con una forza straordinaria che contrastava con il poco fiato, ha fatto le sue raccomandazioni (anche minacciando scherzosamente) intercalate al racconto e ricordo di tante esperienze vissute insieme. “Era come se ci passasse il testimone – racconta ancora Vita -. Prima di salutarci l’abbraccio è stato struggente e nello stesso tempo molto sereno, con il sapore dell’eternità”.
Il 13 giugno 2025 si è svolto al centro internazionale un incontro dedicato a Luciana. Attraverso numerose testimonianze da vari Paesi si è messa in luce, come diceva il titolo, “L’eredità di Luciana” cioè il prezioso e determinante contributo che lei ha saputo imprimere al percorso di dialogo portato avanti dal Movimento dei Focolari, in particolare con e tra persone di convinzioni non religiose. Di seguito il video dell’evento.
Lorenzo Russo
Essere fiduciosi
In America Latina ci sono 826 popoli indigeni, con una popolazione di circa 50 milioni, l’8% della popolazione totale, e si stima che altri 200 vivano in isolamento volontario. In questo contesto, fin dall’arrivo del Movimento dei Focolari in queste terre, è stata data importanza alla ricerca del dialogo tra persone e gruppi appartenenti alle tre grandi matrici culturali che compongono la regione: le culture originarie del continente americano, le culture ispano-portoghesi-francesi e le culture africane delle popolazioni che furono portate nelle Americhe. I numerosi membri del Movimento che appartengono a questi gruppi etnici ne sono la prova.
Un centinaio di persone, in rappresentanza di quasi tutti i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi, si sono riunite ad Atuntaqui, nel nord dell’Ecuador, dal 1° al 4 maggio 2025, per partecipare al “Rimarishun”, un’esperienza di interculturalità basata su un esercizio di dialogo tra la cosmovisione andina e caraibica dei popoli nativi e il carisma dell’Unità. Questo spazio è nato qualche anno fa in Ecuador e si sta gradualmente diffondendo in tutti i Paesi dell’America Latina.
“Siamo consapevoli del dolore che, nel corso della storia, ha segnato le nostre relazioni come latinoamericani – spiegano – a causa del razzismo e della separazione che hanno ostacolato la relazione simmetrica tra le culture e hanno portato alla rottura delle relazioni tra persone di diversi gruppi culturali, dando origine a rapporti sociali ingiusti. Per questo, in Ecuador, nel 2017, abbiamo dato vita a un percorso di fraternità, che in lingua quichwa chiamiamo “Rimarishun” (Dialoghiamo), facendo dell’interculturalità un’opzione di vita e utilizzando il dialogo fraterno come metodo”.
Il Congresso, concepito come un viaggio, un “pellegrinaggio” vitale, è iniziato con il trasferimento dei partecipanti nella comunità quichua di Gualapuro. È stato subito chiaro che l’obiettivo era quello di creare spazi interculturali che costruiscano ponti tra gruppi di popoli, nazionalità o culture diverse, dove fondamentale è incontrare l’altro, accogliersi e prendersi cura l’uno dell’altro come fratelli e sorelle. Manuel Lema, della comunità quichua, ha dato il benvenuto ai partecipanti sotto una grande tenda allestita per l’occasione: “Possiamo generare un modo di pensare diverso, di vedere il mondo in modi diversi, ma, allo stesso tempo, essere uno”. E Jesús Morán, Copresidente dei Focolari, arrivato dall’Italia per partecipare al Congresso con un piccolo gruppo del Consiglio generale dei Focolari, portando a tutti il saluto della presidente Margaret Karram, ha aggiunto: “Stiamo costruendo qualcosa di nuovo. Di fronte a una società ipersviluppata, scopriamo qui che esiste una saggezza più profonda che proviene dai popoli nativi”. Così tutti saliti sulla collina per partecipare al “Guatchacaram”, il rito di ringraziamento alla Madre Terra. Più tardi, dopo aver condiviso il pranzo, tutto diventa momento di festa che esprime fraternità: musica, danze, balli. Alla fine della giornata, sono stati piantati alcuni alberi in memoria di coloro che hanno dato impulso a questo dialogo e che non sono più tra noi, tra cui uno dedicato a Papa Francesco.
Un’altra tappa di questo viaggio è stata la visita alla casa del vescovo Leonidas Proaño (1910-1988), “l’apostolo degli indios”. La sua dedizione alle popolazioni indigene più povere e sfruttate è un forte esempio di interculturalità. In questo ambiente cominciarono a svilupparsi le “mingas”, gruppi per sentire e pensare insieme, intendendo la reciprocità come principio centrale della relazione, su vari temi: economia, ecologia, educazione, spiritualità, cultura, razzismo.
Vengono condivisi, con grande rispetto e tenendo conto delle diversità, i riti degli afro-discendenti dei Caraibi e del Centro America e il rito maya, che si collegano al profondo rispetto per la natura, la “Madre Terra” e il trascendente. E in questo contesto, la condivisione di testimonianze come quella dei focolari nei territori dei popoli indigeni, delle scuole per il recupero delle conoscenze e della cultura ancestrale, o del sistema matematico amerindiano, permettono l’arricchimento reciproco.
La “peregrinazione” prosegue presso l’Università Cattolica dell’Ecuador a Ibarra per un momento aperto alla comunità accademica e al pubblico. Alla tavola rotonda partecipano Custodio Ferreira (Brasile), laureato in pedagogia e didattica, specializzato in storia dell’Africa, che parla delle “ferite della realtà”: “il razzismo che esiste oggi in tutta l’America Latina e nei Caraibi è una ferita aperta che sanguina. La sua guarigione e il suo risanamento richiedono un dialogo fraterno e, in questo senso, l’interculturalità, come sperimentato da Rimarishum, è una risposta concreta per avviare questo processo di guarigione”.
