Movimento dei Focolari
Nei 5 continenti 157 congressi mariani: Maria riscoperta modello di vita

Nei 5 continenti 157 congressi mariani: Maria riscoperta modello di vita

“In questo mondo colpito da terrorismo, guerre, vendette, il congresso mariano ci annuncia l’alba di un mondo di speranza, pace, amore e santità”, un’impressione a caldo da Taiwan. E un giovane austriaco: “Tutto è stato di una freschezza incredibile. Niente di antiquato. Vedere Maria così è la cosa più geniale del mondo!”. “Ho scoperto che il rosario è veramente una preghiera di pace. E’ un antidoto alla guerra! ”, scrivono dalle Filippine. Dall’Argentina: “Oggi ho scoperto Maria come donna di pace, donna forte, donna modello per l’umanità”. E dall’Uganda: “E’ meraviglioso comprendere Maria in modo nuovo. Ci dà la spinta a portare Maria a casa e vivere con lei nella nostra società in cambiamento”.

Questi alcuni dei tanti echi arrivati dai 157 Congressi mariani che si sono svolti nel mondo durante l’anno del Rosario. Maria è stata riscoperta particolarmente come madre e modello di vita. Ha illuminato il cammino di molti che desiderano ora mettersi sulla sua via.

Un momento culmine era stato segnato dal Congresso mariano internazionale di Castelgandolfo, a cui hanno fatto eco i tanti Congressi che hanno tappezzato i cinque continenti. Una lode a Maria davvero planetaria che si è levata da ogni angolo della terra.

A Milano erano presenti 9000 persone, in Slovacchia 1900, in Corea 2250, nelle Filippine, a Manila 1800, in Malesia 1300, nel Messico 1200, in Argentina, a Buenos Aires 3400, in Paraguay 2000, nel Congo 1500, in Burundi 3000. Solo per citare alcuni incontri.

Dappertutto i Congressi sono stati una forte esperienza ecclesiale vissuta molte volte con l’intera diocesi e preparati in comunione con gli altri Movimenti e Associazioni della regione, dando così rilievo all’aspetto carismatico della Chiesa, della sua dimensione mariana!

Giornali e TV ne hanno parlato. Vescovi, politici, artisti, rappresentanti di Movimenti ecclesiali e della cultura hanno offerto contributi notevoli. Altra caratteristica: la presenza, e in diversi casi la testimonianza, di fratelli e sorelle di varie Chiese. Anche alcuni seguaci di altre grandi religioni hanno dato il loro apporto riguardo a Maria.

La rivista “Città Nuova”, a partire dal novembre 2002, ha una nuova rubrica culturale: “Anno del rosario”. E’ uscito un nuovo volume di Chiara Lubich: “Maria trasparenza di Dio”, mentre un’altra pubblicazione è dedicata ai bambini, in un coloratissimo volumetto dal titolo “Era bellissima…”.

Ma ritorniamo al 16 ottobre 2002, in Piazza San Pietro, quando Giovanni Paolo II dà a Chiara Lubich una sua lettera personale. In essa è scritto: “(…) Vorrei consegnare idealmente a tutti i Focolarini la preghiera del Santo Rosario (…). Offrite il vostro contributo, perché questi mesi diventino per ogni comunità cristiana occasione di rinnovamento interiore.”

L’adesione di Chiara era stata immediata. Come risposta al desiderio del Papa, fioriscono subito idee e progetti da concretizzare nel corso di quest’anno mariano. S’è sentita l’esigenza di ringraziarlo con messaggi dalle varie parti del mondo, per i frutti di vita nuova imprevedibili che ne sono scaturiti. (altro…)

La riscoperta del Padre

Mia madre era ancora molto giovane quando il papà è venuto a mancare. Si è risposata ed ha avuto altri due bambini ma il nuovo papà non lavorava, passava le giornate nel bar sotto casa e spesso trattava in modo violento sia noi che la mamma. Dopo poco tempo si sono lasciati. Inizia per me e per i miei fratelli un periodo difficile di brevi affidamenti, ora presso una famiglia, ora presso un’altra. La mamma non è più in grado di occuparsi di noi. Essendo io il più grande, cerco di farmi carico dei miei fratelli ai quali voglio molto bene; tuttavia, col passare del tempo, la mancanza di un riferimento stabile va cambiando il nostro carattere rendendoci chiusi e diffidenti verso tutti. Capita a volte di essere ospitati da una famiglia che ci accoglie bene, sia pure per breve tempo; altre ci sembra di essere scaricati come pacchi presso qualcuno che mira soltanto al sussidio per l’affidamento. Un altro distacco per me terribile è stato quando un giorno vengono a prendere i miei fratelli per portarli a fare una passeggiata. Capisco quasi subito che non li avrei più rivisti e con loro se ne va un’altra parte di me. Dopo poco tempo vengo richiesto da una nuova famiglia con la quale trascorro una giornata. Penso: “Una delle tante che alla fine mi scaricherà!”. Invece alla sera, con mia sorpresa, mi dicono della loro decisione di tenermi con sé; se avessi voluto, avrei potuto entrare a far parte della loro famiglia da subito. Accetto, attirato dal loro semplice volersi bene, per me una novità. Oltre a conoscere un po’ alla volta i nuovi genitori, incontro tanti loro amici, gente che cerca di vivere il vangelo. Con A. un ragazzo della mia età, stabilisco da subito un rapporto di profonda amicizia. Mi colpisce la sua grande disponibilità: A. è capace di qualsiasi cosa pur di farmi contento, con un amore veramente disinteressato. Comincio così, pian piano, a fare anch’io come lui, uscendo dal mio egoismo. Da quando i miei fratelli mi avevano lasciato avevo preso l’abitudine di tenere gelosamente per me tutto quello che mi regalavano; con il suo esempio riscopro la gioia di condividere le mie cose con gli altri. La mia vita riprende senso; tocco con mano l’amore di un Dio Padre che mi aveva sempre seguito anche nei momenti di sofferenza. Una sera gli amici del paese mi propongono di andare a vedere con loro un film pornografico. Arrivati al cinema dico loro che non sarei entrato e li avrei aspettati fuori. Dopo soli dieci minuti li vedo tornare: “Preferiamo stare in tua compagnia – mi dicono – la nostra amicizia vale più di un film”. Ad un certo punto mi investe una crisi che mi fa sentire come fuori da tutto. Sono confuso e decido di farmi una vita per conto mio, in piena libertà: basta con la chiesa, basta con l’amare… Qui sperimento l’amore dei veri amici: nonostante il mio rifiuto, loro non mi mollano, facendomi sentire amato, da loro e dal Padre di tutti. Così in me torna la luce. Guardando alla mia storia posso dire che non solo ho trovato l’amore di una famiglia naturale, seppure adottiva, ma ne ho trovata una ancora più grande, la famiglia dei figli di Dio, di cui Maria è Madre. Sono sicuro che sia Lei l’artefice di questa mia piccola storia. A. P.

(altro…)

Tra i ragazzi di strada: dalle grida di dolore rinasce la vita

R. C. è da 28 anni in Brasile, in un famigerato bairro di una grande città. “Se qui c’è tanto dolore, se qui è Venerdì Santo, ne nascerà tanta vita e risurrezione”.  Apre la “Casa do menor”: accoglie i ragazzi di strada vittime di droga, prostituzione, narcotraffico, morte precoce.  Ragazzi spesso violenti, perché nessuno li ha mai amati. “Una notte, ritornando dal centrocittà, ho fermato la macchina su di un ponte sopra l’autostrada: guardo le luci del bairro, sento i suoi rumori e le grida di dolore. Provo rigetto, ripugnanza e impotenza. Tutti i giorni morti, sofferenza senza soluzione. E ho voglia di scappare. Improvvisamente capisco che questo dolore immane è un grande Cristo sfigurato e sofferente che grida il suo abbandono in questo bairro abbandonato da tutti, apparentemente anche da Dio. Una luce: se c’è tanto dolore, se qui è Venerdì Santo, ne nascerà tanta vita e risurrezione. Questo dolore mi attrae. Dò un’accelerata all’auto. Vado alla stazione: trovo tanti ragazzi e ragazzine che si drogano, fanno sesso. Mi corrono incontro, abbracciandomi… Seduto tra loro che puzzano per l’odore acre della ‘colla’, mi sento in adorazione di Gesù, presente in questa piazza nel Suo volto più inaccettabile. Perché Lui lo ha detto: “Tutto ciò che avrai fatto al minimo dei miei fratelli, l’avrai fatto a me”. Ritorno a casa. Mi aspetta un adolescente. Mi porge un’arma: «Prendi questa pistola. Non voglio più rubare, né uccidere». Un’altra sera, appena rientrato, mi avvisano che hanno sparato a Pirata, un ragazzo che avevo accolto in casa nel momento che la polizia gli stava dando la caccia per ammazzarlo. Ma era cambiato: si era battezzato e si preparava per la prima comunione. Vedo il sangue davanti alla porta della mia abitazione. Fremo e corro all’ospedale. Lo trovo su una pietra gelida con un colpo di rivoltella nella testa. Un ragazzo mi cerca. Mi dice, concitato, che sono già stati uccisi 36 ragazzi nel solo mese di marzo nella mia parrocchia. Mi mostra una lista di altri 40 “marcati per morire”. «Il primo nome della lista è il mio – dice. Io non voglio morire. E voi non fate niente?». Penso a quando, un anno fa, sono andato a seppellire in un sol giorno 9 ragazzi uccisi dalla polizia. Sono là solo per assorbire un dolore senza spiegazioni e offrirlo, come Maria ai piedi della Croce, impotente nel suo dolore. Anch’io più volte vengo minacciato di morte e di sequestro. Rimango tranquillo e sento che, con la grazia di Dio, sono pronto a dare la vita per davvero. Un giorno, mentre celebro la Messa, capisco: “Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue..”. Non solo il corpo di Gesù… devo essere pronto a dare il mio corpo. Ma forse Dio non vuole ancora il mio martirio. Vuole il martirio di ogni giorno: dare la vita in piccoli gesti di amore, di perdono, di capacità di ricominciare con ragazzi che sembra che non vogliano niente dalla vita e che non riescono a risorgere nei tempi che noi vorremmo. Ad un certo punto, torno in Italia, perché da tempo non sto bene di salute. Persino la mia testa non funziona più. E ci tenevo molto alla mia testa! Un medico mi visita e mi dice con fermezza: «In queste condizioni non puoi più tornare in Brasile». È come se Dio mi dicesse: “Mettiti da parte. La Casa do menor è opera mia, non tua. Fino adesso eri tu il protagonista. Adesso lascia che sia io a portarla avanti”. E la Casa do menor migliora, e molto, nel tempo della mia lunga assenza. Ritorno, e continuo a dire di sì a Dio tutte le volte che devo seppellire dei ragazzi che non siamo riusciti a salvare o sono tornati alla strada o alla droga dopo che abbiamo dato loro tanto amore. Che serve amare senza avere risultati? Ma io non devo pretendere di cambiare nessuno, devo solo amare. Insieme ad un religioso e a membri di una nuova famiglia spirituale che sta nascendo, vado di notte per le strade delle grandi città. Incontriamo situazioni sempre più drammatiche di ragazzi che noi vogliamo, perché nessuno li vuole. Assistiamo a veri miracoli: drogati o trafficanti di droga che rinascono a vita nuova. Diventiamo segno e modello di politiche sociali e da molte parti ci chiamano perché abbiamo qualcosa che fa la differenza. A dire il vero, quando avevo conosciuto il Movimento dei Focolari, non capivo perché Chiara Lubich aveva fatto la scelta di Gesù, che sulla croce grida l’abbandono del Padre, come unico ‘tutto’ della sua vita. Poi ho scoperto poco per volta che Gesù abbandonato è il Dio-Uomo che dà la vita, amando fino alla fine senza aspettarsi niente. Se resisto nel bairro sanguinante e con i mille volti della sofferenza, è perché vi ho scoperto il Suo volto e lo amo”. (altro…)

ottobre 2003

Gesù sconcerta sempre con il suo modo di fare e di parlare. Si discosta dalla mentalità comune che vedeva i bambini insignificanti dal punto di vista sociale. Gli apostoli non li vogliono attorno a lui, nel mondo degli “adulti”: non farebbero che disturbare. Anche i sommi sacerdoti e gli scribi “vedendo i fanciulli che acclamavano nel tempio ’Osanna al figlio di David’, si sdegnarono” e chiesero a Gesù di riportarli all’ordine. Gesù invece ha tutto un altro atteggiamento davanti ai bambini: li chiama, li stringe a sé, stende le mani su di loro, li benedice, li pone addirittura come modello ai suoi discepoli:

«…a chi è come loro appartiene il regno di Dio»

In un altro passo del Vangelo Gesù dice che se non ci convertiamo e non diventiamo come i bambini non entreremo nel regno dei cieli.
Perché il regno di Dio appartiene a chi assomiglia ad un bambino? Perché il bambino si abbandona fiducioso al padre e alla madre: crede al loro amore. Quando è nelle loro braccia si sente sicuro, non ha paura di niente. Anche quando attorno a sé avverte che c’è un pericolo, gli basta stringersi ancora più forte al papà o alla mamma che subito si sente protetto. A volte lo stesso papà sembra porlo in posizioni difficili, per rendere più emozionante un salto, ad esempio. Anche allora il bambino si lancia fiducioso.
E’ così che Gesù vuole il discepolo del regno dei cieli. Il cristiano autentico, come il bambino, crede all’amore di Dio, si getta in braccio al Padre celeste, pone in lui una fiducia illimitata; niente gli fa più paura perché non si sente mai solo. Anche nelle prove crede all’amore di Dio, crede che tutto quello che succede è per il suo bene. Ha una preoccupazione? La confida al Padre e con la fiducia del bambino è sicuro che egli risolverà tutto. Come un bambino si abbandona completamente a lui, senza fare calcoli.

«…a chi è come loro appartiene il regno di Dio»

I bambini dipendono in tutto dai genitori, per il cibo, il vestito, la casa, le cure, l’istruzione… Anche noi, “bambini evangelici”, dipendiamo in tutto dal Padre: ci nutre come nutre gli uccelli del cielo, ci veste come veste i gigli del campo, sa ciò di cui abbiamo bisogno, prima ancora che glielo chiediamo, e ce lo dona. Lo stesso regno di Dio non lo si conquista, lo si accoglie in dono dalle mani del Padre.
Ancora, il bambino non fa il male perché non lo conosce. Il discepolo del Vangelo, amando, sfugge il male, si mantiene puro e ridiventa innocente. Il bambino, perché non ha esperienza, va verso la vita con fiducia, come verso un’avventura sempre nuova. Il “bambino evangelico” mette tutto nella misericordia di Dio e, dimentico del passato, inizia ogni giorno una vita nuova, disponibile ai suggerimenti dello Spirito, sempre creativo. Il bambino non sa imparare a parlare da solo, ha bisogno di chi gli insegni. Il discepolo di Gesù non segue i propri ragionamenti, ma impara tutto dalla Parola di Dio fino a parlare e a vivere secondo il Vangelo.
Il bambino è portato ad imitare il proprio padre. Se gli si chiede cosa farà da grande spesso dice il mestiere del padre. Così il “bambino evangelico”: imita il Padre celeste, che è l’Amore, ed ama come lui ama: ama tutti perché il Padre “fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti”; ama per primo perché lui ci ha amato quando eravamo ancora peccatori; ama gratuitamente, senza interesse perché così fa il Padre celeste…
E’ per questo che Gesù ama circondarsi dei bambini e li addita come modello:

«Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio»

In effetti i bambini continuano a sorprenderci. “Ieri papà mi ha chiesto di andare in cantina a prendere una cosa – mi scrive Betty, una bambina di 6 anni di Milano –. Per le scale era buio e io avevo paura. Poi ho pregato Gesù e ho sentito che lui era vicino a me.”
Irene, Ilaria, Laura, tre sorelline di Firenze, vanno con la mamma a fare le spese in macchina. Passano davanti a casa del nonno e chiedono di poter salire a salutarlo. “Andate voi – dice la mamma – io vi aspetto”. Quando ritornano chiedono: “Perché non sei venuta?”. E lei: “Il nonno non si è comportato bene con me; così capisce…”. E Ilaria: “Ma mamma, dobbiamo amare tutti, anche i nemici…”. La mamma non sa più cosa dire. La guarda e sorride: “Avete ragione. Aspettatemi qui”. E sale da sola dal nonno.
Possiamo imparare dai bambini come accogliere il regno di Dio.

