Movimento dei Focolari

Dal buio alla riscoperta del proprio carisma

Una religiosa, in un momento di buio, toccata dalla serenità con cui una consorella viveva la sua grave malattia, ne scopre il segreto: l’amore a Gesù crocefisso e abbandonato, cuore della spiritualità dell’unità, dei Focolari. “Per me – racconta – è una conversione”. Riscopre l’attualità del suo fondatore: “Di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo, San Vincenzo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava “i nostri padroni”. In Gesù abbandonato ora lei riconosce il volto del Signore trasfigurato nella povertà di oggi, in un quartiere malfamato, in una comunità a servizio dei tossicodipendenti, fra i rifiutati dalla società. C’è chi si riavvicina a Dio e “passa dalla morte alla vita”, perché inizia ad amare i fratelli. Sono una Figlia della Carità di S.Vincenzo de’ Paoli. La Compagnia di cui faccio parte è stata fondata nel XVII secolo da Vincenzo e Luisa Marillac. Ho conosciuto l’Ideale dell’unità in un momento di buio e di fatica, attraverso una consorella che ne viveva la spiritualità. Le era stato diagnosticato un tumore al cervello, tuttavia lei era rimasta serena e sempre aperta e pronta ad amare. Durante l’anestesia spesso ripeteva:”Per te Gesù, per te”. Dove trovava questa forza? Ne ho scoperto il segreto: l’abbraccio a Gesù Crocefisso e Abbandonato. Anch’io voglio vivere quest’avventura. Per me è un momento di conversione vera: lo Spirito santo mi aiuta a bruciare il tarlo che da anni toglie alla mia vita la freschezza e la generosità per Gesù. Dentro sento una voglia matta di amare. Inizio a frequentare il Focolare, partecipo agli incontri dove attingo la luce per vivere il carisma dei miei fondatori. Divento più libera, più gioiosa, più donna, più Figlia della Carità. Le regole e l’esperienza di S. Vincenzo de’ Paoli e di S.Luisa de Marillac mi sembrano più vicine. Il mio Fondatore, di fronte alla miseria materiale e spirituale del suo tempo consacrò la sua vita all’evangelizzazione dei poveri che egli chiamava i “nostri padroni”. Riscopro in Gesù Abbandonato il volto del Signore trasfigurato nella povertà d’oggi. Così, se nel 1600 le mie consorelle andavano ad evangelizzare, curare, nutrire, vestire i poveri, raggiungendoli sulle strade, sui campi di battaglia, nelle soffitte, negli ospedali, nelle galere…….Io scopro oggi la bellezza e l’attualità del nostro carisma vivendo in un quartiere malfamato di Milano. In questi anni capisco qual è il mio modo di contribuire alla realizzazione dell’Ideale dell’unità: essere il mio fondatore redivivo per realizzare l’unità. Anni dopo sono mandata in una comunità a servizio dei tossicodipendenti. Sperimento l’insicurezza e l’assurdo di abbracciare una realtà di fronte alla quale sono impreparata e inadeguata. Mi ribello al pensiero di essere confinata in una cascina su una montagna, senza un ruolo ed un’attività ben precisa. Ma è proprio nel vivere quest’esperienza, apparentemente senza colore, che il Signore mi libera da attaccamenti e sicurezze e rinnovo il mio “si” a Gesù. Così Lui che mi prepara a vivere un’altra avventura: sono trasferita in un monolocale, in un quartiere popolare di Torino, segnato dalle nuove povertà: etilisti, dimessi da ospedali psichiatrici, barboni, anziani, in altre parole gli ultimi, rifiutati dalla società. Ho la fortuna di condividere la spiritualità dell’unità con una consorella. Vivendo con i poveri 24 ore su 24 incontro Gesù Abbandonato ad ogni passo. Mi scontro con la diffidenza. La gente pensa che le suore siano lì a controllare e le guardano con disprezzo e indifferenza. Ma loro sono i “nostri padroni”, in loro riconosciamo il Volto di Gesù.  A poco a poco l’amore li conquista. I barboni diventano i nostri primi amici. C’interessiamo della vita dei nostri vicini e apriamo la porta della nostra casa a tutti. Certo, non è sempre facile, a volte subentra l’impazienza, il disagio, la ripugnanza e lo scoraggiamento di fronte all’ingratitudine e alla pretesa esigente dei più poveri.  Ma abbracciando il dolore, Gesù Abbandonato, ritrovo la capacità d’amare, ritrovo la forza e la gioia di vivere ciò che S.Vincenzo chiede alle sue suore di Carità: “I poveri sono i tuoi padroni, dei padroni terribilmente esigenti. Più loro saranno brutti e ingiusti, più dovrai amarli”. L’amore reciproco con la mia consorella genera Gesù in mezzo (cf. Mt 18,20) e la nostra casa diventa punto di riferimento per la gente del quartiere, per un gruppo di giovani che vogliono condividere la nostra attività caritativa. Alcuni si riavvicinano a Dio facendo l’esperienza della parola: “Siamo passati dalla morte alla vita perché abbiamo amato fratelli”. E alcuni capiscono che Dio li chiama a seguirLo. Durante l’inverno la nostra casa si apre anche agli extracomunitari che altrimenti vivrebbero all’addiaccio; alcuni sono musulmani. Rimangono stupiti di fronte al disinteresse, all’amore concreto e al rispetto con cui andiamo loro incontro. Chiara Lubich c’insegna ad amare “facendoci uno”. Durante il periodo del Ramadan facciamo trovare loro un pacchettino con del cibo, affinché dopo il tramonto possano avere qualcosa da mangiare. Anche i giostrieri diventano nostri amici; nelle loro carovane incontriamo i bambini per prepararli ai sacramenti e gli adulti per far conoscere loro che Dio li ama. Lo scorso anno il ridimensionamento della nostra Congregazione mi porta a trasferirmi altrove ma l’esperienza d’unità vissuta continua a dilatarsi in altri ambienti. Ritorno a Milano e provo un distacco doloroso di fronte al grido di tanti poveri con i quali ho condiviso la mia vita in questi anni. Sperimento così la frase di Chiara: “Ogni distacco dal ben che ho fatto è un contributo a edificare Maria” e ripeto: “Per te, Gesù”, che ora continuo a scoprire nei volti dei nuovi fratelli che mi mette accanto. Così nell’impegnarmi a incarnare nella vita il carisma che S.Vincenzo ha lasciato alla Chiesa, cerco, in unità con tutta l’Opera di Maria, di realizzare il testamento di Gesù: “Che tutti siano uno”. Questo mi dà un ardore nuovo e l’avventura continua con i nuovi fratelli nei quali riscopro ogni volta il Suo Volto”. (sr. R.R.) (altro…)

Il mosaico si ricompone

Da mesi, forse da anni, non riesco più a prendere un’ora di svago. Un pomeriggio mi lascio convincere da mia sorella ad andare al cinema. Entrando in sala il mio sguardo incrocia due occhi che mi fissano con insistenza. Un ragazzo sui diciotto anni mi viene incontro, chiedendo di parlarmi all’intervallo del film. Lì per lì non lo riconosco, ma poi iniziano a frullarmi in testa ricordi e immagini. Come ho fatto a non accorgermene subito? Quello è Roman, mio figlio, che non vedo da otto anni, da quando è andato a vivere con suo padre, dopo la nostra separazione. Aveva appena dieci anni allora, ed ora lo ritrovo un uomo. Ci abbracciamo in silenzio. Poi mi dice: “Mamma, posso venire a vivere con te?”. Dopo le lacrime di tutti e due, torniamo insieme a casa. Quella notte, per la prima volta, i miei 4 figli dormivano sotto lo stesso tetto: lui e suo fratello, nati dal mio primo matrimonio, e gli altri due più piccoli, nati dal secondo matrimonio.

Una vita in mille pezzi Ho avuto spesso l’impressione che la mia vita fosse come un vaso che cadeva in mille pezzi, e che più io cercavo di rimetterli insieme, più il vaso si rompeva. Dopo un’infanzia difficile e rapporti tesi in famiglia, il giorno del mio diciassettesimo compleanno mi ero sposata. Era un passo un po’ affrettato, ma ero convinta che il matrimonio mi avrebbe dato quella felicità che aspettavo. Invece non ho avuto un solo momento di tranquillità. Malgrado fossero nati due figli, la situazione è arrivata in breve a un punto di rottura, e dopo 10 anni di matrimonio ci siamo separati. A 27 anni con un bimbo piccolo (Roman era rimasto con il padre), e un matrimonio fallito alle spalle, non era facile ricominciare. Non avevo nessuno accanto, e anche quel Dio che avevo incontrato da bambina sembrava scomparso. In quella solitudine, quando un altro uomo mi ha dimostrato un po’ d’affetto, nel desiderio di offrire al bambino il calore di una famiglia, ho accettato di sposarlo. Sono nati due figli ed ho vissuto un periodo felice. Poi sopraggiunge un’altra prova durissima: il mio compagno viene colpito da un tumore. Si alternano momenti di speranza e di sconforto, sino a quando, per i dolori acutissimi, in un momento di crisi non ce l’ha fatta più e si è tolto la vita. E’ possibile ricominciare! Rimango di nuovo sola, con tre figli da mantenere. Questa morte tragica mi getta nella disperazione, e vorrei anch’io farla finita. Un giorno, non so perché, entro in una chiesa, dove non mettevo più piede da quando ero ragazza. Non riesco a dire niente, piango soltanto. Uscendo, sento dentro una grande pace: era lui, Dio… mi dava la possibilità di ricominciare. Riprendo a frequentare la chiesa, superando la vergogna iniziale. Lì trovo una comunità parrocchiale viva, trovo calore, accoglienza. A poco a poco scopro che dietro a questa vita c’è una scelta radicale del Vangelo. E’ loro stile di vita quell’amore scambievole, che è il comandamento nuovo di Gesù. Scopro un cristianesimo vivo. Inizia in me una vera, profonda conversione. Nelle parole di Gesù trovo la luce e la forza per superare i momenti difficili. Capisco che il passato non esiste più, e l’incontro con Dio rende tutto nuovo e luminoso. Ora, con quattro figli da mantenere, però, i problemi economici non mancano; eppure al momento opportuno è sempre arrivato quello di cui avevamo bisogno: un vestito, una riparazione gratuita, una somma per delle spese impreviste. Un amore più forte della morte Una sera, verso mezzanotte, bussano alla porta. Roman era fuori per lavoro e doveva tornare per quell’ora. Invece sono due poliziotti: Roman è stato investito da una macchina sulle strisce pedonali ed è morto sul colpo. “Mio Dio, questo è troppo”, grido. Arrivano subito i miei nuovi amici. Presenti accanto a me tutta la notte, condividono in silenzio l’abisso di dolore, mi aiutano a non disperare, trasmettendomi una forza non solo umana. Ho finalmente trovato la famiglia che da sempre ho cercato, quella dei figli di Dio. Affrontiamo insieme i momenti più difficili: all’obitorio, il funerale. Pian piano si fa strada una certezza: anche questo è amore di Dio. Gli ripeto il mio sì. La vita riprende. Mi ritrovo nuova. Quell’abisso di dolore ha scavato in me una nuova capacità d’amore. Ora mi è chiaro più che mai: solo l’amore resta. (L. M.) (altro…)

aprile 2004

Non è la prima volta che Luca racconta che i discepoli discutono su chi sia tra loro il più grande. Questa volta siamo durante l’ultima cena. Gesù ha da poco istituito l’Eucaristia, il segno più grande del suo amore, del suo donarsi senza misura, anticipo di quanto vivrà poche ore dopo sulla croce. Egli sta in mezzo ai suoi “come colui che serve”. Il Vangelo di Giovanni, infatti, riporta il suo gesto concreto di lavare i piedi ai discepoli. In questo mese in cui celebriamo la Pasqua, la Risurrezione di Gesù, è importante ricordare questo suo insegnamento.

I discepoli non capiscono, perché condizionati dalla mentalità comune del vivere umano che privilegia il prestigio e l’onore, i primi posti nella scala sociale, il diventare “qualcuno”. Ma Gesù è venuto in terra proprio per creare una società nuova, una nuova comunità, guidata da una logica diversa: l’amore.
Se Lui, che è il Signore e il Maestro, ha lavato i piedi (un’azione riservata agli schiavi), anche noi se vogliamo seguirlo, soprattutto se abbiamo particolari responsabilità, siamo chiamati a servire il nostro prossimo con altrettanta concretezza e dedizione.

«Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve»

È uno dei paradossi di Gesù. Lo si capisce soltanto se si pensa che l’atteggiamento tipico del cristiano è l’amore, quell’amore che lo fa mettere all’ultimo posto, che lo fa piccolo davanti all’altro, così come fa un papà quando gioca con il figlioletto o aiuta nei compiti di scuola il ragazzo più grande.
Vincenzo de’ Paoli chiamava i poveri i suoi “padroni” e li amava e li serviva come tali, perché in loro vedeva Gesù. Camillo de Lellis si chinava sui malati, lavando le loro piaghe, accomodando loro il letto, “con quell’affetto – come scrive lui stesso – che una madre amorosa è solita avere per il suo unico figlio infermo”.
E come non ricordare, più vicina a noi, la beata Teresa di Calcutta, che si è chinata su migliaia di moribondi, facendosi “nulla” davanti a ciascuno di loro, i più poveri dei poveri?

“Farsi piccoli” di fronte all’altro vuol dire cercare di entrare il più profondamente possibile nel suo animo, fino a condividerne le sofferenze o gli interessi, anche quando a noi sembrano di poco conto, insignificanti, ma che costituiscono invece il tutto della sua vita.
“Farsi piccoli” davanti ad ognuno, non perché noi, in qualche maniera, siamo in alto e l’altro in basso, ma perché il nostro io, se non è tenuto a bada, è come un pallone, sempre pronto a salire, a mettersi in posizione di superiorità nei confronti del nostro prossimo.

«Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve»

“Vivere l’altro”, dunque, e non condurre una vita ripiegata su sé stessi, piena delle proprie preoccupazioni, delle proprie cose, delle proprie idee, di tutto ciò che si considera nostro.
Dimenticarsi, posporre se stessi per aver presente l’altro, per farsi uno con chiunque fino a scendere con lui e sollevarlo, per farlo uscire dalle sue angustie, dalle sue preoccupazioni, dai suoi dolori, dai suoi complessi, dai suoi handicap o semplicemente per aiutarlo a uscire da sé stesso ed andare verso Dio e verso i fratelli e così trovare insieme la pienezza di vita, la vera felicità.

Anche gli uomini di governo, gli amministratori pubblici (“chi governa”), ad ogni livello, possono vivere la loro responsabilità come un servizio d’amore, per creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe…
Dal mattino quando ci alziamo, alla sera quando ci corichiamo, in casa, all’ufficio, alla scuola, per strada possiamo sempre trovare l’occasione per servire, e ringraziare quando siamo a nostra volta serviti.
Facciamo ogni cosa per Gesù nei fratelli, non trascurando nessuno, anzi amando sempre per primi.
Serviamo tutti! È solo così che siamo “grandi”.

Chiara Lubich

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Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

L’E.di.C. spa e l’Associazione Lionello Bonfanti saranno presenti dal 2 al 4 Aprile a “Terrafutura”, prima mostra-convegno internazionale delle “buone pratiche di sostenibilità”.

Siamo chiamati tutti a dare un futuro alla terra:società civile, istituzioni, imprese. E sono tante le persone, i gruppi, le associazioni già coinvolte in questo cammino. Dall’obiettivo comune di garantire un futuro al nostro pianeta nasce l’idea di Terra Futura, un evento internazionale che intende rappresentare una prima concreta occasione di dialogo e confronto tra le “buone pratiche di sostenibilità” in tutti i campi: la vita quotidiana, le relazioni sociali, il sistema economico, le pratiche di governo. Luogo deputato alla realizzazione dell’evento è la Fortezza da Basso a Firenze, che ospiterà dal 2 al 4 aprile questa mostra-convegno. L’evento – promosso da Banca Etica, Fondazione Culturale Responsabilità Etica onlus, in collaborazione con Regione Toscana e altri enti e associazioni – prevede un fitto calendario di appuntamenti: convegni, dibattiti, workshop, momenti di animazione e spettacolo, e una rassegna espositiva di progetti e servizi per uno sviluppo sostenibile e solidale. La mostra sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, da venerdì 2 Aprile (h. 9.00-18.30). E.di.c.Spa e Associazione Lionello Bonfanti, con uno stand, collocato nel padiglione centrale, presenteranno oltre all’idea ispiratrice dell’Economia di Comunione, anche il progetto del Polo imprenditoriale Lionello Bonfanti, di prossima costruzione ad Incisa in Valdarno, e alcune aziende italiane di Economia di Comunione. A conclusione, domenica 4 aprile, il convegno “Economia tra profitti e condivisione: la sfida dell’Economia di Comunione”, con docenti di economia, amministratori dell’E.di.C. spa, una tavola rotonda di approfondimento delle esperienze in atto, presentazione della cittadella di Loppiano e del Polo Lionello. Come simbolicamente esprime il logo della manifestazione Terra Futura (una persona che sostiene il mondo), è la società civile che, insieme alle istituzioni e al sistema produttivo, sorregge il futuro del mondo. A loro è affidata la costruzione di un mondo migliore, di una terra che abbia le basi solide della responsabilità sociale, dell’economia sostenibile, del commercio equo. (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Un messaggio di unità per l’Irlanda, che ricopre la presidenza di turno dell’Unione Europea

Incontri al massimo livello in campo politico, economico ed ecclesiale hanno caratterizzato la prima visita di Chiara Lubich in Irlanda, riportati anche dai due quotidiani nazionali più importanti: Irish Times e Irish Indipendent.

I temi dell’Europa, in questo semestre di presidenza irlandese dell’Unione europea, hanno avuto particolare rilievo nei colloqui con il Primo ministro Bertie Aherne e con la Presidente della Repubblica Irlandese, Mary McAleese.   In un Paese che dal boom economico di questi ultimi anni è ora alla ricerca di una profonda dimensione etica, rilievo ha avuto il convegno svolto alla Facoltà di Economia dell’Università Dublino dove è stata proposta l’Economia di comunione come via per umanizzare la globalizzazione, aperto dal Governatore della Banca d’Irlanda che ha dichiarato: “Il progetto dell’Economia di comunione nasce da una cultura spirituale che mi sembra molto importante. L’economia ha bisogno di una profonda dimensione etica che l’Economia di comunione può portare anche in Irlanda.”  

L’Irlanda, sino a pochi decenni or sono profondamente cattolica, è ora alla ricerca di una risposta all’onda di scristianizzazione in atto in tutto il mondo occidentale. Il Presidente della conferenza episcopale irlandese, mons. Seran Brady ha invitato Chiara Lubich a parlare sulla Chiesa-comunione e sulla sua esperienza di evangelizzazione ad un gruppo di vescovi. Presenti anche il Nunzio, mons. Lazzarotto, l’arcivescovo di Dublino, card. Connell, l’arcivescovo coadiutore, Diarmuid Martin. Tra i commenti: “Qui c’è un dono dato da Dio alla sua Chiesa”.

La ricerca della luce, viene riscoperta come il filo conduttore dell’antichissima storia d’Irlanda, rappresentata, con i linguaggi dell’arte, alla festa della famiglia dei Focolari a Dublino, dove in oltre 1000, anche dall’Irlanda del Nord, si sono incontrano con Chiara Lubich. La fondatrice dei Focolari ha rilanciato tutti a portare ovunque la luce dell’ideale d’unità, la fraternità che nasce dal Vangelo vissuto.  

Ha concluso il viaggio l’inaugurazione della cittadella Lieta, un “laboratorio di unità”. Un momento toccante: quando sono stati ricordati coloro che sono le radici spiritualità della diffusione dell’ideale dell’unità in Irlanda.

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Un messaggio di unità per l’Irlanda e l’Europa

Un messaggio di unità per l’Irlanda e l’Europa

L’Irlanda è un Paese che conta 5 milioni di abitanti. In questo momento sta ricoprendo un ruolo importante, per la Presidenza di turno dell’Unione europea, proprio nel tempo in cui avverrà lo storico ingresso dei primi Paesi dell’Est nell’Unione. Ed è specie sui temi dell’Europa che sono stati incentrati i colloqui di Chiara Lubich con i massimi vertici della Repubblica Irlandese.

A colloquio con la Presidente della Repubblica La Presidente, Mary McAleese, riceve Chiara al palazzo presidenziale. E’ profondamente cristiana. Nata nell’Irlanda del Nord, ha vissuto sulla sua pelle che cosa vogliono dire traumi e violenze. Programma del suo mandato è: “Costruire ponti”. I 50 minuti di colloquio tra Chiara e la Presidente sono stati intensi e hanno toccato molti aspetti, non ultimo l’Europa, e la problematica delle radici cristiane. Chiara ha avvertito con lei una profonda sintonia. Il primo Ministro Bertie Ahern, dopo l’incontro con Chiara, ha dichiarato: “Il messaggio di oggi è molto importante per un’isola come l’Irlanda che è stata divisa, che ha una società ancora travagliata e che conta anche difficoltà religiose. Abbiamo anche parlato delle difficoltà dell’Unione europea, nella prospettiva ormai imminente di coesistenza tra culture e Stati diversi. Penso che quello che ho sentito oggi e ciò che ho letto nel passato, testimoni il grande lavoro svolto dal Movimento: mettere assieme la gente, capendo i loro problemi”. La fraternità come categoria politica: proposta ad un gruppo di politici Erano in 19, tra cui 10 deputati e senatori di diversi partiti. Ampia la rappresentanza dell’Irlanda del Nord, tra cui il presidente del partito SDLP (Social Democratic and Labour Party), Mark Durkan. Antonio Maria Baggio, venuto da Roma, ha presentato il Movimento politico per l’unità che prospetta a persone impegnate nelle più diverse appartenenze partitiche, la fraternità come categoria politica. L’ascolto è profondo. E’ nata una nuova speranza. Fermo il proposito di continuare ad incontrarsi. (altro…)

Dal boom economico alla ricerca di una profonda dimensione etica

Dal boom economico alla ricerca di una profonda dimensione etica

E’ il governatore della Banca d’Irlanda, Laurence Crowley, che apre un Convegno ospitato dalla Facoltà di Economia dell’Università Statale di Dublino, dal titolo: “Umanizzando l’economia globale, verso un’Economia di comunione”. E’ una proposta economica innovativa, nata dall’humus della spiritualità dell’unità, dei Focolari, che suscita vivo interesse nel mondo accademico irlandese. Lo illustra il messaggio di Chiara Lubich. L’uditorio è qualificato: accademici, imprenditori, studenti. 200 persone. L’Economia di Comunione, una fucina di nuove idee, portatrice di una cultura economica innovativa, viene illustrato da esperti. Le esperienze di alcuni imprenditori, a cominciare dai pionieri del Polo Spartaco (Brasile), hanno dato ancora maggiore credibilità al progetto.