Osvaldo Barreneche (Argentina), dottore in storia, responsabile del Centro dei Focolari per il dialogo con la cultura contemporanea, ha parlato di “fraternità e cura della terra attraverso alcuni scritti di Papa Francesco”.
Jesus Moran (Spagna), Copresidente del Movimento dei Focolari, che ha vissuto in America Latina per 27 anni, afferma: “Questo lavoro di interculturalità è molto importante e viene portato avanti con ammirevole fedeltà in varie parti dell’America Latina. Per noi che siamo cristiani, significa che nelle culture native possiamo scoprire aspetti della rivelazione di Cristo che finora non sono stati sufficientemente messi in luce”.
Maydy Estrada Bayona (Cuba), dottore in Scienze filosofiche e docente presso l’Università dell’Avana, ha portato i presenti nella “Cosmovisione afro-caraibica”. Monica Montes (Colombia), dottore in Filologia ispanica, docente e ricercatore presso l’Università di La Sabana, si riferisce alla “Fraternità e cura dal pensiero latinoamericano”. Jery Chavez Hermosa (Bolivia), fondatore, nella città di Cordoba, in Argentina, dell’organizzazione di migranti andini di cultura aymara, quechua e guaranì, ha concluso con una presentazione dinamica che ha coinvolto tutti i presenti.
L’incontro si chiude con una S. Messa inculturata, con danze, canti tipici e tamburi in una chiesa decorata con fiori e petali di rosa, celebrata da Mons. Adalberto Jiménez, vescovo del Vicariato di Aguarico, che ha partecipato attivamente all’incontro. Il Padre Nostro è stato recitato in 12 lingue in successione, a dimostrazione dell’interculturalità vissuta in questi giorni.
Nella sua omelia, il vescovo Adalberto, partendo dal racconto evangelico della moltiplicazione dei pani, invita tutti a guardare al futuro: “Questo Gesù, questo Dio che ci unisce nei diversi nomi, nei diversi riti, è la storia che dobbiamo raccontare, i riti della vita, dell’unità. Oggi ce ne andiamo con un po’ più di luce, che è fuoco, che illumina. E’ quello che ci hanno lasciato Chiara Lubich e Papa Francesco, che sono presenti e ci chiamano a curare l’interculturalità. Grazie Rimarishun”.
Carlos Mana
Foto: © Carlos Mana – Ivan Izurieta
Ricostruire i rapporti
Il bene vince sempre
Ascoltare la voce del cuore
Sanare le ferite che incontriamo negli altri
A nome del Movimento dei Focolari in tutto il mondo esprimo la mia profonda gioia per l’elezione di Papa Leone XIV come nuovo Pontefice della Chiesa Cattolica. Ringraziamo Dio per aver accolto le preghiere di tanti e guidato con il suo Spirito i lavori dei Cardinali nell’individuare il successore di Pietro in un tempo come quello attuale che presenta gravi sfide per l’umanità.
Assicuriamo sin d’ora al Santo Padre la nostra filiale vicinanza, la nostra preghiera e il nostro impegno ad essere costruttori di pace, come lui ha più volte sottolineato nella sua prima benedizione.
Oggi il mondo ha estremo bisogno di pace, di luce e di speranza. Per questo gli promettiamo di continuare ad impegnarci, insieme alle comunità ecclesiali in cui siamo inseriti, a portare a tutti l’amore di Dio; ad essere aperti al dialogo, per essere “un solo popolo sempre in pace”, testimoniando che l’unità chiesta da Gesù nel suo Testamento è più forte di ogni divisione.
Ci impegniamo inoltre ad incarnare sempre più fedelmente il cammino sinodale, per poterlo applicare anche nei vari ambiti della società; a dare il nostro contributo affinché la Chiesa sia una casa aperta ed accogliente per ogni uomo e donna e per le nuove generazioni, soprattutto per chi è più fragile, più soffre ed è emarginato, per offrire a tutti il messaggio sempre nuovo di Cristo.
Auguri, Papa Leone XIV, con tutto il nostro affetto!
Margaret Karram – Presidente del Movimento dei Focolari
Scaricare qui la dichiarazione della Presidente
Foto © Vatican Media
Eccomi!
Attivare i sottotitoli e scegliere la lingua desiderata
Nell’unità è la forza
Coinvolgersi per fare la differenza
Qualche settimana fa, ho preso parte al progetto MED25, una nave-scuola per la pace. Eravamo 20 giovani provenienti da tutto il Mediterraneo — Nord, Sud, Est e Ovest — a bordo di una barca chiamata “Bel Espoir”. Siamo partiti da Barcellona, e il meteo non era come previsto, quindi ci siamo fermati a Ibiza prima di raggiungere Ceuta, e da lì abbiamo viaggiato via terra fino a Tetouan, per poi tornare a Malaga. Non è stato solo un viaggio — è stato un percorso dentro le vite, le menti e le culture degli altri.
Vivere su una barca con così tante persone diverse è stato bellissimo, ma non sempre facile. Ogni giorno abbiamo dovuto dividerci i compiti: cucinare, servire i pasti, pulire, lavare i piatti. Ci alternavamo in squadre, così ognuno ha sperimentato il ritmo completo della vita a bordo. Abbiamo anche imparato a navigare — cosa che all’inizio è stata un po’ folle. Vorrei poter dire che alla fine è diventato tutto naturale, ma in realtà è stato più difficile del previsto. Si inizia a capire quanto lavoro di squadra serva, realmente, per andare avanti.