Chiara Lubich

(altro…)

Germania: Un dramma di violenza razzista si trasforma in ondata di fraternità

Solingen si trova nel nord ovest della Germania ed è sempre stata una piccola e tranquilla città, conosciuta nel mondo per l’industria metallurgica, per le sue forbici e i suoi coltelli. Unico neo: il grave problema della disoccupazione, aggravato dall’alta percentuale di stranieri arrivati in cerca di lavoro. Ormai da parecchi anni, però, pensavamo di esserci abituati a convivere bene tra persone di molte nazionalità. Finché di colpo, nel maggio 1993, non è esploso in maniera drammatica il problema dell’inserimento degli stranieri. Sono stati giorni tragici, seguiti con interesse e apprensione sulle televisioni della nostra e di altre nazioni: alcuni giovani di destra hanno appiccato il fuoco ad una casa abitata da famiglie turche. Nell’incendio sono morte cinque persone: donne e bambini. In quei giorni era Pentecoste e io mi trovavo fuori città. Ho ricevuto la drammatica notizia da una telefonata e, in un primo momento, non riuscivo ad accettare la notizia terribile e scioccante che mi veniva data. Sembrava impossibile. Vi erano stati attentati in altri luoghi, ma mai a Solingen! Nella nostra città così pacifica, e nel quartiere proprio dietro casa mia! Eppure era vero. Al rientro ho trovato la città in stato di guerra: vetrate demolite, negozi saccheggiati, migliaia di poliziotti, e, per le strade, battaglie tra gruppi estremisti tedeschi e turchi che erano confluiti lì da tutto il paese. Quella notte non ho potuto dormire. I rumori, gli elicotteri, le sirene sembravano un unico grido al quale occorreva dare una risposta. L’indomani ci siamo incontrati con la nostra comunità. Tanti, provenienti direttamente dal lavoro o dall’università, avevano potuto attraversare a fatica la città. In tutti emozione e tormento, l’esigenza di fare, di dire qualcosa. È nata lì l’idea di un concerto per la pace nella piazza centrale di Solingen. Data la situazione, era un’idea ardita, umanamente una pazzia. Eppure, nessuno di noi aveva il minimo dubbio. In serata, siamo riusciti a prendere contatto con il sindaco della città e con gli organi di sicurezza. Tutti ci hanno appoggiato, anzi, ci chiedevano di realizzare l’idea quanto prima. È avvenuto una specie di miracolo: dopo solo settantadue ore di preparazione ha inizio il concerto, con un programma fatto dal nostro complesso insieme ad un gruppo musicale turco. L’iniziativa è subito stata messa in rilievo dalle reti televisive come l’unica manifestazione pacifica in una settimana di violenza. Tra i mille partecipanti c’erano persone di molte nazioni, tanti turchi, e anche i parenti delle vittime. Ogni parola veniva tradotta in turco e si è ben presto creata una grande attenzione e distensione in tutta la piazza. Alla fine, abbiamo lanciato l’azione “uno per uno”: la proposta che ognuno, tedesco, turco, italiano o coreano, cercasse di costruire dei legami di amicizia con almeno una persona di un’altra nazionalità. Già lì, in piazza, durante lo spettacolo, tanti hanno trovato l’occasione e il coraggio per i primi contatti. È stata una serata di una bellezza indescrivibile. Chiara Lubich ci ha scritto, incoraggiandoci, convinta che il nostro contributo, “per la testimonianza di unità, lascerà un segno”. E questo è avvenuto! Certamente il concerto non ha cambiato di colpo la situazione nella città, ma è stato un segno accolto dalla popolazione. E ora sappiamo di essere in compagnia di tanti gruppi, a Solingen e in Germania, che si impegnano con passione per far fronte ai nuovi e crescenti fenomeni di intolleranza razziale. In seguito, abbiamo dato origine ai Cafè international. Si tratta di un incontro mensile durante il quale, a turno, gli immigrati di vari paesi si fanno conoscere, con la propria cultura, i costumi, la musica, i cibi tipici, ma anche condividendo dolori e speranze. E, conoscendoci, scopriamo quanto ogni popolo, proprio per la diversità, è per gli altri un dono e un arricchimento. L’iniziativa ha trovato una forte risonanza. Ogni volta si aggiungono altre persone di altre nazioni. E l’esperienza si sta moltiplicando in altre città: a Colonia, Amburgo, Münster e Hannover. L’ultima volta mi sono trovata a tavola con persone dell’Afghanistan, della Serbia, Bosnia e Croazia che vivono in un vicino campo profughi. Durante la cena, le signore dell’Afghanistan mi hanno offerto una loro specialità. Alla mia domanda se fosse tipica del loro paese, mi hanno risposto: “No, è tipica della Bosnia. Abbiamo imparato a prepararla da una nostra amica”. E la indicano. “Abitiamo sullo stesso corridoio e abbiamo la cucina in comune. Trovarci lì, in un ambiente così stretto, fra etnie in contrasto tra loro, è stato durissimo. Il Cafè international ci ha fatto diventare sorelle”. Con queste persone, segnate dal dolore e da una nuova speranza, ho toccato il cielo. Ormai, passato qualche anno dalle prime iniziative per la pace, tanti di questi Cafè incominciano a guardare fuori dei confini nazionali. Insieme, si impegnano per le necessità di altri paesi. È una testimonianza di unità che coinvolge e che attira sempre più gente.  

Lo stampo

Poiché siamo tuttora nell’anno dedicato dal Santo Padre a Maria, desidero offrire ancora qualche considerazione sulla Madre di Dio, così come l’abbiamo scoperta nell’esperienza del Movimento. Stavolta vorrei parlare di Maria Desolata, quale ci è apparsa dagli anni Sessanta in poi: un monumento di virtù, la sintesi di tutte le virtù cristiane figlie della carità. La Desolata, che è il “perdere assoluto”, “perdere universale” di tutto per non possedere che Dio, amato in sé e nei fratelli, ci è apparsa pure come lo “stampo” in cui poterci gettare per uscire “altro Cristo”, “altra Maria”. E come? “Vi è una grande differenza – dice in proposito san Luigi Grignion de Montfort – tra lo scolpire un’immagine in rilievo a colpi di martello e di scalpello, e farne una gettandola nello stampo. Scultori e statuari lavorano molto per produrre figure nella prima maniera, ed è loro necessario molto tempo; invece, per modellare nella seconda maniera lavorano poco e la realizzano in pochissimo tempo. “Sant’Agostino – continua Montfort – chiama la Vergine santa “forma Dei”, “stampo di Dio”: stampo adatto a formare e modellare degli dèi”. Naturalmente figli di Dio adottivi. “Chi è gettato in questo stampo divino, viene presto formato e modellato in Gesù Cristo. Con poca spesa, e in breve tempo, diviene dio, perché è gettato nello stesso stampo nel quale è stato formato un Dio” (1). Che dobbiamo fare allora per divenire “altro Gesù”, “altra Maria”? Illuminante può essere la tensione che da qualche tempo ci vede impegnati a cogliere, in modo sempre nuovo, la volontà di Dio nell’attimo presente: “stabilirci”, “perfezionarci” in essa, “adeguarci”, “abbandonarci”, “centellinare”, “stazionare”, “innamorarci” di essa, e così via. Vivere il momento presente con interezza sta risultando per molti fra noi un metodo che dà tanti vantaggi e, soprattutto, fa progredire nel cammino spirituale. Infatti, comportandoci così, noi perdiamo tutto: il passato, il futuro, ogni cosa o persona, ogni desiderio, ogni attaccamento per essere tutti lì, nel presente, a fare la volontà di Dio che significa amarlo con tutto il cuore, la mente, le forze. E questo è proprio vivere la Desolata, è perdersi ogni attimo nel suo “stampo”, nella sua “forma” ed uscire Gesù, uscire Maria, o piccola Maria, come il Signore ci vuole. 1) Trattato della vera devozione a Maria, n. 219. (da Città Nuova, n.19/2003)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

Atleti, medici e psicologi sportivi, studenti e docenti in scienze motorie, dirigenti di club, arbitri, insegnanti di educazione fisica, istruttori e tecnici: erano una settantina, di ben 12 nazioni, gli sportivi e gli operatori dello sport, vicini alla spiritualità del Movimento, che a fine giugno nella cittadella di Loppiano, sulle colline del Valdarno (FI), hanno dato vita al primo workshop internazionale di “Sportmeet for a united world”, ovvero “Incontro con lo sport per un mondo unito”. Incorniciato da momenti di attività fisica, come un torneo di pallavolo o il jogging mattutino fra ulivi e vigneti, il convegno, aperto dall’augurio inviato da Chiara Lubich: “Che partiate bene, una partenza degna di sportivi!”, ha fatto intuire il contributo che può dare la spiritualità dell’unità per salvare la bellezza dello sport minata oggi dal peso eccessivo degli interessi economici, dal doping, dalla spettacolarizzazione esasperata, dalla violenza negli stadi. E proprio per cominciare a mettere a fuoco l’identità ed il ruolo culturale della nascente rete internazionale, gli sportivi di Sportmeet si sono confrontati su un tema provocatorio, ma fondamentale per la realtà sportiva di oggi: “Una cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria”. Vera Araujo, sociologa, ha offerto il suo contributo con un intervento sul tema “La competizione e l’aggressività nella società contemporanea” cui è seguito quello dell’economista Luigino Bruni che ha tracciato un parallelo fra economia e sport nel suo intervento: “Nello sport come nel mercato: competizione, vittoria e sconfitta”. Il tema centrale, sul significato da dare al recupero di una cultura della sconfitta, è stato presentato da Paolo Crepaz, medico dello sport e giornalista sportivo, coordinatore di Sportmeet. Dal suo intervento sono emerse le mille sfumature del “saper perdere”, al di là di una banale rassegnazione dignitosa al risultato avverso, quali, ad esempio: apprezzare il valore del vincitore, la bellezza e l’efficacia del suo gesto; salvaguardare il diritto di sbagliare, specie per i più giovani, tornando, concretamente, ad investire sui vivai; variare la dieta sportiva, uscendo dal monoalimento calcistico per conoscere ed apprezzare altri sport; praticare in prima persona uno sport o almeno assistervi in diretta, per capire l’impegno e la fatica richiesti; capire ed esercitare l’arte del passaggio della palla negli sport di squadra come espressione della fiducia nel compagno; fidarsi, in parete, del compagno di cordata; rinunciare ad un’impresa di fronte alle condizioni avverse e scoprire vette più interiori; fino a riconoscere, accettare e persino amare il proprio limite fisico. A far comprendere quanto sia di grande attualità e propositivo il tema, è stata la tavola rotonda che ne è seguita, cui hanno partecipato rappresentanti di prestigio del mondo dello sport, come Marco Marchei, maratoneta italiano presente a due Olimpiadi, ora giornalista sportivo, direttore di qualificate riviste come “Correre” e “Il nuovo calcio”, Nicolò Corradini, 4 volte campione del mondo di ski-orienteering, e Gianni Rivera, indimenticato calciatore, campione nel Milan e nella nazionale italiana. Originale e suggestivo è stato ascoltare da loro il racconto delle proprie sconfitte e dei momenti più difficili della propria storia sportiva. Per tre giorni, accanto ai campioni, hanno portato la loro testimonianza di Vangelo vissuto nello sport, sportivi di ogni livello e di diverse parti del mondo. Grazie a Sportmeet è venuto così alla luce un fermento di vita ed un dialogo col mondo dello sport nelle sue diverse espressioni: di divertimento, di contatto con la natura, senza dimenticare la sua dimensione agonistica e professionistica. I temi culturali e molte delle testimonianze presentate al workshop, così come gli obiettivi della nuova realtà di Sportmeet, sono disponibili visitando il sito internet www.sportmeet.org Sportmeet for a United World via Frascati, 306 – 00046 Grottaferrata (RM) e-mail: sport@flars.net tel. 06 94798251 – fax. 06 94790436

Nonostante tutto, non fermarti!

Il nuovo posto di lavoro come odontotecnico era cominciato nel migliore dei modi: buono lo stipendio e prospettive interessanti. Ma dopo qualche mese l’idillio s’incrina perché il datore di lavoro, prima qualche volta, poi quasi ogni giorno mi ripete: “Lei lavora troppo lentamente e i colori dei denti non sono come dovrebbero”. Non capisco. Ogni mattina, alla distribuzione del lavoro, vedo che non si fida di me e che mi licenzierebbe volentieri. Alla consegna dei lavori, la sera, dopo una giornata di intenso lavoro, devo quasi sempre rifare tutto daccapo. Ho vissuto mesi di intima tensione, di lotta interiore: sono tentato di ribellarmi, si addensano giudizi nei confronti del datore di lavoro, ma cerco di “tagliare” per “ricominciare” ogni giorno.

Un mattino d’inverno, andando al lavoro, comincia a piovere forte: quel temporale sembra l’immagine esterna di ciò che vivo dentro. Mi ricordo dell’immagine di Gesù crocifisso che da anni tengo nella mia stanza e che tante volte in quei giorni avevo guardato senza trovare una risposta, come Lui, d’altronde, quando gridò al Padre il suo abbandono, ma si riabbandonò a Lui, credendo al Suo amore. Così pian piano dentro di me si fa largo un’idea: “Continua ad amare e, nonostante tutto, non fermarti!”. Arrivato al lavoro, cerco di far miei tutti i consigli del mio capo, senza quella sottile sfiducia che da mesi mi accompagna. Ritrovo una libertà interiore che da tempo avevo perso. Qualche tempo dopo mi chiama per dirmi che aveva fatto una visita oculistica e che il medico gli aveva scoperto un difetto visivo: era quello che gli procurava tensione e alterava i colori. Quindi era questa la causa principale delle nostre discussioni e delle tante serate di lavoro in più. Qualche giorno dopo, in un momento di intimo colloquio, tra l’altro, mi dice: “Io sto raggiungendo l’età per andare in pensione e ho pensato di proporre a lei di rilevare la mia azienda, perché ho visto che davanti alle difficoltà lei non si arrende”. F. L. (altro…)

Dio ci chiama

Il volume raccoglie alcune conversazioni dell’Autore con i membri del Movimento dei Focolari tenute in diverse occasioni e luoghi su alcuni aspetti tipici della vita cristiana: Dio Amore, il dolore come via privilegiata per l’incontro con Lui, l’impegno richiesto ad ogni cristiano di “mettere Dio al primo posto nella propria vita” aderendo alla Sua volontà, la Sacra Scrittura, la presenza di Gesù nella comunità – “Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” Mt 18,20 –, Maria, la Chiesa, la fede, la preghiera. In particolare l’Autore si sofferma sulla vocazione: la chiamata a seguire Gesù radicalmente è lo sguardo d’amore che già prima della nascita Dio ha sull’uomo, ma che richiede il suo sì libero e responsabile. Pasquale Foresi, sacerdote dal 1954, è considerato un cofondatore del Movimento dei Focolari per il contributo da lui dato, tra l’altro, allo sviluppo degli studi teologici, alla stesura degli statuti, alla nascita della prima casa editrice e della cittadella di Loppiano. Laureato in teologia alla Pontificia Università Lateranense, è licenziato in filosofia e teologia alla Pontificia Università Gregoriana. Per Città Nuova ha pubblicato: Teologia della socialità (1963); L’agape in san Paolo e la carità in san Tommaso (1965); Il Testamento di Gesù (1966); Appunti di filosofia. Sulla conoscibilità di Dio (1967); Conversazioni di filosofia (nuova ed. 2001); Fede, speranza e carità nel Nuovo Testamento (1967); Parole di vita (1969); Problematica d’oggi nella Chiesa (1970); L’esistenza cristiana (1989).

settembre 2003

Sono parole scioccanti. Gesù dice di tagliare il piede o la mano, di cavare l’occhio se sono di scandalo. Lo sappiamo, queste parole non vanno prese alla lettera, anche se mantengono tutta la forza di una spada a doppio taglio. Sono un modo per dire che davanti a quanto può essere occasione di peccato dobbiamo essere disposti a rinunciare a tutto, anche alle cose e alle persone care, piuttosto che perdere ciò che veramente vale: “entrare nella vita”, ossia la comunione con Dio e la nostra salvezza.

La parola “scandalo” nei Vangeli indica tutto ciò che si interpone tra noi e Dio, facendo da ostacolo all’adempimento della sua volontà; è come un bastone tra le ruote che vuole bloccare il nostro cammino dietro a Gesù, come un trabocchetto che vuol farci cadere nel peccato. Ci sono momenti in cui l’occhio, la mano, il piede “scandalizzano”, ossia vorrebbero portarci a rinnegare Gesù, a tradirlo, a preferire altre cose a lui.
L’ha capito bene Santa Scorese, questo il nome di una ragazza di 23 anni, quando a Bari, nel sud dell’Italia, nel 1991, ha preferito essere uccisa piuttosto che perdere la sua purezza insidiata da un ragazzo della sua età. Per lei è valso più Dio che la vita.

«Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna»

Questa Parola di vita smaschera l’”uomo vecchio” che è in noi. Il peccato non viene infatti dalle cose, dal di fuori, ma scaturisce dal nostro intimo, dal nostro cuore. L’”uomo vecchio” vive in noi quando cediamo alle insidie del male e quando assecondiamo le nostre peggiori inclinazioni: egoismo, fame di potere, di gloria, di denaro…
L’”uomo vecchio” deve cedere il posto all’”uomo nuovo”: Gesù in noi.
Possiamo da soli sradicare le passioni disordinate dal nostro cuore e far nascere in noi la vita divina? Soltanto Gesù con la sua morte può far morire il nostro “uomo vecchio” e con la sua risurrezione trasformarci in uomini nuovi. Lui può darci il coraggio e la risolutezza nella lotta contro il male, l’amore leale e radicale per il bene. Da Lui viene quella libertà interiore, quella pace e quella gioia ineffabile che ci portano al di sopra di tutte le brutture del mondo e ci fanno sperimentare fin da adesso un anticipo di Cielo.

«Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna»

L’”uomo nuovo” in noi deve crescere ed essere custodito dalle insidie dell’”uomo vecchio”. Quale la nostra parte? Scrivevo nel 1949: “Ci sono tanti modi di ripulire una stanza: raccogliere paglia per paglia; usare una scopa piccola, una grande, un grande aspirapolvere, ecc. Oppure – per essere nel pulito – si può cambiare stanza e tutto è fatto. Così per santificarci. Anziché lavorare tanto, si può immediatamente scostarsi e lasciar vivere Gesù in noi. E cioè vivere trasferiti in altro: nel prossimo, per esempio, che – momento per momento – ci è vicino: vivere la sua vita in tutta la sua pienezza”.
Amare! Qui è tutta la dottrina di Gesù. Affinare il nostro cuore e renderlo capace di ascolto, immedesimarsi con i problemi e le preoccupazioni dei nostri prossimi, condividerne le gioie e i dolori, far cadere quelle barriere che ancora ci dividono, superare giudizi e critiche, uscire dal nostro isolamento per metterci a disposizione di chi è nella necessità o nella solitudine, costruire ovunque l’unità voluta da Gesù.
Se vivremo così, Dio ci attirerà alla comunione sempre più intima con Lui e ci renderà quasi irremovibili e inattaccabili di fronte agli errori e alle attrattive del mondo.

«Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna»

Gesù ci dice anche di togliere (“tagliare”) con energia quelle realtà (cose, persone, situazioni) che per noi potrebbero essere occasione di scandalo. E’ l’evangelico “rinnega te stesso”. Il cristiano ha il coraggio di andare contro le tendenze egoistiche perché non diventino stile di vita.
Durante questo mese usciamo da noi stessi amando chi ci è vicino e tagliamo ogni attaccamento a tutto ciò che non dobbiamo amare, facciamo pulizia di quanto va tolto dal nostro cuore. Nessun sacrificio è troppo grande per non perdere la comunione con Dio. Ad ogni taglio, fiorirà nel cuore la gioia, quella vera, che il mondo non conosce.

Chiara Lubich

(altro…)

agosto 2003

Un Dio che parla con noi come ad amici! L’antico popolo d’Israele era fiero di avere un Dio tanto vicino, che gli donava leggi e norme tanto giuste, come leggiamo in questo brano del Deuteronomio, che fa parte dell’Antico (o Primo) Testamento.
Proprio perché la Parola di Dio ha un suo fascino straordinario, c’è il pericolo di credere che, una volta ascoltata, tutto sia fatto; e invece la Parola va vissuta. Qui è il punto.
Anche l’apostolo Giacomo nel Nuovo Testamento metteva in guardia i primi cristiani: “Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi”. La stessa cosa insegnava Mosè quando si rivolgeva a tutto il popolo con queste parole:

«Or, dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica»

Ascoltare, dunque, la Parola e viverla.
Inoltre nelle Parole di Gesù è presente Lui stesso, le sue Parole sono Lui stesso, e le sue sono parole eterne perciò attuali in ogni momento; universali, quindi valgono per tutti, al di sopra di ogni razza e cultura; non sono semplici esortazioni, suggerimenti, comandi, come possono essere le parole umane: esse contengono e trasmettono la Vita.