Il governatore Crowley, dichiara: “L’Economia di Comunione mi interessa certamente per gli aspetti che riguardano la teoria economica e aziendale che vi sta dietro. Ma, a quanto mi è dato di capire, il progetto nasce da una cultura spirituale che mi sembra molto importante. L’economia ha bisogno di una profonda dimensione etica che l’Economia di comunione può portare anche in Irlanda, dove il dinamismo economico necessita di un supplemento di valori etici”. (altro…)

Una risposta all’onda di scristianizzazione in un Paese dalle profonde radici cristiane

Una risposta all’onda di scristianizzazione in un Paese dalle profonde radici cristiane

L’inaugurazione della cittadella Lieta, “laboratorio di unità” A conclusione della visita, ha acquistato particolare significato l’inaugurazione della incipiente cittadella del Movimento: la Mariapoli Lieta, piccolo bozzetto di un mondo rinnovato dal Vangelo, nel contesto della politica e della Chiesa in Irlanda. Vi sono presenti sia personalità civili che religiose.

Le radici spirituali della diffusione in Irlanda dell’Ideale dell’unità Più volte, durante questo viaggio in Irlanda, sono stati ricordati coloro che sono alla radice della diffusione dell’ideale dell’unità in questo Paese: i primi ad accoglierla e a diffonderla, Margaret Neylon e il figlio Eddie, il primo gen, inchiodato in una carrozzella. Toccante il momento della scoperta della targa con la foto di Lieta, focolarina argentina, all’inaugurazione della cittadella che porta il suo nome. Per questo Ideale, Lieta ha lavorato per 30 anni in Irlanda: dall’inizio degli anni Settanta, fino al 2002, quando ci ha lasciato. Vivi nel cuore di tutti, Joe McNamara, uno dei primi focolarini sposati e il focolarino Stephen Lukong, del Camerun, partito improvvisamente per il Cielo poche settimane or sono. Gli ultimi suoi giorni erano stati segnati da una profonda esperienza spirituale. Il loro nome è fissato anche nei viali e nelle piazzette della cittadella.

L’Irlanda, che vanta un’antica e profonda tradizione cristiana, in questi ultimi decenni sta soffrendo l’impatto violento della scristianizzazione, anche a causa del boom economico. Il presidente della Conferenza episcopale irlandese, mons. Sean Brady aveva invitato Chiara Lubich a parlare ad un gruppo di vescovi sulla spiritualità di comunione e sulla sua esperienza di evangelizzazione. Nel dialogo,, i vescovi rivelano le loro preoccupazioni più gravi per il difficile momento che sta attraversando il Paese. Il problema più serio: le nuove generazioni. Chiara parla della loro domanda di modelli, di testimoni. Poi il dialogo prosegue sul rapporto con le altre religioni, la politica, la collegialità, la famiglia.

La ricerca della luce, filo conduttore dell’antica storia d’Irlanda La riscoperta delle antichissime radici di una storia che risale a 5000 anni or sono, l’evangelizzazione iniziata da San Patrizio nel 5° secolo, l’epoca missionaria, l’attuale crisi, che mostra segni di ricerca di quella luce che percorre tutta la storia irlandese, e l’accoglienza della luce del carisma dell’unità, 30 anni or sono: altrettante tappe, delineate con espressioni artistiche e musicali, alla festa della famiglia del Movimento con Chiara Lubich, all’Università di Dublino dove, in circa 1000, erano giunti dall’Irlanda del Nord e dalle altre contee. Chiara ha rilanciato tutti a vivere la fraternità tra cattolici e protestanti e nei rapporti con le altre religioni, in particolare l’Islam, in questa che oggi è, per la prima volta, anche terra di immigrazione. Forti, la mattina, le testimonianze della comunità irlandese: una giovane che racconta della sua ricerca di Dio nelle turbolenze giovanili; una coppia dell’Irlanda del Nord, che resiste alle tentazioni dell’odio, tra bombe e attentati, per far vincere quell’amore che lancia ponti tra la comunità protestante e quella cattolica dell’Ulster. L’arcivescovo Diarmuid Martin, coadiutore di Dublino, presente all’incontro, all’omelia durante la messa ha incoraggiato a vivere e diffondere questo carisma di unità che – ha detto – “rafforza l’unità tra i cristiani e opera per un ecumenismo dei cuori, dove l’amore è vivo in ciascuno e aiuta a comprenderci meglio e a superare le tensioni delle divisioni”.   (altro…)

Il cammino di unità

Dal 1968, nel cuore della Baviera, vicino Augsburg, sorge ad opera di Pfarrer Hess e Chiara Lubich, la cittadella ecumenica di Ottmaring, testimonianza dell’unità già in atto tra evangelici e cattolici. In questo cammino di unità si inseriscono anche le religiose, che offrono una comune testimonianza di vita del Vangelo. Alle porte di Augsburg, 11 kilometri dal centro della città, si trova la cittadella ecumenica di Ottmaring. E’ sorta nel 1968, come frutto di uno stretto rapporto tra Pfarrer Hess, fondatore della Bruderschaft von gemeinsamen Leben evangelica e Chiara Lubich, fondatrice del movimento dei Focolari. Il tutto si svolge con l’incoraggiamento del vescovo cattolico di Augsburg, Joseph Stimpfle, e del vescovo evangelico della Baviera, Hermann Dietzfelbinger e dal suo successore Johannes Hanselmann. La cittadella è divenuta così importante punto di riferimento e un autentico modello di come si possa realizzare il testamento di Gesù “Che tutti siano uno”. Nel 1988 è stato conferito a Chiara, dal sindaco della città di Augsburg, il premio per la festa della Pace. Si tratta della pace religiosa tra le confessioni cattolica e luterana, con la motivazione: «Per meriti speciali, per la promozione di azioni comuni a livello interconfessionale». In quell’occasione noi, come gruppo ecumenico di religiose, ci siamo sentite particolarmente coinvolte, poiché il gruppo è sorto nel 1971 su iniziativa di entrambi i vescovi amici del movimento. In quell’anno si organizzò un convegno ecumenico a Pentecoste, ad Augsburg. Cristiani cattolici ed evangelici, religiose e religiosi, hanno collaborato alla preparazione di esso, al quale sono convenuti 20.000 cristiani provenienti da tutta la Germania, spinti dal desiderio di giungere all’unità. Sia nel periodo di preparazione, sia durante il convegno, si è radicata in noi, religiose di entrambe le confessioni, la certezza che avremmo continuato insieme il nostro cammino verso l’unità. Da 25 anni ci incontriamo circa 6-8 volte l’anno e sempre sperimentiamo in modo nuovo l’agire di Gesù tra noi. Di solito siamo 20 o 30 consacrate, di 12 diverse comunità, sia cattoliche che evangeliche. Fanno parte del gruppo suore di Maria Ward, le sorelle evangeliche della Bruderschaft e del Casteller Ring, le diaconesse, ma anche le suore vincenziane, francescane, domenicane, di don Bosco…

Un racconto a due voci

«Nei nostri incontri impariamo a conoscere ed amare la comunità delle altre, a conoscerci ed a stimarci reciprocamente. Preghiamo insieme, meditiamo le verità della fede, leggiamo la Parola di Vita e ci scambiamo le nostre esperienze sul Vangelo. E’ un dono per noi partecipare dei vari carismi e dei diversi compiti nella comunità, riconoscendo così in tutto l’unico Signore che opera tutto in tutti. Per me questo gruppo è una cellula viva e costato come la comunità dell’altra è anche la mia». Sr. C.H., cattolica «Anch’io in questo gruppo faccio l’esperienza di far parte di una vera famiglia, dove vedo realizzato un pezzo di unità che cresce sempre più. Percorriamo insieme un tratto del cammino comune ed ogni volta si uniscono a noi sempre nuove suore, che desiderano condividere que-sta esperienza. Nell’impegno comune prepariamo quella che noi chiamiamo la “Parola di riflessione”, che si svolge in un parco pubblico di Augsburg in estate ed il giorno di Pentecoste. Nel periodo di avvento e per la giornata mondiale di preghiera per la donna, viene realizzata in una chiesa. E’ un’occasione per offrire a tutti la nostra comune testimonianza. Vogliamo continuare ad impegnarci in modo radicale affinché l’unità tra le Chiese sia presto realtà». Sr. I.A., diaconessa evangelica (altro…)

Dal Vangelo una linfa nuova

In ospedale un ritmo di lavoro senza tregua, pesantezza spirituale, poi un’ondata di luce, sgorgata dalla testimonianza dell’Amore evangelico che si fa vita con radicalità. Sr. V. riscopre l’amore di Dio, la sua vocazione. Nuovo slancio nel mantenere vivo giorno per giorno l’amore scambievole nella sua comunità. Cambiamento che non passa inosservato da parte di medici, infermieri, in un ambiente prevalentemente ateo. La vita attorno rifiorisce. Poi gli anni della guerra, la resistenza pacifica del convento: dall’unità una forza di pace che si irradiava all’esterno più forte delle persecuzioni e violenze. Quando molti anni fa ho conosciuto questo Ideale dell’unità, nella mia vita è entrata una nuova luce. Sono stata toccata dall’Amore che subito si traduceva in vita, mi sono sentita amata personalmente da Dio e profondamente grata perché mi aveva chiamata a seguirlo come religiosa. Potevo ricambiare questo amore cominciando da chi mi stava più vicino, nella mia comunità, e poi portarlo a chiunque avrei incontrato nel lavoro… Noi religiose eravamo oberate dal lavoro negli ospedali statali con turni molto impegnativi; io lavoravo giorno e notte e questo non facilitava il vivere tra di noi una vera vita comunitaria. I ritiri, ad esempio, non si tenevano con regolarità; così pure non approfondivamo la conoscenza della nostra fondatrice o delle nostre regole e costituzioni: questo portava ad una pesantezza spirituale. Con questa nuova luce del carisma dell’unità, che aveva preso me e altre consorelle, abbiamo cominciato a vivere l’amore scambievole, sperimentando la presenza di Gesù promessa a chi vive nell’amore: «Dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi». Questo ci dava ogni volta la forza e la gioia per ripartire a testimoniare il suo amore anche nel lavoro e con chiunque ci capitava di incontrare in un ambiente ateo. Dopo un po’, nell’ospedale, infermieri e medici mi hanno chiesto quale fosse la radice di questa mia felicità; ho potuto comunicare loro come cercavo di mettere in pratica il Vangelo insieme a molte altre persone e che questo mi aiutava anche nei momenti più difficili. Col tempo ci siamo trovati in molti: cattolici, ortodossi, luterani, persone indifferenti, non credenti… non solo a leggere insieme la Parola di vita, ma anche a scambiarci le esperienze, a condividere le difficoltà scoprendo nell’amore il movente di ogni azione. Questa esperienza andava oltre l’ospedale e coinvolgeva parenti, amici, conoscenti. Ogni volta rimanevo sbalordita di fronte a ciò che Dio operava nelle persone che incontravamo. Ricordo a esempio il cambiamento radicale di una personalità importante nel campo politico. Sono trascorsi gli anni e, per la situazione difficile che si è venuta a creare a causa della guerra, molte persone di altre nazionalità hanno dovuto lasciare il Paese. Anche le religiose di diversi ordini, per motivi di sicurezza, hanno dovuto abbandonare le case abitate da decenni e quelle che rimanevano si dovevano riunire formando nuove comunità. Proprio in questo momento mi è stato chiesto di prendere la responsabilità di un nuovo convento. Non mi era facile lasciare la realtà costruita per anni, a volte con fatica, ma ho sentito che dovevo dire il mio «sì» fino in fondo alla nuova volontà di Dio ed obbedire ai superiori, credendo nella forza dell’unità. L’impatto è stato duro; mi sono trovata in un nuovo convento dove mi sembrava non si riuscisse a creare una vera armonia: ognuna aveva abitudini diverse, ognuna viveva come era abituata precedentemente. Mi mancavano quei momenti di scambio fraterno in cui ci si accordava sui programmi da fare, ci si consigliava o ci si comunicavano i frutti di un’esperienza. Mi sono chiesta come poter fare. Ho iniziato a pregare e pian piano a parlare personalmente con l’una e con l’altra, ma i risultati erano scarsi. Lì mi sono ricordata di Gesù abbandonato ed ho capito che il mio amore doveva avere la misura del suo: «Amatevi… come io ho amato voi» (Gv 13,34). L’ho riscelto con nuovo impegno. Ho capito che dovevo accettare le altre consorelle così come erano, senza volerle cambiare, ma amando io per prima. A poco a poco il clima mutava, vedevo come l’amore ritornava, si costruivano tra noi rapporti profondi, altri si consolidavano. Abbiamo iniziato ad aiutarci concretamente, ad essere più aperte tra noi, a vedere il positivo in ognuna. Un giorno, una consorella spontaneamente ha chiesto in prestito una macchina per accompagnarmi ad un incontro, un’altra l’ha sostituita nel suo compito, e in questa atmosfera di amore scambievole tutte eravamo più felici e la diversità era diventata contributo all’unità. Uno dei momenti più belli è quando ci incontriamo con le religiose di altri ordini. Nonostante le difficoltà a muoverci a causa dei molti impegni che ognuna ha, è sempre una festa il ritrovarci insieme. L’unità che si costruisce acquista una dimensione ancora più profonda e scopriamo la bellezza di ogni Famiglia Religiosa come fiori diversi di un unico giardino della Chiesa. Sperimentiamo che le esperienze delle altre sono un prezioso arricchimento, che ciascuna porta poi alle proprie comunità. E tutto diventa più vivo. Troviamo la forza di superare le inevitabili difficoltà anche in un ambiente come il nostro, che si trova in piena diaspora. Ricordo l’estate del ’95, quando nel Paese del Sud-est europeo in cui eravamo, sono iniziati ad arrivare migliaia di profughi e la situazione è diventata molto tesa poiché le forze estremiste volevano occupare con la violenza le case e i conventi cattolici. Di giorno in giorno le notizie erano sempre più allarmanti. Alcune religiose di vari istituti volevano fuggire ed eravamo in un incubo continuo. Ci siamo messe in contatto col focolare e lì, con Gesù fra noi, abbiamo ritrovato vigore. E’ nata in noi una nuova certezza: solo l’amore può vincere le situazioni più assurde. Abbiamo comunicato questa certezza anche alle suore degli altri conventi e insieme abbiamo riversato questa nuova forza sui laici e su chiunque incontravamo. Ora le condizioni di vita sono più tranquille, ma ringraziamo Dio per ciò che abbiamo vissuto e per averci dato la possibilità di sperimentare che la fraternità, l’unità, è l’avventura più bella che si possa vivere, avventura che si costruisce solo con l’amore esclusivo a Gesù abbandonato, unico Ideale della nostra vita. Sr. V. M. (altro…)

marzo 2004

Il popolo d’Israele, in esilio a Babilonia, guarda con nostalgia al passato, al tempo glorioso nel quale Dio intervenne con potenza e liberò i suoi antenati, schiavi in Egitto. La tentazione è quella di pensare: Dio non manderà più un altro Mosè, non opererà più i grandi prodigi di un tempo e noi dovremo rimanere per sempre in questa terra straniera.
Ma Ciro, re persiano, nel 539 a.C. libera il popolo eletto, il cui ritorno verso la terra promessa sarà ancora più straordinario dell’esodo dall’Egitto.
Dio non si ripete mai! Il suo amore è capace di operare cose ben più grandi di quelle che ha compiuto nel passato, che non possiamo neppure immaginare. Per questo mette sulla bocca del profeta Isaia l’invito:

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Isaia ancora, alla fine del suo libro, annuncia un futuro più che mai luminoso: la creazione di cieli nuovi e di una nuova terra. Sarà talmente grande ciò che Dio compirà che “il passato non sarà più ricordato e non verrà più alla mente”.
Anche l’apostolo Paolo, riprendendo le parole di Isaia, annuncerà l’inimmaginabile intervento di Dio nella nostra storia. Nella morte e risurrezione di Gesù egli fa nuova la creatura umana, la ricrea nel Figlio suo per una vita nuova. Nell’Apocalisse poi, al termine della storia, Dio annuncia che il cosmo intero sarà ricreato: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”.
Le parole di Isaia attraversano la Bibbia intera e parlano ancora a noi oggi:

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Siamo noi la “cosa nuova”, la “nuova creazione” che Dio ha generato. Attraverso il Figlio suo da noi accolto nelle sue Parole e in tutti i suoi doni, ha fatto nuovo il nostro essere e il nostro agire: ora è Gesù stesso che vive e opera in noi. E’ Lui che rinnova i nostri rapporti con gli altri: in famiglia, a scuola, sul lavoro… E’ Lui che rigenera, attraverso noi, la vita sociale, il mondo della cultura, dello svago, della sanità, dell’economia, della politica…, in una parola tutti i settori dell’attività umana in cui siamo impegnati.
Non guardiamo più al passato per rimpiangere ciò che di bello ci è successo o per piangere i nostri sbagli: crediamo fortemente all’azione di Dio che può continuare ad operare “cose nuove”.
Dio ci offre la possibilità di ricominciare sempre. Ci libera dai condizionamenti e dai pesi del passato. La vita si semplifica, diventa più leggera, più pura, più fresca. Come l’apostolo Paolo anche noi, dimentichi del passato, saremo liberi di correre verso Cristo, verso la pienezza della vita e della gioia.

«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, faccio una cosa nuova»

Come vivere allora questa Parola? Cercheremo di compiere con amore quanto Dio vuole da noi in ogni attimo della giornata: studiare, lavorare, accudire i bambini, pregare, giocare…, tagliando tutto ciò che in quel momento non è volontà di Dio. In questo modo rimarremo aperti a quanto egli vorrà operare in noi e fuori di noi, e saremo pronti ad accogliere quella grazia particolare che egli ci offre sempre per ogni momento.
Vivendo così, offrendo ogni azione a Dio, dicendogli esplicitamente: “E’ per te”, Gesù che vivrà in noi compirà sempre opere che restano.

Chiara Lubich

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Messaggio del Santo Padre Giovanni Paolo II

Venerati Fratelli nell’Episcopato! Sono lieto di farvi giungere il mio cordiale saluto, in occasione dell’annuale convegno di Vescovi amici del Movimento dei Focolari, che costituisce un momento propizio per approfondire insieme la spiritualità dell’Opera di Maria. Ho molto apprezzato che, per il presente incontro, vi siate proposti di riflettere e di confrontarvi sul tema della santità, quale esigenza primaria da proporre a tutti i membri del Popolo di Dio. Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ricordato che la santità è la vocazione di ogni battezzato. Questa stessa verità ho voluto porre in risalto nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, al termine del Grande Giubileo dell’Anno 2000. Solo, infatti, una comunità cristiana splendente di santità può compiere efficacemente la missione affidatale da Cristo, quella cioè di diffondere il Vangelo sino agli estremi confini della terra. “Per una santità di popolo”: questa specificazione pone proprio l’accento sul carattere universale della vocazione alla santità nella Chiesa, verità che rappresenta uno dei pilastri della Costituzione conciliare Lumen gentium. Due aspetti generali vanno opportunamente sottolineati. Anzitutto il fatto che la Chiesa è intimamente santa ed è chiamata a vivere e a manifestare questa santità in ogni suo membro. In secondo luogo, l’espressione “santità di popolo” fa pensare all’ordinarietà, cioè all’esigenza che i battezzati sappiano vivere con coerenza il Vangelo nella quotidianità: in famiglia, nell’attività lavorativa, in ogni relazione e occupazione. E’ proprio nell’ordinario che si deve vivere lo straordinario, così che la “misura” della vita tenda all’”alto”, cioè alla “piena maturità di Cristo”, come insegna l’apostolo Paolo (cfr Ef 4,13). La Beata Vergine Maria, della quale vi so filialmente devoti, sia il modello sublime a cui sempre ispirarvi: in Lei si compendia la santità del Popolo di Dio, perché in Lei risplende nella massima umiltà la perfezione della vocazione cristiana. Alla sua materna protezione affido ciascuno di voi, cari e venerati Fratelli, mentre auguro ogni bene per il vostro convegno e di cuore imparto a tutti una speciale Benedizione Apostolica. Dal Vaticano, 18 Febbraio 2004 IOANNES PAULUS II

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Per una santità di popolo

Per una santità di popolo

Da ogni parte della terra Gli atti di contestazione e di ribellione di questi giorni ad Haiti, i contrasti etnici del Burundi e del Congo, le spaventose alluvioni nel Nordest del Brasile, la situazione di minoranza vissuta dai cristiani in terra islamica dal Nordafrica al Kazakhstan: sono questi alcuni dei contesti di vita da cui provenivano i 105 Vescovi amici del Movimento dei Focolari che, invitati dal Card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, si sono riuniti dal 14 al 20 febbraio al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo, per il loro 28° Convegno internazionale.

 

100 vescovi attorno al Papa Culmine dell’incontro è stata la partecipazione dei Vescovi all’udienza generale di mercoledì 18 febbraio che offriva ai fedeli un insolito quadro: il Papa circondato dai vescovi attorno a lui su alcune gradinate, quasi un’icona della collegialità effettiva ed affettiva. Giovanni Paolo II, nel messaggio dedicato ai Vescovi nel quale ha rivolto uno speciale saluto a Chiara Lubich presente con loro, ha espresso il suo vivo apprezzamento per la tematica del Convegno, affermando: “Solo una comunità cristiana splendente di santità può compiere efficacemente la missione affidatale da Cristo, quella cioè di diffondere il Vangelo sino agli ultimi confini della terra”. Ed ha sottolineato l’esigenza che i battezzati sappiano “vivere con coerenza il Vangelo nella quotidianità… E’ proprio nell’ordinario che si deve vivere lo straordinario”.