Ma non eravamo lì solo per cucinare e navigare. Eravamo lì per parlare — per parlare davvero. Abbiamo affrontato otto grandi temi: cultura, educazione, ruolo delle donne, religione, ambiente, migrazione, tradizioni cristiane e, naturalmente, la pace. Non erano discussioni teoriche. Erano tematiche profondamente personali. Abbiamo condiviso i nostri punti di vista e a volte ci siamo scontrati. A volte le discussioni si accendevano. Ci sono stati momenti di frustrazione. Alcune conversazioni si sono trasformate in veri e propri litigi.
Ma ecco la verità — su una barca non puoi semplicemente andartene. Non puoi tornare a casa e dormirci su. Vivi insieme. Mangi insieme. Navighi insieme. Sei letteralmente sulla stessa barca. Questo cambia tutto. Rende impossibile restare arrabbiati a lungo. Dovevamo parlarne. Dovevamo ascoltarci, e a volte dovevamo ammettere di avere torto.
Questa, per me, è stata la parte più potente di questa esperienza. Ho capito che la maggior parte dei conflitti — tra persone o tra Paesi — non nasce dall’odio. Nasce dalla mancanza di conoscenza, dagli stereotipi, dalla disinformazione. E proprio come noi abbiamo avuto la possibilità di conoscerci su quella barca, anche il mondo può farlo. Se noi siamo riusciti a superare anni di incomprensioni in sole due settimane insieme, immaginate cosa sarebbe possibile se le persone fossero davvero disposte ad ascoltarsi.
Ho anche scoperto tante cose inaspettate. Come il fatto che la Quaresima venga celebrata in modo diverso in Europa rispetto al Medio Oriente. O come la religione giochi un ruolo completamente diverso nella politica e nella vita pubblica, a seconda di dove ci si trova. In Europa, spesso è una questione privata, mentre in molti Paesi mediorientali, la religione plasma le leggi, le politiche e la vita quotidiana. Non erano solo nozioni — ho sentito la differenza attraverso le persone con cui ho vissuto.
Ciò che mi ha colpito di più è stato che, nonostante tutte le nostre differenze, avevamo così tanto in comune. Abbiamo riso tanto. Abbiamo ballato. Abbiamo avuto il mal di mare insieme. Abbiamo anche avuto l’occasione di digiunare insieme, visto che eravamo nel periodo della Quaresima e del Ramadan. Abbiamo fatto arte, letto libri, scherzato, pregato in tante lingue diverse allo stesso tempo, scoperto religioni come il Cristianesimo, l’Islam, l’Induismo, l’Ebraismo, dormito sotto il cielo aperto, e condiviso momenti silenziosi e sacri. E attraverso tutto questo, ho capito che la pace non è qualcosa di lontano o irraggiungibile. È qualcosa di molto umano. È caotica, e richiede impegno. Ma è possibile.
Sono tornata cambiata. Non perché credo che ora abbiamo risolto tutti i nostri problemi, ma perché ora credo che la pace non sia un sogno — è una scelta. Una scelta che inizia davvero con il vedere e ascoltare l’altro.
E se 20 sconosciuti sono riusciti a farlo su una barca in mezzo al mare, allora c’è speranza anche per il resto del mondo.
Bertha El Hajj, giovane ambasciatrice di pace.
Per ascoltare questa ed altre esperienze clicca su:
A cura di Maria Grazia Berretta
Ascoltare attentamente, parlare consapevolmente
Agustín e Patricia e i loro due figli sono una famiglia argentina. In seguito ad un corso di Sophia ALC, la sede latino-americana dell’Istituto universitario con sede nella cittadella internazionale di Loppiano (Italia), sono andati alla ricerca delle loro radici tra i popoli originari ed è nato un forte impegno per il dialogo interculturale.
Imparare e crescere per superare i limiti
Promuovere la pace attraverso lo sport
Piccoli gesti, grandi effetti
Accogliere le differenze, cercare ciò che ci unisce
Spesso la vita ci porta in situazioni in cui, a poco a poco e senza volerlo, ci chiudiamo in noi stessi: una discussione, le nostre certezze, il nostro ego o le nostre paure.
Ma a volte basta fermarsi davanti a una domanda semplice fatta di parole semplici, per osservare impreviste possibilità di cambiamento: “Chi sei tu per me?” o, in altre parole, “Chi sono io per te?” Domande che, come dice Margaret Karram, aprono la strada a gesti concreti: “fare il primo passo, ascoltare, non risparmiare tempo, lasciarsi toccare dal dolore”[1]. È ovvio: se pensiamo agli altri, non pensiamo a noi stessi, né alle nostre debolezze, ai fallimenti o alle ferite. Pensare all’altro ci porta a metterci nei suoi panni, in un atteggiamento di reciprocità: “come mi sentirei se l’altro mi dicesse quello che io sto dicendo a lui?” oppure “cosa posso fare per lui?”
Se le nostre azioni nascono dal desiderio di mettere al primo posto il benessere di chi ci sta accanto, tutto può acquisire una dimensione più grande, fino a poter dire all’altra persona che la amiamo in modo gratuito e senza aspettarci nulla in cambio.