Gesù, alla fine del suo grande discorso della montagna, ci ha lasciato in proposito una famosa parabola: paragona ad una casa costruita sulla sabbia chi ascolta con entusiasmo le sue Parole, ma poi non le traduce in vita; vengono i venti e le piogge, ossia altre proposte umane più facili e allettanti, dottrine che incantano e illudono con i loro bagliori passeggeri, e la persona frana miseramente perché il messaggio evangelico in lei non è diventato vita.

Gesù paragona poi chi mette in pratica la sua Parola ad una casa costruita sulla roccia: possono venire le prove, le tentazioni, i dubbi, i disorientamenti, ma quella persona rimane salda sulla via del Vangelo, continua a credere nelle Parole di Dio perché ne ha sperimentato la verità.
Vivere la Parola di Dio porta un’autentica rivoluzione nella nostra vita e in quella della comunità umana con cui condividiamo il Vangelo.

«Or, dunque, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, perché le mettiate in pratica»

Le Parole di Gesù vanno vissute con la semplicità dei bambini! Egli ci dice: “Date e vi sarà dato” (Lc 6,38). Quante volte possiamo sperimentare che più diamo più riceviamo! Quante volte non ci siamo trovati a mani vuote, perché ogni volta che abbiamo donato a chi era nel bisogno ci siamo ritrovati con cento volte tanto. E quando non avevamo niente da dare? Non ha detto Gesù: “Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7)? Chiedevamo…, e la nostra casa si riempiva di ogni ben di Dio da poter donare ancora.
Quando siamo oppressi dalla preoccupazione per qualche situazione che ci sembra superi le nostre forze, dall’angoscia che ci paralizza, ricordiamo le Parole di Gesù: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi…” (Mt 11,28), e, gettata in Lui ogni inquietudine, vedremo ritornare la pace e con essa la soluzione ai nostri problemi.

La Parola di Dio spezza il nostro io, annulla l’egoismo, sostituisce il nostro modo di pensare, di volere, di agire con quello di Gesù. Vivendola, subentra in noi la logica divina, la mentalità evangelica e vediamo tutto con occhi nuovi; cambiano anche i nostri rapporti con gli altri: persone che prima non si conoscevano, vivendo insieme la Parola di Dio e comunicandosi le esperienze che essa suscita, si ritrovano fratelli, diventano popolo, Chiesa viva. Una sola Parola del Vangelo vissuta da tanti potrebbe cambiare il corso della storia.
La Parola di Dio, se vissuta, opera miracoli. Nasce così, nel nostro cuore, una confidenza nuova, sconfinata, nell’amore del Padre, che assiste con il suo quotidiano intervento i suoi figli. Le sue Parole sono vere; se noi le viviamo, anche Lui le mette in pratica, alla lettera, e ci dona ciò che promette: il centuplo qui in terra, la pienezza della vita e la gioia senza fine del Paradiso.

Chiara Lubich

(altro…)

“Possono le religioni essere ’partners’ sul cammino della pace?”

“Possono le religioni essere ’partners’ sul cammino della pace?”

“Senza fraternità non c’è pace”

 

Il pluralismo religioso, superficialmente sembra germe di divisioni e guerre. In realtà esso è – dice Chiara Lubich nel suo intervento – una sfida: tutte le religioni sono chiamate a ristabilire insieme l’unità della famiglia umana, poiché in tutte le religioni “in qualche modo lo Spirito Santo è presente e attivo”.

Proprio il fenomeno del terrorismo, che non si riesce a combattere con mezzi convenzionali, mostra che le religioni hanno un grande contributo da dare alla pace: “La causa più profonda del terrorismo” è “l’insopportabile sofferenza” di fronte a un mondo dove sempre maggiore è il divario fra ricchi e poveri, ha sottolineato la Lubich a Caux. C’è l’esigenza di più uguaglianza, più solidarietà, e soprattutto di una più equa distribuzione dei beni. “Ma, come si sa, i beni non si muovono da soli,”. “bisogna muovere i cuori delle persone”. E “da chi, se non dalle grandi tradizioni religiose, potrebbe partire quella strategia della fraternità capace di segnare una svolta persino nei rapporti internazionali?”. Senza fraternità, infatti – sostiene la Lubich – non c’è pace.

Senza perdere la propria identità

 In tutte le religioni è radicata l’idea dell’unità e dell’amore: “In pratica, ciò significa che siamo partners sulla via della fratellanza e della pace. Senza perdere la nostra identità, tra le grandi tradizioni religiose dell’umanità ci possiamo incontrare e comprendere” ha sottolineato la Lubich. Come via maestra verso la comprensione tra le religioni, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha indicato la via dell’amore: “Se intraprendiamo il dialogo gli uni con gli altri, se quindi ci apriamo l’un l’altro in un dialogo fatto di benevolenza, di stima reciproca, di rispetto, di misericordia, ci apriamo anche a Dio e facciamo in modo – sono parole di Giovanni Paolo II – che Dio sia presente in mezzo a noi”. Chiara Lubich si è mostrata convinta che è proprio con la presenza di Dio che si potrebbero trovare vere soluzioni ai problemi attuali.

Il segreto del dialogo

 Il Movimento dei Focolari ormai ha una ricca esperienza nel dialogo interreligioso: “in un clima di amore reciproco si può infatti stabilire il dialogo con i propri partners, dialogo nel quale si cerca di farsi nulla per ’entrare’, in certo modo, in loro”. Questo ‘farsi uno con l’altro’ è indicato dalla Lubich come il segreto di un dialogo che può portare all’unità. Richiede vera povertà di spirito: “svuotare la nostra testa di idee, liberare il nostro cuore da affetti, la nostra volontà da desideri” per poter immedesimarci con l’altro e capire chi ci sta di fronte. Da un tale atteggiamento l’altro o l’altra viene “toccato” e da parte sua comincia a porre domande (questa l’esperienza di Chiara). “Allora possiamo passare all’ ‘annuncio rispettoso’, e comunicare, per lealtà a Dio e a noi stessi, ma anche per onestà verso il prossimo, quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza ombra di proselitismo, ma per amore. Ed è il momento in cui, per noi cristiani, il dialogo sfocia nell’annuncio del Vangelo”.

Grande semplicità

   

Durante il colloquio successivo, Cornelio Sommaruga, presidente di “Iniziative e cambiamento”, ha sottolineato la “estrema semplicità” con la quale Chiara Lubich diffonde il suo messaggio di amore. Rajmohan Gandhi, nipote del Mahatma Gandhi, professore all’università di Nuova Delhi, pure lui responsabile dell’organizzazione che ha promosso il seminario, ha aggiunto: “Questa donna parla ai cuori. Ma non come molti altri con voce potente e appassionata, ma con dolcezza e forza. Il dialogo interreligioso promosso dalla signora Lubich è di grandissima importanza, specialmente nel nostro tempo”. E il rabbino Marc Raphaël Guedj, fondatore di “Racine et Source” (“Radice e Fonte”) si è mostrato impressionato dalla “personalità di Chiara, che parla di amore essendo amore, sapienza, sapienza della vita quotidiana, … amore che trasforma il mondo”.

Dal servizio di Beatrix Ledergerber-Baumer per l’agenzia KIPA, 3 agosto 2003 (nostra traduzione) (altro…)

Possono le religioni essere partners sul cammino della pace?