Fraternità vissuta A far convenire tanti vescovi dai cinque Continenti è stato il desiderio di dar vita ad un momento di intensa fraternità in cui condividere, in una comunione dal respiro mondiale, dolori, gioie, preoccupazioni, sfide. “Sono arrivato qui con grande sofferenza, ma la vostra presenza, la vostra attenzione, il vostro amore mi hanno risollevato”, ha confidato, a conclusione dell’incontro, un vescovo che proviene da un Paese in guerra civile. E un suo confratello del Nordafrica: “Questo è un tempo di grazia, per il fatto che ci incontriamo, ci conosciamo e viviamo come un solo corpo”. Ripartire dal Vangelo Un incontro di fraternità, certamente, ma altrettanto di spiritualità, come recitava lo stesso tema del Convegno: “Per una santità di popolo: vivere e riproporre la ‘misura alta’ della vita cristiana”. Istanza tutt’altro che teorica, ma possibile e estremamente attuale, come hanno fatto capire testimonianze di vita di Vescovi, famiglie, giovani, sacerdoti, persone impegnate nella vita parrocchiale e nel sociale. Ripartendo dal Vangelo e dalla caratteristica arte d’amare che emerge da esso, si formano famiglie che, con la loro vita “controcorrente”, diventano avamposti della nuova evangelizzazione, e comunità cristiane che sviluppano un fascino tale da attirare chi guarda alla Chiesa da lontano. E’ stata questa una delle promettenti prospettive che ha aperto l’incontro.  

Il fratello, via privilegiata all’unione con Dio Chiara Lubich è intervenuta al Convegno con una sua testimonianza su “L’unione con Dio”, soffermandosi in particolare sulla “via del fratello”. “Per noi, la strada tipica, indiscussa, irrinunciabile, sperimentata con successo – ha affermato – è una: noi arriviamo all’unione con Dio amando il fratello”. Ed ha ricordato il sintetico trinomio con cui Igino Giordani, confondatore del Movimento, amava delineare questa via: “Io, il fratello, Dio”. “Andando per questa strada – ha spiegato la fondatrice dei Focolari –, Dio si manifesta dentro di noi; Lo avvertiamo presente. Non siamo più soli, noi con noi stessi. Siamo in due: Egli e noi”. E questo in tutte le situazioni della vita. “Noi tutti dobbiamo diventare dei mistici, per poter vivere il cristianesimo nel mondo di oggi”, ha commentato un vescovo dell’Ungheria, citando la nota espressione del teologo Karl Rahner, secondo cui “il cristiano del futuro o è un mistico o non è”.

Gli interventi dei cardinali Kasper e Re Costante punto di riferimento per le riflessioni dei vescovi è stato, sia nelle riunioni plenarie che negli incontri di gruppo, l’Esortazione post-sinodale Pastores gregis, specialmente nella sua seconda parte dedicata alla vita spirituale del vescovo. Prendendone spunto, il Card. Walter Kasper, che è intervenuto per presiedere una delle concelebrazioni, ha parlato del vescovo come “uomo delle beatitudini”. Particolarmente attesa anche la visita del Card. Giovanni Battista Re. Nel corso della concelebrazione da lui presieduta, il Prefetto della Congregazione dei vescovi ha espresso la sua gioia per questo Convegno che offre un’occasione propizia “non solo per approfondire il rapporto con Cristo, ma anche la fraternità tra i Vescovi”. Un aspetto – ha sottolineato – molto importante in questi tempi difficili. Spiritualità di comunione: l’incidenza nel sociale Catalizzatore di questa esperienza è stata la spiritualità di comunione che si coltiva nel Movimento dei Focolari e che porta frutti non soltanto in ambito ecclesiale, ma anche nel dialogo fra culture e religioni. “Qui non si tratta unicamente di un’esperienza spirituale, ma di un impulso che ha incidenza universale, anche nell’economia, nella politica, nel sociale”, ha constatato un vescovo svizzero, a commento delle efficaci videosintesi attraverso le quali i vescovi hanno potuto ripercorrere, decennio per decennio, i 60 anni da quando nel 1943 sono nati i Focolari. Una storia carica di speranza, perché – come hanno osservato i vescovi – testimonia che Dio, proprio in questo tempo in cui venti gelidi spengono in tanti la fede, è fortemente all’opera e prepara una nuova fioritura della vita evangelica. Apostoli del dialogo A concludere il Convegno, che ha messo in rilievo la forte convergenza fra gli orientamenti attuali della Chiesa e gli effetti suscitati dal carisma dell’unità, è stata una conversazione dei vescovi con Chiara Lubich in cui si è approfondito il significato dell’inedita espressione con cui Giovanni Paolo II aveva definito i Focolari nel suo messaggio per il 60? del Movimento: “apostoli del dialogo”, all’interno della Chiesa, fra le Chiese, con persone di altre religioni e con chi non crede. Tali hanno detto di voler essere i vescovi ora al ritorno nelle loro nazioni. (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Insieme per diffondere e sostenere un’economia alternativa

E’ stata siglata un’intesa tra Banca Etica e E. di C. SpA, società legata al progetto “Economia di comunione”, lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991 con lo scopo di contribuire a colmare il divario tra ricchi e poveri attraverso la costituzione di aziende che condividano gli utili con gli indigenti e promuovano nel mondo economico un agire basato sulla “cultura del dare” piuttosto che “dell’avere”.

Il programma di collaborazione mira a sostenere le comuni attività nel campo dei progetti economici, culturali ed educativi, valutando, tra gli altri aspetti, le possibilità di: – interagire nell’ambito della diffusione di Banca Etica sul territorio; – rispondere, tramite finanziamenti, alle necessità anche della E. di C. SpA o delle realtà ad essa collegate. Banca Etica e E. di C. SpA sono accomunate, infatti, dai valori che ispirano l’economia solidale. Banca Etica sostiene il mondo no profit. Finanzia la cooperazione sociale e internazionale, la tutela dell’ambiente, la società civile. Si pone come punto d’incontro tra i cittadini che condividono l’esigenza di una gestione responsabile del denaro e le iniziative che si ispirano ai principi di un modello di sviluppo umano e sociale sostenibile. E. di C. SpA cura la realizzazione e la gestione del Polo ’Lionello’ che sta sorgendo in Toscana, ad Incisa in Val d’Arno (FI). Il progetto dell’Economia di Comunione, infatti, ha dato vita, tra l’altro, ad originali “poli imprenditoriali” che trovano nella “cultura del dare”, fatta metodo operativo e di pensiero, il loro punto di forza. Il primo e più sviluppato sorge in Brasile, nei pressi di San Paolo, nella cittadella ’Ginetta’. Un altro polo imprenditoriale sorge in Argentina, nella cittadella ’Andrea’, a O’Higgins, nell’entroterra di Buenos Aires. (altro…)

Il coraggio di aprire nuove strade di dialogo

Il coraggio di aprire nuove strade di dialogo

“Il Prof. Ehrlich è una delle grandi figure nel dialogo ebraico-cristiano, non solo in Germania ma anche in Europa e oltre”. Così Hans Hermann Henrix, direttore dell’Accademia cattolica di Aquisgrana, ha detto nella laudatio. “Marchiato dalla propria dolorosa storia di ebreo nella Germania nazista – ha aggiunto – avrebbe avuto tutte le ragioni di demolire ponti invece di camminare con coraggio su strade nuove; il prof. Henrix ha sottolineato quanto egli sia, come nessun’altro, un uomo del dialogo, che non tende a cancellare le diversità e le divisioni, ma sa apprezzare l’altro senza tradire il proprio essere”.

Queste parole sono pronunciate in occasione della consegna del Premio Klaus Hemmerle, istituito nel decimo anniversario della scomparsa del vescovo di Aquisgrana. L’ onorificenza, che viene data a persone che si impegnano per l’unità e il dialogo nelle e tra le chiese e le religioni, è stata consegnata dopo una solenne liturgia, celebrata nel duomo di Aquisgrana dal cardinale Miloslav Vlk di Praga e dal vescovo di Aquisgrana, Heinrich Mussinghoff.    

Il vescovo Mussinghoff si è congratulato per la buona scelta del primo premiato ricordando, nell’indirizzo di saluto, il contributo decisivo di Ernst Ludwig Ehrlich alla fondazione del primo gruppo di dialogo ebreo-cristiano all’interno del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, nel cui ambito è iniziata una amicizia intensissima fra Mons. Hemmerle ed il premiato.

Il Prof. Ehrlich: la mia amicizia con mons. Hemmerle Nel ringraziare, il Prof.Ehrlich ha descritto alcuni momenti, molto personali, di incontro con Klaus Hemmerle, suo vecchio amico e compagno ed ha espresso profonda impressione per la sua comprensione dell’ebraismo “dal di dentro”, per come il Vescovo non abbia tanto scritto sul rapporto cristiano-ebraico, ma lo abbia vissuto con ineguagliabile profondità, dignità e spirito di fratellanza. Questo lo accomuna – ha detto – anche al Papa Giovanni Paolo II, che è riuscito a creare segni di amicizia, di rapporto, di fratellanza in tanti profondi incontri fortemente simbolici con rappresentanti dell’ebraismo. Il card. Vlk: Mons. Klaus Hemmerle, una vita per l’unità Il cardinale Vlk nella sua omelia ha messo in evidenza il profondo legame fra il vescovo Klaus Hemmerle e il Movimento dei Focolari, sottolineando come Hemmerle sia stato un uomo d’unità, un uomo che riusciva a trovare il legame tra Chiesa e mondo, credenti e non credenti, intellettuali e operai. E come tale capacità di vivere l’unità, di “…allargare la sua anima su Dio ed ogni uomo…”, fosse da lui attribuita all’incontro con Chiara Lubich e con la spiritualità del Movimento dei Focolari, che l’hanno profondamente marchiato. Chiara Lubich: Diventare apostoli del dialogo e della comunione Nell’indirizzo di saluto da lei inviato, Chiara Lubich lo ricorda come un confondatore di questa comunità spirituale ed internazionale invitando tutti i presenti a diventare “…apostoli del dialogo e della comunione…” come Hemmerle. (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Un popolo nato dal Vangelo, Chiara Lubich e i Focolari

Ecco le radici di un’Opera, che sono tutte in cielo, da cui prende la sua linfa vitale un albero che fiorisce sulla terra (Chiara Lubich)

Il libro racconta i sessanta anni di storia del Movimento dei Focolari. Dagli inizi sotto i bombardamenti del 1943 a Trento, ai primi passi del dialogo ecumenico, alle avventure, finora sconosciute, nei Paesi dell’ex regime socialista dell’Europa orientale, agli sviluppi in tutti gli ambiti della società, dalla politica all’economia, dall’arte alla comunicazione. Interverranno: il vescovo Josef Clemens, Segretario del Pontificio Consiglio per i Laici, Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Walter Veltroni, sindaco di Roma. Moderatore: Elio Guerriero, vice-direttore editoriale della Società San Paolo. (altro…)

Non solo parole, ma fatti

La difficile conquista del dialogo vero, base per azioni concrete di solidarietà. Un gruppo di amici, alcuni cristiani e altri di convinzioni non religiose, animato dallo spirito dei Focolari, racconta la genesi di alcune attività di solidarietà internazionale, portate avanti insieme: un percorso che passa attraverso il superamento di non poche difficoltà… Mettersi in gioco – Sono insegnante di matematica e vivo con la mia famiglia in una città del nord Italia. Qualche anno fa sono venuta a sapere che il Movimento dei Focolari da qualche tempo promuove il dialogo tra persone di convinzioni diverse, anche non religiose, e decido di partecipare. In questi incontri scopro, da parte di tutti, il desiderio di mettersi in gioco: una sfida a mantenere ciascuno la propria identità, con l’apertura e il rispetto verso quella dell’altro. Ci troviamo a condividere valori universali quali il bisogno di giustizia, di pace, di fraternità. Al tempo stesso ci accorgiamo però che già il linguaggio usato per esprimere questi stessi valori mette in luce soprattutto le differenze, creando a volte tensioni e malintesi e mettendo a dura prova la nostra capacità di comunicare. Uno sguardo al mondo – Nel 2001, durante un Convegno a Castelgandolfo (Roma), conosciamo una persona impegnata in un’azione sociale con “bambini di strada” a Quito (Ecuador). Anche lei non credente, è in contatto col focolare di quella città. Ci fa partecipi dell’estrema povertà in cui  numerose famiglie vivono in questa terra dell’America Latina e del pericolo per i loro figli di cadere nella droga, nella prostituzione, nella violenza. Decidiamo di conoscere più da vicino quella realtà; uno di noi si reca in Ecuador e insieme alle persone del Movimento progetta alcune attività utili alle famiglie del posto; lo scopo è di offrire un lavoro autonomo, stabile, con reddito dignitoso, che consenta loro di vivere una vita più serena, e trasmettere dei valori ai propri figli. La fantasia supplisce alle nostre tasche vuote – Per sostenere questo progetto occorrono risorse, circa 12.000 dollari, tanti per noi. Cerchiamo comunque di renderci operativi nel concreto. Iniziamo ad incontrarci con più regolarità, una volta al mese; non manchiamo di inventiva e il nostro lavoro dà vita ad una sorta di solidarietà a cascata che coinvolge amici in tutta la Lombardia e non solo! Tortellini fatti in casa, gustose marmellate, lotterie, cene, buffet, gite in battello, visite culturali: troviamo la collaborazione di persone che ci fanno dono della loro esperienza oltre che della loro professionalità. Per incrementare i nostri guadagni, raccogliamo anche oggetti nelle nostre case, che poi vendiamo in mercatini di Bergamo, Brescia, Mantova e Milano. Riceviamo anche alcune donazioni! Nascono piccole attività – Un anno più tardi, nasce in Ecuador una piccola azienda per il riciclaggio della carta. Ora è fiorente, occupa tre o quattro persone ed è attualmente capace di dare nuovi posti di lavoro; viene attivato un allevamento di galline che è in rapido sviluppo: attualmente vi lavorano due persone; viene attrezzato con il collegamento a internet l’ufficio di una scuola. Temporali e arcobaleno – Ma nell’attuare queste iniziative veniamo sopraffatti da esigenze di tipo organizzativo e non mancano temporali, incomprensioni, che ci fanno mettere in discussione il nostro stesso essere in dialogo. E’ un momento di crescita. Dopo aver passato tanto tempo a progettare, a valutare lavori, a renderci utili, scopriamo di avere bisogno di un più autentico contatto interiore con l’altro; ci impegniamo ad essere più aperti e più attenti all’ascolto ed in modo quasi inatteso l’ambiente cambia; il commento “laico”, che noi prepariamo, alla frase del Vangelo che nel Movimento si cerca di mettere in pratica mese per mese, ci dà l’occasione di andare più in profondità. Così, ad es., una di noi vede nella parola del Vangelo “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”, la necessità che ha l’essere umano di essere sfamato non solo materialmente, perché per crescere, camminare e vivere ha bisogno di coltivare con i suoi simili la parte immateriale ed interiore di sé, affinché possa evolversi appieno. Diventiamo consapevoli del fatto che l’essenza del dialogo risiede nel bisogno che ciascuno di noi ha di comunicare, di essere accettato ed amato per quello che è; e che esso è per noi un’occasione di incontro anche con chi, pur essendo spinto dallo stesso nostro desiderio di condividere ciò che unisce, è così diverso da noi. Stiamo imparando a diventare più pazienti, a mettere da parte, se occorre, le nostre idee, per ascoltarci reciprocamente. Nuove richieste di collaborazione – In Brasile, in favore di adolescenti, inviamo il nostro contributo di 6000 dollari, nel momento in cui ne avevano più necessità: i contributi statali erano venuti meno; in Palestina, a favore di un gruppo di giovani, per creare un ufficio di servizi. Siamo consapevoli che le speranze che contribuiamo a costruire e che avremo l’opportunità di donare sono un’espressione del nostro stesso essere in dialogo. Alcuni di noi s’incontrano con una certa assiduità, altri con ritmi che sono loro più confacenti. Ciò che più conta è sapere che il dialogo non può essere racchiuso in un gruppo, ma ha un respiro più ampio, che ci coinvolge in una pratica quotidiana; per questo  acquista  forma di volta in volta, da persona a persona, nel nostro lavoro, nella nostra famiglia, con i nostri figli. (A. F. – Italia) (altro…)

febbraio 2004

Siamo nell’VIII secolo a.C. Il popolo d’Israele sta attraversando un momento critico. Dio, chiamato JHWH nella tradizione ebraica, cerca un profeta che parli in suo nome a tutto il popolo, che gli annunci la venuta liberatrice dell’Emmanuele, il Dio tra noi. Egli appare allora, nella sua maestà, a Isaia che sta pregando nel tempio.
Davanti alla grandezza di Dio, il profeta avverte la propria nullità e il suo essere peccatore: “Sono un uomo dalle labbra impure!” grida. Ma un angelo, con un carbone ardente preso dal fuoco che sta sull’altare, gli purifica le labbra. Alla domanda che Dio gli rivolge: “Chi manderò? Chi andrà al posto mio?”, Isaia, perché interamente rinnovato dall’iniziativa celeste, può ora rispondere con prontezza: “Eccomi, manda me!”
E’ presuntuoso il profeta nel suo offrirsi a Dio? No, perché l’iniziativa non è sua, ma di Dio. Isaia risponde ad una chiamata:

«Eccomi, manda me!»

Come ha chiamato il profeta, così, lungo la storia della salvezza, Dio continua a chiamare uomini e donne per affidare loro una missione particolare. Su ciascuno Egli posa uno sguardo d’amore: nessuno è insignificante ai suoi occhi. A volte possiamo avere l’impressione che la nostra vita sia inutile o senza senso. Essa è pienamente riscattata dalla chiamata di Dio, che si rivolge proprio a me, a te: ci invita a prendere parte al progetto d’amore che ha sull’umanità e sul creato.
Si rivolge a me, a te come si è rivolto a Isaia, a Maria, a Pietro, e ogni volta ci domanda: “Chi manderò?” Lui, che è Dio, ci dà fiducia e ci invita ad essere suoi collaboratori. Con il nostro “sì”, che ripete il “sì” di Isaia, di Maria e di una moltitudine di cristiani che ci hanno preceduto, possiamo metterci a sua disposizione.

Dicendo di sì ad ogni suo desiderio – a quello che mi fa capire giorno per giorno -, ogni mia azione, anche la più piccola, anche quella che può sembrare insignificante, acquista valore, diventa importante, contribuisce all’avvento del Regno di Dio, alla fratellanza universale.
Anche per noi nessuna presunzione nel rispondere di “sì”. L’iniziativa è sempre sua. E’ suo il primato d’amore. La nostra è soltanto una risposta d’amore ad un amore che ci ha preceduto. Sì, grazie alla sua chiamata, sono pronto ad esaudire ogni suo volere, a lavorare per Lui e a ripetergli:

«Eccomi, manda me!»

Non ci sentiamo all’altezza della missione che Egli ci affida? Ci sembra di non avere le capacità e le forze per portarla a compimento?
Se Isaia si fosse fermato a considerare la propria indegnità o i propri limiti avrebbe continuato a ripetere: “Sono un uomo dalle labbra impure”. A Maria sembrava impossibile diventare Madre di Dio, tanto era straordinario l’annuncio che le veniva rivolto. Per l’apostolo Pietro, quando si sentì chiamato da Gesù, fu spontaneo rispondere: “Allontanati da me che sono un peccatore”.

Con la sua chiamata, Dio ci dà anche la capacità di attuare la missione che ci affida: “Nulla è impossibile a Dio”. A Isaia sono purificate le labbra perché possa parlare a nome di Dio. Maria è colmata dalla presenza dello Spirito Santo e dalla potenza dell’Altissimo. Pietro è sostenuto, nella sua missione di essere “roccia”, dalla preghiera stessa di Gesù.
Ad ogni nostro “sì” seguiranno tutte le grazie per compiere qualsiasi compito ci è richiesto dalla volontà di Dio.

«Eccomi, manda me!»

E’ stato così anche per noi nella nostra piccola storia quando, nel 1943, all’inizio della nostra esperienza, avevamo compreso che Dio ci amava immensamente e ci sentimmo spinte a comunicare a tutti questa grande notizia: “Dio ti ama immensamente, Dio ci ama immensamente.”
Alcuni mesi dopo era la festa di Cristo Re: siamo rimaste affascinate dalle parole della liturgia di quel giorno: “Chiedi a me e ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra”. E’ l’appello all’unità e alla fratellanza universale.
Inginocchiate attorno all’altare, spinte forse dallo Spirito Santo, abbiamo detto a Gesù: “Tu sai come si possa realizzare l’unità. Eccoci qui. Se vuoi, usa di noi.” Era il nostro: “Eccomi, manda me!” Eravamo allora un piccolo gruppo, sette, otto ragazze, ma avevamo già dato la nostra risposta a Gesù.
Da quel tempo, in 60 anni, questo spirito, con la vita di migliaia di persone del Movimento, è giunto in 182 nazioni.
Un’esperienza che conferma la possibilità di quali cose grandi può fare Lui, se trova persone pronte a rispondere al suo invito.

Chiara Lubich

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INSIEME PER L’EUROPA per concorrere a dare un’anima al continente

INSIEME PER L’EUROPA per concorrere a dare un’anima al continente

Nel momento in cui si delinea l’unità dell’Europa, anche con l’ingresso di popoli dell’Est e del Sud del continente, Movimenti, Comunità e gruppi di varie Chiese e Comunità ecclesiali, per la prima volta nella storia, intessono un cammino di comunione e di collaborazione: insieme vogliono contribuire all’unità spirituale del continente, per un’Europa che attui la sua vocazione universale di pace e unità tra i popoli. Movimenti, Comunità e gruppi vogliono rendere visibile

  • una rete di fraternità che già si estende a tutto il continentee spezza nazionalismi e barriere storiche;
  • il rinnovamento a livello spirituale che si sta sviluppando dal Vangelo vissuto e che si manifesta in tanti settori della vita civile;
  • l’ apporto dei popoli per un’Europa dei cittadini.