Ma a volte possiamo essere invasi dallo scoraggiamento, dalla frustrazione, dalla stanchezza. Il medico statunitense Ira Robert Byock afferma che i momenti di maggiore disperazione nascono quando ci si sente prigionieri di “una gabbia di rabbia, paura, sfiducia”[2]. In quei momenti, arrendiamoci alla forza dell’amore che tutto può, che ci libera da ogni legame e ci incoraggia a ricominciare senza paura. Lo esprime così il gruppo musicale Gen Rosso in una delle sue canzoni: “Ricominciare è come dire ancora sì alla vita, per poi liberarsi e volare verso orizzonti senza confini, dove il pensiero non ha paura. E vedere la tua casa diventare grande come il mondo. Ricominciare è credere all’amore e sentire che anche nel dolore l’anima può cantare e non fermarsi mai”.
Un atteggiamento di questo genere può portare a un cambiamento personale, ma anche comunitario, quando condividiamo, in un dialogo sincero e costruttivo, i nostri disagi. In quel clima di vera amicizia, potremo ricostruire un tessuto sociale che sostituisca la rabbia con la riflessione, la paura con la ricerca di nuovi cammini, e la sfiducia con la speranza. Diventeremo così un segno di un nuovo modo di costruire la società.
A volte basta davvero una parola semplice:
“Tu per me sei importante… perché tu sei tu!”
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[1] M. Karram: “Prossimità” – 2024
[2] in: The Economist – The 2015 Quality of Death Index. Ranking palliative care acrosstheworld
L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali. dialogue4unity.focolare.org
La pace inizia con me
L’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni ci porta in Galilea, sul lago di Tiberiade. Pietro, Giovanni ed altri discepoli, dopo la morte di Gesù, sono tornati al loro lavoro di pescatori, ma purtroppo la notte è stata infruttuosa.
Il Risorto si manifesta lì, per la terza volta, li esorta a gettare nuovamente le reti e questa volta raccolgono tanti pesci. Poi li invita a condividere il cibo sulla riva. Pietro e gli altri lo hanno riconosciuto, ma non osano rivolgergli la parola.
Gesù prende l’iniziativa e si rivolge a Pietro, con una domanda molto impegnativa: “Simone di Giovanni, mi ami più di costoro?”. Il momento è solenne: per tre volte Gesù rinnova la chiamata di Pietro[1] a prendersi cura delle sue pecore, di cui Egli stesso è il Pastore[2].
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Ma Pietro sa di aver tradito e questa tragica esperienza non gli permette di rispondere positivamente alla domanda di Gesù. Risponde con umiltà: “Tu sai che ti voglio bene”.
Durante tutto il dialogo, Gesù non rinfaccia a Pietro il tradimento, non si dilunga a sottolineare l’errore. Lo raggiunge sul piano delle sue possibilità, lo porta dentro la sua dolorosa ferita, per sanarla con la sua amicizia. L’unica cosa che chiede è di ricostruire il rapporto nella fiducia reciproca.
E da Pietro sgorga una risposta che è un atto di consapevolezza della propria debolezza e, allo stesso tempo, di fiducia illimitata nell’amore accogliente del suo Maestro e Signore:
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Anche a ciascuno di noi Gesù fa la stessa domanda: mi ami? Vuoi essere mio amico?
Egli sa tutto: conosce i doni che abbiamo ricevuto da Lui stesso, come pure le nostre debolezze e ferite, a volte sanguinanti. Eppure rinnova la sua fiducia, non nelle nostre forze, ma nell’amicizia con Lui.
In questa amicizia, Pietro troverà anche il coraggio di testimoniare l’amore per Gesù fino al dono della vita.
«Momenti di debolezza, di frustrazione, di scoraggiamento li passiamo tutti: […] avversità, situazioni dolorose, malattie, morti, prove interiori, incomprensioni, tentazioni, fallimenti […] Proprio chi si sente incapace di superare certe prove che si abbattono sul fisico e sull’anima, e perciò non può far calcolo sulle sue forze, è messo in condizione di fidarsi di Dio. E Lui interviene, attirato da questa confidenza. Dove Lui agisce, opera cose grandi, che appaiono più grandi, proprio perché scaturiscono dalla nostra piccolezza»[3].
Nella quotidianità possiamo presentarci a Dio così come siamo e chiedere la sua amicizia che risana. In questo abbandono fiducioso alla sua misericordia potremo tornare nell’intimità con il Signore e riprendere il cammino con Lui.
«Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Questa Parola di vita può diventare anche preghiera personale, la nostra risposta per affidarci a Dio con le nostre poche forze e ringraziarlo per i segni del suo amore:
«[…] Ti voglio bene perché sei entrato nella mia vita più dell’aria nei miei polmoni, più del sangue nelle mie vene. Sei entrato dove nessuno poteva entrare, quando nessuno poteva aiutarmi, ogni qualvolta nessuno poteva consolarmi. […] Dammi d’esserti grata – almeno un po’ – nel tempo che mi rimane, di questo amore che hai versato su di me, e m’ha costretta a dirti: Ti voglio bene.»[4].
Anche nei nostri rapporti in famiglia, nella società e nella chiesa, possiamo imparare lo stile di Gesù: amare tutti, amare per primi, “lavare i piedi”[5] ai nostri fratelli, soprattutto i più piccoli e fragili. Impareremo ad accogliere ognuno con umiltà e pazienza, senza giudicare, aperti a chiedere e accogliere il perdono, per comprendere insieme come camminare fianco a fianco nella vita.
A cura di Letizia Magri e del team della Parola di Vita
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[1] Cf. Mt 16,18-19.
[2] Gv 10,14.