«Desidero innanzitutto esprimere la mia gioia nel trovarmi oggi qui in questo Centro di Caux, ricco di iniziative intente a rafforzare i fondamenti morali e spirituali delle società, e a promuovere l’incontro pacifico delle culture, delle civiltà e delle religioni. Ringrazio in modo particolare il dott. Cornelio Sommaruga, che ha voluto invitarmi a dare un mio contributo a questo importante seminario interreligioso. L’argomento che mi è stato chiesto di trattare oggi recita così: “Possono le religioni essere partners sul cammino della pace?”. E’ questa, come tutti sappiamo, una domanda di grande importanza e di estrema attualità. Nel dilagare del terrorismo, nelle guerre condotte in varie parte del mondo per rispondervi, e nella tensione permanente in Medio Oriente, molti vedono i sintomi di un possibile “scontro tra civiltà”. Esso sarebbe segnato e persino acuito dalle diverse appartenenze religiose. Questo modo di vedere però, provocato da estremismi e fanatismi di vario genere che distorcono le religioni, risulta, ad una lettura più attenta dei fatti, molto parziale. Mai come in quest’ora del mondo, infatti, credenti e responsabili di tutte le religioni hanno sentito di dovere lavorare insieme per il bene comune dell’umanità. Organizzazioni come la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace o iniziative come la giornata di preghiera per la Pace, indetta da Giovanni Paolo II ad Assisi nel gennaio 2002, ne sono una riprova. In quell’occasione il Papa aveva ribadito, a nome di tutti i presenti, che “chi utilizza la religione per fomentare la violenza ne contraddice l’ispirazione più autentica e profonda” e che “non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell’uomo sull’uomo” perché “l’offesa dell’uomo è in definitiva offesa di Dio” . Con l’11 settembre 2001, l’umanità ha scoperto, sgomenta, la natura di questo grande, enorme pericolo che è il terrorismo. Non è una guerra come le altre, perché esse – ne abbiamo tutt’oggi circa 40 sul pianeta – sono in genere frutto dell’odio, del malcontento, delle rivalità, di interessi personali o collettivi. Il terrorismo invece, come ha affermato ancora il Papa, è frutto anche di forze del Male con la M maiuscola, delle Tenebre. Ora, forze di questo tipo non si combattono con soli mezzi umani, diplomatici, politici e militari. Necessitano forze del Bene con la B grande. E il Bene con la B maiuscola è – lo sappiamo – Dio, e tutto ciò che ha radice in Lui. Si può combattere, dunque, con forze spirituali, con la preghiera, ad esempio, col digiuno, come hanno fatto i rappresentanti delle religioni del mondo nella città di san Francesco. Ma, ci sembra di dover dire che la preghiera non basta. Noi sappiamo che molte sono le cause del terrorismo, ma una, la più profonda, è l’insopportabile sofferenza di fronte a un mondo mezzo povero e mezzo ricco, che ha generato e genera risentimenti covati negli animi da tempo, violenza, vendetta. Si esige più parità, più solidarietà, soprattutto una più equa condivisione dei beni. Ma, come si sa, i beni non si muovono da soli, non camminano da sé. Vanno mossi i cuori, vanno messi in comunione i cuori! E per questo occorre diffondere fra più gente possibile l’idea e la pratica della fraternità, e, data la vastità del problema, di una fraternità universale. I fratelli sanno pensare ai fratelli, sanno come aiutarli, sanno condividere quanto hanno. Per rispondere a questa sfida senza precedenti, il contributo delle religioni è decisivo. Da chi, se non dalle grandi tradizioni religiose, potrebbe partire quella strategia della fraternità capace di segnare una svolta persino nei rapporti internazionali? Le enormi risorse spirituali e morali, il contributo di idealità, di aspirazioni alla giustizia, d’impegno a favore dei più bisognosi, assieme a tutto il peso politico di milioni di credenti, che scaturiscono dal sentimento religioso, convogliati nel campo delle relazioni umane, potrebbero senz’altro tradursi in azioni tali da influenzare positivamente l’ordine internazionale. Molto si sta facendo nel campo della solidarietà internazionale, da parte delle organizzazioni non governative. Ciò che manca è che gli Stati facciano proprie quelle scelte politiche ed economiche atte a costruire una comunità fraterna di popoli impegnata a realizzare la giustizia. Perché di fronte ad una strategia di morte e di odio, l’unica risposta valida è costruire la pace nella giustizia. Ma senza fraternità non c’è pace. Solo la fraternità fra individui e popoli può assicurare un futuro di convivenza pacifica. Del resto la fratellanza universale e la conseguente pace non sono idee di oggi. Esse sono state spesso presenti nelle menti di spiriti forti perché “il piano di Dio sull’umanità è la fraternità e l’amore fraterno è iscritto nel cuore di ogni essere umano”. “La regola d’oro – diceva il Mahatma Gandhi – è di essere amici del mondo e considerare ‘una’ tutta la famiglia umana” . E Martin Luther King: “Ho il sogno che un giorno gli uomini (…) si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli (…); (e) che la fraternità (…) diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” . Su questa linea, il Dalai Lama, a proposito di quanto è successo negli Stati Uniti due anni fa, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (di questi eventi) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra”. Nonostante le distruzioni, può emergere dunque anche dalle macerie del terrorismo una grande, antica verità: che noi tutti sulla terra siamo un’unica grande famiglia. Ma chi ha indicato e portato questa verità come dono essenziale all’umanità, è stato Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre, che tutti siano uno” (Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, ha introdotto l’idea della fraternità universale. E con ciò ha abbattuto le mura che separavano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici. Ora senz’altro ognuno di noi, mosso dalla propria fede religiosa, avrà fatto le sue esperienze positive che possono essere utili alla soluzione di problemi simili agli attuali. E poiché questo è il momento in cui – come diceva un vescovo, specialista in questo campo – “le religioni devono tirare fuori dal profondo di sé le loro forze spirituali per aiutare l’umanità e portarla alla solidarietà e alla pace” , mi permettano di offrire loro la mia esperienza fatta a contatto con persone di ogni età, lingua, razza, e soprattutto di religioni diverse, in ogni angolo della terra. E’ un’esperienza di dialogo che può fornire una chiave per una convivenza fraterna e pacifica, esperienza che mi pare pure nello spirito delle sessioni di Caux, che privilegiano la testimonianza personale all’esposizione teorica. L’arte di amare A 60 anni dagli inizi dell’esperienza del Movimento dei Focolari che rappresento, si rinnova sempre la sorpresa nel vedere come il sentiero spirituale sul quale Dio ci ha condotto si incrocia con tutte le altre vie spirituali dei cristiani ma anche di fedeli di altre religioni. In pratica di diventare partner di essi nel cammino della fraternità e della pace. Pur mantenendo la nostra identità, ci permette di incontrarci e comprenderci con le grandi tradizioni religiose dell’umanità. In altre parole, in obbedienza e in ascolto dello Spirito, ci è stato insegnato come mettere in pratica con successo quella parola che è iscritta nel DNA di ogni uomo e di ogni donna, perché creati ad immagine di Dio-Amore, Dio Padre: amare, amare il prossimo, amare i fratelli. Quella parola, la sola, che può fare dell’umanità una famiglia. Amore, non come in genere lo si può pensare, ma quel comportamento che ha imprescindibili esigenze. Quell’amore che, se per i cristiani è addirittura una partecipazione all’amore stesso che è in Dio, non manca nei Sacri Libri delle altre religioni. Il primo passo per noi, la prima illuminazione, su questo nuovo stile di vita fu durante la seconda guerra mondiale. Di fronte al crollo degli ideali e alla perdita di tutti i nostri beni materiali, sentivamo di doverci aggrappare a qualcosa che non passa e che nessuna bomba potesse distruggere: Dio. Lo scegliemmo come unico ideale della nostra vita credendo nonostante tutto al Suo amore di Padre, amore verso tutti gli uomini della terra. Ma è ovvio che non bastava credere all’amore di Dio; non bastava aver fatto la grande scelta di Lui come Ideale della vita. La presenza e la premura di un padre chiamava ognuno ad essere figlio, ad amare a sua volta il padre, ad attuare giorno dopo giorno quel particolare disegno d’amore che il Padre ha su ciascuno, a fare cioè la Sua volontà. E si sa che la prima volontà di un padre è che i figli, tutti i figli, si trattino da fratelli, si vogliano bene, si amino. E vuole che amiamo, come fa Lui, tutti senza distinzione. Non c’è da scegliere fra simpatico o antipatico, bello o brutto, bianco o nero o giallo, europeo o americano, cristiano o ebreo, musulmano o indù… L’amore non conosce “alcuna forma di discriminazione”. Questa stessa fede nell’amore che Dio porta alle sue creature l’abbiamo trovata pure in tanti fratelli e sorelle di altre religioni, a iniziare da quelle abramiche che affermano l’unità del genere umano, la cura che Dio ha per tutta l’umanità e il dovere di ogni creatura umana di agire come il Creatore con immensa misericordia verso tutti. Dice un detto musulmano: “Dio perdona cento volte, ma riserva la Sua suprema misericordia per colui la cui pietà avrà risparmiato la più piccola delle Sue creature” . E che dire della sconfinata compassione per ogni essere vivente insegnata dal Budda, che diceva ai suoi primi discepoli: “O Monaci dovreste operare per il benessere di tanti, per la felicità di tanti, mossi da compassione per il mondo, per il benessere (…) degli uomini” . Per un cristiano inoltre tutti vanno amati, perché in ognuno si ama Cristo. Lo dirà Lui stesso un giorno: “L’hai fatto a me” (cf Mt 25, 40). Amare tutti, dunque, senza distinzione. Ma c’è un’altra caratteristica di quest’amore che è molto conosciuta, riportata in tutti i Libri Sacri, e che da sola basterebbe, se vissuta, a fare di tutto il mondo una grande famiglia: amare come si ama sé, fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te, non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te. E’ la cosiddetta “regola d’oro”, della quale si fa menzione anche nella presentazione di questo seminario. Essa è tanto bene espressa da Gandhi quando ha affermato: “Tu ed io non siamo che una sola cosa: non posso farti del male senza ferirmi”. Nella tradizione musulmana si conosce così: “Nessuno di voi è vero credente se non desidera per il fratello ciò che desidera per se stesso” . Il Vangelo l’annuncia in questo modo: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12). E Gesù commenta: “questa infatti è la Legge ed i Profeti” (Ibid). In questa semplice norma, seminata dallo Spirito in tutte le religioni, vi è dunque il concentrato di tutti i comandi di Dio. Conviene allora fare grande calcolo di essa nel dialogo interreligioso. Da questa regola – che a ragione è chiamata “d’oro” – scaturisce una norma che da sola, se applicata, sarebbe il più grande motore dell’armonia fra individui e gruppi. Un altro modo che insegna come mettere in pratica il vero amore degli altri è espresso da una formula semplice, fatta di due sole parole: farsi uno. Farsi uno con gli altri significa far propri i loro pesi, i loro pensieri, le loro sofferenze e le loro gioie. Il “farsi un o” vale anzitutto nel dialogo interreligioso. E’ stato scritto: “Conoscere la religione dell’altro implica entrare nella pelle dell’altro, vedere il mondo come l’altro lo vede, penetrare nel senso che ha per l’altro essere buddista, musulmano, indù, ecc.” Questo “vivere l’altro” abbraccia tutti gli aspetti della vita ed è la massima espressione dell’amore, perché vivendo così si è morti a se stessi, al proprio io e ad ogni attaccamento; si può realizzare quel “nulla di sé” cui aspirano le grandi spiritualità e quel vuoto d’amore che si realizza nell’atto di accogliere l’altro; “farsi uno” significa mettersi di fronte a tutti in posizione di imparare, e si ha sempre da imparare realmente. Un’ulteriore esigenza di questo amore è forse la più impegnativa di tutte. Mette alla prova l’autenticità dell’amore, la sua purezza, e perciò la sua reale capacità di generare l’unità tra gli uomini e la fratellanza universale. Si tratta di amare per primi e cioè di non aspettare che l’altro faccia il primo passo; di essere i primi a muoversi, a prendere l’iniziativa. Questo modo di amare ci espone in prima persona, ma, se vogliamo amare, a immagine di Dio e sviluppare questa capacità di amore, che Dio ha messo nei nostri cuori, dobbiamo fare come Lui, che non ha aspettato di essere amato da noi, ma ci ha dimostrato da sempre e in mille modi che Egli ci ama per primo, qualunque sia la nostra risposta. Noi siamo stati creati in dono gli uni per gli altri e realizziamo questo nostro essere impegnandoci per i nostri fratelli e sorelle con quell’amore che viene prima di ogni gesto d’amore dell’altro. Questo ci insegnano con la loro vita tutti i grandi fondatori di religioni. Gesù ne ha dato l’esempio; Egli che ha detto: “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per gli altri” (Cf Gv 15,13), l’ha data veramente. E l’ha data per noi peccatori e non certo amanti. Quando poi l’amare per primi è vissuto insieme da due o più persone, si ha l’amore vicendevole, principio e fondamento sicuro della pace e dell’unità del mondo. La nostra esperienza ci dice che per chi si accinge oggi a spostare le montagne dell’odio e della violenza, il compito è immane. Ma ciò che è impossibile a milioni di uomini isolati e divisi, pare diventi possibile a gente che ha fatto dell’amore scambievole, della comprensione reciproca, dell’unità, il movente essenziale della propria vita. E tutto questo ha un perché, una chiave segreta e un nome. Quando entriamo in dialogo fra di noi delle più varie religioni, quando cioè ci apriamo l’un l’altro nel dialogo fatto di benevolenza umana, di stima reciproca, di rispetto, di misericordia, ci apriamo anche a Dio e “facciamo in modo – sono parole di Giovanni Paolo II – che Dio sia presente in mezzo a noi” . Ecco il grande frutto del nostro amore scambievole e la forza segreta che dà vigore e successo ai nostri sforzi per portare ovunque l’unità e la fratellanza universale. E’ quello che il Vangelo annunzia ai cristiani quando dice che se due o più persone si uniscono nell’amore vero, Cristo stesso è presente fra di loro e quindi in ciascuno di loro. E quale garanzia migliore della presenza di Dio, quale possibilità superiore può esistere per coloro che vogliono essere strumenti di fraternità e di pace? Questo amore reciproco, questa unità, che dà tanta gioia a chi la mette in pratica, chiede comunque impegno, allenamento quotidiano, sacrificio. E qui appare, in tutta la sua luminosità e drammaticità, nel linguaggio cristiano, una parola che il mondo non vuole sentire pronunciare, perché ritenuta stoltezza, assurdità, non senso. Questa parola è: croce. Non si fa nulla di buono, di utile, di fecondo al mondo senza conoscere, senza sapere accettare la fatica, la sofferenza, in una parola senza la croce. Non è uno scherzo impegnarsi a vivere sempre il reciproco amore, a portare la pace e suscitare la fratellanza! Occorre coraggio, occorre saper patire. Ora ciò che ho spiegato non è un’utopia. E’ una realtà vissuta da più di mezzo secolo da milioni di persone, esperienza pilota di quella fratellanza universale e di quell’unità alla quale tutti aneliamo. Per via di questo modo di amare si sono aperti nel nostro Movimento fecondi dialoghi: fra cristiani di molte Chiese, fra credenti di diverse religioni, e fra persone delle più varie culture. E insieme ci si avvia a quella pienezza di verità cui tutti tendiamo. L’esperienza di dialogo interreligioso del Movimento dei Focolari Ed ora mi soffermerei in particolare sulle occasioni di incontro che abbiamo avuto, fin dagli inizi, con fratelli e sorelle di altre fedi religiose. La prima forte esperienza da noi fatta è stata quella a contatto con i Bangwa, una tribù camerunense radicata nella religione tradizionale, quasi sterminata dalla mortalità infantile, che stavamo iniziando ad assistere. Un giorno il loro capo, il Fon, e le migliaia di membri del suo popolo, si sono radunati, per una festa, in una grande radura in mezzo alla foresta, per donarci i loro canti e le loro danze. Ebbene: è stato lì che ho avuto la forte impressione che Dio, come un immenso sole, abbracciasse tutti, noi e loro, con il suo amore. Per la prima volta, nella mia vita, ho intuito che avremmo avuto a che fare anche con persone di tradizione non cristiana. Ma l’evento in qualche modo “fondante” di questo nostro dialogo è avvenuto a Londra nel 1977 ad una cerimonia per l’assegnazione del Premio Templeton per il Progresso della Religione. Vi avevo tenuto un discorso e quando stavo uscendo dalla sala, i primi venuti a salutarmi sono stati ebrei, musulmani, buddisti, sikhs, indù… Lo spirito cristiano di cui avevo parlato li aveva impressionati, cosicché mi è stato chiaro che avremmo dovuto occuparci non solo della nostra e delle altre Chiese, ma anche di questi fratelli e sorelle di altre fedi. Ha avuto inizio così il nostro dialogo interreligioso. Due anni dopo, infatti, è avvenuto l’incontro con una grande personalità buddista, il Rev. Nikkyo Niwano, fondatore della Rissho Kosei-kai, che mi ha invitato a Tokyo, a parlare sempre della mia esperienza spirituale a diecimila buddisti. Da allora fra focolarini e seguaci della Rissho Kosei-kai è nata una grande fratellanza dovunque nel mondo si incontrano. Ma gli incontri più sorprendenti con il buddismo sono avvenuti con degli eminenti rappresentanti del monachesimo tailandese. Durante un loro prolungato soggiorno nella nostra cittadella internazionale di Loppiano, in Italia, dove i suoi 800 abitanti cercano di vivere con fedeltà il Vangelo, due di loro sono stati profondamente toccati dall’unità fra tutti e dall’amore cristiano che non conoscevano. E sono venuti meno così pregiudizi che impedivano un vero dialogo fra loro buddisti e noi cristiani. Questi monaci, tornati in Tailandia, non hanno perduto occasione per raccontare, a migliaia di fedeli e a centinaia di monaci, la loro esperienza di incontro col Movimento dei Focolari. E’ nato così, se si può dire, un Movimento buddista-focolarino e cioè buddista-cristiano che è una delle porzioni di fraternità che stiamo edificando nel mondo. In seguito sono stata invitata in Tailandia in una loro Università buddista e in un loro Tempio a parlare a monache, a monaci ed a molti laici e laiche. Anche qui l’interesse è stato notevole, mentre noi siamo stati edificati da quel distacco da tutto che li distingue, dalla loro ascetica. E il dialogo con l’Islam? Sono ora 6.500 gli amici musulmani che appartengono al nostro Movimento, e ciò che ci lega ad essi è sempre la nostra spiritualità, in cui trovano incentivi e conferme per una più profonda, vissuta aderenza al cuore della spiritualità islamica. Abbiamo tenuto vari incontri degli amici musulmani. E ciò che ha caratterizzato questi convegni è stata anzitutto la presenza di Dio che si avverte specie quando pregano e che dà tanta speranza. Speranza che ho visto divenire realtà personalmente nella Moschea Malcolm Shabazz di Harlem (USA), sei anni fa, davanti a 3.000 musulmani afroamericani, ai quali sono pure stata invitata ad esporre ancora la mia esperienza cristiana. La loro accoglienza, a cominciare da quella del loro leader l’Imam W.D. Mohammed, è stata così calda, sincera ed entusiasta da aprire il cuore ai più promettenti sogni per il futuro. Sono tornata, poi, negli Stati Uniti, a Washington, tre anni fa, per presentare a molti la nostra collaborazione in occasione di una Convention organizzata da loro e che ha visto riunite settemila persone, cristiani e musulmani. In un’esultanza non semplicemente umana, in un abbraccio sincero, con un applauso senza fine, ci siamo promessi di proseguire il nostro cammino nella più piena unione possibile e di allargarlo ad altri: ed ecco così altri brani di fraternità. Non posso poi non citare gli incontri sempre più frequenti con sorelle e fratelli ebrei nello Stato d’Israele e altrove. L’ultimo da parte mia è avvenuto a Buenos Aires, con una delle loro più numerose comunità, seguito poi da altri membri del Movimento, in diverse occasioni. E’ stato con grande commozione che ci siamo scambiati un patto di amore scambievole, così profondo e sentito, da aver l’impressione di superare di colpo secoli di persecuzioni e di incomprensioni. Negli ultimi tre anni è iniziato un promettente dialogo in India anche con gli indù. Abbiamo contatti fraterni ed intensi con Movimenti Gandhiani nel sud di questa immensa nazione. A Mumbai un profondo dialogo è nato con professori dell’Università Somaiya e dell’Istituto Culturale Indiano. Più recentemente è incominciato un rapporto con un Movimento molto grande, Swadhyaya, che ha gli stessi scopi nostri dell’unità nella diversità e la fratellanza. Un anno fa, abbiamo anche tenuto un primo Simposio indù-cristiano. L’atmosfera che si è creata è stata così bella e alta che abbiamo potuto partecipare loro tante verità della nostra fede. L’impressione che ne abbiamo avuto è che ci si spalanca davanti un orizzonte che non immaginavamo. Pochi mesi or sono, sono tornata in India e abbiamo potuto continuare questo dialogo a livello della spiritualità che – a dire delle autorità della mia Chiesa – “è il culmine delle diverse forme di dialogo e risponde alle più profonde attese degli uomini di buona volontà” . Abbiamo ora in programma altri Simposi simili, buddista-cristiano e islamo-cristiano. Per l’espansione universale del nostro Movimento siamo in contatto con tutte le principali religioni del mondo e sono circa 30.000 i membri di queste che condividono, sempre come è loro possibile, la spiritualità e gli scopi del Movimento. Come dialogare? Il nostro dialogo interreligioso ha avuto un’evoluzione così rapida e feconda perché l’elemento decisivo e caratteristico è stato quell’arte di amare di cui ho parlato prima. Nel clima di amore reciproco che l’attuazione della regola d’oro suscita, si può infatti stabilire il dialogo con i propri partner, dialogo nel quale si cerca di farsi nulla per “entrare”, in certo modo, in loro. “Farsi nulla” o “farsi uno” con gli altri, il che è sinonimo. In queste due semplici parole, alle quali ho già accennato, sta il segreto di quel dialogo che può generare l’unità. “Farsi uno”, infatti, non è una tattica o un modo di fare esterno; non è solo un atteggiamento di benevolenza, di apertura e di rispetto, o un’assenza di pregiudizi. È tutto questo, sì, ma con qualcosa di più. Questa pratica del “farsi uno” esige che si tolga dalla nostra testa le idee, dal cuore gli affetti, dalla volontà ogni cosa, per immedesimarci con l’altro. Non si può entrare nell’animo di un fratello per comprenderlo, per condividere il suo dolore o la sua gioia, se il nostro spirito è ricco di una preoccupazione, di un giudizio, di un pensiero… di qualsiasi cosa. Il ‘farsi uno’ esige spiriti poveri, poveri in spirito per essere ricchi d’amore. E questo atteggiamento importantissimo e imprescindibile ha un duplice effetto: aiuta noi ad inculturarci nel mondo degli altri, venendo così a conoscere la loro cultura ed il loro linguaggio, e predispone gli altri ad ascoltare noi. Abbiamo notato, infatti, che, quando qualcuno muore a se stesso, proprio per “farsi uno” con gli altri, essi rimangono colpiti e chiedono spiegazioni. Possiamo passare così al “rispettoso annuncio” dove, per lealtà davanti a Dio, per quella verso se stessi, ed anche per sincerità davanti al prossimo, diciamo quanto la nostra fede afferma sull’argomento di cui si parla, senza con ciò imporre nulla all’altro, senza ombra di proselitismo, ma per amore. Ed è il momento in cui, per noi cristiani, il dialogo sfocia nell’annuncio del Vangelo. Il nostro lavoro con tanti fratelli e sorelle delle grandi religioni e la fraternità che sperimentiamo con essi ci ha convinto che il pluralismo religioso dell’umanità può perdere sempre più la sua valenza negativa come fomite di divisioni e di guerre per acquistare, nella coscienza di milioni di uomini e donne, il sapore di una sfida: quella di ricomporre l’unità della famiglia umana, perché in tutte le religioni è, in qualche modo, presente e attivo lo Spirito Santo, non solo nei singoli membri ma anche all’interno di ogni tradizione religiosa. Parlando del meraviglioso avvenimento di Assisi, Giovanni Paolo II lo ha definito “manifestazione mirabile di quell’unità che ci lega al di là delle differenze e divisioni.” . Riempiamo, allora, il nostro cuore dell’amore vero. Per esso tutto possiamo sperare in ordine all’unità fra i fedeli delle grandi religioni e alla fraternità vissuta da tutta l’umanità. Grazie del loro ascolto. Che Dio ci abbracci tutti col suo amore». Chiara Lubich (altro…)

Iniziative e cambiamento

L’ex-presidente della Croce Rossa Internazionale è oggi presidente della Fondazione svizzera “Caux – Iniziative e Cambiamento” nonché dell’associazione internazionale Iniziative e Cambiamento. Tutti e due sono emerse dal preesistente Gruppo di Oxford e sono, nelle parole di Sommaruga, “come il Movimento dei Focolari, un prodotto della Seconda Guerra Mondiale”.

Nel 1938, quando gli Stati si preparavano alla guerra, il fondatore del Movimento, Frank Buchmann, invitò a un “riarmo morale e spirituale” per “un mondo senza odio, paura e avarizia”. Dopo la fine della guerra il Movimento sostenne sotto il nome di “Riarmo Morale (MRA)” il processo di riconciliazione dei vecchi nemici, primi tra tutti Germania e Francia. Oggi “Iniziative e Cambiamento” consiste di una rete di persone delle più diverse culture, religioni e generazioni, che si sono impegnate nel processo sempre necessario del “rinnovamento del mondo”. A Caux, sopra Montreux (VD) ogni anno a “Caux-Palace” si svolgono vari seminari su diversi temi. Quest’anno, fra l’altro, “Dal conflitto alla comunione”, “Il fattore spirituale-religioso in una società laica”, “Iniziative di pace”, e “Sicurezza umana per la prevenzione dei conflitti”. A cura di Beatrix Lederberger-Baumer per l’agenzia KIPA, 3 agosto 2003 (altro…)

luglio 2003

Dell’albero ammiriamo fronde e fiori e ne attendiamo i frutti, ma vi sono le radici da cui l’albero trae vita. Così è di ognuno di noi. Siamo chiamati a donare, ad amare, a servire, a creare rapporti di fraternità, a lavorare per costruire un mondo più giusto. Ma occorrono le radici, ossia la vita interiore dell’unione con Dio, il nostro personale rapporto d’amore con lui che motiva e alimenta la vita di comunione fraterna e l’impegno nel sociale.
È ugualmente vero che l’amore verso l’altro nutre a sua volta l’amore per Dio e lo rende più vivo e concreto, così come è vero che la luce e il calore, attraverso le foglie, irrobustiscono le radici. Amore di Dio e amore del prossimo sono espressioni di un unico amore. Vita intima e vita esterna sono l’una dell’altra radice.
La Parola di vita scelta per questo mese ci invita tuttavia a coltivare con particolare cura la vita intima, soprattutto mediante il raccoglimento, la solitudine, il silenzio, così da andare in profondità nel rapporto personale con Dio. Anche a noi Gesù ripete quello che disse un giorno ai suoi discepoli vedendoli affaticati per il molto donarsi agli altri:

«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’»

Gesù stesso ogni tanto si allontanava dalle sue molte occupazioni. C’erano malati da guarire, folle da istruire e da sfamare, peccatori da convertire, poveri da aiutare e da consolare, discepoli da guidare… Eppure, benché tutti lo cercassero, egli sapeva ritirarsi, fuori dall’abitato, sulla montagna, per stare solo col Padre. Era come se tornasse a casa. Nel suo colloquio personale e silenzioso trovava le parole che avrebbe poi detto alla sua gente, comprendeva meglio la sua missione, riprendeva le forze per affrontare il nuovo giorno. Così vuole che facciamo anche noi:

«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’»

Non è facile fermarsi. A volte siamo presi dal vortice del lavoro e delle attività, come in un ingranaggio di cui abbiamo perduto il controllo. La società ci impone spesso un ritmo di vita frenetico: produrre sempre di più, avanzare nella carriera, primeggiare… Non è facile affrontare la solitudine e il silenzio fuori e dentro di noi; eppure sono condizioni necessarie per ascoltare la voce di Dio, per confrontare la nostra vita con la sua Parola, per coltivare e approfondire il rapporto d’amore con lui. Senza questa linfa interiore rischiamo di girare a vuoto e il nostro molto daffare può rimanere infruttuoso.
Ecco allora la necessità di periodi, se pur brevi, di riposo fisico e mentale anche per evitare lo stress. A volte ci sembrerà di perdere tempo, eppure anche in questo dobbiamo fidarci dell’invito di Gesù:

«Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’»

Gesù si portò i discepoli in disparte perché stessero con lui e in lui trovassero riposo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. (…) e troverete ristoro per le vostre anime» . Il miglior riposo è prendersi il tempo per “stare” con Gesù, vivere in grazia, nell’amore, lasciandosi plasmare e guidare dalla sua Parola. Specialmente prima della preghiera, momento privilegiato dello “stare con lui”, è bene staccarsi da tutto, riposare un po’, raccogliersi, entrare nel segreto e nel silenzio della nostra stanza interiore. Non dobbiamo misurare il tempo nella preghiera. Lì più ne perdiamo più ne guadagniamo. Sarà come un tuffarci nell’unione con Dio e troveremo la pace. Potremo così arrivare al colloquio ininterrotto con lui, ad un raccoglimento costante, anche al di là del tempo riservato alla preghiera. È la mia esperienza di tanti anni.