In una grande manifestazione a STOCCARDA (Germania), al Palasport Hanns Martin Schleyer, in collegamento satellitare con incontri contemporanei in oltre 100 città europee. In programma interventi di fondatori e responsabili di Movimenti, Comunità e gruppi, tra cui: Chiara Lubich, Andrea Riccardi; i pastori evangelici Friedrich Aschoff, Ulrich Parzany e il padre ortodosso finlandese Heikki Huttunen. Attesi i contributi del Presidente della Comissione Europea, Romano Prodi, del Card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani e del Vescovo della Chiesa evangelico-luterana della Baviera, Johannes Friedrich. Numerose saranno le testimonianze di Movimenti, Comunità e gruppi in risposta alle domande fondamentali dell’oggi: la pace, un nuovo stile di vita che ponga gli europei in dialogo; l’integrazione di popoli e culture diverse; i valori della famiglia, la solidarietà con i più poveri in Europa e nel mondo. Prenderanno la parola anche i giovani: diranno il loro impegno e la loro ‘visione’ dell’Europa. Durante la manifestazione si alterneranno significativi momenti artistici che esprimeranno anche la ricchezza dei vari popoli. Parteciperanno tra gli altri: Judy Bailey, Albert Frey, Beatbetrieb, Gen Rosso, Gen Verde, Compagnia di balletto di Liliana Cosi e Marinel Stefanescu. La trasmissione satellitare sarà realizzata grazie al supporto tecnico di TELESPAZIO, CRC/Canada e MEDIA SPACE Alliance   (altro…)

Come nasce l’idea di INSIEME PER L’EUROPA

Come nasce l’idea di INSIEME PER L’EUROPA

In occasione di un incontro a Roma nel maggio 2002, tra fondatori e responsabili di alcuni Movimenti e Comunità cattolici ed evangelici è nata l’idea di promuovere una grande manifestazione in Germania, per contribuire a dare un’anima all’Europa. Erano presenti: Comunità di Sant’Egidio, Convegno di responsabili evangelici, Cursillos de Cristiandad, Movimento dei Focolari, Movimento di Schoenstatt, Rinnovamento nello Spirito nella Chiesa cattolica (Italia), Rinnovamento carismatico nella Chiesa evangelica (GGE), YMCA. La manifestazione “Insieme per l’Europa” è il frutto dell’intrecciarsi di un cammino iniziato, in ambito evangelico nel 1969, tra oltre 120 Movimenti, Comunità e gruppi in Germania, e in ambito cattolico a partire dal grande incontro con Giovanni Paolo II alla vigilia di Pentecoste ’98, che attualmente coinvolge più di 240 Movimenti e Comunità nel mondo. Dal 31 ottobre 1999 – storica data della firma della Dichiarazione congiunta tra la Chiesa cattolica e la Federazione luterana mondiale sulla Dottrina della Giustificazione – in un incontro al Centro Ecumenico di Ottmaring, nei pressi di Augsburg tra alcuni responsabili di Movimenti, Comunità e gruppi cattolici e evangelici, è sbocciata una nuova esperienza di comunione e collaborazione che si sta allargando anche ad ortodossi, anglicani e ad altri cristiani. Chi sono i Movimenti, Comunità e gruppi cristiani d’Europa presenti a Stoccarda

  • Sono sorti in diversi Paesi europeiprima e dopo la seconda guerra mondiale, molti di essi si sono diffusi in tutta Europa e nel mondo;
  • sono diversi per entità, diffusione, ambiti di impegno, in prevalenza laici,coinvolgono persone di ogni età e categoria;
  • aprono ampi spazi di dialogo a vari livelli;
  • sono accomunati dal ritorno alla autenticità evangelica e dalla consapevolezza di non essere frutto di progettualità umana, ma di un dono dello Spirito, in risposta alle sfide dell’oggi.

Questo evento si inserisce in una settimana importante per l’Europa

  • 1° maggio: allargamento dell’Unione Europea con l’ingresso di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovenia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Malta e Cipro.
  • 8 maggio: anniversario della fine della seconda guerra mondiale (8.5.1945)
  • 9 maggio: festa dell’Europa, nell’anniversario della storica dichiarazione di Robert Schuman del 1950, che proponeva la formazione di una comunità a servizio della pace, prodromo dell’Unione Europea.

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SchoolMates: Dai banchi di scuola al mondo

SchoolMates: Dai banchi di scuola al mondo

Schoolmates propone due possibilità:

CONOSCERSI Attraverso un sito internet, ragazzi di Paesi diversi possono corrispondere e formare una rete mondiale tra le classi per scambiarsi reciproche ricchezze, condividendo culture, lingue, tradizioni e iniziative già in atto per costruire il mondo unito. AIUTARSI Attraverso un fondo di solidarietà, le classi che lo desiderano possono sostenere borse di studio in favore dei ragazzi dei Paesi più svantaggiati che non hanno la possibilità di frequentare la scuola, vivendo così la ’cultura del dare’. (altro…)

Nel quotidiano per costruire la pace

Alcuni ragazzi e ragazze polacche sono venuti ad abitare poco distanti da casa mia. Vivono tutti in un’unica stanza, dandosi all’alcol in attesa di qualcosa da fare. Tra loro c’è una ragazza piuttosto timida. Si rivolge alle suore del quartiere e con il suo povero italiano confida di non voler più stare con i suoi amici: teme un brutto futuro per tutti. Le suore l’ accolgono presso di loro, dandole vitto, alloggio e lavoro, ma il grosso problema da superare è l’assunzione. La ragazza, infatti, non ha il permesso di soggiorno per l’Italia. Il commercialista al quale è affidata la sua pratica, dopo alcuni mesi, non riesce ancora a regolarizzare la posizione. Le suore mi chiedono di fare qualcosa per risolvere la faccenda. Benché non sapessi nulla delle leggi vigenti, ho pensato che era l’occasione giusta per andare incontro ad una persona di un altro paese. Vado così all’ufficio di collocamento per informarmi sulla trafila: la domanda deve essere esposta lì per quindici giorni, poi per altri quindici all’ufficio di Roma. Per la concomitanza delle festività, spesso l’ufficio è chiuso o manca la persona interessata. Insomma, tanti giri: due mezze giornate di ferie per andare all’ambasciata, poi alla questura, dal corriere per far recapitare in Polonia i documenti per il visto e ancora all’ufficio imposte per il codice fiscale… Veramente un gran da fare. Un giorno la ragazza mi chiede: “Ma perché mi aiuti?” Le rispondo che, essendo cristiana, lo faccio per amore e che non mi deve nulla in cambio. In effetti sentivo che era il mio mattone per costruire la fraternità fra tutti, facendo miei i problemi di chi mi sta accanto, pur sconosciuto. Dopo un mese la ragazza è stata assunta e la pratica si è chiusa in maniera perfetta. Proprio in questo periodo, in cui si parla tanto dell’immigrazione, penso alle infinite difficoltà che gli stranieri trovano per la lentezza della burocrazia e a quelli che, pur volendo mettersi in regola, rischiano di scoraggiarsi. L’amore però è una chiave che apre tutte le porte. L. – Italia Sono R. e vengo dall’Albania. Il mio paese ha vissuto per 50 anni sotto un regime che ha segnato fortemente la vita di tutti gli albanesi, portando ad una distruzione, oltre che economica, anche e soprattutto spirituale. Nonostante questa situazione, i valori del mio popolo, tanto provato, sono rimasti vivi e la mia famiglia riesce a trasmettermeli, insieme alla fede in Dio. La caduta del muro nel 1989 provoca anche in Albania un capovolgimento socio-politico. Noi giovani siamo confusi e disorientati. Non sappiamo più a chi credere, a quale verità aggrapparci, siamo segnati dalla passività, dalla mancanza di ottimismo, di speranza. Dentro di me sento che il passato non può essere il padrone dei nostri sogni. Anzi la speranza di una vita nuova è l’esigenza più forte che mi anima. Proprio in questo periodo conosco alcuni giovani. Attraverso di loro scopro una nuova dimensione del cristianesimo: credere nell’Amore di Dio per ciascuno di noi e agire di conseguenza. In Lui trovo la risposta a tutte le mie esigenze e inizio a vivere l’arte di amare che il Vangelo ci insegna. Nonostante il mio anelito alla pace e all’unità, dentro di me c’è però ancora un nodo da risolvere: si tratta delle persone che hanno portato il mio paese quasi al crollo di tutto. Al solo pensiero, sono presa da un senso di ribellione senza limite. Come posso perdonare? Eppure l’amore di Dio, entrato fino in fondo alla mia anima, mi permette di imparare a rispettarle e forse anche a capirle un po’. Inizio pian piano a superare la categoria del nemico, fino a scegliere di amare gli altri gratuitamente e senza preferenze. Credo che sia stato un primo passo per costruirmi una ‘coscienza’ di pace con cui contagiare quanti incontro. R. – Albania

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gennaio 2004

Sono circa 30 i conflitti oggi nel nostro pianeta. Alcuni sono sotto gli occhi di tutti, altri sono dimenticati, ma non per questo meno crudeli. Violenza, odio, atteggiamenti litigiosi spesso sono presenti anche in quei Paesi che vivono “in pace”.
Ogni popolo, ogni persona avverte un profondo anelito alla pace, alla concordia, all’unità. Eppure, nonostante gli sforzi e la buona volontà, dopo millenni di storia ci ritroviamo incapaci di pace stabile e duratura.
Gesù è venuto a portarci la pace, una pace – ci dice – che non è come quella che “dà il mondo” , perché non è soltanto assenza di guerra, di liti, di divisioni, di traumi. La “sua” pace è anche questo, ma è molto di più: è pienezza di vita e di gioia, è salvezza integrale della persona, è libertà, è fraternità nell’amore fra tutti i popoli. Lui stesso è la nostra pace, per questo può dirci:

«Vi do la mia pace»

E cosa ha fatto Gesù per donarci la “sua” pace? Ha pagato di persona. Proprio mentre ci prometteva pace, veniva tradito da uno dei suoi amici, consegnato nelle mani dei nemici, condannato ad una morte crudele e ignominiosa. Si è messo in mezzo ai contendenti, si è fatto carico degli odi e delle separazioni, ha abbattuto i muri che separavano i popoli. Morendo sulla croce, dopo aver sperimentato per amore nostro l’abbandono del Padre, ha riunito gli uomini a Dio e tra di loro, portando sulla terra la fraternità universale.

Anche a noi la costruzione della pace richiede un amore forte, capace di amare perfino chi non contraccambia, capace di perdonare, di superare la categoria del nemico, di amare la patria altrui come la propria. Essa domanda di trasformarci da persone pusillanimi, concentrate magari sui propri interessi e sulle proprie cose, in piccoli eroi quotidiani che, giorno dopo giorno, servendo i fratelli e le sorelle, sono pronti a donare persino la vita in loro favore. Essa ancora esige da noi cuore e occhi nuovi per amare e vedere in tutti altrettanti candidati alla fratellanza universale.
Ci possiamo chiedere: “Anche nei condòmini litigiosi? Anche nei colleghi di lavoro che intralciano la mia carriera? Anche in chi milita in un altro partito o in una squadra di calcio antagonista? Anche nelle persone di religione o di nazionalità diverse dalla mia?”

Sì, ognuno mi è fratello e sorella. La pace inizia proprio qui, dal rapporto che so instaurare con ogni mio prossimo. “Il male nasce dal cuore dell’uomo”, scriveva Igino Giordani, e “per rimuovere il pericolo della guerra occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egoismo dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza.”

«Vi do la mia pace»

Come può oggi, Gesù, darci la sua pace? Egli può essere presente in mezzo a noi attraverso il nostro amore reciproco, attraverso la nostra unità. Potremo così sperimentare la sua luce, la sua forza, il suo stesso Spirito, i cui frutti sono: amore, gioia, pace. La pace e l’unità corrono parallele.
In questo mese, nel quale preghiamo in modo particolare perché si arrivi alla piena e visibile comunione fra le Chiese, avvertiamo ancora più forte il legame tra l’unità e la pace. Negli ultimi anni abbiamo visto quanto le Chiese e i singoli cristiani hanno lavorato insieme per la pace.

Come infatti testimoniare quella pace profonda portata da Gesù se tra noi, cristiani, non c’è la pienezza dell’amore, se non siamo un cuore solo e un’anima sola come nella prima comunità di Gerusalemme?
Il mondo cambia se cambiamo noi. Dobbiamo certamente lavorare, secondo le possibilità di ciascuno, per risolvere i conflitti, per elaborare leggi che favoriscano la convivenza delle persone e dei popoli. Ma soprattutto, mettendo in rilievo ciò che ci unisce, potremo contribuire alla creazione di una mentalità di pace e lavorare insieme per il bene dell’umanità.

Testimoniando e diffondendo valori autentici quali la tolleranza, il rispetto, la pazienza, il perdono, la comprensione, gli altri atteggiamenti, che contrastano con la pace, si allontaneranno da sé.
E’ stata questa la nostra esperienza durante la seconda guerra mondiale, quando fra noi, poche ragazze, decidemmo di vivere solo per amare. Eravamo giovani e timorose, ma, non appena ci siamo sforzate di vivere l’una per l’altra, di aiutare gli altri cominciando dai più bisognosi, di servirli anche a costo della vita, tutto è cambiato. E’ nata nei nostri cuori una forza nuova e abbiamo visto la società cominciare a cambiare volto: ha iniziato a rinnovarsi una piccola comunità cristiana, seme di una “civiltà dell’amore”. E’ l’amore che, alla fine, vince perché è più forte di ogni cosa.
Proviamo a vivere così in questo mese, per essere lievito di una nuova cultura di pace e giustizia. Vedremo rinascere in noi e attorno a noi una nuova umanità.

Chiara Lubich

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“L’umanità ha bisogno di ponti, non di muri”

“L’umanità ha bisogno di ponti, non di muri”

Un’esperienza di unità “Bombe e missili continuano a seminare dolore e odio. Ho voluto, insieme ai miei confratelli vescovi, sentire altre voci, bombe e missili spirituali, più forti, che seminano l’amore, la concordia, la comprensione, l’unità”. Sono parole del vescovo iracheno Shlemon Warduni, ausiliare patriarcale di Baghdad. Erano in 34 i vescovi ortodossi, siro-ortodossi, anglicani, evangelici-luterani e cattolici di vari riti, giunti da diversi Paesi d’Europa, Medio Oriente e Americhe che hanno concluso il 1� dicembre il loro incontro annuale svolto al Centro internazionale del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa (Roma).

Il Convegno trasferito da Istanbul a Roma a causa dei tragici attentati Originariamente il Convegno doveva tenersi a Istanbul ed erano in programma importanti incontri con il Patriarca ecumenico Bartolomeo I, il Patriarca armeno apostolico Mesrob II ed altre personalità religiose. Ma a causa degli attentati, il secondo tre giorni prima dell’inizio, si è dovuto spostare l’incontro a Roma. “Ci eravamo preparati da tempo ad andare a Costantinopoli – dice il vescovo evangelico-luterano emerito di Stoccolma, Henrik Svenungsson – e le chiese ortodosse del posto ci avevano preparato una grande accoglienza. Poi tutto è cambiato. Ma già è deciso: sarà Istanbul la meta del prossimo incontro”. “L’odio distrugge i programmi e chiude le strade, ma l’amore crea nuovi programmi e apre nuove strade”, ha commentato il promotore del Convegno, il Card. Miloslav Vlk. L’incontro, nato da un profondo dolore, ha portato molti frutti”. Il Messaggio del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Dal Patriarca Bartolomeo I è giunto, atteso, un accorato messaggio nel quale, citando il Papa, ribadisce che “l’umanità ha bisogno di ponti, non di muri” e continua: “Avremmo voluto stare in mezzo a voi e “parlarvi faccia a faccia, perché la nostra gioia sia piena”. “Purtroppo questa opportunità ci è stata tolta improvvisamente e violentemente”. Ed ha sottolineato il particolare contesto del Convegno: “In questi tempi che si contraddistinguono per una mancanza di stabilità e di sicurezza (…), è molto promettente e motivo di gioia il fatto che ci siano individui, organizzazioni o movimenti, come l’amato Movimento dei Focolari, che si sono resi conto che l‘unità tra loro e del mondo in Cristo è l’elemento fondamentale della verità e della vita. Ma è ancor più promettente che abbiano fatto della realizzazione di quest’unità il motivo principale delle loro attività”. Chiara Lubich sul tema “La presenza di Gesù in mezzo ai suoi e il ’dialogo della vita’ “, centro del Convegno Giorno dopo giorno, i vescovi hanno vissuto il “dialogo della vita” e sperimentato come possa potenziare le varie dimensioni dell’ecumenismo. Innanzitutto, “la preghiera in comune”, durante le celebrazioni liturgiche delle varie Chiese che hanno schiuso i tesori spirituali delle diverse tradizioni. E il dialogo della carità, della “reciproca accoglienza”. Il tema del Convegno era per i Vescovi l’incontro con “Gesù presente spiritualmente nella comunità, dove due o più sono uniti nel suo nome, cioè nel suo amore”. Ad approfondire questa realtà è stata Chiara Lubich con un tema programmatico su «La presenza di Cristo in mezzo ai suoi e il “dialogo della vita”». Rifacendosi ai 60 anni di storia del Movimento, la fondatrice dei Focolari ha messo in luce come le persone coinvolte in quest’avventura, sin dall’inizio, erano protese a dar vita ovunque a cellule vive del Corpo mistico. “Si formarono e si formano così – ha detto – nella Chiesa cattolica, nelle altre Chiese e fra membri di diverse Chiese, brani di cristianità unite nel nome di Gesù in attesa dell’ulteriore vincolo d’unità, l’Eucaristia, quando Dio vorrà”. E’ l’esperienza del “dialogo della vita”, del “dialogo del popolo”, “perché sentiamo di comporre fra noi ‘un unico popolo cristiano’ che interessa i laici, ma anche monaci, religiosi, diaconi, sacerdoti, pastori, vescovi”. Gesù in mezzo ai suoi è stato, in effetti, la grande esperienza di questo convegno. La promessa di Matteo 18,20, Gesù in mezzo ai suoi, è apparsa anche come la via per guardare con speranza al nostro tempo, la chiave per portare lo spirito del Vangelo all’umanità di oggi: alle famiglie e ai giovani, alla politica, ai media, all’economia, al mondo della cultura, come hanno mostrato numerose testimonianze. Il vescovo evangelico-luterano Helge Klassohn ha commentato: “Qui per la prima volta ho incontrato il Movimento dei Focolari. Penso che questa comunità ecumenica è molto importante: non ci conferma solo nel nostro servizio, ma è anche un segno per il cammino della Chiesa. (altro…)

Ad Istanbul per la festa di S. Andrea apostolo

Ad Istanbul per la festa di S. Andrea apostolo

Avendo rimandato ad un altro anno l’appuntamento di Istanbul, per il rischio di nuovi attacchi terroristici, i vescovi hanno voluto dare comunque un segno chiaro di solidarietà alla comunità cristiana di Costantinopoli, inviando una piccola delegazione. Così, in data 28 novembre, sono partiti da Roma, per partecipare, a nome di tutti, alla festa di S. Andrea apostolo, considerato fondatore e patrono del Patriarcato ecumenico, il Card. Miloslav e il Vescovo luterano Henrik Svenungsson.

Sono stati ricevuti in udienza dal Patriarca ecumenico Bartolomeo ed hanno avuto incontri anche con il Patriarca armeno Mesrob II, il Vicario patriarcale siro-ortodosso Çetin e il Nunzio apostolico, Mons. Edmund Farhat. Ore di intensa comunione ecumenica, sullo sfondo di una città purtroppo profondamente segnata dai recenti avvenimenti. La delegazione è giunta in coincidenza con quella ufficiale del Vaticano, guidata dal Card. Kasper, e con quella del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra con il dott. Konrad Raiser. (altro…)

Un ricco scambio di “doni”

Un ricco scambio di “doni”

L’apertura del Convegno all’abbazia greco bizantina di San Nilo Per Istanbul erano prenotati più di 60 Vescovi; 34 di loro sono riusciti a cambiare, all’ultimo momento, i loro programmi e a venire a Roma. Ma, anche ai Castelli Romani, c’è stata un’accoglienza speciale, con una solenne e gioiosa celebrazione d’apertura nella storica abbazia di S. Nilo, cattolica di rito bizantino, a Grottaferrata, fondata mille anni fa, nel 1004.