[3] C. Lubich, Parola di Vita di luglio 2000, in eadem, Parole di Vita, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma, 2017, p. 629.
[4] Gratitudine, in C. Lubich, La dottrina spirituale, Mondadori 2001, p. 176
[5] Cf. Gv 13,14.
L’edizione 2025 del tradizionale festival dei giovani nella cittadella dei Focolari mette in scena le fragilità e i conflitti vissuti dai giovani di oggi e li trasforma in un’esperienza artistica immersiva e di speranza. Tanti workshop e uno spettacolo finale dal vivo per dire a tutti: «You are born to bloom», “Sei nato per fiorire”.
«Ricordati che sei nato per fiorire, per essere felice». È questo il messaggio che, nell’anno del Giubileo della speranza, i giovani organizzatori del Primo Maggio di Loppiano (Figline e Incisa Valdarno – Firenze, Italia) vogliono dare ai loro coetanei che parteciperanno all’edizione 2025 del tradizionale festival che si svolge, dal 1973, nella cittadella internazionale del Movimento dei Focolari, in occasione della Festa dei Lavoratori.
Il tema
Al cuore di “You are born to bloom, il coraggio di fiorire”, questo il titolo della manifestazione, ci sono le fragilità, le ferite e i conflitti vissuti dai ragazzi e dai giovani di oggi, sublimati in un’esperienza artistica, immersiva e di crescita.
«Crediamo che quel conflitto che spesso ci attraversa nelle fasi più difficili della vita possa diventare un’opportunità per rinascere più forti e consapevoli di chi siamo – spiegano Emily Zeidan, siriana e Marco D’Ercole, italiano, della squadra internazionale dei giovani organizzatori del festival –. Come ci diceva Papa Francesco, “il conflitto è come un labirinto”, non dobbiamo avere paura di attraversarlo, perché i “conflitti ci fanno crescere”. Ma “dal labirinto non si può uscire da soli, si esce in compagnia di un altro che ci aiuti”. Così, al Primo Maggio di Loppiano, vogliamo ricordare a tutti la bellezza gli uni e degli altri, anche nei momenti di vulnerabilità».
Un tema di stringente attualità quello del 1° maggio a Loppiano, se si considera che in Italia, 1 minore su 5 soffre di un disturbo mentale (depressione, ritiro sociale, rifiuto scolastico, autolesionismo, ansia, disturbi del comportamento alimentare, tendenze suicide), secondo i dati della Società italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza. Gli under 35, invece, vivono la precarietà lavorativa, sono sotto retribuiti, subiscono disuguaglianza territoriale e di genere (“Giovani 2024: il bilancio di una generazione”, EURES), non si sentono compresi dagli adulti nelle loro esigenze e nel vissuto, in particolare, quando si parla di paure e fragilità, aspirazioni e sogni.
«Papa Francesco aveva una grande fiducia in noi giovani. Non perdeva occasione per ricordarci che il mondo ha bisogno di noi, dei nostri sogni, di grandi orizzonti verso cui guardare insieme, per “porre le basi della solidarietà sociale e della cultura dell’incontro”», sottolineano Emily e Marco. Per questo “You are Born to Bloom” sarà uno spettacolo costruito insieme, dove il pubblico non sarà solo spettatore ma parte integrante della narrazione: chiunque vi partecipi sarà chiamato a diventare protagonista dello spettacolo, dando il meglio di sé con gli altri.
Il programma
Al mattino, i partecipanti al festival del Primo Maggio di Loppiano avranno l’opportunità di esplorare le proprie fragilità e bellezze attraverso workshop d’arte, motivazionali ed esperienziali guidati da psicologi, formatori, counselor, artisti e performer.
Tra questi, anche il Gen Verde International Performing Arts Group preparerà le giovani e i giovani a salire sul palco e a far parte del cast delle coreografie, dei cori, della compagnia teatrale e della band nello spettacolo finale. I workshop del Gen Verde sono svolti nell’ambito del progetto “M.E.D.I.T.erraNEW: Mediation, Emotions, Dialogue, Interculturality, Talents to foster youth social inclusion in the Mare Nostrum”, Erasmus Plus – Gioventù – partenariato di cooperazione.
Il festival culminerà al pomeriggio con la costruzione collettiva del live show: tutti i partecipanti saranno parte attiva della storia, non ci sarà distanza tra palco e pubblico.
Tra gli artisti che hanno confermato la loro partecipazione Martinico e la band AsOne.
“You are born to bloom, il coraggio di fiorire” è realizzato grazie al contributo di Fondazione CR Firenze.
Il Primo Maggio di Loppiano è un evento della Settimana Mondo Unito 2025 (1-7 maggio 2025), laboratorio ed expo globale di sensibilizzazione alla fraternità e alla pace.
Per informazioni e prenotazioni contattare: primomaggio@loppiano.it +39 055 9051102 www.primomaggioloppiano.it
Tamara Pastorelli
L’amore rende liberi
Un cammino di dialogo e accoglienza radicato nel Vangelo quello condiviso da Papa Francesco con i Focolari. A raccontarlo Maria Voce Emmaus, che è stata Presidente del Movimento durante i primi 8 anni del suo pontificato.