Una volta scrissi:

“… Signore!
Nel cuore ti tengo
è il tesoro che deve informar le mie mosse.
Tu seguimi, guardami, è tuo
l’amare: gioire e patire.
Nessuno raccolga un sospiro.
Nascosta nel tuo tabernacolo
vivo, lavoro per tutti.
Il tocco della mia mano sia tuo,
sol tuo l’accento della mia voce..
.”.

Pure quando non ci è possibile allontanarci dal chiasso e dal vortice del mondo che ci circonda, possiamo andare in fondo al cuore, in cerca di Dio, ed egli è sempre lì. Basterà a volte dire: “E’ per te, Gesù”, prima di ogni attività o di un incontro. È anche questo un modo per ritirarsi un po’ in disparte e dare a tutto un motivo, un’intonazione soprannaturale. E offrirgli ogni dolore, piccolo o grande.
La comunione con lui si perfezionerà. Anche il fisico ne troverà beneficio e sarà possibile tornare rinfrancati alla nostra attività, e amare con maggiore slancio.

Chiara Lubich

(altro…)

Il dialogo: chiave di volta per costruire l’unità

Il dialogo: chiave di volta per costruire l’unità

“Il cristianesimo, nonostante la crisi spirituale in cui versa oggi la civiltà umana, è capace di rinnovarsi continuamente”. In queste parole del Rettore dell’Università Statale slovacca di Trnava, Prof. Peter Blaho, è racchiuso il significato più profondo della solenne cerimonia svoltasi questa mattina non nell’Aula Magna dell’Ateneo, ma nella grande sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo, dove le massime autorità accademiche dell’Università hanno conferito a Chiara Lubich la laurea honoris causa in Teologia.

Sul palco campeggiavano le bandiere slovacca, europea e italiana. Un’immagine eloquente. La Slovacchia infatti è tra i 10 Paesi che entreranno in Europa nel maggio 2004. Dagli interventi emergevano le radici cristiane, tuttora vitali, della cultura slovacca che ha dato vita all’Università di Trnava, nel lontano 1635. Le parole del Decano della Facoltà di Teologia, prof. Ladislav Csontos, che ha promosso questo riconoscimento, rivelavano l’eroismo vissuto sotto il regime comunista sia dai docenti dell’Istituto di teologia – fondato dai gesuiti, poi inglobato dal 1992 nell’Università di Trnava – sia dagli studenti, per lo più sacerdoti e religiosi ordinati clandestinamente. E’ emersa l’intensa attività che ha permesso, nonostante il regime, di alimentare gli studi con gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Di qui lo stile di dialogo assunto dalla facoltà a tutti i livelli: nelle attività didattiche, con seminari scientifici interdisciplinari, con conferenze e pubblicazioni.

“Per questi motivi – ha detto il decano, che ha delineato la figura e l’opera della neo-laureata – la teologia dell’unità e del dialogo di Chiara Lubich è molto vicina alla nostra facoltà e il suo contributo è per noi il motivo principale per proporre questo riconoscimento”. Ha definito la fondatrice dei Focolari “personaggio-chiave del movimento ecumenico e del dialogo interreligioso”. Ed ha ricordato che “la sua opera si è fatta presente in Slovacchia con il Movimento che aveva messo radici già nei tempi del regime comunista, portando a chi vi ha aderito grande sostegno spirituale e nella vita della Chiesa locale, lo spirito del Concilio Vaticano II”. Il Rettore dell’Università aveva parlato delle “strade” e dei “modelli nuovi” nei rapporti interpersonali aperti da Chiara Lubich, con riflessi innovativi anche nel campo economico, politico e culturale, sulla base del dialogo da lei promosso poggiandosi sul comandamento evangelico dell’amore. “Occorre costruire l’unità del mondo su questo fondamento spirituale – ha affermato – se non vogliamo perire”. Nella sua lezione magistrale, Chiara Lubich ha comunicato le radici profonde di questo dialogo che affondano nella stessa vita trinitaria. Ne ha mostrato il dinamismo: “si manifesta – ha detto – come incondizionato reciproco dono di sé, mutuo annullamento, totale comunione”. Esige un “nulla d’amore”, quel “’non essere’ che rivela l’Essere come Amore”. Ne ha mostrato la forza di trasformazione nella vita della famiglia, nei vari ambiti della società, nella vita della Chiesa, in campo ecumenico e interreligioso.

E’ dunque un intrecciarsi di culture diverse, di carismi antichi e nuovi, quello emerso da questo avvenimento. E avrà una continuità. E’ una promessa solenne richiesta alla neo-laureata di “non far mancare all’Università di Trnava l’autorevole aiuto del suo consiglio, e di continuare a far conoscere la verità nella cui luce è racchiusa la salvezza del genere umano”.

(altro…)

Dalla Slovacchia, laurea h.c. in Teologia a Chiara Lubich

Dalla Slovacchia, laurea h.c. in Teologia a Chiara Lubich

Conferendo il titolo di “doctor honoris causa” alla fondatrice del Movimento dei Focolari, una delle più importanti personalità cristiane del nostro tempo, l’Università di Trnava vuole testimoniare l’orientamento cristiano che la ispira e promuovere nella società slovacca l’apertura al dialogo tra fede e scienza, cultura e politica, perché i conflitti provocati dalle diversità culturali e politiche si compongano in arricchimento e progresso sociale. Questo alto riconoscimento a Chiara Lubich, approvato all’unanimità dal Senato accademico, è stato proposto dalla Facoltà di Teologia per la profonda consonanza tra i valori da lei incarnati e la tradizione dell’Universitas Tyrnaviensis, la prima università slovacca, fondata nel 1635, improntata ai valori spirituali e alla libertà di pensiero, attinti alle radici storiche del popolo slovacco, cioè i valori del cristianesimo, della cultura europea e della democrazia.

In questi ultimi dieci anni, l’Università di Trnava, da quando ha ripreso la sua attività, mette in luce quelle personalità che hanno contribuito in modo eccelso allo sviluppo e all’affermazione di questi valori nella società. (dal Comunicato Stampa dell’Università di Trnava)   (altro…)

Io sono ateo, ma tu devi essere matto

Un giorno viene a trovarmi un amico che mi confida un grosso dolore: i suoi genitori sono sull’orlo del divorzio, in seguito a una sbandata del papà durante un viaggio di lavoro all’estero. Oltre al dolore di vedere venir meno l’amore tra i suoi genitori, gli risulta insopportabile il pensiero che qualcun altro deciderà con quale genitore dovrà andare a vivere, separandosi così dall’unico fratello al quale è oltremodo affezionato.

Sono coinvolto in quella situazione e provo una profonda tristezza che non riesco ad allontanare. Per di più il mio amico non è credente e temo di peggiorare la situazione parlandogli di Dio. Rischierei di non essere capito. Ma come cristiano sento di dover trasmettere a tutti l’amore di Dio, spingendomi oltre ogni confine. Finalmente, con questa luce che rischiara le tenebre, riesco a riconoscere in C. il volto di Gesù crocifisso e abbandonato, e trovo la forza di dirgli: “Io, da cristiano, donerei a Dio il mio dolore; rimetterei il problema nelle sue mani, perché la sua volontà possa compiersi bene, con la fiducia che qualsiasi cosa mi riserverà il futuro, sarà il meglio per me“. La sua risposta è stata: “Io sarò ateo, ma tu devi essere proprio matto! “. Non mi perdo d’animo e insisto: “Coraggio, vale la pena provare; di’ semplicemente a Gesù: ‘Questo dolore lo metto nelle tue mani’; e poi sta sereno in attesa che gli eventi maturino“. Prima di tornare a casa, gli dico che può telefonarmi in ogni momento, se ha bisogno d’aiuto. Quando se ne va, la tempesta del suo cuore non è certamente placata. Il giorno successivo, con mia grande gioia, mi telefona dicendo di essersi trovato, costretto dalla disperazione, a donare a Dio il suo dolore. Lo sento più sollevato. Dopo altri due giorni, ricevo una seconda telefonata nella quale mi dice che non ci sarà né la separazione dal fratello, né il divorzio. La mamma ha trovato al forza di perdonare il papà e si sono riconciliati. S.D. – Italia – da I fioretti di Chiara e dei Focolari Ed. San Paolo (altro…)

giugno 2003

Sono le parole che Gesù risorto rivolge agli apostoli prima di salire al Cielo. Aveva compiuto la missione che il Padre gli aveva affidato: era vissuto, morto e risorto per liberare l’umanità dal male, riconciliarla con Dio, unificarla in una sola famiglia. Ora, prima di tornare al Padre, affida ai suoi apostoli il compito di continuare la sua opera e di essergli testimoni nel mondo intero.
Gesù sa bene che l’impresa è infinitamente al di sopra delle loro capacità, per questo promette lo Spirito Santo. Quando lo Spirito scenderà su di loro a Pentecoste trasformerà i semplici e timorosi pescatori di Galilea in coraggiosi annunciatori del Vangelo. Niente potrà più fermarli. A quanti vorranno impedire la loro testimonianza, risponderanno: “Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”.

Attraverso gli apostoli, Gesù affida il compito della testimonianza alla Chiesa intera. E’ l’esperienza della prima comunità cristiana di Gerusalemme che, vivendo “con letizia e semplicità di cuore”, ogni giorno attirava nuovi membri . E’ l’esperienza dei membri della prima comunità dell’apostolo Giovanni, che annunciavano ciò che avevano udito, ciò che avevano veduto con i loro occhi, ciò che avevano contemplato e ciò che le loro mani avevano toccato, ossia il Verbo della vita…
Con il battesimo e la cresima anche noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo che ci spinge a testimoniare e annunciare il Vangelo. Anche a noi Gesù assicura:

«Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su voi…»

E’ lui il dono del Signore risorto. Abita in noi come nel suo tempio e ci illumina e ci guida. E’ lo Spirito di verità che fa comprendere le parole di Gesù, le rende vive e attuali, innamora della Sapienza, suggerisce le cose che dobbiamo dire e come dobbiamo dirle. E’ lo Spirito d’Amore che infiamma del suo stesso amore, rende capace di amare Dio con tutto il cuore, l’anima, le forze, e di amare quanti incontriamo sul nostro cammino. E’ lo Spirito di fortezza che dà il coraggio e la forza per essere coerenti con il Vangelo e testimoniare sempre la verità. Soltanto con il fuoco dell’amore che egli infonde nei nostri cuori possiamo adempiere la grande missione che Gesù ci affida:

«(…) mi sarete testimoni (…)»

Come testimoniare Gesù? Vivendo la vita nuova che egli ha portato sulla terra, l’amore, e mostrandone i frutti. Debbo seguire lo Spirito Santo che, ogniqualvolta incontro un fratello o una sorella, mi fa pronta a “farmi uno” con lui o con lei, a servirli alla perfezione; che mi dà la forza di amarli se in qualche modo nemici; che mi arricchisce il cuore di misericordia per saper perdonare e poter capire le loro necessità; che mi fa zelante nel comunicare, quando è l’ora, le cose più belle del mio animo…
Attraverso il mio amore è l’amore di Gesù che si rivela e si trasmette. E’ un po’ come una lente che raccoglie i raggi del sole: avvicinando ad essa uno stelo, questo si accende perché, col concentrarsi dei raggi, la temperatura diventa più forte. Se invece si mette direttamente lo stelo di fronte al sole, questo non si accende. Così è a volte per le persone. Di fronte alla religione sembrano rimanere indifferenti, ma a volte – perché così Dio vuole – di fronte ad una persona che partecipa dell’amore di Dio, si accendono, perché essa fa da lente che raccoglie i raggi e accende e illumina.
Con e per quest’amore di Dio in cuore si può arrivare lontano, e partecipare a moltissime altre persone la propria scoperta:

«(…) fino agli estremi confini della terra»

I “confini della terra” non sono soltanto quelli geografici. Essi indicano anche, ad esempio, persone vicine a noi che non hanno avuto ancora la gioia di conoscere veramente il Vangelo. Fin lì deve spingersi la nostra testimonianza.
Vogliamo poi vivere la “regola d’oro”, presente in tutte le religioni: fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi.
Per amore di Gesù ci è domandato di “farci uno” con ognuno, nel completo oblìo di sé, finché l’altro, dolcemente ferito dall’amore di Dio in noi, vorrà “farsi uno” con noi, in un reciproco scambio di aiuti, di ideali, di progetti, di affetti. Solo allora potremo dare la parola, e sarà un dono, nella reciprocità dell’amore.
Che Dio ci faccia suoi testimoni davanti agli uomini affinché in Cielo, Gesù – come ci ha promesso – testimoni di noi davanti al Padre suo.

Chiara Lubich
 

(altro…)

Kirchentag ecumenico

Kirchentag ecumenico

Presso il monumento simbolo di Berlino, la porta di Brandeburgo, si è aperto, giovedì 28 maggio, il primo Kirchentag ecumenico nazionale, con una liturgia principale presieduta dall’arcivescovo cattolico, cardinale Georg Sterzinsky, e dal vescovo luterano della città e del Land Brandeburgo, Wolfgang Huber. L’evento è storico. Per il luogo, per le dimensioni, per la spinta ecumenica dal basso che i quasi 200mila partecipanti vogliono dare. Presenti le massime autorità: dal presidente federale Johannes Rau al cancelliere Gerhard Schroeder, al sindaco Klaus Wowereit. Molto significativo quel che accade già un’ ora prima della liturgia. Aprendo il programma il presentatore dice: “Finalmente, finalmente, il momento tanto desiderato …”. Non può continuare, perché dalla folla si alza un grido di giubilo quasi una esplosione dei desideri di tutti, delle attese, delle speranze, dei dolori passati … “Il tempo era maturo”, è il pensiero che passa per la mente, vedendo la gente attorno ed ascoltando questo grido di gioia. Quando poi inizia la liturgia si alternano momenti di gioia, di entusiasmo, con un profondissimo raccoglimento. È ben presente la consapevolezza che il centro di tutto è Cristo stesso.

Johannes Rau, Presidente della Germania sottolinea l’importanza di un tale evento nella terra da dove è partita la riforma: “Ciò che accade qui in questi giorni è importante per tutta la società, molto oltre le Chiese cristiane.” Interrotto da tanti applausi il messaggio del Papa, tenuto in un linguaggio proprio “evangelico”: “Il Kirchentag deve diventare un grande segno ecumenico per il fatto che la comunione nella fede è più forte e più importante di quanto ci divide ancora.” Incoraggia poi ad alzare insieme la voce in difesa dei valori della famiglia e della vita. Poi passa alle sofferenze che ci sono ancora per la mancante unità tra i cristiani. “È necessario ripensare alla base della nostra fede. Sono contento che l’ Ökumenischer Kirchentag riprende ‘l’anno della Bibbia’ (iniziativa ecumenica di quest’anno in Germania). Vi incoraggio a pregare con la Bibbia, a leggere e meditare la parola di Dio ed a interpretare la nostra vita dal messaggio che Dio ci ha rivelato ed che è stato tramandato dalla comunità dei fedeli attraverso i secoli.” Sottolinea la necessità di conversione come condizione all’ecumenismo:“Dio vuole che siamo uno, affinché il mondo creda!”, e incoraggia a continuare tutti gli sforzi sul cammino ecumenico “con sensibilità e rispetto, con pazienza e coraggio, rispettando la verità e con autentico amore.” E conclude: “Se vi mettete insieme sotto la benedizione di Dio, allora potrete diventare ancora di più benedizione: gli uni per gli altri e per il mondo, soprattutto dove esso soffre ed è straziato.” Prende poi la parola Gerhard Schröder, cancelliere della Germania: “Nonostante la secolarizzazione, partirà un segnale da Berlino in questi giorni: la Chiesa è viva, è vitale. Ed è attraente soprattutto per giovani.” La folla passa per il Brandenburger Tor. Tanti esprimono la speranza che questo sia un atto simbolico per far crollare anche quel muro invisibile che divide ancora le nostre Chiese. La sera segue una grandissima festa per le strade del centro di Berlino organizzato dalle parrocchie ed altri gruppi, movimenti ed associazioni.. I cristiani sembra prendano possesso di questa città. E si mostrano in una veste moderna, giovanile, attraente, gioiosa, aperta … Proprio un cristianesimo che può ritornare di moda! Il motto e i 4 campi di interesse Il motto scelto per questi giorni, “Siate una benedizione”, viene approfondito anche nei quattro “campi di interesse” della Giornata Ecumenica delle Chiese: 1. Mostrare la fede – vivere in dialogo 2. Cercare l’unità – incontrarsi nella diversità 3. Rispettare la dignità umana – custodire la libertà 4. Vivere nel mondo – agire con responsabilità Ciascuno di questi “campi di interesse” comprende un grande numero di incontri, preghiere, tavole rotonde, conferenze principali e iniziative varie. Un libretto di 720 pagine illustra il vasto programma di quei giorni. (altro…)

La partecipazione del Movimento dei Focolari

Venerdì 30 (dalle 10.30 alle 12.30, Haus am Köllnischen Park, Sala 1, Am Köllnischen Park 6-7): “Verso una Spiritualità ecumenica” – Esperienze del Centro Ecumenico di Vita di Ottmaring. Oltre ad alcuni abitanti di Ottmaring, partecipano anche: Aldo Giordano, Segretario Generale del Consiglio della Conferenza Episcopale europea; Antje Heider-Rottwilm, Oberkirchenrätin (vescovo della chiesa evangelica), Hannover; Stefan Tobler, teologo riformato Sabato 31 (dalle 9 alle 10 – ICC, sala 1): lettura biblica su Gen. 1,26-2,3 Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari Tavola rotonda, dalle 14,30 alle 17,30, dal titolo: “Ecumenismo mondiale: cosa possiamo imparare dalle esperienze ecumeniche di altri Paesi?” (Fiera, Sala 9, padiglione 22) Tra i progetti presentati: “L’economia di Comunione” Incontro tra movimenti evangelici e cattolici: “La grazia dell’unità e il dono della diversità” organizzato dalla comunità tedesca del Rinnovamento dello Spirito e dal Movimento dei Focolari, dalle 14 alle 17 (Basilica di San Giovanni, Lilienthalstrasse 5, Kreuzberg) Centro di spiritualità Nel Centro di spiritualità, situato nei padiglioni 6 e 7, si può scoprire la diversità delle antiche e nuove spiritualità cristiane. Le nuove comunità ecclesiali si trovano nella sala 6.2b; fra esse: la Comunità dell’Arche di Regensburg, la Comunità Casteller Ring, Christusbruderschaft (Comunità di Cristo, comunità evangelica), il Movimento dei Focolari. Spettacoli Il Gen Rosso, giovedì 29 e venerdì 30, alle ore 21, presenta il Musical “Streetlight” nella sala 9, padiglione 22.