Il messaggio del Papa e il dialogo col card. Kasper Il card. Walter Kasper, Presidente del Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, ha accolto i Vescovi nella sua sede in Vaticano, e ha subito letto il messaggio che il Papa aveva inviato al Convegno: “… con grande affetto vi accoglie (…) la Chiesa di Pietro e Paolo a Roma e vi offre l’ospitalità riservata ai fratelli in Cristo”. Riferendosi al motto del Convegno “Voi siete tutti uno in Cristo Gesù” (Gal 3,24), il Papa ne sottolinea il tema: “Si tratta di un tema attuale più che mai: esso può fornire una risposta valida alle gravi lacerazioni che affliggono il mondo di oggi”. Il card. Kasper ha poi intavolato con i Vescovi un dialogo intenso e aperto a tutto campo, tracciando un interessante quadro degli attuali rapporti ecumenici della Chiesa cattolica; rapporti improntati non solo al dialogo teologico, ma anche ad un forte spirito di partecipazione alle gioie ed ai dolori delle altre Chiese. E qui ha focalizzato l’attenzione sulla speranza che, nonostante le difficoltà, pervade gli innumerevoli sforzi ecumenici, e sul contributo che il Movimento dei Focolari dà ad essi. Il Card. Walter Kasper ha incoraggiato poi i Vescovi a portare avanti il “dialogo della vita” caratteristico del Movimento dei Focolari e della sua spiritualità. Il “dialogo teologico” – ha detto – deve sempre camminare di pari passo con un’intensa spiritualità ecumenica: “questo dialogo della vita per noi è essenziale – ha affermato – perché non siamo divisi soltanto da dottrine, ma non ci conosciamo; dobbiamo vivere insieme per conoscerci e diventare amici. Sono molto grato ai focolarini che offrono un modello di questo ecumenismo della vita e dell’amicizia.” Messaggio dell’arcivescovo di Canterbury e visita al Centro Anglicano di Roma Altro appuntamento significativo la visita al Centro Anglicano, nel Palazzo Doria Pamphili a Roma, dove il nuovo direttore, il Vescovo John Flack, partecipante al Convegno, ha accolto il gruppo dei vescovi affermando che il legame col Focolare, in questo nuovo compito, è essenziale per lui. Ha consegnato ai vescovi un messaggio dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams che, tra l’altro sottolinea: “A nessuno occorre ricordare che l’amore di Dio, espresso tangibilmente, è mai stato così necessario come ora, in questo mondo turbato e diviso”. Ed ha assicurato le sue preghiere “per la vostra riflessione comune sulla continua rilevanza degli ideali ispiratori di Chiara Lubich”. Vespri di Sant’Andrea alla chiesa greco-ortodossa di Roma e visita alla sede della comunità luterana svedese. Ulteriori occasioni per una maggiore conoscenza reciproca sono state la partecipazione ai Vespri per la festa di S. Andrea, fondatore e patrono del Patriarcato ecumenico, nella chiesa greco-ortodossa di Sant’Andrea di Roma e la successiva visita alla Casa di S. Brigida, ove visse la Santa nel 12 (altro…)

Messaggio di Giovanni Paolo II ai vescovi amici del Movimento dei Focolari

Venerati Fratelli! 1. Con gioia invio il mio cordiale saluto a ciascuno di voi, Vescovi amici del Movimento dei Focolari, partecipanti al 22� Convegno ecumenico che, a causa dei tragici avvenimenti degli ultimi giorni, avete dovuto trasferire da Istanbul a Rocca di Papa. Se non avete potuto rendere visita alla veneranda Chiesa di sant’Andrea a Costantinopoli, con grande affetto vi accoglie però la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Roma e vi offre l’ospitalità riservata ai fratelli in Cristo. 2. Il programma di questo vostro annuale incontro è centrato sulla frase della Sacra Scrittura: “Voi siete tutti uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Si tratta di un tema attuale più che mai: esso può fornire una risposta valida alle gravi lacerazioni che affliggono il mondo di oggi. Possa il vostro Congresso rafforzarvi nell’impegno ecumenico ed accelerare il cammino verso quella piena unità per la quale Gesù ha pregato il Padre e per la quale ha offerto la sua vita! Voi ben sapete quanto l’unità dei Cristiani mi stia a cuore e come ad essa, sin dall’inizio del mio Pontificato, abbia dedicato costante attenzione. 3. Ripeto a voi, carissimi Fratelli nell’Episcopato, quanto ho scritto recentemente all’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani: “La forza dell’amore ci spinge gli uni verso gli altri e ci aiuta a predisporci all’ascolto, al dialogo, alla conversione, al rinnovamento (cfr Unitatis redintegratio, 1)”. E ancora: “Soltanto un’intensa spiritualità ecumenica, vissuta nella docilità a Cristo e nella piena disponibilità ai suggerimenti dello Spirito, ci aiuterà a vivere con il necessario slancio questo periodo intermedio durante il quale dobbiamo fare i conti con i nostri progressi e con le nostre sconfitte, con le luci e con le ombre del nostro cammino di riconciliazione” (Messaggio del 3.11.03). 4. Con affetto fraterno vi incoraggio a perseverare nell’itinerario apostolico intrapreso e, mentre assicuro la mia preghiera per le vostre attività pastorali, imparto una speciale Benedizione Apostolica a tutti voi, estendendola volentieri alla Sig.na Chiara Lubich, che vi ha accolto, e a quanti vivono nel Centro del Movimento dei Focolari. Dal Vaticano, 25 Novembre 2003 GIOVANNI PAOLO II (altro…)

Messaggio del patriarca Ecumenico Bartolomeo I e del Primate d’Inghilterra Rowan

Messaggio del Patriarca Ecumenico Bartolomeo I Eminenze, Eccellenze, Amati Fratelli nel Signore, cara Chiara, Vi abbracciamo caldamente e vi salutiamo con il saluto apostolico: Grazia e pace da Dio Padre e dal Signore nostro Gesù Cristo. E’ con diversi sentimenti che ci rivolgiamo al vostro benedetto incontro. Avremmo desiderato poter essere in mezzo a voi e “parlarvi a viva voice, perché la nostra gioia fosse piena” (2 Gv 1:12). Purtroppo questa opportunità ci è stata tolta improvvisamente e con violenza, a causa dei recenti attacchi terroristici, che hanno diffuso morte, dolore e caos in tutta la nostra Città. Questi orribili attacchi sfortunatamente vi hanno impedito di venire qui e avete deciso di avere l’incontro a Roma invece che a Costantinopoli, la Nuova Roma, come era stato programmato in origine. Preghiamo che la pace e l’ordine regnino di nuovo in questa Città e attraverso tutto il globo terrestre e che potremo avere il piacere della vostra presenza qui l’anno prossimo nel 2004. In questi tempi, in cui mancano stabilità e sicurezza, e nel nostro mondo, che non ha ancora visto “pace in terra agli uomini di buona volontà” (Lc 2:14), è fonte di speranza e di gioia che ci siano individui, organizzazioni o movimenti, come l’amato Movimento dei Focolari, che si sono resi conto che l’unità tra loro e del mondo in Cristo è l’elemento fondamentale di verità e di vita. Da’ ancor più speranza il fatto che essi abbiano fatto di questa unità lo scopo principale delle loro attività e della loro vita. E’ di questa unità, l’unità in Cristo, che il nostro amato fratello, Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II ha parlato quando, rattristato dall’incomprensibile persistenza di gente nel voler separare i cuori, ha detto, “ciò di cui l’umanità ha bisogno sono ponti e non muri.” Ha detto queste parole come un vero Pontifex. E’ questa unità che è anche il tema delle vostro discussioni per l’incontro di quest’anno; “perché siamo tutti uno in Cristo Gesù” (Gal 3:28). La promessa di Dio ad Abramo che nel suo seme tutte le nazioni della terra sarebbero state benedette si è realizzata con l’incarnazione di nostro Signore. Questa benedizione è reale perché nella vita spirituale non c’è alcuna differenza tra ebreo e greco, schiavo e libero, uomo e donna. Sono tutti uno, tutti uguali agli occhi di Dio, egualmente invitati al sacro banchetto del Suo Regno e hanno tutti uguali opportunità di salvezza. Questa nuova realtà, che in quel tempo era di scandalo a tutti, abolisce il razzismo e la discriminazione sociale e dei sessi. Ci unisce (tutti) nello stesso scopo: il prevalere della pace e della giustizia di Dio sulla terra e la salvezza del genere umano. Tuttavia, l’unità tra individui e tra società non è sufficiente. Le coppie divorziano facilmente, le amicizie cambiano e finiscono e le condizioni stabilite sono facilmente ritrattate. Non possiamo cercare soltanto di essere uniti tra noi umanamente, ma dobbiamo anche essere uniti in Cristo. Questo è il vero significato della frase “in Cristo Gesù”. Ciò vuol dire insieme con Lui, essere uno con Lui. Questa è l’unità dello Spirito che è anche umanamente il legame più forte, e mette insieme persone anche se non si conoscono. Ciò avviene perché tutte le differenze si risolvono in Cristo. La via per raggiungere quest’unità spirituale ci è data dai Vangeli. “E da questo sappiamo di averlo conosciuto: se osserviamo i Suoi comandamenti” (1Gv 2:3). Quindi non abbiamo la conoscenza di Dio solo studiandoLo, ma osservando i Suoi comandamenti. Se qualcuno conosce tutto di Cristo ma non osserva i Suoi comandamenti e non vive secondo la Sua santa volontà, questi è lontano dallo Spirito di Dio, e perciò lontano dai suoi fratelli. Ciò che questo tipo di unità richiede è l’amore. “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Gv 14:15) . Perciò è con l’amore che noi osserviamo i comandamenti di nostro Signore. Questo è il messaggio che Cristo ha portato al mondo e che gli apostoli hanno diffuso in tutte le nazioni. Noi riteniamo che il Movimento dei Focolari sia nato per proclamare al mondo questo messaggio. Solo se amiamo veramente il nostro Dio e Signore osserviamo i Suoi comandamenti e saremo uniti a Lui a tra di noi. Solo allora potremo ripetere le parole di San Paolo, che era unito a (tutto) il mondo, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”(Gal 2:20). Di nuovo ci spiace che non siamo potuti essere insieme per questo incontro, ma preghiamo che nostro Signore benedica tutti voi e tutti i vostri dialoghi. E sebbene non siamo insieme, siamo uniti nell’amore per il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo. Messaggio del Primate d’Inghilterra, l’arcivescovo Rowan Williams a Sua Eminenza il card. Miloslav Vlk 25 Novembre 2003 Sua Eminenza, invio con molto piacere i miei saluti per il Convegno ecumenico 2003 dei Vescovi amici del Movimento dei Focolari. Ho saputo che l’incontro è stato spostato da Istanbul a Roma, a seguito degli ultimi atroci attacchi terroristici che hanno avuto luogo nella stessa settimana della mia visita lì. Sono sicuro che le vostre preghiere sono con coloro che in quella città sono stati così colpiti da questa violenza. In tali circostanze, a nessuno di noi occorre ricordare che l’amore di Dio, espresso tangibilmente, è più che mai necessario nel nostro mondo travagliato e diviso. Siate certi della mia preghiera, mentre riflettete insieme sulla perenne attualità degli ispirati ideali di Chiara Lubich e mentre considerate come meglio incoraggiare l’opera del Movimento dei Focolari . Sinceramente in Cristo, vostro Rowan, Arcivescovo di Canterbury (nostre traduzioni dall’inglese originale)

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Auguri per un Natale e un Nuovo Anno di pace!

Auguri per un Natale e un Nuovo Anno di pace!

Una proposta per inventare la Pace

   

Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”.

Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich

Un Natale nel Dare

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Un anniversario carico di sorprese: gli auguri del Papa

Un anniversario carico di sorprese: gli auguri del Papa

L’esperienza dell’unione con Dio – Il 7 dicembre ricorrono 60 anni dalla nascita a Trento del Movimento dei Focolari. Quel 7 dicembre 1943 Chiara Lubich, allora poco più che ventenne, era sola quando ha pronunciato il suo sì per sempre a Dio. Più volte ha ripetuto che il solo pensiero che sarebbe nato il Movimento avrebbe turbato quella scelta di Dio solo. E, ora, nel 60^, in un intenso clima spirituale, ha parlato alle oltre 1500 focolarine d’Europa e dei 5 continenti, riunite a Castelgandolfo per il loro incontro annuale, dell’unione con Dio, con momenti di profonda comunione sulla sua esperienza personale.

“Quando entra l’unione con Dio, il divino ti invade tutta: è qualcosa di nuovo che tu vedi non con gli occhi del corpo, ma con gli occhi dell’anima. Nella mente entra una luce, la luce dello Spirito Santo, che è più dell’intelligenza, la eleva. Nel cuore entra l’amore. Prima c’era l’amore umano, limitato ai parenti, agli amici. Poi entra l’amore stesso di Dio, che spalanca il cuore su tutto il mondo. Con la vita soprannaturale si innesta anche una forza nuova. Anche le forze fisiche sono sostenute dalla grazia di Dio”.  

Gli auguri del Papa per il 60^ anniversario del Movimento dei Focolari sono arrivati non solo con un messaggio a Chiara Lubich, letto da S.E. Mons. Stanislaw Rylko, Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, al Centro Mariapoli di Castelgandolfo, ma persino con una telefonata del Santo Padre, lo stesso 7 dicembre.

All’inatteso messaggio del Papa, si sono aggiunte le parole di mons. Rylko sul “dono prezioso del carisma”, che, perché dono dello Spirito Santo, suscita continue sorprese. Altri momenti forti dell’incontro in questa ricorrenza: il ricordo di Chiara Lubich di quel 7 dicembre 1943, la testimonianza delle sue prime compagne, il sì per sempre a Dio pronunciato da oltre 100 focolarine dei 5 continenti.

 

In questo 60^ poi si sono poste le premesse per far nascere un Centro di spiritualità e studio a Gerusalemme nel luogo stesso dove la tradizione dice che Gesù ha pronunciato la preghiera dell’unità. Un Centro di particolare significato, che si aggiungerà ai focolari in Terra Santa, a Gerusalemme e ad Haifa, impegnati a portare la pace e l’unità in quella terra travagliata. (altro…)

7 dicembre ’43: l’inizio di un’avventura pensata da un Altro

7 dicembre ’43: l’inizio di un’avventura pensata da un Altro

Il Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici alla conclusione della lettura del messaggio del Santo Padre, accolto con un interminabile applauso, ha sviluppato alcuni pensieri di Giovanni Paolo II, in particolare il perché del suo rendimento di grazie a Dio: “per questo enorme dono che si chiama il carisma”.

Il carisma è da lui definito “la cosa più preziosa che vi è stata affidata mediante la fondatrice del Movimento, Chiara”. Gratitudine “al Signore per quanto ha fatto con voi in questi 60 anni, per le grandi opere di Dio”, accompagnata al senso di responsabilità che il dono comporta: fedeltà, accoglienza radicale “con totale apertura a Dio nel lasciarsi guidare dalla grazia del carisma, col continuo approfondimento di questo dono per farlo fruttare nella vita personale, nella vita della Chiesa e del mondo”. Mons. Rylko ha osservato che “un carisma è completo sin dall’inizio, solo che nemmeno il fondatore ne conosce i dettagli. Se chiedete a Chiara se in quel 7 dicembre ’43 voleva fondare un movimento, risponderebbe: assolutamente no!” Quella data – ha ricordato – “è stata l’inizio di un’avventura tutta pensata da un Altro. E’ lo stesso Spirito Santo che svela via via l’enorme ricchezza che il carisma porta”. Anzi “la garanzia della giovinezza e della permanente freschezza di un carisma – ha precisato – sta proprio nel fatto che sorprende sempre con le cose nuove che svela davanti ai nostri occhi”, perché “quando lo Spirito Santo interviene, stupisce sempre”. E qui mons. Rylko ha sottolineato l’importanza della memoria degli “eventi sorgivi” che hanno dato origine ad un Movimento. In questa “memoria – ha concluso – vi è la forza, la luce per poter camminare, per poter andare avanti nella certezza che il Signore è con noi”. Mons. Rylko ha poi augurato a Chiara Lubich “tanta forza ancora per lunghi anni”. (altro…)

Un centro di spiritualità e studio nel luogo stesso dove la tradizione dice che Gesù ha pronunciato la preghiera dell’unità

Un centro di spiritualità e studio nel luogo stesso dove la tradizione dice che Gesù ha pronunciato la preghiera dell’unità

In questo 60^ poi si sono poste le premesse perché sorga nella parte antica di Gerusalemme, nel segno dell’unità, un centro di spiritualità e di studio dei Focolari, accanto alla scala in pietra dove, secondo la tradizione, il Giovedì Santo, Gesù ha invocato dal Padre l’unità.

Per questa ricorrenza i membri del Movimento nel mondo hanno raccolto un primo contributo per la realizzazione di questo progetto. Il mese scorso era stato firmato un accordo con cui il Patriarcato latino di Gerusalemme concede in uso perpetuo ai Focolari un appezzamento di terreno posto proprio nei pressi di “quella scala”. Si sta così realizzando un sogno di quasi 50 anni fa, quando nel 1956 Chiara Lubich aveva visitato per la prima volta la Terra Santa. Infatti è proprio in quella pagina del Vangelo, letta in un rifugio durante la seconda guerra mondiale, che Chiara e le sue prime compagne avevano scoperto il perché della loro vita. Da 25 anni il Movimento dei Focolari è presente in Terra Santa con alcuni centri a Gerusalemme e ad Haifa, impegnati a portare la pace.   (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Sulla scia di quel sì del 7 dicembre ’43

Domenica 7 dicembre, in un intenso clima spirituale di grande gioia, al termine di una concelebrazione eucaristica semplice e solenne, 102 giovani di tutte le razze, di 29 Paesi dei 5 continenti hanno detto il loro “sì”. Tra loro anche 46 sposate che, secondo il loro stato, hanno pronunciate le promesse di povertà, castità e obbedienza, mentre tutte le 1500 focolarine presenti hanno rinnovato la loro consacrazione.

Altre 63 giovani focolarine, concluso il periodo di formazione, nei giorni prossimi raggiungeranno quanti già operano per l’unità e la pace nei 5 continenti, anche nei punti più caldi del mondo, come Costa d’Avorio, Burundi, Colombia, o in Paesi dove il dialogo tra religioni e culture è più che mai urgente, come in India, Pakistan, Medio Oriente e Stati Uniti. Altri focolarini e focolarine di tutta Europa sono attesi al Centro Mariapoli per i loro incontri, alla fine di dicembre e agli inizi di gennaio.

Toccanti erano state le testimonianze presentate a mons. Rylko: sul dialogo con i buddisti in Giappone; sulla forte esperienza vissuta dalla comunità dei Focolari in Medio Oriente e in Costa d’Avorio: più forte della violenza e del terrore, la forza dell’unità, dell’amore che apre il dialogo anche con i nemici, tanto da far dire ad uno dei ribelli africani che hanno presidiato la cittadella di Man: “La guerra finirà, ma presto o tardi, tornerò qui con la mia famiglia”.

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

“Un inno di riconoscenza a Dio” per l’Opera che ha suscitato da un ‘si’ per sempre

Il 7 dicembre ricorrono sessant’anni dalla nascita a Trento del Movimento dei Focolari. Quel 7 dicembre 1943, Chiara Lubich, allora poco più che ventenne, quando pronuncia il suo sì per sempre a Dio, è sola. Non si poteva immaginare allora la fecondità che ne è scaturita. Ora sono milioni le persone di ogni età, categoria sociale, lingua, razza, e credo che in tutto il mondo, in 182 paesi, sono impegnate a suscitare ovunque brani di fraternità per contribuire a comporre in unità la famiglia umana che oggi più che mai aspira alla pace.

Chiara scrive su ’Vita Trentina’:

Quale il mio stato d’animo? Cosa porto in cuore in questa particolare circostanza? Un’onda di commozione, se solo penso un attimo a ciò a cui mi trovo di fronte: un nuovo popolo nato dal Vangelo, sparso su tutta la terra, un’opera immensa che nessuna forza umana avrebbe potuto far sorgere. E’, infatti, “opera di Dio”, per la quale sono stata scelta per prima come suo strumento sempre “inutile e infedele”.

E un inno di riconoscenza a Dio per quanto, con tutte le mie sorelle e tutti i miei fratelli, ho potuto vedere, sperimentare, costruire, portare fino a questo traguardo col suo aiuto. Un grazie profondo e sentito per ogni cosa, mio Dio!

Grazie anzitutto per avermi fatta nascere nella tua Chiesa, figlia di Dio;

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dicembre 2003

In questo periodo di Avvento, il tempo che ci prepara al Natale, si ripropone la figura di Giovanni il Battista. Era stato mandato da Dio a preparare le strade per la venuta del Messia. A quanti accorrevano da lui, domandava un profondo cambiamento di vita: “Fate opere degne della conversione”. E a chi gli chiedeva: “Cosa dobbiamo fare?” rispondeva:

«Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto»

Perché dare all’altro del mio? Creato da Dio, come me, l’altro è mio fratello, mia sorella; dunque è parte di me. “Non posso ferirti senza farmi del male”, diceva Gandhi. Siamo stati creati in dono l’uno per l’altro, a immagine di Dio che è Amore. Abbiamo iscritto nel nostro sangue la legge divina dell’amore. Gesù, venendo in mezzo a noi, ce lo ha rivelato con chiarezza quando ci ha dato il suo comandamento nuovo: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi.” E’ la “legge del Cielo”, la vita della Santissima Trinità portata in terra, il cuore del Vangelo. Come in Cielo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono nella comunione piena, al punto da essere una cosa sola, così in terra noi siamo noi stessi nella misura in cui viviamo la reciprocità dell’amore. E come il Figlio dice al Padre: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie”, così anche tra noi l’amore si attua in pienezza là dove si condividono non solo i beni spirituali, ma anche quelli materiali.

I bisogni di un nostro prossimo sono i bisogni di tutti. A qualcuno manca il lavoro? Manca a me. C’è chi ha la mamma ammalata? L’aiuto come fosse la mia. Altri hanno fame? E’ come se io avessi fame e cerco di procurar loro il cibo come farei per me stesso.
E’ l’esperienza dei primi cristiani di Gerusalemme: “Avevano un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro comune.” Comunione dei beni che, pur non obbligatoria, tra loro era tuttavia vissuta intensamente. Non si trattava, come spiegherà l’apostolo Paolo, di mettere in ristrettezze qualcuno per sollevare altri, “ma di fare uguaglianza.”
San Basilio di Cesarea dice: “All’affamato appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto.”
E sant’Agostino: “Ciò che è superfluo per i ricchi appartiene ai poveri.”
“Anche i poveri hanno di che aiutarsi gli uni gli altri: uno può prestare le sue gambe allo zoppo, l’altro gli occhi al cieco per guidarlo; un altro ancora può visitare i malati.”

«Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto»

Anche oggi possiamo vivere come i primi cristiani. Il Vangelo non è un’utopia. Lo dimostrano, ad esempio, i nuovi Movimenti ecclesiali che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa per far rivivere, con freschezza, la radicalità evangelica dei primi cristiani e per rispondere alle grandi sfide della società odierna, dove sono così forti le ingiustizie e le povertà.
Ricordo gli inizi del Movimento dei Focolari, allorché il nuovo carisma ci infondeva in cuore un amore tutto particolare per i poveri. Quando li incontravamo per strada prendevamo nota del loro indirizzo su un bloc notes per poi andare a trovarli e soccorrerli; erano Gesù: “L’avete fatto a me.” Dopo averli visitati nei loro tuguri, li si invitava a pranzo nelle nostre case. Per loro erano la più bella tovaglia, le posate migliori, il cibo più scelto. Al nostro tavolo, nel primo focolare, sedevano a mensa una focolarina e un povero, una focolarina e un povero…
A un dato punto ci sembrò che il Signore chiedesse proprio a noi di diventare povere per servire i poveri e tutti. Allora, in una stanza del primo focolare ognuna mise lì al centro quello che pensava di avere in più: un paletot, un paio di guanti, un cappello, anche una pelliccia… E oggi, per dare ai poveri, abbiamo aziende che danno lavoro e i loro utili da distribuire!
Ma c’è sempre tanto da fare ancora per “i poveri”.

«Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto»

Abbiamo tante ricchezze da mettere in comune, anche se può non sembrare. Abbiamo sensibilità da affinare, conoscenze da apprendere per poter aiutare concretamente, per trovare il modo di vivere la fraternità. Abbiamo affetto nel cuore da dare, cordialità da esternare, gioia da comunicare. Abbiamo tempo da mettere a disposizione, preghiere, ricchezze interiori da mettere in comune a voce o per iscritto; ma abbiamo a volte anche cose, borse, penne, libri, soldi, case, automezzi da mettere a disposizione… Magari accumuliamo tante cose pensando che un giorno potranno esserci utili e intanto c’è lì accanto chi ne ha urgente bisogno.
Come ogni pianta assorbe dal terreno solo l’acqua che le è necessaria, così anche noi cerchiamo di avere solo quello che occorre. E, meglio se ogni tanto ci accorgiamo che manca qualcosa; meglio essere un po’ poveri che un po’ ricchi.
“Se tutti ci accontentassimo del necessario diceva san Basilio, e dessimo il superfluo al bisognoso, non ci sarebbe più né il ricco né il povero.”
Proviamo, iniziamo a vivere così. Certamente Gesù non mancherà di farci arrivare il centuplo; avremo la possibilità di continuare a dare. Alla fine ci dirà che quanto abbiamo dato, a chiunque fosse, l’abbiamo dato a Lui.

Chiara Lubich
 

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Farsi benedizione gli uni per gli altri

Farsi benedizione gli uni per gli altri

Come un grande canto di lode a Dio e con l’anima in festa, si è aperto e si è chiuso il Convegno internazionale del Rinnovamento Carismatico Cattolico, indetto “per interrogarsi sulla sfida della maturità e farsi benedizione gli uni per gli altri”, svoltosi dal 18 settembre presso il Centro Mariapoli a Castel Gandolfo. Sono venuti in più di mille da 72 Paesi di tutto il mondo, per partecipare con il tipico entusiasmo carismatico a questo evento.

Sulla sfida impegnativa della santità per il Rinnovamento Carismatico, alla luce della Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II, “Novo millennio ineunte”, ha parlato il padre Raniero Cantalamessa, che ha guidato il ritiro spirituale. Il predicatore della Casa Pontificia ha pure risposto ad una serie di domande sul rapporto tra fedeltà allo Spirito e istituzione, sottolineando anche il profondo cambiamento che il Rinnovamento Carismatico continua a produrre nella vita di tante persone: Vedo gli stessi effetti in tantissime persone, con un cambiamento radicale che naturalmente suppone poi di essere coltivato attraverso i Sacramenti e il Magistero, per poter arrivare alla perfezione della vita cristiana. Ho visto gente trasformata, abbiamo sentito qui la testimonianza di una coppia: venivano entrambi da una vita disperata, rotta, perduta, e adesso è un matrimonio santo, in cui risplende proprio la santità che ci ha incantato tutti quanti. Le stesse cose nei sacerdoti, negli sposati e non si può negare che questo sia l’opera dello Spirito Santo. Il mio desiderio per tutti noi è che questa grazia sia condivisa da tutti, che la Chiesa non guardi al Rinnovamento Carismatico come un’isola di alcune persone particolarmente prone all’emozionalismo, ma che vedano che questa è la norma della vita cristiana. Gesù ha concepito la sua vita, la vita che ci ha dato sulla Croce, per essere vissuta nello Spirito. “Dodici giorni di benedizioni” era il tema promettente dell’incontro, in un clima di profonda comunione spirituale, ad esprimere quasi palpabilmente che, in Cristo Signore e Salvatore, l’Amore si è fatto carne in mezzo a noi. E’ la benedizione più grande quella che si incarna nella “spiritualità di comunione”, tanto incoraggiata dal Papa e testimoniata anche da Chiara Lubich, ospite del convegno carismatico. Una testimonianza dell’amore che si fa aiuto per i poveri l’ha recata il prof. Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio. da Radiogiornale Radiovaticana, 26 settembre 2003 (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Ogni anno le Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani, organismo dell’associazionismo cattolico italiano, impegnato nel sociale, organizzano un convegno nazionale per approfondire le sfide culturali, economiche e politiche del mondo attuale e preparare una risposta specifica per i cattolici. L’appuntamento di quest’anno: “Vivere la speranza nella società globale del rischio”, ha raccolto ad Orvieto, dal 5 al 7 di questo mese, 400 esponenti del mondo della cultura e della politica internazionale. Il presidente Luigi Bobba ha invitato Chiara Lubich: “Pensando alla speranza, non poteva non venirmi in mente una donna che incarna questa virtù della speranza.” Il video con il suo messaggio registrato ha aperto la sessione dedicata alla sfida multiculturale. “Il paradigma dell’unità – ha detto Chiara tra l’altro – se attuato, appare un’enorme risorsa per la globalizzazione oggi in atto, poiché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione tra i popoli e il metodo per raggiungerla: l’amore scambievole. (…) Ne conseguirà l’esigenza di porre a disposizione di tutti i popoli i beni della creazione quali doni di Dio, e superare così il sottosviluppo di alcuni e l’ipersviluppo di altri: è l’idea della ’comunione’, della fraternità universale in atto.”

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Vivere la speranza nella società globale del rischio

Vivere la speranza nella società globale del rischio

Carissimo Presidente Bobba, carissimi amici delle ACLI,

in questi giorni avete riflettuto sulla globalizzazione e sui suoi rischi, ma in particolare vi siete posti la domanda su quale possa essere lo specifico contributo di noi cristiani in questo tempo, quale sia la speranza che possiamo donare agli altri uomini, nostri fratelli. E’ stato chiesto anche a me di dirvi qualcosa su questo tema e sono qui a portarvi la mia testimonianza. Per poterlo fare, dovrò parlarvi di quel dono dello Spirito che è la “spiritualità dell’unità”, dato per l’oggi a me e poi a tanti altri. Essa è una spiritualità che, ovunque sia messa in pratica, suscita e promuove un nuovo stile di vita, personale e comunitario insieme, e coincide in pratica con la “spiritualità di comunione” proposta dal Santo Padre nella Novo millennio ineunte a tutta la Chiesa perché sia vissuta. Il mondo nel quale viviamo – nonostante le fortissime tensioni a cui tuttora è soggetto – tende all’unità, ad un’unità globale, universale. Nessuno, grazie ai media, è più estraneo all’altro e quindi tutti alla stessa maniera chiedono di essere soggetti della loro storia. I nostri interessi, a Nord e a Sud, sono intrecciati in una interdipendenza che non è più una scelta, ma che, se non governata, rischia solo di aumentare le differenze. Molti problemi interessano ormai l’umanità nel suo insieme, e richiedono quindi categorie di lettura e modelli di risposta globali. Il mondo va innegabilmente verso il villaggio globale. E’ per questo che oggi, in questo contesto, non basta più un cristianesimo individuale fatto di coerenza e ascesi personale: testimonianza questa non più sufficiente. Occorre andare al cuore del messaggio che Gesù ci ha lasciato, al cuore del Vangelo, al comandamento che Gesù dice suo e nuovo: il comandamento dell’amore reciproco (Gv 13,34) che impegna più di una persona. Esso, vissuto da molti, genera la fraternità universale. Categoria questa che, pur non assente dalla mente di qualche spirito forte, è stato il dono essenziale fatto all’umanità da Gesù, che prima di morire ha pregato: “Padre (…) che tutti siano uno” (Gv 17,21), rivelando così, con la paternità di Dio, l’idea dell’umanità come famiglia, l’idea della “famiglia umana”. Noi, membri del Movimento dei Focolari, quando sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale, a Trento, abbiamo letto nel Vangelo questa pagina del testamento di Gesù, abbiamo capito, per la prima volta, non solo che per la realizzazione di essa eravamo nati, ma che dovevamo cominciare da noi ad amarci fino a consumarci in uno e nell’uno ritrovare la distinzione. Altri e altre poi ci hanno seguito e l’amore reciproco creava un circolo virtuoso che ristabiliva la fiducia, riapriva la speranza, ricomponeva legami personali e civili lacerati. E nell’assenza di leggi causata dalla guerra, siamo ripartiti dall’amore: la legge delle leggi, valore supremo, principio e sintesi di tutti i valori. Ricordo ancora – a conferma – un ragionamento che si faceva allora: quando un emigrante si trasferisce in un Paese lontano, s’adatta certamente all’ambiente che trova, ma continua spesso a parlare la sua lingua, a vestire secondo la moda del suo Paese, a costruire edifici simili a quelli della madre patria. Così, quando il Verbo di Dio si è fatto uomo, si è adattato al modo di vivere del mondo, ed è stato bambino e figlio esemplare e uomo e lavoratore; ma ha portato quaggiù il modo di vivere della sua Patria celeste, ed ha voluto che uomini e cose si ricomponessero in un ordine nuovo, secondo la legge del Cielo: l’amore. E, con la grazia di Dio, nonostante la nostra piccolezza, facendo anche noi così, ci siamo accorti che Egli aveva veramente portato in terra il modo di vivere del Cielo. Ma ciò è stato possibile perché, per il carisma che lo Spirito ci aveva dato, abbiamo potuto comprendere quel “come” del comandamento di Gesù: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). “Come io vi ho amato, così amatevi anche voi”. Quel “come” era stato espresso compiutamente da Gesù crocifisso che, dopo aver visto i discepoli dileguarsi, dopo essersi privato della Madre, mentre stava perdendo persino la vita, al culmine del suo immenso dolore, si era sentito separato, abbandonato dal Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 24,46). E aveva sofferto tutto ciò per poter riunire il genere umano al Padre, da cui era staccato per il peccato, e per riunire gli uomini fra loro. Gesù, in croce e nel suo abbandono, aveva dato veramente tutto, si era completamente annullato. E tutto ciò per amore nostro. Quella era la misura del suo amore. Misura che dovremmo imparare ad avere anche noi di fronte ai nostri fratelli: “Amatevi (…) come io vi ho amato”: essere cioè completamente vuoti di noi per accogliere i dolori e le gioie degli altri. Questo è l’amore che ci è richiesto da Dio che è amore. L’amore, infatti, non è un attributo di Dio, è il suo stesso Essere, di Lui uno e trino. Il Padre, uscendo del tutto, per così dire, da sé, si fa in certo modo “non essere” per amore, e genera il Figlio; ma è proprio così che è Padre. Il Figlio, a sua volta, quale eco del Padre, torna per amore al Padre, si fa anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, e proprio così è, Figlio; lo Spirito Santo, che è il reciproco amore tra il Padre e il Figlio, il loro vincolo d’unità, si fa, anch’Egli in certo modo “non essere” per amore, quel non essere, quel “vuoto d’amore”, in cui Padre e Figlio si incontrano e sono uno: ma proprio così è, Spirito Santo. Sono tre le Persone della Trinità, eppure sono Uno perché l’Amore non è ed è nel medesimo tempo, in un eterno donarsi. E’ questo il dinamismo della vita intratrinitaria, che si manifesta come incondizionato reciproco dono di sé, mutuo annullamento amoroso, totale ed eterna comunione. Analoga realtà è stata impressa da Dio nel rapporto tra gli uomini: lo abbiamo avvertito da quando Dio ci ha donato la sua luce. Ho sentito anch’io stessa, anni addietro, d’essere stata creata in dono a chi mi sta vicino e chi mi sta vicino è stato creato da Dio in dono a me, come il Padre nella Trinità è tutto per il Figlio e il Figlio è tutto per il Padre. E per questo anche il rapporto tra noi può essere lo Spirito Santo, lo stesso rapporto che c’è tra le Persone della Trinità. E’ la vita della Trinità che possiamo imitare, amandoci fra di noi. Allora quella vita non sarà più vissuta soltanto nell’interiorità della singola persona, ma diventerà liberamente vita dell’intera famiglia umana. La nostra esperienza di decenni ci dice che il mettere questa logica a base della vita personale e sociale, porta un notevole rinnovamento nei più vari ambiti del vivere umano. Il Concilio Vaticano infatti insegna che il comandamento nuovo della carità non è soltanto “la legge fondamentale dell’umana perfezione”, ma anche “della trasformazione del mondo” . E ciò si è verificato da noi in parecchi campi: quello politico, economico, culturale, artistico, della medicina, dell’educazione, delle comunicazioni sociali, ecc. E’ sempre stata nostra convinzione che, se il rapporto fra i cristiani è il mutuo amore, il rapporto fra i popoli cristiani non può non essere anch’esso il mutuo amore. Il Vangelo, infatti, chiama ogni popolo ad oltrepassare il proprio confine e a guardare al di là. Anzi spinge ad amare la patria altrui come la propria. I politici che fanno propria la spiritualità dell’unità vivono per questo, e cercano anche di praticare l’apparente paradosso di amare il partito altrui come il proprio, perché sono convinti che il bene del loro Paese ha bisogno dell’opera di tutti. Inoltre, essi intravedono nell’amore reciproco vissuto tra l’eletto, fin da quando è candidato, e i cittadini del proprio territorio, la strada per superare la separazione tra società e politica. E’ in questa reciprocità, infatti, che si può costruire il bene della comunità, perché alla politica vissuta dai governanti come servizio di verità e di amore, deve corrispondere da parte dei cittadini una loro sempre più piena partecipazione alla “cosa pubblica”. Per quanto riguarda l’economia, nel Movimento, sin dall’inizio, l’amore che circola tra i membri, per la legge di comunione che vi è insita, ha portato, direi naturalmente, a rendere comuni i beni dello spirito e i beni materiali. E ciò è sempre stato una testimonianza fattiva e visibile d’un amore unitivo, il vero amore, quello della Trinità. Ma nel 1991 è nato un nuovo progetto: l’Economia di Comunione. Esso intende far sorgere delle aziende affidate a persone competenti in grado di farle funzionare con efficienza e ricavarne degli utili. Questi vanno messi in comune, usati in parte per aiutare i poveri onde dar loro da vivere finché abbiano trovato un posto di lavoro; in parte per sviluppare strutture di formazione per persone animate dall’amore e capaci così di realizzare un’economia che sia comunione; in parte, infine, per incrementare le aziende stesse. Nella visione “trinitaria” dei rapporti interpersonali e sociali, che deriva dalla spiritualità dell’unità e che sta alla base dell’Economia di Comunione, alcuni economisti intravedono una nuova chiave di lettura del fatto e della teoria economici, chiave di lettura che potrebbe arricchire anche la comprensione delle interazioni economiche, e quindi contribuire a superare l’impostazione individualistica oggi ancora prevalente nella scienza economica. Ma la stessa luce può illuminare, come dicevo, tutti gli altri campi del vivere umano: la scuola, l’arte, la sanità, i mass-media… La nostra esperienza ci dice che in un clima d’amore scambievole, si gode di una luce che guida alla verità sempre più piena, dà capacità di novità, e informa un dialogo con tutti, rispettoso della diversità. E tutto questo è destinato a diventare patrimonio della famiglia umana. Il paradigma dell’unità, se attuato, appare un’enorme risorsa per la globalizzazione oggi in atto, perché contiene in sé il germe di ogni forma di integrazione tra i popoli e il metodo per raggiungerla: l’amore scambievole. La conseguenza è il rifiuto di discriminazioni, di guerre, di controversie, di nazionalismi, di rivendicazioni di interessi nazionali. Ne conseguirà l’esigenza di porre a disposizione di tutti i popoli i beni della creazione quali doni di Dio, e superare così il sottosviluppo di alcuni e l’ipersviluppo di altri: è l’idea della “comunione”, della fraternità universale in atto. L’unità immessa nella famiglia umana porta a compimento il disegno di Dio su di essa: essere una cosa sola. In tal modo le diversità di popoli, di razze, di appartenenze, non vengono annullate, ma armonizzate in reciprocità. Che il Signore ci dia, alla luce della sua preghiera per l’unità (Gv 17), di concorrere a realizzare la fraternità dove e come possiamo. Potremo così essere per l’umanità, accanto a tutti gli uomini di buona volontà, quel contributo che solo può generare futuro. (altro…)

Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Nuovo slancio al cammino di comunione

L’Assemblea nazionale straordinaria dell’Azione Cattolica Italiana, con 837 delegati, da 214 diocesi, ha rappresentato una svolta verso una maggiore comunione e una rinnovata spinta missionaria, mantenendo sempre il carattere diocesano della sua attività e della sua struttura. Sono queste le linee tratteggiate nel nuovo Statuto, approvato dall’Assemblea. Il Papa, nel suo messaggio, ha sottolineato che “La Chiesa ha bisogno di voi, ha bisogno di laici che nell’Azione Cattolica hanno incontrato una scuola di santità, in cui hanno imparato a vivere la radicalità del Vangelo nella normalità quotidiana”. La presidente nazionale, Paola Bignardi, in un’intervista a “Città Nuova”, ha specificato tra l’altro che il rapporto con i Movimenti e le Comunità ecclesiali necessita di un rinnovamento, in modo che non solo si “viva in pace gli uni con gli altri, ma si sappia trovare la strada per vivere gli uni per gli altri, gli uni con gli altri.” Perciò Paola Bignardi e l’assistente generale, il vescovo Francesco Lambiasi, hanno invitato Chiara Lubich e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, a dare un saluto all’Assemblea. Chiara, invitata al tavolo della presidenza, ha iniziato: “Conosco l’Azione Cattolica per aver trascorso buona parte della mia giovinezza fra le sue fila. Anni speciali quelli per l’Associazione, che godeva ancora della presenza di Armida Barelli e delle sue compagne. Anni gioiosi per me, per aver partecipato a tanti incontri a Trento, la mia città, e a convegni per la gioventù studentesca, dove ho ricevuto una solida formazione cristiana di base.” Chiara ha poi voluto ripercorrere le tappe della comunione fra Movimenti e Nuove Comunità iniziata a Pentecoste ’98, chiedendosi infine: “Sarà questo il momento per dar inizio a ciò che il santo Padre vuole dall’Azione Cattolica, dal Movimento dei Focolari e dagli altri Movimenti? A nome del Movimento dei Focolari, che rappresento, posso dire che noi siamo a disposizione. Lo Spirito Santo indichi il tempo ed il modo a voi, fratelli e sorelle carissimi.” Le parole di adesione della presidente e l’ applauso dell’assemblea hanno dato subito una risposta positiva. Andrea Riccardi ha poi parlato del “debito che abbiamo verso questo grande laboratorio cristiano che è l’Azione Cattolica”, auspicando una “comunione più profonda, vissuta nella coscienza della missione di oggi.” Salutando gli ospiti, Paola Bignardi ha detto: “Grazie per l’amicizia che ci avete portato in questa nuova stagione di comunione e di dialogo, che non è mortificazione delle differenze, ma anzi arricchimento delle nostre ricchezze.”