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Accettare il cambiamento
Come “distributrice di incarichi”, in dieci anni ero riuscita, in collaborazione con il nostro parroco, a formare il Consiglio pastorale parrocchiale e il gruppo dei sagrestani. Con il passare del tempo, mi sono resa conto che il mio ruolo si stava ridimensionando. Molte persone, prima meno attive, si sono proposte per svolgere vari incarichi, e io ho scelto di farmi da parte per lasciare loro spazio. Inizialmente ho accettato con serenità il mio ruolo più defilato. In seguito, però, sentendomi esclusa, ho capito quanto sia facile legarsi ai propri ruoli, ma anche quanto sia importante saper lasciare andare. A volte, il Signore ci invita a fare un passo indietro per prepararci a qualcosa di nuovo. Non è facile, perché implica accettare il cambiamento e fidarsi. Oggi, pur sentendomi un po’ ai margini, rimango disponibile a dare il mio contributo se e quando mi verrà richiesto. Sono convinta che ogni servizio, anche il più piccolo, abbia un valore e che ogni fase della vita sia un’opportunità per crescere nella fede e nell’amore verso gli altri.
(Luciana – Italia)
Dio mi vede
Mi capitava a volte, quando abitavo a Bruxelles, di andare a messa nella chiesa del Collegio di St. Michel. Per arrivarci, si dovevano percorrere lunghi corridoi con ai due lati una serie infinita di classi. Sopra la porta di ciascuna, un cartello con la scritta: Dio ti vede. Era un mettere in guardia i ragazzi che rifletteva un pensiero del tempo passato, espresso al negativo: “Non fare peccati perché, anche se gli uomini non ti vedono, Dio ti vede”. Invece a me, forse perché nato in un’altra epoca o perché credo nel suo amore, risuonava in maniera positiva: “Non devo fare cose buone davanti agli uomini affinché mi vedano, per sentirmi dire bravo o essere ringraziato, ma vivere alla presenza di Dio”. Nel Vangelo di Matteo 23,1-12 Gesù, parlando a degli scribi e a dei farisei che amano mettersi in mostra, li invita a non farsi chiamare “maestri”, ad avere un’unica preoccupazione: agire sotto lo sguardo di Dio che legge nei cuori. Ecco, questo mi piace: Dio mi vede, come dicono i cartelli nel collegio; Dio legge nei cuori e questo mi deve bastare.
(G.F.- Belgio)
Fare il primo passo
Per una questione di eredità tra mia madre e sua sorella era caduto il silenzio. Non si frequentavano più da tempo, e la spaccatura venuta a crearsi non faceva che allargarsi, tanto più che noi abitavamo in città e la zia in un paesino di montagna piuttosto distante. Questo stato di cose si è protratto fino al giorno in cui ho preso il coraggio a due mani, provocata dalla Parola di Gesù: «Se tu stai per presentare la tua offerta all’altare, e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi torna e presenta la tua offerta». Cercando il momento adatto, ho affrontato l’argomento con la mamma e sono riuscita a convincerla ad accompagnarmi dalla zia. Durante il viaggio eravamo piuttosto silenziose; io poi non facevo che pregare perché tutto andasse bene. In effetti le cose si sono svolte nel modo più semplice: colta di sorpresa, la zia ci ha accolte a braccia aperte. Ma era stato necessario fare noi il primo passo.
(A.G. – Italia)
A cura di Maria Grazia Berretta
(tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno X– n.1° marzo-aprile 2025)
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Ascoltare la voce interiore
Puntare in alto!
Essere misericordiosi
Un Papa che ha sognato e ci ha fatto sognare…che cosa? che – lo ha detto una volta lui stesso – “la Chiesa è il Vangelo”. Non nel senso che il Vangelo è proprietà esclusiva della Chiesa. Ma nel senso che Gesù di Nazaret, colui che è stato crocifisso fuori dall’accampamento come fosse un maledetto e che Dio Abbà ha invece risuscitato dai morti come Figlio primogenito tra molti fratelli e sorelle, continua qui ed ora, attraverso coloro che si riconoscono nel suo nome, a portare la buona notizia che il Regno di Dio è venuto e sta venendo… per tutti, a cominciare dagli “ultimi” che dal Vangelo sono raggiunti per ciò che sono agli occhi di Dio: i “primi”. Davvero, e non per modo di dire. Ecco il Vangelo che la Chiesa annuncia e contribuisce a fare storia, quanto più dal Vangelo si fa trasformare. Come accadde, sin dal principio, a Pietro e Giovanni quando, salendo al tempio, incontrarono alla porta detta “Bella” l’uomo che era storpio dalla nascita. Fissarono insieme lo sguardo su di lui, che a sua volta li guardò negli occhi. E Pietro gli disse: “non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo dó: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina!”.
Il Vangelo di Gesù e la missione della Chiesa. Spendersi perché ci si alzi in piedi e si cammini. Così il Padre ci pensa, ci vuole e ci accompagna. Jorge Maria Bergoglio – con tutta la forza e la fragilità della sua umanità, che ce l’ha fatto sentire fratello – è per questo che ha speso la sua vita e il suo servizio come Vescovo di Roma. Da quella prima apparizione dalla loggia di San Pietro, quando si è inchinato chiedendo che il Popolo di Dio invocasse per lui la benedizione, all’ultima, il giorno di Pasqua, quando con voce flebile ha impartito la benedizione del Cristo risorto scendendo poi nella piazza per incrociare il suo sguardo con lo sguardo della gente. Il suo sogno è stato quello di una Chiesa “povera e dei poveri”. Nello spirito del Vaticano II che ha richiamato la Chiesa al suo unico modello, Gesù: che “ha spogliato se stesso, facendosi servo”.