(altro…)

Ha dato la vita per suo fratello

“Ha dato la vita per suo fratello”. Così i giornali intitolavano il tragico episodio della morte di don Nelson. E così è stato. Era parroco, direttore spirituale del seminario e cappellano dell’ospedale di Armenia, in Colombia. Una nipote che lavorava come sua segretaria racconta: “E’ morto vivendo la Parola del Vangelo: dare la vita per i fratelli. Lui sempre ci diceva che dovevamo vivere per gli altri, non per noi stessi”. I ladri, entrati nella canonica, avevano rinchiuso Nelson in un bagno per non essere disturbati. Suo fratello, sposato con figli, abita a meno di 200 metri dalla canonica. Qualcuno lo avvisa che in parrocchia sta succedendo qualcosa di strano, ed entra di nascosto da una porta secondaria: subito si è visto la pistola puntata. Nelson, sentendo suo fratello, approfitta della confusione, forza la porta del bagno e mettendosi in mezzo tra essi e il fratello dice ai ladri: “Non fategli male!”. I ladri sparano e lo prendono in pieno petto. Era il mattino del 22 marzo. Il giorno dopo, malgrado una bufera tropicale violentissima, la cattedrale era strapiena di gente che piangeva Nelson per l’amore da lui ricevuto. Un amore frutto di una maturità profonda e di una volontà costante, provata fin dai primi anni di vita. Ripercorriamo a grandi tratti la sua storia, attraverso gli stessi ricordi di don Nelson, raccolti qualche anno fa da un’intervista di Città Nuova durante un suo soggiorno in Italia per studiare pastorale sanitaria: «In famiglia eravamo in sette e vivevamo del lavoro di papà, un contadino. Eravamo molto poveri, ma ci affidavamo a Dio e quel po’ che avevamo eravamo lieti di condividerlo con chi aveva più bisogno di noi. Ricorderò sempre un certo melo del nostro orto i cui frutti, saporosissimi, ci erano vietati, essendo riservati esclusivamente agli ammalati della parrocchia». Per Nelson la povertà così vissuta, evangelicamente, si è tramutata in una scuola di vera umanità. Più difficile invece il suo rapporto con la malattia, con cui pure ha dovuto precocemente prendere confidenza: «Avevo sei anni quando, a causa di un virus che attacca il sistema nervoso centrale, sono rimasto paralizzato agli arti per diversi mesi. E’ un male sempre in agguato, che costringe a stare sotto cura continua. Con gli anni si sono aggiunte altre malattie e ho avuto ben quattro interventi agli occhi. Ne so qualcosa quindi di medicine, di terapie, di degenze ospedaliere. Ma allora, essendo così giovane, non capivo gran che il senso di questa sofferenza, che mi impediva di vivere come gli altri miei coetanei, e ne ero piuttosto spaventato». Fidanzato e con la prospettiva di formarsi una famiglia, si sente invece chiamato ad una donazione più universale. Capisce che forse la sua strada è un’altra. Così a 21 anni decide di farsi prete. Nei primi anni di seminario, a Manizales, la salute non sembra creargli problemi. Senonché, finiti gli studi di filosofia e all’inizio dell’anno di esperienza pastorale, un nuovo attacco del suo vecchio male lo costringe in ospedale, paralizzato: «Anche se i medici mi assicuravano che mi sarei ripreso e avrei potuto condurre una vita normale, sono piombato nella crisi più nera: vedevo tutto il mio futuro compromesso». Proprio in questo frangente, grazie ad un sacerdote amico che vive la spiritualità dei Focolari, approfondisce un aspetto della passione di Cristo: il suo abbandono in croce. Identificandosi in lui, riconoscendolo in ogni dolore personale ed altrui e accogliendolo, per amore, nella propria vita, sperimenta una vera rinascita interiore: “Ogni sofferenza fisica e morale ha preso senso per me: di qui una forza interiore insolita, un senso di pace e addirittura di gioia. Avevo scoperto il tesoro più prezioso, e anche se non fossi arrivato ad essere prete, non mi sarebbe mancato nulla per realizzarmi come cristiano». Dal 1983 al 1993 si donerà senza risparmio per la diocesi: viceparroco in una grande parrocchia di 10 mila anime, cappellano ospedaliero, formatore nel seminario maggiore di Armenia, alla cui fondazione ha contribuito. Una tappa fondamentale è quando, non senza aver molto esitato, Nelson decide di attuare un vecchio progetto: quello di frequentare presso il Camillianum di Roma un corso di pastorale sanitaria. E’ una scelta ’preparata’ dall’esperienza fatta finora sulla propria pelle, e inoltre va incontro ad una domanda per lui fondamentale: come vivere in modo “sano”, dal punto di vista spirituale, la malattia, e così pure la morte come passaggio da questa vita all’altra? «Da noi non erano molti i sacerdoti preparati in questo campo, e solo il desiderio di poter servire meglio i miei fratelli ammalati mi ha convinto ad affrontare per due anni, nelle mie condizioni, le incognite di una permanenza oltreoceano». Nell’agosto del ’93, ripresosi alquanto, Nelson inizia i suoi studi romani. Ma non è tutto: vivendo assieme ad un prete argentino e ad uno olandese, ha modo di approfondire anche nella pratica quella spiritualità dell’unità che già l’aveva attratto in Colombia. E’ una esperienza che lo affina, abilitandolo ad un apostolato particolare: quello fra gli ammalati di Aids. Non è facile avere a che fare con loro: sono persone di una sensibilità esasperata, che vivono il loro dramma nella piena consapevolezza di cosa le aspetta, e con cui non si può fingere. Ne conoscerà tanti in questo periodo, e con ognuno una parola, un silenzio, la condivisione profonda del dolore, l’aiuto per riconciliarsi con Dio. Tornando in Colombia Nelson, per desiderio del suo Vescovo, si occuperà di pastorale sanitaria a livello diocesano, ma la sua continua donazione non si è fermata lì. Il dare la vita non si improvvisa, e, come in tanti anni di esperienze con persone le più varie, Nelson ci ha salutato con un ultimo eroico atto d’amore.

(altro…)

L’amore di Dio anche dietro una malattia

Negli ultimi tempi mi sono ammalata, e anche in questo, come in tanti altri momenti della mia vita ho trovato l’amore abbondante e generoso di Dio. Per la chemioterapia mi sono caduti i capelli. E’ vero che Gesù ha detto “Avevo fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere…”, ma in questi giorni ho sperimentato pure: “Ero senza capelli e mi avete dato i vostri”. Infatti tre giovani hanno tagliato i loro capelli per farmi una parrucca proprio dello stesso colore dei miei.

Alla malattia si aggiunge anche una difficoltà economica, non solo per l’elevato costo delle cure, ma anche perché non posso più svolgere un lavoro che mi era stato offerto, dare alcune lezioni private extra. Il cuore è in preda alla preoccupazione. Cerco di affidare tutto alla Madonna, e dentro Gesù mi chiede di avere fiducia. Sì, la fiducia che anche questa dolorosa prova fisica, i dubbi, le tentazioni, non sono altro che manifestazioni dell’amore di Dio che purifica il mio agire. La risposta è arrivata dopo pochi giorni: il pagamento della licenza di malattia era più alto del mio normale stipendio, e inoltre mi hanno dato una quota in più per quelle lezioni che non ho potuto dare! Era la prova che rimanendo nel suo amore, vivendo le sue parole, potremo chiedere quello che vogliamo e ci sarà dato, era sentirmi un tralcio innestato nella vera vite. Dentro di me un canto si è innalzato a Lui: “E’ impossibile non credere a te, è impossibile non fare di te l’ideale della mia vita”. G. – Brasile da I Fioretti di Chiara e dei Focolari – San Paolo Editrice – p. 27 (altro…)

Il mio nome sulla lista nera

Nessun burundese dimenticherà mai il 1993. L’assassinio del neo-presidente ha scatenato ancor più l’odio etnico, la rabbia, il desiderio di vendetta, specialmente in noi giovani. E anch’io, come tutti – uomini e donne, bambini e adulti – ho dovuto imparare ad usare il fucile, ma c’era una domanda che mi girava continuamente in testa: come cambiare questa situazione? Un giorno, proprio nel mio villaggio, c’è stato uno scontro fra militari del governo e ribelli: cinquanta i morti. Erano amici, gente che vedevo ogni giorno per strada. Non potevo accettarlo, la vendetta mi pareva l’unica soluzione. Dovevo prendere le armi e combattere per difendere la mia gente. Una domenica, per ripararmi dalla pioggia, mi sono rifugiato in chiesa e mi sono trovato in una sala dove si teneva un incontro sulla Parola di Dio. Invitato da qualcuno a trattenermi, ho iniziato ad osservare le persone: erano diverse dalle altre, raccontavano della loro vita che si intrecciava col Vangelo, parlavano di unità, di fraternità, ma soprattutto la vedevo vissuta tra loro. Ero sconvolto, ma volevo provarci, fare mia la sfida dell’amore. Avevo scelto l’università come banco di prova. In quelle aule, che frequentavo tutti i giorni, le divisioni erano più acute a causa della presenza di giovani di tutte le etnie. Tanti avevano perso i loro parenti in guerra e vivevano di odio e vendetta. Studiare in queste condizioni non era certo facile. Nonostante ciò, ogni mattina entrando a lezione salutavo tutti, anche se qualcuno mi prendeva per matto. Ho subìto accuse, critiche anche dalla mia stessa etnia, ero cosciente di muovermi sulle sabbie mobili, ma non ho cambiato il mio comportamento. Volevo dimostrare che il dialogo è più potente delle armi, che l’amore è la soluzione ai nostri problemi. Anche Gesù aveva passato lo stesso: anch’io come Lui volevo dare la mia vita per un mondo più unito. Fuori dall’università, intanto, con i miei amici non avevamo tempo da perdere: amare significava diffondere una cultura di pace, raccogliere vestiario e cibo per i poveri, organizzare momenti di dialogo, feste, incontri sportivi. Tutto per far vedere che vivere da fratelli è possibile. È stato solo due anni dopo che un mio compagno di facoltà ha trovato il coraggio di confessarmi di aver messo anche il mio nome sulla lista dei nemici da eliminare. È stato il mio comportamento a fargli cambiare idea. Ha buttato via la pistola che portava sempre con sé: aveva deciso di cambiare vita. Jovin, Burundi

(altro…)

Convegno nazionale ’Polo Lionello, casa degli imprenditori’

E’ stata Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari, ad ospitare il 17-18 maggio prossimi, il Convegno nazionale di Economia di Comunione (EdC) dal titolo: “Polo Lionello, casa degli imprenditori” che ha visto la partecipazione di circa 400 tra imprenditori, operatori economici, dipendenti, studenti e professionisti provenienti da tutta l’Italia. Promosso dalla società E. di C. spa, società di gestione del Polo imprenditoriale e dall’Associazione Lionello Bonfanti per una Economia di Comunione, la manifestazione è stata inoltre patrocinata dalla Provincia di Firenze e dal Comune di Incisa in Valdarno.

(altro…)

Cronaca inedita degli interventi di Maria nella storia

Cronaca inedita degli interventi di Maria nella storia

E’ una cronaca inedita che rivela la forza di pace di Maria in atto nella storia dei popoli, nei momenti di più grave sofferenza, quella che il prof. Tommaso Sorgi, direttore del Centro Igino Giordani presenta al Congresso Mariano. Evidenzia “l’efficacia anche politica del maneggiare come arma la corona del rosario”. Un solo esempio: parla di quanto accaduto nelle Filippine pochi anni fa. A metà degli anni ’80, i vescovi lanciano una campagna di preghiera per la propria conversione, necessaria per ottenere dal Cielo la liberazione dalla dittatura di Marcos. Vi aderiscono 5 milioni di Filippini. Il mondo assiste ad un capovolgimento: “Il dittatore parte in esilio e la rivoluzione del rosario libera il popolo, senza spargimento di sangue”. E’ il Magnificat in atto: Maria magnifica il Signore che “disperde i superbi e rovescia i potenti dai troni…”. Il Magnificat, dunque, “può essere assunto come modello dell’agire politico”. E’ la prospettiva aperta dal prof. Sorgi, proprio oggi, quando si fa urgente “capovolgere le categorie fondamentali del potere”. Sorgi propone “il Magnificat come ’magna charta’ sociale”. Ma quella di Maria – precisa – è una “regalità d’amore”, una “regalità materna”. La politica potrebbe così assumere “il calore di un servizio d’amore”, “l’anima” di cui ha “estremo bisogno”.

“I grandi paesi civili e democratici scelgono la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti”. E’ la denuncia forte del prof. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, intervenuto nella seconda giornata del Convegno Mariano internazionale. Pone “un interrogativo che inquieta tutti”: “La guerra sarà di nuovo il futuro del mondo?”. Particolare è la sottolineatura che “la guerra è ancora un’attività in larga parte maschile”. Di qui, il prof. Riccardi mette in luce la forza di pace del “femminile”, mostrando in Maria colei che sotto la croce, “vinta” dalla violenza per l’uccisione del figlio, “nasconde tra le sue lacrime una forza di vita e di speranza” e “non si piega alla logica del vinto e del vincitore, dell’amico e del nemico”. “Il mistero della fede che vediamo in Maria – aggiunge – è che il forte può essere nel debole, il piccolo nel grande, la vita nel corpo della morte”. Oggi “Maria rappresenta la forza della pace in mezzo ai conflitti”. La “sollecitudine materna”, che va incontro alle necessità degli uomini “anche se inespresse”, mostrata da Maria alle nozze di Cana, viene sottolineata da Anna Pelli, con la sua riflessione su questo quadro evangelico, uno dei Misteri della luce che il Congresso sta approfondendo. Questa pagina del Vangelo si trova riflessa nell’esperienza raccontata da Carmen e Maricel. Una famiglia travagliata dal dolore: difficoltà economiche, alcol, droga, tensioni e ripercussioni sui figli, otto. In una baracca alla periferia di Manila. Una storia di resurrezione a partire dalla scoperta dell’amore di Dio e di Maria come modello da imitare. Carmen, la mamma, racconta come la sua vita è cambiata da quando è stata assunta al centro sociale di Bukas Palad e di come ha potuto ricominciare ad amare il marito, che da anni beveva e giocava. Maricel, una dei figli, è uscita dal giro della droga in cui si è trovata per sette anni, ha perdonato il papà – che nel frattempo aveva cambiato vita – e lo ha assistito negli ultimi giorni della sua vita. Un miracolo dell’amore, che si apre adesso verso altre famiglie povere del quartiere, alle quali Carmen e Maricel si dedicano lavorando come operatrici sociali a Bukas Palad.

 Il linguaggio dell’Arte, che oggi ha raggiunto un momento culminante, ha fatto penetrare ancor più profondamente in questo ‘Mistero della luce’, anzi ha portato nel cuore del Vangelo: il coreografo Stefanescu più che rappresentare la festa delle Nozze, ha preferito cogliere il senso più profondo del miracolo dell’acqua che si cambia in vino, simbolo del sangue stesso che Gesù presto avrebbe versato per compiere il più grande miracolo, la Resurrezione.

Un’altra pagina di questo intenso evento mariano è stata segnata dall’apporto dei nuovi carismi alla comprensione vitale di Maria e del Rosario. Si è aperta con la tavola rotonda dei rappresentanti di vari movimenti e comunità ecclesiali: Rinnovamento Carismatico nternazionale, Comunità di Sant’Egidio, Cursillos, Schoenstatt e Legionari di Cristo. “Godevo per la condivisione della testimonianza di tanti carismi, e mi sembrava di vedere Maria presente e viva in ciascuno e in seno alla Chiesa” ha scritto un ’navigatore’ del Paraguay, che ha seguito il Congresso via Internet. E dall’Argentina: “La carrellata degli esponenti dei diversi Movimenti è stata la testimonianza della varietà dei doni che fa bella la Chiesa”.

Nella mattinata, particolarmente profonda la testimonianza di don Pasquale Foresi, cofondatore dei Focolari e primo focolarino sacerdote. Sono emersi il volto del sacerdozio rinnovato dall’impronta di Maria e la fecondità di una vita spesa nella costruzione della sua Opera. (altro…)

Maria, parola di Dio vissuta

Maria, parola di Dio vissuta

“Io non sono d’accordo con gli attentati suicidi”. “Ed io non sono d’accordo con i bombardamenti sulle vostre città”. Due battute tra una giovane palestinese e un soldato israeliano ad un posto di blocco nei Territori palestinesi. E’ una cronaca “rovesciata” quella che viene raccontata dal grande palco nella sala del Centro Mariapoli di Castelgandolfo, dove è in corso il Congresso Mariano Internazionale promosso per l’anno del rosario indetto del Papa. Il suo intento era rilanciare questa preghiera mariana da lui definita “un compendio del Vangelo”, e riportare gli uomini di oggi alla ricerca di pace e di una nuova dimensione dello Spirito, e a “contemplare Cristo con gli occhi di Maria” ed essere come lui “costruttori di pace” e di “un mondo più vicino al disegno di Dio”.

E’ una cronaca, quella offerta dalle molte esperienze, che mostra la potenza del Vangelo capace di disinnescare l’odio con l’amore al nemico. E’ una via obbligata “dopo l’11 settembre, che ci ha messi di fronte a un bivio, e tocca a noi imboccare la via giusta”, come ha detto mons. Pietro Coda. E’ quanto ha testimoniato anche Dieudonné del Burundi: 12 i famigliari massacrati barbaramente, ma non per questo cambia il suo stile di vita. Decide di mettere in atto l’arte evangelica dell’amore anche nei confronti dei militari che sono spesso “senza pietà”: può capitare di incontrarli nel momento in cui si trovano nel bisogno, come è successo con un soldato ubriaco, sull’orlo di un ponte, da lui soccorso. Questo uno squarcio delle testimonianze incastonate nel 1^ dei cinque quadri in programma nel Convegno: i 5 misteri della luce che, insieme alle riflessioni teologiche, aiutano a penetrare nelle varie tappe della vita di Gesù e di Maria. Primo quadro, il Battesimo di Gesù: “E’ l’invito a riconoscere Gesù come figlio di Dio – ha commentato P. Fabio Ciardi – così che possa far annegare nelle acque del battesimo il nostro ‘uomo vecchio’ e farci rinascere a vita nuova, per ritrovarci tutti fratelli e sorelle nel cuore dell’unico Padre”. Come ha evidenziato mons. Domenico Sorrentino, prelato del Santuario di Pompei, tracciando la storia del Rosario, Giovanni Paolo II invita ad un passo in avanti rispetto al passato: “Non si limita ad affidare la pace all’intercessione di Maria, ma la presenta come frutto di questa preghiera che ’è preghiera di pace’, perché facendo contemplare Cristo”, “esercita un’azione pacificante”. Ed è un’esperienza di contemplazione quella che stanno vivendo a Castelgandolfo, non solo le oltre 1500 persone di 70 Paesi presenti in sala, ma che raggiunge i più diversi punti del mondo grazie al collegamento con 11 satelliti messi a disposizione con generosità dall’ Esa, Telepace, l’americana EWTN e la CRC del Canada che hanno permesso a molte TV nazionali e locali e tramite internet di trasmettere l’intero Congresso. 7000 i punti collegati con internet in questo primo giorno. 20.000 le persone calcolate. Solo qualche flash dai molti messaggi e-mail giunti da tutto il mondo: “Impressionante – scrivono da Amersfoort in Olanda – come l’alta spiritualità e la concretezza vadano insieme”. Da Edimburgo: “Stiamo vedendo la trasmissione. E’ piena di luce e ci fa sentire parte di essa”.