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Intervento di Chiara Lubich

Signori Vescovi, Dott.ssa Paola Bignardi, Presidente dell’Azione Cattolica italiana, Eccellenza, mons. Francesco Lambiasi, Assistente generale, Signori e Signore, fratelli e sorelle, ringrazio anzitutto la Presidente e l’Assistente generale dell’invito rivoltomi il 2 luglio scorso a partecipare alla presente loro Assemblea nazionale straordinaria, per un breve intervento, invito che ho accettato con gioia. Sperando di far cosa gradita, vorrei cogliere quest’occasione per dire qualche parola sul rapporto che vi è o vi potrebbe essere fra le realtà ecclesiali (Associazioni, Movimenti, Nuove Comunità) oggi presenti nella Chiesa, secondo la mia esperienza. Dovrò quindi partire da lontano. Conosco l’Azione Cattolica per aver trascorso buona parte della mia giovinezza fra le sue fila. Anni speciali quelli per quest’Associazione, che godeva ancora della presenza di Armida Barelli e delle sue compagne. Anni gioiosi per me, per aver partecipato a tanti incontri a Trento, la mia città, e a convegni per la Gioventù Studentesca, in più parti d’Italia, dove ho ricevuto una solida formazione cristiana di base, di cui sono tuttora grata. Ebbene, è stato proprio in uno di questi convegni che è avvenuto in me – avevo allora 19 anni – qualcosa di nuovo: un primo accenno d’una chiamata tutta particolare da parte di Dio. Ero a Loreto quando, pur seguendo il corso, sono stata fortemente attirata alla “casetta” nella chiesa-fortezza, dove mi recavo ogniqualvolta potevo. Non avevo tempo di rendermi conto se storicamente quello fosse l’ambiente dove era vissuta la Sacra Famiglia. Inginocchiata accanto al muro annerito, qualcosa di nuovo e di divino mi avvolgeva e quasi mi schiacciava. Immaginavo e contemplavo la vita verginale di Maria e di Giuseppe con Gesù in mezzo a loro. Allora non capivo ciò che mi è stato chiaro in seguito: Dio mi chiamava a rivivere, in certo modo, quella vita, assieme ad altre compagne. E, se per le giovani d’allora erano possibili in pratica tre strade: il matrimonio, il convento, la verginità nel mondo, qui si apriva una quarta strada, quella che più tardi è stato il focolare: una piccola comunità di vergini, donne o uomini, che, in mezzo al mondo, per il costante reciproco amore vissuto e sempre rinnovato, hanno Gesù spiritualmente presente fra loro, secondo la sua promessa: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Si svelerà così in quel luogo quello che sarà il primo nucleo organizzativo dell’intero Movimento, il focolare, appunto, ma anche uno dei cardini principali, “Gesù presente in mezzo a noi”, di un nuovo stile di vita cristiana, di una spiritualità comunitaria e personale insieme, la “spiritualità dell’unità”. Spiritualità che si vive da quasi sessant’anni nel Movimento dei Focolari ed in ogni sua parte. “Spiritualità dell’unità” che il santo Padre, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte, con il nome di “spiritualità di comunione”, propone ora a tutta la Chiesa perché venga vissuta a tutti i livelli. “Spiritualità dell’unità” e “spiritualità di comunione” sono, infatti, praticamente, la stessa cosa, come ha pure scritto il santo Padre ai Vescovi amici del nostro Movimento . Poco a poco, dopo Loreto, per seguire la mia strada e dedicarmi al Movimento nascente, ho dovuto lasciare l’Azione Cattolica, senza mai perdere, però, la certezza che un giorno avrei ripreso contatto: se Dio ci distingueva era senz’altro per un Suo disegno d’amore. E sono passati tanti, tanti anni. Come loro ricorderanno, poi, nella vigilia della Pentecoste 1998, Giovanni Paolo II, pensando maturo il tempo, ha radunato 60 Movimenti ecclesiali e Nuove Comunità in Piazza San Pietro, mettendo in rilievo, nel suo discorso, queste realtà della Chiesa che, con le altre sorte nel passato, rappresentano l’aspetto carismatico di essa, aspetto coessenziale – come ebbe a dire – all’aspetto istituzionale. In quel giorno, io stessa, essendo venuta a conoscenza del desiderio della Chiesa e del Papa che i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità siano in comunione fra loro, rivolgendo la parola al santo Padre, mi sono detta completamente disponibile a questo scopo. Disponibilità che Egli – come mi ha scritto – ha apprezzato molto. Si è così attuata subito la comunione, dapprima fra alcuni Movimenti, fino ad arrivare ora ad una quindicina e, fra questi, molti dei più importanti. Ci si incontra fra dirigenti due volte all’anno, ora in una sede, ora in un’altra. La comunione fra noi e i nostri Movimenti e Comunità è caratterizzata dalle più varie espressioni della carità: si attua il cosiddetto “scambio dei doni”, dove, pur rimanendo ben saldo e preciso il carisma di ognuno, si può sempre arricchirsi di ciò che i fratelli portano; si prega gli uni per gli altri, si condividono le gioie per le conquiste, i dolori per le prove; si offrono a chi è nella necessità i propri ambienti per convegni, ecc.; si presentano sulla propria stampa gli avvenimenti più significativi degli altri Movimenti, perché siano meglio conosciuti; si collabora in manifestazioni comuni, anche a livello europeo, per raggiungere scopi particolari, ecc. Subito dopo il 1998 ogni anno sono fiorite in tutto il mondo delle “Giornate” (200 finora) sostenute dai membri di diversi Movimenti, presenti i Vescovi del luogo o convocate da loro stessi. In esse, oltre ad assistere alla santa Messa ed ascoltare la voce dei Pastori, si presentano i propri carismi, si donano le proprie esperienze, con tavole rotonde, interviste, testimonianze, contributi artistici, ecc. In seguito, in molte diocesi del mondo, i più vari Movimenti hanno preso l’abitudine di presentarsi uniti, per attuare, ad esempio, programmi previsti dal piano pastorale delle singole chiese. Le “Giornate” e queste varie attività hanno rivelato, in genere, ai singoli Vescovi la grande ricchezza che i Movimenti e le Nuove Comunità portano, e fanno loro intravedere, per essi, la possibilità di rendere la Chiesa più unita, più bella, più viva, più dinamica, più familiare. Durante questi anni si è costatata la partecipazione spontanea alle nostre manifestazioni di persone appartenenti ad altre realtà ecclesiali, come all’Azione Cattolica, ad esempio, spesso perché sollecitate dai Vescovi. In seguito a tutto ciò Famiglie religiose, nate da antichi o meno antichi carismi, costatata la vitalità dei Movimenti ecclesiali e delle Nuove Comunità, hanno desiderato anch’esse conoscerci e iniziare con noi una comunione. Così è stato, ad esempio, con l’intera famiglia francescana ad Assisi, con quella benedettina a Montserrat in Spagna, con la Congregazione di Madre Teresa a Calcutta, con le Piccole sorelle di Gesù a Roma, ed altri. Recentemente ci ha dato grande gioia un documento della “Congregazione per gli Istituti di vita consacrata” intitolato: Ripartire da Cristo. In esso si consigliano i e le religiose, come “un compito dell’oggi delle comunità di vita consacrata”, “di far crescere la spiritualità di comunione prima di tutto al proprio interno” e poi “oltre i suoi confini”, favorendo così la comunione fra i diversi Istituti. Mentre “nei confronti delle nuove forme di vita evangelica (i Movimenti, ad esempio), si domanda dialogo e comunione” , e si parla dei vantaggi della comunione per gli uni e per gli altri. Il documento ammonisce: “Non si può più affrontare il futuro in dispersione” . Tutto quanto ho riferito fin qui ci sembra voglia dire che lo Spirito Santo sta soffiando sulla Chiesa perché si compia, anche attraverso di noi, il grande desiderio del santo Padre: far sì che essa sia “la casa e la scuola della comunione” . Ed ora siamo qui insieme e non possiamo non chiederci: ci può, ci deve essere un rapporto fra l’Associazione di Azione Cattolica italiana, nel suo insieme, ed i Movimenti ecclesiali e le Nuove Comunità? Mi sembra si possa trovare la risposta già nella Novo millennio ineunte al n. 45 dove Giovanni Paolo II scrive: “Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello (…). La comunione deve qui rifulgere nei rapporti tra Vescovi, presbiteri e diaconi, tra Pastori e intero Popolo di Dio” ed aggiunge: “tra associazioni e movimenti ecclesiali”. Nella più recente Esortazione Apostolica, poi, post-sinodale: Ecclesia in Europa, Giovanni Paolo II all’art. 16 sottolinea: “(…) mentre esprimo (con i Padri Sinodali) la mia grande stima per la presenza e l’azione delle diverse associazioni e organizzazioni apostoliche e, in particolare, dell’Azione Cattolica, desidero rilevare il contributo proprio che, in comunione con le altre realtà ecclesiali e mai in via isolata, possono offrire i nuovi Movimenti e le nuove Comunità ecclesiali”. “In comunione con le altre realtà ecclesiali e mai in via isolata”. Sono parole queste che svelano ai nostri Movimenti una precisa volontà di Dio: cercare l’unità anche con le Associazioni ed in particolare con l’Azione Cattolica. E’ un’Esortazione quest’ultima del giugno scorso che mi ha fatto, fra il resto, apprezzare doppiamente l’invito della vostra Presidente e del vostro Assistente a venire oggi fra voi. Sarà questo il momento per dar inizio a ciò che il santo Padre vuole dall’Azione Cattolica, dal Movimento dei Focolari e dagli altri Movimenti? A nome del Movimento dei Focolari, che rappresento, posso dire che noi siamo a disposizione. Lo Spirito Santo indichi il tempo ed il modo a voi, fratelli e sorelle carissimi. Sia Maria Santissima, così presente nell’Azione Cattolica e nel Movimento dei Focolari, chiamato pure “Opera di Maria”, a consigliarci. E’ evidente che tutto non potrà essere che a gloria di Dio ed a vantaggio della Chiesa. Grazie dell’ascolto.

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Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

Un popolo nato dal Vangelo, Chiara Lubich e i Focolari

“Ecco le radici di un’opera, che sono tutte in cielo, da cui prende la sua linfa vitale un albero che fiorisce sulla terra”. (Chiara Lubich) Il libro racconta i sessanta anni di storia del Movimento dei Focolari. Dagli inizi sotto i bombardamenti del 1943 a Trento, ai primi passi del dialogo ecumenico, alle avventure, finora sconosciute, nei paesi d’oltrecortina, agli sviluppi in tutti gli ambiti della società, dalla politica all’economia, dall’arte alla comunicazione. Interverranno: Ferruccio De Bortoli, Paola Vismara Chiappa, Roberto Formigoni, Giorgio Rumi Moderatore: Elio Guerrieo

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1° Giornata Mondiale dell’Interdipendenza

Signor Governatore della Pennsylvania, Signor Edward Rendell, Professor Benjamin Barber, Signore e Signori,

è un grande onore poter rivolgermi con questo messaggio ad un pubblico così qualificato che si raduna oggi a Filadelfia per dichiarare l’impegno a costruire un mondo più unito, più giusto, più fraterno. Il desiderio sarebbe stato quello di essere presente di persona. Non essendo stato possibile, permettetemi di offrirvi con questo messaggio una breve e personale riflessione. Quando lo scorso giugno a Roma ho avuto un incontro lungo e caloroso con il professor Benjamin Barber, è stato spontaneo per me aderire con gioia a questa prima Giornata Mondiale dell’Interdipendenza. La realtà dell’interdipendenza, infatti, richiama un ideale a me molto caro, per il quale – assieme a molte persone di buona volontà impegnate nella politica, nell’economia e nei vari campi dell’agire e del sapere – ho deciso di spendere la mia vita: l’unità della famiglia umana. All’indomani dell’11 settembre, molti di noi hanno avvertito l’esigenza di riflettere a fondo sulle cause, ma soprattutto di impegnarsi per un’alternativa vera, responsabile, decisa, al terrore ed alla guerra. È stato, per me, un po’ come rivivere l’esperienza della distruzione e la sensazione dell’umana impotenza, nella città italiana di Trento, bombardata durante la seconda guerra mondiale. Ma è proprio sotto le bombe che io e le mie prime compagne abbiamo scoperto nel Vangelo la luce dell’amore reciproco, che ci ha rese pronte a dare la vita l’una per l’altra. È tra le macerie di quella distruzione, nella convinzione che “tutto vince l’Amore”, che è nato il desiderio forte di rendere partecipi di questo amore tutti i prossimi, senza distinzione di persone, gruppi, popoli, e senza considerazione di condizioni sociali, cultura, convinzioni religiose. Analogamente in molti ci chiediamo oggi, a New York come a Bogotà, a Roma come a Nairobi, a Londra come a Baghdad, se sia possibile vivere in un mondo di popoli liberi, uguali, uniti, non solo rispettosi l’uno dell’identità dell’altro, ma anche solleciti alle rispettive necessità. La risposta è una sola: non solo è possibile, ma è l’essenza del progetto politico dell’umanità. E’ l’unità dei popoli, nel rispetto delle mille identità, il fine stesso della politica, che la violenza terroristica, la guerra, l’ingiusta ripartizione delle risorse nel mondo e le disuguaglianze sociali e culturali sembrano oggi mettere in discussione. Da più punti della terra, oggi, sale il grido di abbandono di milioni di rifugiati, di milioni di affamati, di milioni di sfruttati, di milioni di disoccupati che sono esclusi e come “recisi” dal corpo politico. E’ questa separazione, e non solo gli stenti e le difficoltà economiche, che li rende ancora più poveri, che aumenta, se possibile, la loro disperazione. La politica non avrà raggiunto il suo scopo, non avrà mantenuto fede alla sua vocazione fin a quando non avrà ricostituito questa unità e guarito queste ferite aperte nel corpo politico dell’umanità. Ma come raggiungere questa mèta così impegnativa, che sembrerebbe al di sopra delle nostre forze? Libertà ed uguaglianza, dinanzi alle sfide del presente e del futuro dell’umanità, non sono da sole sufficienti. La nostra esperienza ci insegna che c’è bisogno, crediamo, di un terzo elemento, lungamente dimenticato nel pensiero e nella prassi politica: la fraternità. Senza la fraternità, nessun uomo e nessun popolo sono veramente e fino in fondo liberi ed eguali. Uguaglianza e libertà saranno sempre incomplete e precarie, finché la fraternità non sarà parte integrante dei programmi e dei processi politici in ogni regione del mondo. Cari amici, il nome della città in cui vi trovate – Filadelfia – non evoca, esso stesso, un programma di amore fraterno? E’ la fraternità che può dare oggi contenuti nuovi alla realtà dell’interdipendenza. E’ la fraternità che può far fiorire progetti ed azioni nel complesso tessuto politico, economico, culturale e sociale del nostro mondo. E’ la fraternità che fa uscire dall’isolamento e apre la porta dello sviluppo ai popoli che ne sono ancora esclusi. E’ la fraternità che indica come risolvere pacificamente i dissidi e che relega la guerra ai libri di storia. E’ per la fraternità vissuta che si può sognare e persino sperare in una qualche comunione dei beni fra Paesi ricchi e poveri, dato che lo scandaloso squilibrio, oggi esistente nel mondo, è una delle cause principali del terrorismo. Il profondo bisogno di pace che l’umanità oggi esprime, dice che la fraternità non è solo un valore, non è solo un metodo, ma un paradigma globale di sviluppo politico. Ecco perché un mondo sempre più interdipendente ha bisogno di politici, di imprenditori, di intellettuali e di artisti che pongano la fraternità – strumento di unità – al centro del loro agire e del loro pensare. Era il sogno di Martin Luther King che la fraternità diventi l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo. Cari amici, come cambierebbero, i rapporti tra i singoli, i gruppi ed i popoli, se solo fossimo coscienti che siamo tutti figli di un solo Padre, Dio, che è Amore e che ama ciascuno personalmente ed immensamente e si prende cura di tutti! Questo amore, coniugato nelle sue infinite forme, anche politiche ed economiche, porterebbe a superare angusti nazionalismi e visioni parziali, aprendo menti e cuori dei popoli e dei loro governanti, spingendo tutti – come ho affermato in un mio intervento alle Nazioni Unite a New York nel 1997 – ad amare la patria altrui come la propria. Questa è l’esperienza ormai pluridecennale del Movimento dei Focolari, presente in 182 Paesi del mondo, ed al quale aderiscono milioni e milioni di persone di ogni latitudine. Auguro così a questa prima Giornata Mondiale dell’Interdipendenza di essere l’occasione, per quanti vi hanno aderito, di un nuovo impegno a vivere ed a lavorare assieme, con dedizione e con fiducia, e sostenendosi sempre l’un l’altro, per l’unità della famiglia umana universale.   (altro…)

Cittadini del mondo per costruire il futuro

Cittadini del mondo per costruire il futuro

“We the people of the world…” “Noi, popolo del mondo, dichiariamo la nostra interdipendenza come individui e membri di comunità e nazioni distinte. Ci impegneremo ad essere cittadini di una unica città-mondo…”

A Filadelfia, i padri fondatori degli Stati Uniti nel 1776 avevano firmato la dichiarazione di Indipendenza. Separandosi e distinguendosi dal Vecchio Mondo, l’America trovava così la sua libertà e la sua autonomia. Oltre due secoli dopo, all’indomani dell’11 settembre 2001, gli americani si sono riscoperti fragili. Al terrore, in Afghanistan come in Iraq, si è risposto con la forza delle armi, seminando altro terrore. A due anni di distanza e dopo due guerre dichiarate in nome della lotta al terrorismo l’America ed il mondo oggi si sentono ancora più insicuri. Assume un significato altamente simbolico l’avvenimento celebratosi a Filadelfia il 12 settembre 2003: di fronte al palazzo dove è stata firmata la Dichiarazione di Indipendenza, a 227 anni di distanza, si è voluta firmare la Dichiarazione di Interdipendenza. Un’iniziativa condivisa dai molti che in America professano il loro credo nel multilateralismo, nel dialogo tra le culture, nella necessità di una cittadinanza globale. Su iniziativa del professor Benjamin Barber, politologo e docente all’Università del Maryland, già consigliere politico del Presidente Clinton, politici, accademici, artisti, semplici cittadini, hanno voluto dichiarare di essere ”cittadini del mondo” che sentono sulla propria pelle la responsabilità di costruire un futuro sostenibile per la famiglia umana. Alla interdipendenza negativa sperimentata col terrorismo internazionale e le epidemie come la SARS e l’AIDS, va promossa una interdipendenza positiva di cittadini globali che si fanno promotori del bene comune. “Alla guerra preventiva – spiega Barber – dobbiamo opporre una democrazia preventiva”. Duecento e più anni fa, l’America aveva trovato la sua libertà separandosi dal Vecchio Mondo: Vecchio Mondo. “Oggi invece – ha aggiunto – può trovarla solo lavorando per la libertà di tutti”. E’ l’esigenza insomma di passare dalla indipendenza all’interdipendenza, promuovendo un movimento dal basso che trasformi i singoli individui in cittadini del mondo in relazione. Il Segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, l’ex-presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel, la fondatrice del Movimento dei Focolari, Chiara Lubich, e il Sindaco di Roma, Walter Veltroni, hanno inviato messaggi di adesione. “Dobbiamo porci – ha sottolineato la fondatrice dei Focolari nel messaggio letto a Filadelfia durante la cerimonia – come orizzonte dell’interdipendenza la fraternità: è la fraternità che può dare oggi contenuti nuovi alla realtà dell’interdipendenza. A Filadelfia si è vissuta così una giornata altamente simbolica che ha mostrato la volontà e l’impegno di tanti per il bene comune e la fraternità della famiglia umana. In contemporanea si celebrava l’Interdependence Day in varie altre località degli Stati Uniti, come l’Università del Maryland, il College Park, la Roosevelt University di Chicago e il Suny – Stonybrook in New York, nonché a Budapest, dove Ivan Vitanyi, membro del Parlamento, è stato affiancato da Arpad Goencz, primo presidente dell’Ungheria dopo il regime socialista, per una tavola rotonda dedicata all’Interdipendenza. Per il 2004 è previsto l’ Interdependence Day a Roma, Calcutta, Johannesburg, Pechino e molte altre metropoli. (altro…)

Silenzi d’amore

In ospedale dovevo fare guardie notturne con un altro medico che si diceva cristiano, ma non era praticante e spesso, vedendomi partecipare alla Messa quasi ogni giorno, mi prendeva in giro.

Dovevamo rimanere a disposizione tutta la notte, ma lui mi lasciava da solo già a fine pomeriggio e questo per me voleva dire tanto lavoro in più. Non era giusto, ma “Beati i poveri in spirito …” e ho cercato di mantenere nei suoi confronti un atteggiamento aperto, senza giudizio, un mese, due. Un giorno mi dice che desidera venire alla Messa con me perché “in questi mesi, dal tuo modo di amare in silenzio, ho imparato tante cose”. Da quel giorno non solo non ha più lasciato l’ospedale anzitempo, ma ha cominciato a prendersi cura di me perché durante la notte non mi stancassi troppo. In un altro momento ho condiviso la stanza d’ospedale con un medico di religione islamica. Più volte mi ha fatto notare che il nostro modo di vivere la quaresima è molto più blando del loro Ramadan. Nel frattempo ho saputo che sua madre era morta da un anno e che non aveva più nessuno che si curasse dei vestiti e delle sue cose personali. Avevo notato infatti che il suo camice era spesso sporco e mancante di qualche bottone. Una notte decido di lavargli il camice, stiraglielo e cucire i bottoni mancanti. La mattina seguente stenta, logicamente, a riconoscere il suo camice e chiede chi lo aveva sistemato. Quando ha saputo, è venuto ad abbracciarmi dicendo: “Ora capisco. Amando in silenzio hai dato un senso molto più profondo al ’mortificarsi’ di quanto io avrei potuto immaginare”. (altro…)

Quella fedeltà del presente che cambia la vita

Si può osservare che uno dei risultati del vivere la volontà di Dio nell’attimo presente, se fedele ed abbastanza intenso, è quello di prendere ottime abitudini che prima non avevamo. Ecco alcuni esempi. È molto frequente offrire a Gesù le azioni che compiamo con un “per te”, che trasforma la nostra giornata in un’ininterrotta preghiera; perché vivendo l’attimo presente noi abbiamo una grazia attuale che ci ricorda di dire davanti ad ogni azione: “per te”. Un’altra cosa: di fronte alle tentazioni – vivendo così – ci si sente atti a difenderci con più rapidità di prima. Di fronte agli attaccamenti a cose o persone o a noi stessi, è pronta la nostra tipica dichiarazione d’amore: “Sei tu, Signore, l’unico mio bene”. Si dà poi il giusto posto alle azioni che dobbiamo compiere, senza anticiparle perché piacevoli, e senza posticiparle perché gravose; perché succede spesso così. Ancora: sgorgano spontanee dal cuore parole d’incoraggiamento, di stima, di lode, verso i fratelli con cui viviamo o, in qualsiasi modo, incontriamo, attraverso il telefono, ad esempio, scrivendo loro, e così via. E sempre più spesso si vede in loro Gesù, sicché, crescendo la nostra carità, facendosi via via più raffinata, anche la nostra unione con Dio s’approfondisce. Un’altra cosa: non si dimentica di salutare e adorare Gesù, vivo nel tabernacolo, ogniqualvolta gli passiamo accanto o ce lo ricorda una croce o un’immagine. Allo stesso modo si fanno atti di venerazione a Maria, specie ora dopo l’indimenticabile anno a lei consacrato. Un’altra cosa che si può osservare: si rimane di più alla presenza di Dio durante le nostre pratiche di pietà e si allontanano con più facilità le distrazioni. Ancora: ci si accorge che si riesce a mantenere con maggiore facilità, durante tutto il giorno, l’amore reciproco che, per noi cristiani, è importantissimo. Dice, infatti, la Scrittura che la sua attuazione – quella del comandamento nuovo – ci fa perfetti: “Se ci amiamo gli uni gli altri – dice Giovanni –, Dio rimane in noi e l’amore di lui in noi è perfetto” (cf 1 Gv 4,12). Prima – dobbiamo convenire –, pur con tanta buona volontà, la carità reciproca aveva delle oscillazioni, certamente con continue riprese, ma con interruzioni. Un’altra: divenuti più perfetti nelle piccole cose, sappiamo compiere meglio anche le grandi, e l’anima tutto il giorno è invasa di serenità, di pace e di gioia. Queste, alcune abitudini acquistate che alimentano diverse virtù nella nostra anima. Ed è proprio una bella accolta di virtù che fa del viaggio della vita un “santo viaggio”, un viaggio verso la santità. Alla chiesa, per promuovere un cristiano a modello degli altri, per dichiararlo beato e santo, non interessano tanto certi fenomeni pur mistici come le visioni, le locuzioni, i rapimenti, le bilocazioni…, ma interessano le virtù. Ora, se tutto questo, e più, possiamo costatare in noi vivendo con costanza l’attimo presente, dobbiamo concludere che siamo sulla buona strada. Ringraziamo perciò il Padre, che guida, con la storia grande del mondo, la nostra piccola storia.