Il nome di Francesco che ha scelto dice l’anima di ciò che ha voluto fare, e prima essere: testimone del Vangelo “sine glossa”, e cioè senza commenti e senza accomodamenti. Perché il Vangelo non è né un orpello, né un tappabuchi, né un analgesico: è annuncio di verità e di vita, di gioia, di giustizia, di pace e fraternità. Ecco il programma di riforma della Chiesa nella Evangelii gaudium, ed ecco i manifesti di un nuovo umanesimo planetario nella Laudato sì e nella Fratelli tutti. Ecco il Giubileo della misericordia ed ecco il Giubileo della speranza. Ecco il documento sulla fratellanza universale siglato ad Abu Dhabi col grande Iman di Al Ahzar ed ecco le innumerevoli occasioni d’ incontro vissute con i membri delle diverse fedi e convinzioni. Ecco l’opera instancabile a difesa degli scartati, dei migranti, delle vittime di abusi. Ecco il rifiuto categorico della guerra.
Francesco ha avuto ben chiaro che il Vangelo non basta farlo tornare a parlare, con tutta la sua carica sovversiva, nell’areopago complesso e persino contraddittorio del nostro tempo. Occorre qualcosa di più: perché non ci troviamo solo in un’epoca di cambiamenti, ma siamo in mezzo al guado di un cambiamento d’epoca. Occorre guardare con uno sguardo nuovo. Quello con cui ci ha guardato e ci guarda, dal Padre, Gesù. Lo sguardo che, con accenti teneri e accorati, è descritto nel suo testamento spirituale e teologico, l’enciclica Dilexit nos. È lo sguardo – semplice e radicale – dell’amare il prossimo come sé e dell’amarsi gli uni gli altri in una reciprocità libera, gratuita, ospitale, aperta a tutti, tutti, tutti. Il processo sinodale in cui la Chiesa cattolica – e, per la loro parte, tutte le altre Chiese – è stata convocata indica la strada da percorrere in questo nostro terzo millennio: al di là di una figura di Chiesa clericale, gerarchica, al maschile… Una strada nuova perché antica come il Vangelo. Una strada non facile, costosa e irta di ostacoli. Ma una grande profezia, affidata alla nostra creativa e tenace responsabilità.
Grazie Francesco! Il tuo corpo ora riposerà accanto a Colei che ti ha accompagnato passo passo, come madre, nel tuo santo viaggio. Tu, con lei, accompagna ora tutti noi, dal grembo di Dio, nel cammino che ci attende.
Piero Coda
Foto: © CSC Audiovisivi
Annunciatori di speranza
È con profonda emozione che scrivo queste righe su Papa Francesco dopo il suo “volo” verso il Padre. Mi tornano alla mente, solleciti e pieni di significato, i tanti momenti in cui ho potuto stringergli la mano e sentire il calore del suo sorriso, la tenerezza del suo sguardo, la forza delle sue parole, il battito del suo cuore pronto a un’accoglienza paterna. E faccio fatica a credere che questi incontri non avranno più un “domani” o un “di nuovo” nella mia storia.
Non intendo fare una sintesi tematica del pontificato di Francesco. A tal fine, basterà passare in rassegna i numerosi articoli che sono stati pubblicati in questi giorni, soprattutto il numero speciale dell’Osservatore Romano – a poche ore dalla sua morte – e le valutazioni più o meno esaurienti che sicuramente saranno pubblicate a breve.
Ciò che mi muove dall’interno è trovare quel filo d’oro che tesse la sua missione alla guida della Chiesa, cercare di sintonizzarmi con il centro del suo cuore e della sua anima. E, da lì, rivivere il rapporto che ha avuto con l’Opera di Maria in questi dodici anni.
Per farlo, ho meditato a fondo sui suoi ultimi interventi, perché sento che è qui che Papa Francesco ha dato il meglio di sé e dove si trova la chiave di tutto il suo pensiero e di tutte le sue azioni.
Nel testo che ha preparato per la Messa di Pasqua, c’è una citazione del grande teologo Henri de Lubac – francese e gesuita pure lui – che non può essere semplicemente retorica: «dovrà esserci sufficiente di comprendere questo: il cristianesimo è Cristo. No, veramente, non c’è nient’altro che questo».
A mio avviso, se vogliamo capire Francesco, dobbiamo riferirci a questo assoluto: Cristo, e solo Cristo, tutto Cristo. Da esso possiamo visualizzare il contenuto profondo delle sue encicliche ed esortazioni apostoliche, la scelta dei suoi viaggi, le sue opzioni preferenziali, il senso delle riforme che ha intrapreso, i suoi gesti, le sue parole, le sue omelie, i suoi incontri, soprattutto il suo amore per gli esclusi, per gli scartati, per le donne, per gli anziani, per i bambini e per il creato.
“No, veramente, non c’è nient’altro”. Ecco perché si può dire – usando un pleonasmo – che il cattolicesimo di Papa Francesco è semplicemente un “cattolicesimo cristiano”. L’impulso di novità che ha voluto dare alla Chiesa poggia su questo orientamento: la trasparenza di Cristo. In virtù di ciò, in molte occasioni si è spinto ben oltre il politicamente corretto, o meglio, l’ecclesialmente corretto, senza paura di essere frainteso, e senza paura di sbagliare, addirittura cosciente delle sue “contradizioni”. Infatti, in un’intervista a un giornale spagnolo ha detto che ciò che augurava al suo successore era di non commettere i suoi stessi errori.