La profonda dimensione spirituale di questo evento mariano si annunciava sin dalle prime battute: “Ci soffermeremo sul Rosario che è un ripetuto canto di amore a Maria – ha detto il prof. Giuseppe Zanghì, direttore della rivista Nuova Umanità – ed è anche e soprattutto un aprire gli occhi dell’anima sui misteri della vita del Figlio di Maria. E mentre noi apriremo le nostre menti e i nostri cuori a Gesù, sarà Gesù a parlare di Maria ai nostri cuori e alle nostre menti con quel parlare che non termina in povere parole, ma in creature nuove”.

Uno dei molti aspetti di novità di questo evento mariano: l’apporto della dimensione carismatica alla comprensione vitale di Maria e del Rosario, contributo offerto con questo Congresso, in risposta al particolare messaggio consegnato a Chiara dal Papa in piazza S. Pietro lo stesso 16 ottobre 2002, giorno in cui rilanciava la preghiera del Rosario. Momento culmine, l’intervento di Chiara Lubich che ha comunicato i doni di luce delle origini di quell’Opera, il Movimento dei Focolari, che la Chiesa riconoscerà come “Opera di Maria”. Chiara rivive uno dei momenti più drammatici degli inizi: “Sotto un atroce bombardamento, bocconi a terra, coperta di polvere densa come l’aria, alzandomi da terra, quasi miracolata, in mezzo alle urla dei presenti, calma e piena di pace, ho avvertito d’aver provato nell’anima un profondo dolore mentre ero in pericolo di vita: quello di non poter più recitare, qui in terra, l’Ave Maria”. Più tardi comprenderà: “Quest’ Ave Maria” doveva essere fatta di parole vive, di persone che, quasi altre piccole Maria, dessero al mondo l’Amore”. Quell’Amore che è Gesù stesso che “oggi – ha aggiunto – possiamo ’generare’ spiritualmente, come promette il Vangelo: “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome (nel mio amore, spiegano i Padri) io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Compito, questo, definito come “primario nella società secolarizzata di oggi” dal cardinale Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, durante l’omelia. La fondatrice dei Focolari ha parlato della scoperta del nuovo volto di Maria, “d’una bellezza incomparabile: “tutta Parola di Dio, tutta rivestita della Parola di Dio”, e della chiamata di ogni cristiano a ripetere, come Maria, Cristo, Verità, Parola, con la personalità che Dio ha dato a ciascuno”. Una visione “ricca di conseguenze, ad esempio, nel campo ecumenico”. Mercoledì ne daranno testimonianza appartenenti alle Chiese luterana, evangelica riformata, rumeno ortodossa e copta ortodossa. Elemento ulteriore di novità che continuerà a percorrere tutto l’evento è il posto privilegiato degli spazi artistici: dai canti, alle musiche, alle danze di varie culture, ai brani letterari – da Dante a Sartre – perché di Maria “non si parla, si canta. L’amore fiorisce in poesia” come canta il Gen Verde, su una meditazione di Chiara. (altro…)

maggio 2003

Gesù sta per tornare al Padre. Nella sua morte e nella sua risurrezione, ormai imminenti, si attua la parabola del chicco di grano che, caduto in terra, muore e porta frutto nella spiga. Gesù compie la sua opera: sulla croce si dona comple-tamente (il chicco di grano che muore) e con la risurrezione dà vita ad un’umanità nuova (la spiga fatta di tanti chicchi). Ma Gesù vuole che la sua opera continui nei discepoli: anche loro dovranno amare fino a dare la vita e così generare la comunità. Per questo, parlando con loro nell’ultima Cena, li paragona a tralci di vite chiamati a portare frutto.
Concretamente come essere innestati nella vite? Gesù spiega che rimanere in lui significa rimanere nel suo amore , lasciare che le sue parole vivano in noi , osservare i suoi comandamenti , soprattutto il “suo” comandamento: l’amore reci-proco . In quell’ultima Cena ci ha dato anche il suo corpo e il suo sangue. Lui, in noi e tra noi, continuerà a portare frutto e a compiere la sua opera. Ma se rifiutia-mo questo rapporto d’amore siamo tagliati via:

«Ogni tralcio che in me non porta frutto, [il Padre mio] lo toglie.»

Questa azione drastica del Padre non può non risvegliare il timore di Dio. Non possiamo abusare del suo amore. Proprio perché Dio è Amore, è anche giu-sto. Se taglia è perché costata che il tralcio è già morto, si è condannato da sé stes-so: ha rifiutato la linfa e non porta più frutto. Si può cadere nell’errore di credere che portare frutto significhi attivismo, organizzazione delle opere, efficientismo… e si può dimenticare ciò che veramente vale: essere uniti a Gesù, vivere nella sua grazia, o almeno nella rettitudine della propria coscienza. Allora il Padre taglia via il tralcio perché, al di là delle apparenze, lì non c’è più vita.
Non c’è quindi più alcuna speranza? La vigna del Signore è misteriosa e lui sa anche innestare di nuovo il tralcio tagliato: ci si può sempre convertire, si può sempre ricominciare.

«… e ogni tralcio che porta frutto, [il Padre mio] lo pota perché porti più frutto.»

Da cosa vedrò che porto frutto?
A chiunque agisce bene non possono non arrivare le prove: sono le mani-festazioni dell’amore di Dio che purifica il nostro agire e fa in modo che si arrivi a portare più frutto, esattamente come avviene nella natura con la potatura. Ed ecco i dolori fisici e spirituali, le malattie, tentazioni, dubbi, senso di abbandono da par-te di Dio, situazioni le più diverse che parlano più di morte che di vita. Perché? Forse perché Dio vuole la morte? No, ché anzi, Dio ama la vita, ma una vita così piena, così feconda, che noi – con tutta la nostra tensione al bene, al positivo, alla pace – non potremo mai immaginare. Pota proprio per questo.

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto»

Questa Parola di vita ci assicura che le prove e le difficoltà non sono mai fine a sé stesse, vengono perché possiamo portare “più frutto”. E il frutto non è soltanto la fecondità apostolica, ossia la capacità di suscitare la fede e di edificare la comunità cristiana. Gesù ci indica anche altri frutti. Ci promette che se rima-niamo nel suo amore e le sue parole rimangono in noi, potremo chiedere quello che vogliamo e ci sarà dato , daremo gloria al Padre , avremo la pienezza della gioia .
Vale la pena affidarsi alle mani esperte del Padre e lasciarsi lavorare da lui.

Chiara Lubich

(altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

Più potente delle armi

Costa d'Avorio_1Mi ero trasferita ad Abidijan da alcuni mesi per continuare gli studi, quando è scoppiata la guerra civile nel nostro paese. In poco tempo, tensione e paura hanno preso il sopravvento, insieme a un clima di diffidenza e disperazione generale.

Eravamo tutti chiusi in casa, incollati alla radio che trasmetteva solo bollettini di morte e violenza; si diceva che nei gruppi armati ribelli c’erano anche molti stranieri e questo fatto ha alimentato un odio crescente verso gli immigrati dai paesi vicini. Con gli altri amici con i quali vivo e credo che costruire un mondo unito è possibile abbiamo deciso di non lasciarsi prendere in questa spirale di divisione e odio; Gesù ha detto “Ama il prossimo tuo come te stesso”: era questo il momento di crederci e vivere così per dare il nostro contributo a riportare la pace al nostro popolo. Abbiamo deciso di cominciare dalla zona più povera della città, una bidonville in maggioranza abitata da stranieri – e quindi presi di mira – che vivono quotidianamente in condizioni di emarginazione. Quando siamo arrivati abbiamo trovato cumuli di macerie dappertutto, le case distrutte dall’esercito, la gente terrorizzata, perché sospettata di nascondere armi e ribelli. Cosa potevamo fare per loro? Ancora una volta la risposta l’abbiamo trovata nel Vangelo: “Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me”. Abbiamo avvicinato le persone e cercato di capire di cosa avessero bisogno. Quindi abbiamo raccolto vestiario e cibo e l’abbiamo distribuito. Poi abbiamo fatto conoscere anche a loro la nostra azione mondiale per la pace: il Time out, un minuto di preghiera o di silenzio ogni giorno, diffuso ormai tra migliaia di persone in tutto il mondo. Tanti di loro hanno preso parte anche alle nostre iniziative per la pace ed il responsabile civile del quartiere ci ha detto di aver visto la sua gente riprendere speranza. Ora quella era anche la “nostra” gente: sentivamo di essere ormai un’unica famiglia e la loro vita, il loro dolore è il nostro. Nel dicembre scorso la situazione è precipitata: nella capitale gli scontri si sono fatti violentissimi, i ribelli sono entrati anche in casa di alcuni di noi, distruggendo tutto e malmenando le persone. E per le strade decine, centinaia di morti ogni giorno. Tanti hanno iniziato a fuggire da Man: un esodo interminabile di migliaia di uomini, donne e bambini che avevano poco o nulla con se e nessun posto dove andare. Abbiamo così aperto le porte di Victoria, la cittadella del Movimento dei Focolari in Costa d’Avorio, a quasi 1500 persone che vi si sono rifugiate per diverse settimane. Sapevamo di trovarci proprio sulla linea del fronte tra le milizie ribelli e le truppe governative; ce lo ricordavano quei boati che squarciavano la notte: continue sparatorie e bombardamenti a pochi chilometri da noi ed ogni sera non si sapeva se all’indomani si sarebbe stati ancora vivi. L’elettricità era saltata, il pozzo era inservibile, le riserve di cibo scarseggiavano; l’ospedale della città era stato chiuso. Improvvisiamo un’infermeria in casa di alcuni di noi. C’era un solo medico…, molti i feriti, i malati, le donne in attesa di partorire. Eppure, in mezzo a tutto questo è nato un bambino a cui la mamma ha dato il nome di Marius, per ricordare che è nato sotto la protezione di Maria. Ad ogni ora del giorno e della notte continuavano ad arrivare famiglie, anziani o bambini che cercavano di sfuggire alla “strategia di pulizia” organizzata dai ribelli. Abbiamo anche allestito una mensa, condiviso il riso che ci restava; aperto le nostre case, preparato letti, distribuito indumenti. Una mattina, durante la S. Messa, dieci minuti terribili: rumori di mitragliatrici, esplosioni, sparatorie… Ma nessuno gridava o piangeva, c’era in tutti una grande sicurezza mentre recitavamo, una dopo l’altra, l’Ave Maria. Abbiamo continuato a recitare il rosario giorno e notte, sentivamo fortemente che solo Maria poteva ridonarci la pace. “Anche qui, come dappertutto scarseggia il cibo e non c’è nulla – ci dicevano in tanti – ma si respira un’aria diversa, insieme non abbiamo paura”. Ed era vero, la forza era in quel patto che avevamo fatto: che tutto crollasse, ma non l’amore fra di noi, quello era più potente delle bombe. Quell’amore risanava ferite dentro e fuori, portava a sperare, a perdonare, a trattare gli altri come loro venivano trattati. A fine gennaio un gruppo di ribelli è penetrato nella cittadella, sono stati accolti ed abbiamo dato loro del cibo, un luogo dove lavarsi, una stanza per riposare. Sembrava che questi soldati, alcuni di loro giovanissimi, avvertissero il clima di fratellanza che si respirava tra tutti e, come per miracolo, non si è verificato nessun incidente e non solo: ci hanno offerto la loro protezione. (Colombe, Costa d’Avorio) (altro…)

Più potente delle armi

Mi ero trasferita ad Abidijan da alcuni mesi per continuare gli studi, quando è scoppiata la guerra civile nel nostro paese. In poco tempo, tensione e paura hanno preso il sopravvento, insieme a un clima di diffidenza e disperazione generale.

Eravamo tutti chiusi in casa, incollati alla radio che trasmetteva solo bollettini di morte e violenza; si diceva che nei gruppi armati ribelli c’erano anche molti stranieri e questo fatto ha alimentato un odio crescente verso gli immigrati dai paesi vicini.

Con gli altri amici con i quali vivo e credo che costruire un mondo unito è possibile abbiamo deciso di non lasciarsi prendere in questa spirale di divisione e odio; Gesù ha detto “Ama il prossimo tuo come te stesso”: era questo il momento di crederci e vivere così per dare il nostro contributo a riportare la pace al nostro popolo.
Abbiamo deciso di cominciare dalla zona più povera della città, una bidonville in maggioranza abitata da stranieri – e quindi presi di mira – che vivono quotidianamente in condizioni di emarginazione. Quando siamo arrivati abbiamo trovato cumuli di macerie dappertutto, le case distrutte dall’esercito, la gente terrorizzata, perché sospettata di nascondere armi e ribelli.

Cosa potevamo fare per loro? Ancora una volta la risposta l’abbiamo trovata nel Vangelo: “Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi piccoli, l’avrete fatta a me”. Abbiamo avvicinato le persone e cercato di capire di cosa avessero bisogno. Quindi abbiamo raccolto vestiario e cibo e l’abbiamo distribuito. Poi abbiamo fatto conoscere anche a loro la nostra azione mondiale per la pace: il Time out, un minuto di preghiera o di silenzio ogni giorno, diffuso ormai tra migliaia di persone in tutto il mondo. Tanti di loro hanno preso parte anche alle nostre iniziative per la pace ed il responsabile civile del quartiere ci ha detto di aver visto la sua gente riprendere speranza. Ora quella era anche la “nostra” gente: sentivamo di essere ormai un’unica famiglia e la loro vita, il loro dolore è il nostro.

Nel dicembre scorso la situazione è precipitata: nella capitale gli scontri si sono fatti violentissimi, i ribelli sono entrati anche in casa di alcuni di noi, distruggendo tutto e malmenando le persone. E per le strade decine, centinaia di morti ogni giorno. Tanti hanno iniziato a fuggire da Man: un esodo interminabile di migliaia di uomini, donne e bambini che avevano poco o nulla con se e nessun posto dove andare.

Abbiamo così aperto le porte di Victoria, la cittadella del Movimento dei Focolari in Costa d’Avorio, a quasi 1500 persone che vi si sono rifugiate per diverse settimane.
Sapevamo di trovarci proprio sulla linea del fronte tra le milizie ribelli e le truppe governative; ce lo ricordavano quei boati che squarciavano la notte: continue sparatorie e bombardamenti a pochi chilometri da noi ed ogni sera non si sapeva se all’indomani si sarebbe stati ancora vivi.

L’elettricità era saltata, il pozzo era inservibile, le riserve di cibo scarseggiavano; l’ospedale della città era stato chiuso. Improvvisiamo un’infermeria in casa di alcuni di noi. C’era un solo medico…, molti i feriti, i malati, le donne in attesa di partorire. Eppure, in mezzo a tutto questo è nato un bambino a cui la mamma ha dato il nome di Marius, per ricordare che è nato sotto la protezione di Maria.

Ad ogni ora del giorno e della notte continuavano ad arrivare famiglie, anziani o bambini che cercavano di sfuggire alla “strategia di pulizia” organizzata dai ribelli.
Abbiamo anche allestito una mensa, condiviso il riso che ci restava; aperto le nostre case, preparato letti, distribuito indumenti.

Una mattina, durante la S. Messa, dieci minuti terribili: rumori di mitragliatrici, esplosioni, sparatorie… Ma nessuno gridava o piangeva, c’era in tutti una grande sicurezza mentre recitavamo, una dopo l’altra, l’Ave Maria. Abbiamo continuato a recitare il rosario giorno e notte, sentivamo fortemente che solo Maria poteva ridonarci la pace.
“Anche qui, come dappertutto scarseggia il cibo e non c’è nulla – ci dicevano in tanti – ma si respira un’aria diversa, insieme non abbiamo paura”. Ed era vero, la forza era in quel patto che avevamo fatto: che tutto crollasse, ma non l’amore fra di noi, quello era più potente delle bombe. Quell’amore risanava ferite dentro e fuori, portava a sperare, a perdonare, a trattare gli altri come loro venivano trattati.

A fine gennaio un gruppo di ribelli è penetrato nella cittadella, sono stati accolti ed abbiamo dato loro del cibo, un luogo dove lavarsi, una stanza per riposare. Sembrava che questi soldati, alcuni di loro giovanissimi, avvertissero il clima di fratellanza che si respirava tra tutti e, come per miracolo, non si è verificato nessun incidente e non solo: ci hanno offerto la loro protezione.