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Commento di Chiara Lubich alla Parola di Vita di novembre 2003

Gesù ha da poco iniziato la vita pubblica: invita alla conversione, annuncia che il regno di Dio è vicino, cura ogni sorta di malattia e di infermità. Le folle cominciano a seguirlo. Sale allora su una montagna e rivolgendosi a quanti lo circondano enuncia il suo programma di vita: è quello che chiamiamo “il discorso della montagna”.
La novità dell’annuncio di Gesù appare già dalle prime parole del suo discorso, quando proclama beato non chi è ricco, potente, influente, ma chi è povero, umile, piccolo, puro di cuore, chi piange ed è oppresso. È lo sconvolgimento del comune modo di pensare, specialmente nella nostra società che spesso esalta il consumismo, l’edonismo, il prestigio… È la “buona novella” portata da Gesù, che dà gioia e speranza agli ultimi, che infonde fiducia nell’amore di Dio che si fa vicino a chi è nella prova e nel dolore. Questo annuncio di gioia e di salvezza è già tutto sintetizzato nella prima delle otto beatitudini che assicura il regno dei cieli ai poveri in spirito:

«Beati i poveri in spirito…»

Ma cosa significa essere “poveri in spirito”? Significa essere staccati dai beni e dalle cose che possediamo, dalle creature, da noi stessi… In una parola vuol dire posporre nel nostro cuore tutto quanto ci impedisce di aprirci a Dio facendo la sua volontà e al nostro prossimo col farci uno con lui per amarlo come si deve, disposti anche a lasciare tutto: padre, madre, “campi” e patria, se questo Dio ci chiede.
Essere “poveri in spirito” significa porre la nostra fiducia non nelle ricchezze, ma nell’amore di Dio e nella sua provvidenza. Spesso siamo “ricchi” di preoccupazioni per la salute, di trepidazioni per i nostri parenti, di apprensione per un certo lavoro, di incertezze sul come comportarci, di paure per il futuro… Tutto ciò può bloccare la nostra anima e chiuderla su se stessa, impedendole di aprirsi a Dio e ai fratelli. Ebbene, proprio in questi momenti di sospensione il “povero in spirito” crede all’amore di Dio, e getta in Lui ogni preoccupazione, sperimentando il suo amore di Padre.

Si è “poveri in spirito” quando ci si lascia guidare dall’amore verso gli altri. Allora condividiamo e mettiamo a disposizione di quanti sono nel bisogno quello che abbiamo: un sorriso, il nostro tempo, i nostri beni, le nostre capacità. Avendo tutto donato, per amore, si è poveri, ossia si è vuoti, nulla, liberi, col cuore puro.
Questa povertà, frutto dell’amore, diventa a sua volta sorgente d’amore: essendo vuoti di noi stessi, e quindi liberi, siamo in grado di accogliere pienamente, senza alcuna riserva, la volontà di Dio e di accogliere ogni sorella e fratello che ci passano accanto.
A quanti vivono questa purezza di cuore e questa povertà di spirito, Gesù assicura il possesso del regno dei cieli: sono beati,

«… perché di essi è il regno dei cieli»

Il regno dei cieli non lo si compra con la ricchezza e non lo si conquista con il potere. Lo si riceve in dono. Per questo Gesù domanda di essere come bambini o come i poveri che, come i bambini, hanno bisogno di ricevere tutto dagli altri. E lo Spirito Santo, attratto da quel vuoto d’amore, potrà riempire la nostra anima perché non trova ostacoli che ne impediscono la piena comunione.
Il “povero di spirito”, perché nulla si è tenuto, ha tutto; è povero di se stesso e ricco di Dio. Anche qui vale la parola evangelica: “date e vi sarà dato”: diamo quanto abbiamo e ci viene dato nientemeno che il Regno dei cieli.
È l’esperienza di una mamma dell’Argentina che racconta:
“Mia suocera è molto affezionata a suo figlio, mio marito, fino ad esserne gelosa; atteggiamento che ha sempre creato difficoltà tra di noi e che mi ha indurito il cuore nei suoi confronti. Un anno fa le viene diagnosticato un tumore: necessita di cure ed assistenza che la sua unica figlia non è in grado di darle. Le parole del Vangelo, che da qualche tempo cerco di vivere, mi hanno cambiato il cuore: sto imparando ad amare. Superando ogni timore, accolgo mia suocera a casa nostra. Inizio a vederla con occhi nuovi e ad amarla: è Gesù che curo e assisto in lei.
Lei, non indifferente all’amore, con mia grande sorpresa ricambia ogni mio gesto con altrettanto amore. La grazia di Dio opera il miracolo della reciprocità!
Trascorrono mesi di sacrifici che non mi pesano e, quando mia suocera ci lascia serena per il Cielo, resta la pace in tutti. In quei giorni mi accorgo di essere in attesa di un bambino, che da 9 anni desideriamo! Questo figlio è per noi il segno tangibile dell’amore di Dio che ci ricolma.”

Chiara Lubich

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Economia di Comunione e Cooperazione sociale: un futuro economico dal volto umano

La rivoluzione del Vangelo

Nella classe di P. (Gran Bretagna) ci sono due compagni che gli fanno sempre i dispetti. “Ho provato a non rispondere – dice a C., il suo amico più grande – ma loro continuano!”. “Chiediamo a Gesù che ti dia la forza di amarli ancora di più” – suggerisce C. Un giorno P. porta a scuola un grande vassoio di dolci per festeggiare il suo compleanno. La maestra gli propone di andare ad offrirli anche ai bambini delle altre classi: “Scegli due compagni che vengano con te!” gli dice. P. vorrebbe chiamare i suoi amichetti preferiti, ma poi…“ama il nemico”. “Possono venire T. e L.?” chiede alla maestra. Proprio i due compagni che gli fanno sempre i dispetti! P. racconta tutto a C.: “Hai visto? Gesù mi ha dato la forza, e… sai? Ora non mi fanno più i dispetti!”.

F. d. M. del Guatemala: “L’altro giorno papà e mamma hanno litigato. Ero triste. ’Come vorrei che fossero felici – ho pensato – cosa posso fare?’. Sono andata dai miei fratellini. Abbiamo preso una carta, abbiamo ritagliato dei cuori e dei fiori e li abbiamo attaccati sul muro. Papà e mamma stavano guardando la TV in silenzio. L’abbiamo spenta un momento e io ho cantato loro una canzone sull’amore fra noi. Papà e mamma si sono commossi e si sono chiesti scusa. Mamma piangeva dalla gioia. Ero felice. Tutti sono andati a letto contenti. Io ho detto a Gesù: ’Grazie’ ”.  

E. di Trento, riceve tanti soldi dai nonni per i dentini che le sono caduti. Felice li vuole dare per i poveri che in tutto il movimento stiamo aiutando. “Tienine almeno una parte per comprarti le scarpe; ne hai bisogno!” le consiglia il papà. Non hanno infatti tante possibilità economiche. “Ma papà – risponde E. – i bambini poveri le scarpe non ce le hanno!” e lo convince. Poco dopo le arriva dagli zii un regalo: sono proprio le scarpe di cui aveva bisogno!

E. di 5 anni. E’ di San Paolo, la più grande città del Brasile. Il signor C. l’accompagna ogni giorno a scuola. Lui non crede in Dio e tanti dicono che è un tipo scontroso. Una mattina, mentre sono in auto, E. gli domanda: “Tu sai cos’è un atto d’amore?”. “No – risponde lui – cosa significa?”. “Significa vedere Gesù in tutti e fare a ciascuno quello che faresti a Gesù”. Il signor C. rimane serio e pensieroso. Alcuni giorni dopo, a tavola, il papà racconta che da qualche giorno il signor C. è diverso, che non si arrabbia più così tanto. “A chi gli ha chiesto, scherzando, cosa gli fosse successo – continua il papà – sapete cosa ha risposto? “Chiedetelo alla piccola E. Alle volte impariamo tante cose dai bambini!”. (altro…)

Fare di ogni ostacolo una pedana di lancio

Fare di ogni ostacolo una pedana di lancio

“Carissimi giovani, non lasciatevi fermare dalle difficoltà che senz’altro ci sono e che sempre ci saranno, ma fate dell’ostacolo stesso una pedana di lancio per un amore più grande, più profondo, più vero!” E’ questo il cuore del messaggio che Chiara Lubich ha lanciato a migliaia di giovani di 105 città di tutti i continenti in collegamento telefonico, domenica 12 ottobre, a conclusione della Settimana Mondo Unito, giunta ormai alla VII edizione.

Si sono poi susseguiti interventi di giovani provati da guerre, discriminazioni, povertà, ingiustizie: da Gerusalemme, Iraq, New York, Costa d’Avorio, Cebu, Uganda, Repubblica centroafricana, Recife ecc. Le loro esperienze hanno vinto il profondo senso di impotenza che a volte impera, soprattutto tra i giovani europei di fronte ai mali del mondo, facendo capire chiaramente che l’amore è più forte di tutto e che insieme, si può sollevare il mondo. Sono intervenuti anche giovani burundesi ospiti di un campo profughi in Tanzania. Collegata per la prima volta anche Medan, in Indonesia, presenti più di 50 giovani cristiani, buddisti e mussulmani, tutti accomunati dallo stesso ideale: il mondo unito! “Se continuate con slancio rinnovato a portare l’amore di Dio nel mondo (…) allora sì che siete liberi da voi stessi! Allora sì che andate contro corrente, anzi create una corrente nuovissima, sul nostro pianeta, d’amore, di fuoco. Questa la consegna che Chiara ha dato ai giovani.

Che cos’è la Settimana Mondo Unito: una proposta ai giovani, alle istituzioni nazionali e internazionali, pubbliche e private, per valorizzare le iniziative che promuovono l’unità ad ogni livello. Durante una settimana, dal 5 al 12 ottobre, si erano susseguiti appuntamenti diversi, in città grandi e piccole, con iniziative di solidarietà, concerti ed eventi sportivi, veglie, dibattiti, aventi come tema principale la fraternità come via al mondo unito. Moltissime le interviste a TV, nazionali e locali, radio e giornali, per diffondere il messaggio della SMU.

Le iniziative nel mondo A Rosario, in Argentinala SMU è stata dichiarata di interesse municipale e il comune si è impegnato a pubblicizzarla, anche nei mesi seguenti, sui biglietti dei tram e bus della città.

Nello Stato di Sao Paulo, Brasile, sono state distribuite 70.000 “agendine”, che proponevano per ogni giorno della SMU un motto da mettere in pratica per costruire la pace e che ha trovato una eco impensata dagli studenti di numerose scuole, ai professori, ai rappresentanti delle istituzioni.

La Nuova Caledonia è stata tappezzata da attività dei giovani che coinvolgevano tutte le etnie solitamente in lotta fra di loro. A Kampala, Uganda i giovani hanno visitato bambini ammalati di AIDS in un orfanotrofio della capitale e si sono impegnati in una raccolta di vestiario e generi di prima necessità per la comunità di Gulu, nel nord del Paese, afflitta da grande necessità per la situazione di guerriglia. In Sicilia, Italia: fitto calendario di impegni ed attività. Il quotidiano italiano “Avvenire” ha pubblicato il seguente comunicato stampa, che riportiamo: “Nel segno della fraternità» è il titolo dell’iniziativa che vede i Giovani per un Mondo Unito, espressione giovanile del Movimento dei Focolari, impegnati in iniziative all’insegna della fraternità e della pace nei 5 continenti. Da ieri e fino al 12 ottobre, centinaia di Giovani per un Mondo Unito della Sicilia sono stati protagonisti di ben 16 attività nelle città e province di Palermo, Caltanissetta, Messina, Catania, Siracusa, Ragusa. Il ricavato delle varie iniziative va a finanziare delle borse di studio per giovani di alcune nazioni del Medio Oriente e dell’Argentina e contribuire alla realizzazione del Progetto Africa, lanciato da Chiara Lubich nel 2000 e che prevede, quest’anno, l’avviamento di piccole attività lavorative ed educative in un campo di 60.000 rifugiati dei Grandi Laghi, in Tanzania, e la costituzione di un fondo per borse di studio per giovani del Congo che non hanno i mezzi per proseguire con gli studi universitari. Nasce una nuova speranza Ben esprime quanto ha suscitato la Settimana Mondo Unito in moltissimi giovani, l’impressione a caldo di un giovane ugandese: “A volte, quando sembra che l’amore, la fraternità e Dio in noi si spengano, appaiono dei segni come questi che ti fanno venire la voglia di continuare nell’intento.” (altro…)

Madre Teresa di Calcutta, “maestra eccelsa nell’arte di amare”

Madre Teresa di Calcutta, “maestra eccelsa nell’arte di amare”

Di Madre Teresa, m’è rimasto impresso il calorosissimo abbraccio finale che ci siamo date a New York, l’ultima volta che l’ho incontrata, nel maggio del 1997. Era ammalata, a letto. Ero andata con l’intenzione di trattenermi qualche momento. Poi cominciò a parlare, a parlare della sua opera. Era il suo canto del Magnificat, una cosa meravigliosa! Era felicissima. Quell’abbraccio è rimasto per me come un segno, una promessa: che avrebbe continuato ad amarci con predilezione, perché così ci amava quando era in vita. Ed è perciò che sin dal momento della sua partenza, l’avevo annoverata tra i nostri protettori, certa sin da allora, come tutti, che sarebbe stata presto proclamata santa.

Madre Teresa ha realizzato in pienezza quello che il Papa definisce “genio femminile’ che sta proprio in ciò che Maria aveva di caratteristico: non era investita da un ministero, ma era investita dall’amore, dalla carità che è il più grande dono, il più grande carisma che viene dal cielo. Per noi è un modello. E’ infatti una maestra eccelsa nell’arte di amare. Amava veramente tutti. Non chiedeva al suo prossimo se era cattolico o indù o musulmano. A lei bastava che fosse uomo o donna, in cui riscopriva tutta la sua dignità. Madre Teresa amava per prima: era lei che andava a cercare i più poveri per i quali era stata inviata da Dio. Madre Teresa vedeva, come forse nessun altro, Gesù in ognuno: ‘L’hai fatto a me” era appunto il suo motto. Madre Teresa “si faceva uno” con tutti. S’è fatta povera con i poveri, ma soprattutto “come” i poveri. E’ qui che si differenzia dalla semplice assistente sociale o da chi è dedito al volontariato. Non accettava nulla che non potessero avere anche i poveri. E’ nota, ad esempio, la sua rinuncia e quella delle sue suore ad una semplice lavatrice, rinuncia che molti non comprendono – dicono: in questi tempi! -, ma lei faceva così perché i poveri non ce l’hanno e quindi nemmeno lei. S’è addossata, ha fatto propria la miseria dei poveri, le loro pene, le loro malattie, le loro morti. Madre Teresa ha amato tutti come se stessa, sino ad offrire loro il proprio ideale. Invitava, ad esempio, i volontari che prestavano per un certo tempo servizio alla sua Opera, a cercare la propria Calcutta là dove ognuno tornava. “Perché i poveri – diceva – sono un po’ dovunque”. Madre Teresa ha senz’altro amato i nemici. Non s’è mai fermata a contestare le accuse assurde che le si rivolgevano, ma pregava per i nemici. Dopo la sua partenza, l’ho conosciuta ancor più profondamente e con “avidità” ho letto libri su di lei. Ho ammirato M. Teresa in modo specialissimo per la sua determinazione. Aveva un ideale: i più poveri fra i poveri. E vi è rimasta fedele. Tutta la vita ha puntato su quest’unico obiettivo. Anche in questo è per me un modello di fedeltà all’ideale che Dio mi ha affidato. (altro…)

Il grazie al Papa artefice della Chiesa del futuro: la Chiesa-comunione

Il grazie al Papa artefice della Chiesa del futuro: la Chiesa-comunione

D. Tra i vari aspetti profetici del pontificato di Giovanni Paolo II si può annoverare senz’altro quella pagina nuova aperta la vigilia della Pentecoste ’98, a quel primo storico incontro con centinaia di migliaia di aderenti ai Movimenti e nuove comunità ecclesiali. Li aveva pubblicamente riconosciuti come “significative espressioni carismatiche della Chiesa” ed aveva riaffermato la “coessenzialità” tra la dimensione petrina-istituzionale e quella mariana-carismatica. Quali prospettive si aprono sul futuro da questa visione della Chiesa del Papa?

Da quel giorno il Papa ha acceso in noi un sogno: il sogno della chiesa del Terzo Millennio: la Chiesa-comunione. In questo tempo di riscoperta dei carismi non in contrapposizione, ma in profonda comunione con il Papa e i vescovi, mi si è aperta la speranza che verrà in rilievo soprattutto l’opera dello Spirito Santo, attirando il mondo a Gesù. Da quel giorno, proprio per rispondere al desiderio di comunione tra i Movimenti espresso dal Papa, avevo assunto l’impegno di dare inizio ad un cammino di comunione tra di noi, movimenti e nuove comunità. Non potevo certo immaginare gli sviluppi a cui assistiamo oggi: Pentecoste ’98 si è ripetuto da allora in innumerevoli diocesi, nei 5 continenti, con la presenza dei vescovi, con il coinvolgimento di centinaia di movimenti e comunità. Con frutti di nuova vitalità e speranza. L’eco di questo cammino è giunto anche ai movimenti e comunità sorti in questi ultimi decenni anche in altre Chiese, come nelle Chiese evangeliche in Germania. Un fenomeno questo prima d’ora a noi ignoto. Di qui è nata, a partire dal 1999, una fraternità tale che ha fatto nascere l’idea di darvi visibilità, ad esempio attraverso un grande incontro, l’8 maggio del 2004, a Stoccarda. Con esso cercheremo anche noi di portare, coi nostri carismi, un contributo all’ “Europa dello spirito”. D. Quale la sua esperienza diretta nel rapporto con il Papa? R. – Questo rapporto è diventato con gli anni sempre più profondo. Anzi ho vissuto un paio di volte un’esperienza un po’ particolare. Dopo un’udienza, ad esempio, in cui ho sperimentato un momento di grande unità col Papa, da figlia a Padre, ho avuto l’impressione che il cielo si aprisse ed ho sentito un’unione con Dio speciale. Ciò che la caratterizzava era il fatto che non avvertivo intermediari. Il Papa è “mediatore”, ma quando il mediatore ha contribuito ad unirti con Dio, scompare. M’è parso di capire che ciò dipende anche dal fatto che il Papa ha ricevuto le chiavi per aprirci il cielo: “A te consegnerò le chiavi del Regno dei cieli”… Forse queste chiavi non gli servono soltanto per cancellare i peccati, ma anche per aprirti ad un’unione più profonda con Dio. Sarà questo il segreto dei capovolgimenti d’anima e di storia da lui operati in questi 25 anni? Egli comunica Dio e Lui fa “nuove tutte le cose”. Una “Presenza” che si fa sempre più forte, più passa attraverso il carico di sofferenza. D. Ricorda qualche episodio particolare negli incontri con il Papa, in questi 25 anni? R. Mi si affollano alla mente molti momenti che hanno segnato altrettante pietre miliari nella nostra storia e non solo. Come quel giorno, era il 23 settembre 1985 – è un fatto ormai noto – sulla porta, al termine di un’udienza, guardando al futuro, ho ardito chiedere al Papa: “Ritiene possibile che il presidente del Movimento dei Focolari, di quest’Opera, che è di Maria, sia sempre una donna?”. “Sì – aveva risposto – magari!”. Ed è stato dalle sue parole, che motivavano quel “sì”, che mi si è aperta, per la prima volta, quella nuova coscienza della Chiesa nelle sue due dimensioni: quella petrina-istituzionale e quella mariana-carismatica. “Si ritrovano nella Chiesa nascente – aveva affermato, citando il teologo Hans Urs von Balthasar – e devono rimanere!”. Ed è stata questa la grande novità che il Papa negli anni seguenti ha più volte richiamato. Ciò che sorprende è che il Santo Padre non vede il “profilo mariano” della Chiesa soltanto come realtà spirituale o mistica, ma anche come realtà storica e lo testimonia con i fatti, spalancando le porte alle novità dello Spirito. D. Ci racconti un altro fatto. R. Con gli anni sono nate, anche in giovani, famiglie, persone delle più varie categorie, anglicani, luterani, ortodossi e di altre Chiese, le stesse vocazioni fiorite nell’Opera di Maria tra i cattolici. Una novità per anni sotto studio da parte di molti canonisti. Ma sembrava non si trovasse una via di uscita. Ad un certo punto ne ho parlato con il Papa. Si è dimostrato apertissimo! Alla seconda udienza sull’argomento, anche quella volta, in piedi, mi dice con la sua consueta arguzia: “Ho capito. Devo dire: lasciate stare l’Opera di Maria che è di Maria!”. E la situazione si è sbloccata. Ricordo che di notte all’improvviso m’è passato un pensiero: “Se c’è un punto che è ancora di ostacolo nel cammino ecumenico, è proprio il ministero del Papa. Ma chi li ha ’accolti’ questi focolarini delle altre Chiese? Proprio il Papa”. Questo resterà nella storia. Il Santo Padre è andato poi ancora oltre: è stato per suo suggerimento che ora anche vescovi di altre Chiese si incontrano regolarmente, ormai da anni, per alimentare il loro ministero con la spiritualità dell’unità già condivisa da molti vescovi cattolici, di cui ha approvato il legame, non giuridico, ma spirituale con quest’Opera di Maria. (da Città Nuova, n.19 – 10 ottobre 2003) (altro…)