A causa di questa centralità cristologica, possiamo riconoscere di aver davvero vissuto – senza quasi rendercene conto – con un Papa profondamente mistico. Del resto, è così che Papa Francesco ha pensato e vissuto la Chiesa: non come organizzazione religiosa, né come distributrice di sacramenti, tanto meno come centro di potere economico, sociale o politico, ma come popolo di Dio, corpo di Cristo, che dà ospitalità all’umanità nell’umanità Sua. Chiesa, quindi, aperta all’umanità, al servizio, perché Gesù è “il cuore del mondo”.
Ridurre Francesco a un riformatore sociale o a un Papa di rottura mostra una tremenda cecità. Spesso ho fissato il suo volto quando intercalava i commenti nei suoi messaggi, ad esempio all’Angelus domenicale. Lì, con la semplicità di un pastore che ama appassionatamente il suo gregge, appariva la sua sintonia col divino, la sua sapienza, la sua fede cristallina e immediata, la sua profonda umiltà.
Dalla centralità di Cristo derivano, a mio modesto avviso, i due pilastri fondamentali del suo magistero: la misericordia e la speranza. La misericordia è l’espressione del sapersi come credenti radicati nella storia, personale e collettiva, con tutti i suoi drammi; la speranza manifesta la tensione escatologica e salvifica che la determina. Secondo il pensiero del Papa, c’è misericordia perché c’è speranza; ed è la speranza che ci dà un cuore di misericordia. Infatti, nell’omelia preparata per la Veglia pasquale di quest’anno, Francesco afferma che “Cristo risorto è la svolta definitiva della storia umana”. Gli importanti messaggi sociali ed ecologici di Papa Francesco vengono fraintesi se non si tiene conto di questa tensione escatologica incentrata sul Risorto.
Il rapporto di Francesco con il Movimento dei Focolari è stato intenso nei dodici anni del suo pontificato. Ad esso ha rivolto dieci discorsi ufficiali: ai partecipanti alle Assemblee del 2014 e del 2021; a tutti i membri in occasione dell’80° anniversario della nascita del movimento; alla comunità accademica dell’Istituto Universitario Sophia; alle famiglie-focolari; ai partecipanti all’incontro dei vescovi di diverse Chiese; ai partecipanti all’incontro sull’“economia di comunione”; ai partecipanti all’incontro interreligioso “One Human Family”; ai cittadini della cittadella di Loppiano; alla Mariapoli di Roma-Villaggio per la terra. Inoltre, in un’occasione, concesse un’udienza privata a Maria Voce, prima presidente dell’Opera di Maria dopo Chiara, e al sottoscritto.
Ciò che emerge da questi incontri è un grande amore e una toccante sollecitudine pastorale di Papa Francesco verso il movimento. Nella virtuosa circolarità ecclesiale tra doni gerarchici e carismatici, possiamo affermare che, da un lato, il Papa ha saputo cogliere, apprezzare ed evidenziare il dono che il carisma dell’unità, con la sua enfasi sulla spiritualità di comunione e le sue realizzazioni concrete in ambiti ecclesiali e civili molto diversi, rappresenta per il processo sinodale che tutta la Chiesa sta vivendo in vista di una nuova evangelizzazione; dall’altro, ha identificato con estrema lucidità le sfide e i passi che il movimento deve necessariamente compiere se vuole rimanere fedele al carisma originario, sapendo attraversare con umiltà l’inevitabile crisi della post-fondazione, trasformandola in un tempo di grazia e di nuove opportunità.
Papa Francesco è stato per il mondo un messaggio di fraternità a tutto campo radicato in Cristo e aperto a tutti. La fraternità è l’unico futuro possibile. Noi, popolo dell’unità, dobbiamo fare tesoro di questa eredità con umiltà, energia e responsabilità.
Jesús Morán
Foto © Vatican Media
Essere strumento d’amore e di gioia
Attivare i sottotitoli e scegliere la lingua desiderata
Portare la pace
Infondere speranza
Testimoniare l’amore
Con profondo dolore ho appreso del ritorno alla casa del Padre del nostro amatissimo Papa Francesco. Insieme alla Chiesa tutta Lo ridoniamo a Dio, colmi di gratitudine per lo straordinario esempio e dono d’amore che è stato per ogni persona e popolo.
Sono tanti i momenti, durante l’intero pontificato, in cui il Santo Padre è stato pastore vicino e amorevole anche per il Movimento dei Focolari: ci ha sempre accolti e guidati a testimoniare il Vangelo con coraggio e radicalità.
Dei tanti momenti vissuti con lui, non dimenticheremo le sue parole all’Assemblea Generale dei Focolari, ricevuta in udienza nel 2021:
“rimanete sempre in ascolto del grido d’abbandono di Cristo in croce, che manifesta la misura più alta dell’amore. La grazia che ne deriva è in grado di suscitare in noi, deboli e peccatori, risposte generose e a volte eroiche; è in grado di trasformare le sofferenze e persino le tragedie in fonte di luce e di speranza per l’umanità”.
Infine, non posso non testimoniare anche l’amore e l’attenzione personale del Papa per me, per le sofferenze del mio popolo in Terra Santa e la gratitudine immensa di avermi chiamata a partecipare al Sinodo sulla sinodalità dove Lui stesso ci ha aperto le porte della Chiesa sinodale che ora sta muovendo i suoi passi in tutto il mondo.
Insieme a tutto il Movimento dei Focolari nel mondo mi unisco alla preghiera della Chiesa universale e di tutti gli uomini e le donne di buona volontà, certa che la Madonna “Salus Populi Romani”, a cui era tanto devoto, lo accoglierà in Cielo a braccia aperte.
Margaret Karram
Comunicare la dolcezza di Dio