(Colombe, Costa d’Avorio)

La forza della preghiera

Mentre ancora increduli assistevamo, davanti al televisore, al precipitare degli avvenimenti a Baghdad, un fax giunto dalla zona calda confermava i fatti. “Ieri eravamo sbalorditi davanti a quello che stava succedendo! Non sapevamo cosa pensare, cosa dire. Abbiamo aspettato che passasse la notte – si temeva qualche brutta sorpresa –, ma stamattina le notizie sono buone a conferma del fatto accaduto ieri: “La caduta del regime Saddam”. Le reazioni sono contrastanti: gioia, delusione, paure… È certo però che poteva andare molto peggio, con vittime e drammi maggiori. Sono le preghiere del papa e di tanti che con lui hanno pregato, che hanno fatto evitare il peggio, salvare la chiesa, i nostri amici e forse molto di più… Con profonda gratitudine e preghiera intensa rimaniamo in Dio solo, Dio amore, Signore della storia, e continuiamo ad affidare a lui e a Maria la sorte di questo popolo e di tutti i popoli”. Erano i nostri amici di Baghdad che volevano tranquillizzarci dando notizie di sé. Un fax che Chiara Lubich stessa chiedeva di diffondere con un suo breve commento: “Se non si può dire proprio che la guerra è finita, certo che – a quanto sembra – siamo a buon punto. E, come sapete, si fanno strada le più varie spiegazioni di questo fatto. La nostra, certissima, è che qui ha vinto la preghiera del Santo Padre, la nostra elevata da tutto il mondo e quella di quanti compongono il “popolo della pace”. Con la gioia in cuore, chiediamo ancora a Dio che non ci siano strascichi dolorosi”. Crollato il regime, resta ancora da compiere quello che per molti, noi compresi, è il lavoro più difficile. Era prevedibile che una schiacciante superiorità tecnologica e il dominio incontrastato dei cieli portassero ad una rapida conclusione delle battaglie campali. Molto meno facile, come stiamo vedendo, è gestire la fase attuale caratterizzata da attacchi di kamikaze, da faide personali, scontri interetnici, disordini e saccheggi come quelli che subito si sono verificati. Gli strascichi penosi di tutte le guerre, insomma. Si prospetta una difficile pace “da vincere”, la cui fase critica – non c’è da farsi illusioni – durerà assai più della guerra. I grandi dubbi, ma potremmo anche dire le grandi certezze che ci rendevano risoluti oppositori della soluzione di forza adottata, sono ancora intatti davanti a noi: il conflitto non ha fatto che accentuare i problemi sul tappeto, in particolare l’incomprensione tra popoli e culture e il persistere delle ingiustizie economiche planetarie. E siamo più che mai convinti che, se ci sarà il coraggio di riflettere, proprio la coscienza degli errori compiuti sia la miglior ricetta per gestire questa nuova fase. Pesano terribilmente sulla bilancia i morti e i danni che ci sono stati, anche se ora più che recriminare, serve ormai contenere questi danni. Ciò non esime dal giudizio, ma lo accantona per agevolare i soccorsi. Lenire le ferite, quelle dei corpi straziati e quelle degli animi, è il primo imperativo. Certo, è difficile parlare di normalità, anche solo immaginarla, ma si deve lavorare per quella. E la prima condizione è ritrovare la concordia fra chi vuole e può portare aiuto. Per cui è essenziale rientrare quanto prima nell’alveo dell’Onu, avendo deposto ogni pregiudiziale che potrebbe portare impedimento al soccorso. Alle motivazioni che sottolineano la nostra distanza dall’ideologia cui sembra essersi ispirato Bush per giustificare l’intervento armato, dedichiamo un approfondimento nello “speciale” che segue. Come pure all’importanza del dialogo interreligioso, indispensabile per la pacificazione dei cuori. Mentre non cessiamo di testimoniare che la nostra prima certezza, fondamento di questo stesso dialogo, è nell’efficacia della preghiera al Padre comune che, anche sotto le bombe, ha viste affollate per giorni e notti moschee e chiese, senza dimenticare le sinagoghe. Un sentire comune, questo, suffragato da centinaia di lettere con migliaia di firme che continuano ad arrivarci da ogni parte del mondo, a testimoniare una mobilitazione davvero planetaria di intercessione a Dio per la pace. Ad essa ora si aggiunge una preghiera di ringraziamento per la fondata speranza che, cessata la guerra, si possa finalmente avviare la fase della pacificazione e della ricostruzione.

(altro…)

Intervista a Chiara Lubich

D. Potrebbe illustrare il significato del titolo del Congresso: “Contemplare Cristo con gli occhi di Maria”? R. Nessuna creatura ha mai conosciuto e mai conoscerà Gesù come Maria perché immacolata, perché sua Madre, perché Vangelo vissuto e, con ciò, altro Gesù. Per vedere, conoscere e contemplare Lui, attraverso gli occhi di lei, occorrerà cercare – come ci è possibile – di imitarla nel suo continuo “sì” alla volontà di Dio, e con ciò di farla, in certo modo, rivivere in noi. D. Qual è il valore di Maria, del rosario e della preghiera nel mondo di oggi? R. Maria e preghiera hanno oggi un valore enorme. Con l’attuale presenza d’un terrorismo nuovo, più terribile, effetto, come è pensiero di molti, forse d’un Male con la M maiuscola, non bastano mezzi normali per combatterlo, ma occorre ricorrere al Bene con la B maiuscola e cioè a Dio ed a ciò che lo riguarda. Di qui l’importanza della preghiera, come s’è fatto ad Assisi, e quindi anche del rosario. In questo mondo poi diviso fra Paesi ricchi e Paesi poveri, che è la causa più profonda del terrorismo, chiamati come siamo ad impegnarci, come non mai, a suscitare solidarietà, condivisione, fraternità per fare sempre più dell’umanità una famiglia, nessuno come Maria, perché madre universale, può darci una mano. D. Cosa rispondere a chi non crede nella preghiera e proprio nella sua efficacia nei fatti della vita? R. Quando qualcuno non crede nella preghiera, in genere è perché ha poca fede in Dio. Occorre perciò aiutarlo a ravvivarla. E qui ci sono molte possibilità a disposizione. Fra esse efficacissima è la testimonianza che noi cristiani diamo, quando ci amiamo reciprocamente. Infatti, all’unità nell’amore è promessa la conversione del mondo. Dice Gesù: “Che siano uno affinché il mondo creda” (cf Gv 17,21). D. Come conciliare Maria con la vita spirituale ed estetica degli artisti? R. Gli artisti tendono al bello. Anzi, ho costatato come per loro – se credenti – il miglior attributo di Dio è la bellezza. Va bene Dio vero, Dio amore, ma meglio ancora Dio bello. E Maria, la “tutta bella”, è, per così dire, l’incarnazione del bello. Di qui il suo rapporto con gli artisti e degli artisti con Lei. E sono realmente attratti da Lei, se l’hanno dipinta, scolpita, cantata in tutti i tempi e in tutte le maniere. D. Qual è stata la genesi del Congresso mariano? R. Tutto è iniziato il 16 ottobre 2002, alla fine dell’udienza del santo Padre di mercoledì, dopo che egli aveva firmato la sua lettera apostolica: Rosarium Virginis Mariae. Fra le 600 persone circa del nostro Movimento, presenti in Piazza San Pietro, c’ero anch’io. E’ stato in quell’occasione che egli mi ha consegnato un lungo messaggio nel quale, fra il resto, si legge: “In questa ricorrenza, vorrei consegnare idealmente ai focolarini la preghiera del rosario. (…) Sono certo che la vostra devozione alla Vergine Santa vi aiuterà a dare il necessario rilievo all’iniziativa di un anno dedicato al rosario”. Da quel momento, in tutto il mondo, sono fiorite le più varie realizzazioni per riproporre a tanti la recita sentita del rosario. Il Congresso mariano è una di queste. D. Potrebbe dire due parole sul programma e sugli interventi durante i tre giorni del Congresso? R. Vi saranno riflessioni sulla lettera apostolica del santo Padre sul rosario e sui nuovi “misteri di luce” con testimonianze di famiglie, politici, religiosi, sacerdoti e giovani. Si terranno due tavole rotonde: una riservata ai responsabili di diversi Movimenti ecclesiali sull’argomento; l’altra con cristiani di altre Chiese che commentano la lettera del Papa. I discorsi saranno intervallati da spazi artistici, molto scelti, per onorare Maria, la tutta bella. Le liturgie eucaristiche saranno presiedute da cardinali o arcivescovi, tra i quali il card. Angelo Sodano, il card. Miloslav Vlk, arcivescovo di Praga, mons. Rylko, segretario del Pontificio Consiglio per i Laici ed altri.

(altro…)

Contemplare Cristo con gli occhi di Maria per essere come Lui costruttori di pace

Contemplare Cristo con gli occhi di Maria per essere come Lui costruttori di pace

Il Movimento dei Focolari ha promosso, dal 28 al 30 aprile 2003 al Centro Mariapoli di Castelgandolfo (Roma), il Congresso Mariano Internazionale “Contemplare Cristo con gli occhi di Maria”, nell’ Anno del Rosario indetto dal Papa in “quest’anno turbato da non poche preoccupazioni per le sorti dell’umanità” perché, “contemplando Cristo con gli occhi di Maria ”diventiamo “costruttori di pace” di “un mondo più vicino al disegno di Dio”.

DIRETTA TELEVISIVA E VIA INTERNET Programma aggiuntivo: interviste e vari filmati www.focolare.org/live La prospettiva evangelica innovativa della lettera del Papa sul rosario e dei Misteri della luce saranno il filo conduttore che percorrerà l’intero Convegno con brevi riflessioni teologiche e testimonianze. L’intento è infatti svelare le ricchezze e le potenzialità di rinnovamento del Vangelo che il rosario propone. Il vescovo di Pompei, mons. Domenico Sorrentino traccerà la storia del rosario attraverso i secoli. LE NOVITÀ   (altro…)

Con una pistola puntata alla testa

Sono medico ginecologo, mamma di sei figli. L’altra sera, prima di partecipare a una riunione di medici, mentre accompagnavo a casa uno dei più piccoli, il bambino esclama: “Mamma, sento così nostalgia di te! Che cosa sarebbe di noi se tu ci mancassi?”. L’ho subito rassicurato. Più tardi, mentre parcheggiavo la macchina all’entrata del poliambulatorio, tre giovani armati mi hanno intimato di scendere. Lì per lì mi è sembrato uno scherzo. Ma un ragazzo, puntandomi la rivoltella al collo, faceva sul serio: “Se non scende, le faccio scoppiare tutte le vene!”. Sono scesa, e mentre uno prendeva il volante, mi sono resa conto che stavano veramente portandomi via. Le parole di mio figlio mi martellavano in cuore. Mi sono ritrovata in un faccia a faccia con Dio e con uno slancio del cuore gli ho detto: “Che importa nella vita? amarti importa”. E ho deciso di rimettermi alla sua volontà di quel momento, per quanto fosse tragica e assurda. Ho pensato che potevano essere i miei ultimi momenti e dovevo viverli bene, soltanto nell’amore. Mi è scesa una gran pace nell’anima. Mi sono interessata a loro come una madre. Volevano soldi e quando hanno saputo che avevo sei bambini ed ero medico, si sono un po’ zittiti. Poi: “Signora, non si preoccupi, non le succederà niente, ritroverà la macchina presto!”. Ad un certo punto, per una divergenza tra loro, si sono aggrediti, discutendo aspramente e minacciandosi con la pistola. Io sono rimasta a testa bassa, evitando di guardarli, pregando per loro, poco più grandi dei miei figli. Finalmente si sono fermati, per lasciarmi a piedi in mezzo alla campagna. Per venti minuti ho camminato cercando un sentiero che mi portasse alla strada asfaltata e ad un telefono: ho chiamato mio marito perché venisse a prendermi. L’avventura era finita! Il giorno dopo ho riavuto la macchina: dentro c’era la borsa coi documenti, soldi, assegni, magnetofono… e nessun graffio alla carrozzeria! T.N. – Brasile da I Fioretti di Chiara e dei Focolari – San Paolo Editrice

(altro…)

La ragazza del capo. Droga, discoteca, vandalismo. Poi l’incidente.

Vent’anni e la convinzione che vivere la mia vita significasse fare tutto ciò che mi piaceva. Un giro di amicizie oltre il limite della legalità: droga, discoteca, teppismo, scontri con la polizia, sete di denaro e di potere, lotte tra bande rivali. Ero la ragazza del capo, e questo mi poneva in una posizione di privilegio e mi faceva sentire importante, capace di manovrare gli altri per raggiungere i miei scopi. Mio fratello aveva iniziato in quel periodo a frequentare dei nuovi amici che subito mi avevano colpito: avevano tra loro un rapporto molto diverso da quello che avevo io con la mia banda e vivevano prendendo sul serio le parole di Gesù. Dio per me non era nessuno e quei ragazzi mi incuriosivano, ma non riuscivo a capirli: li osservavo per poterli più tardi canzonare con i miei amici. Poi, l’incidente: una macchina mi ha travolta mentre, in motorino, andavo in discoteca. Il dramma di un attimo: se la mia vita era conclusa, cosa mi restava in mano? Mi è apparsa, in un lampo, tutta l’inutilità dei miei anni spesi rincorrendo il nulla, che il nulla mi lasciavano. E un flash improvviso: una gita in montagna di tanti anni prima, una persona che mi proponeva di affidare la mia vita a Dio. Era ormai troppo tardi per farlo, oppure Dio aveva accolto quella preghiera? In ospedale, a trovarmi, non è mai venuto nessuno dei miei amici. Invece, è subito arrivata un’amica di mio fratello e mi è rimasta accanto per tutti i giorni della degenza. Con lei, pian piano, è nato un rapporto di amicizia e di stima profonde e ho scoperto che il suo Dio Amore poteva trasformare e arricchire anche la mia vita. “Ama il tuo prossimo come te stesso” ripeteva anche a me Gesù: era una rivoluzione radicale. Nel mio cuore gli ho detto di sì. Ho deciso drasticamente di uscire dal giro in cui si erano impantanati i miei anni. Non è stato facile: minacce a me e alla mia famiglia, e una volta sono stata picchiata. Ma c’erano i miei nuovi amici a sostenermi e l’amore personale di Dio a darmi forza. Mi sentivo rinata e il vangelo mi indicava passo passo la strada da percorrere. Sono stata assunta in un laboratorio di confezioni: tenendo conto della crisi, era un bel lavoro. Ma ho saputo di una ragazza che aveva più bisogno di me di lavorare. “Ama il tuo prossimo come testesso”. Ho proposto al titolare del negozio di assumere lei al mio posto: con mia grande sorpresa, lui non solo ha accettato, ma ha tenuto anche me. Ho poi trovato un lavoro migliore come impiegata in un’azienda. Un giorno, ho saputo che la direzione stava per licenziare alcuni operai per mancanza di lavoro. Sapevo che il mio posto era sicuro, ma non così per altri. Ho iniziato a cercare nuovi appalti, nuovo lavoro, coinvolgendo nella ricerca anche il principale. Siamo riusciti, così, a garantire il lavoro a tutti gli operai. In tante occasioni ho avuto modo di sperimentare l’amore di Dio e ho compreso come lui abbia trasformato la mia vita, dandole un senso. Ho anche capito che era necessario, per non perdermi di nuovo, mantenere un legame strettissimo con chi viveva già questa esperienza del vangelo: l’unità tra noi era sempre più forte e fonte di luce per tanti. In me, questi momenti hanno ravvivato ancora di più il desiderio di spendere bene, per Dio, l’unica vita che ho. E come ho visto bruciate le vite dei miei amici di prima, finiti in prigione o morti per droga o in conflitti a fuoco, così anch’io sento di voler bruciare la mia vita, ma nell’amore. S. F. (Italia)   (altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

Fratellanza come categoria politica: una proposta particolarmente significativa sullo sfondo del conflitto in Iraq

Particolare importanza ha assunto il momento di riflessione politica, svoltosi a Martigny (CH) sabato 22 marzo, sullo sfondo della guerra in Iraq. Lo ha rilevato il sindaco di Mollens, Stéphane Pont, moderatore del Convegno che aveva per titolo: “La sfida per una politica autentica”. Vivo interesse ha suscitato questa iniziativa, promossa da alcuni sindaci, che ha superato le aspettative: vi hanno partecipato oltre 300 politici da tutti i cantoni, impegnati a livello nazionale, cantonale e comunale, alcuni provenienti anche da Francia e Austria, oltre a una delegazione del Consiglio Ecumenico delle Chiese di Ginevra (CEC). Chiara Lubich, che era stata invitata come oratore principale, nel suo intervento ha proposto di assumere la fraternità come categoria politica, più che mai urgente proprio nell’ attuale drammatico contesto internazionale. “La politica è nella sua essenza amore” – ha detto – e rende necessario sviluppare categorie mentali che tengono conto dell’unità fondamentale tra tutti gli uomini, nel pieno rispetto delle differenze. Ed ha concluso lanciando una sfida alla Svizzera: “essendo un piccolo Paese, può diventare per l’Europa un modello di unità nella diversità delle culture e lingue”. “Oggigiorno la politica è spesso estremamente dura. Oggi ci è stata presentata una visione della politica forse un po’ idealistica – ha commentato alla Kipa Christophe Darbellay, membro della direzione dell’Ufficio federale dell’Agricoltura – ma io credo che sia importante avere anche nella vita politica mete e prospettive ideali. L’impulso migliore per un agire politico è un rapporto solido con gli altri e con Dio. Questo ci è stato mostrato oggi”. Lucia Fronza Crepaz, già deputato italiano, ha presentato gli sviluppi del Movimento politico dell’unità nato nel 1996 con lo scopo di incoraggiare l’impegno politico e il dibattito democratico inteso come servizio verso tutta la società e di valorizzare quegli aspetti che contribuiscono alla realizzazione del bene comune, alla fraternità universale”.

Numerose le testimonianze di politici che hanno mostrato con i fatti questa nuova cultura politica. Particolarmente significativa la relazione di Marco Fatuzzo, già sindaco di Siracusa (Sicilia), per l’opera costruttiva che è riuscito ad attuare in collaborazione con le forze di maggioranza ed opposizione a favore dei cittadini in una situazione difficile, complicata a volte da condizionamenti mafiosi.

(altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

Il Movimento Politico per l’unità

A me è chiesto di descrivere sinteticamente la fisionomia del Movimento politico per l’unità oggi, a sette anni dalla sua costituzione. Gli inizi – La data di nascita è per noi il 2 maggio ’96, allorché un gruppetto di politici, di diversi livelli di responsabilità, di partiti diversi, in occasione di un viaggio a Napoli di Chiara Lubich, le chiese se fosse possibile lavorare insieme per i valori pur militando in partiti diversi; se fosse possibile agire in politica secondo la fraternità. Ero tra quei politici e per questo vorrei iniziare testimoniando prima di tutto quale significato e quale novità sia stato per noi. La proposta fu molto forte: metterci in gioco in prima persona per porre i valori eterni dell’uomo e il bene comune, fine vero della politica, prima del nostro essere politici, per attuare la fraternità prima di tutto l’uno verso l’altro, e, alla luce di questo rapporto, agire in politica. Al termine siglammo, tutti insieme, con le nostre firme quell’evento che avrebbe avuto un seguito davvero inatteso. Già in quel primo incontro venne in luce una particolarità che avrebbe caratterizzato il Movimento politico per l’unità: nella sua sfida sono coinvolti tutti i soggetti della politica. Ci sono:

(altro…)

aprile 2003

Gesù è nell’orto degli ulivi, il podere chiamato Getsemani. L’ora tanto attesa è arrivata. È il momento cruciale di tutta la sua esistenza. Si prostra a terra e supplica Dio, chiamandolo “Padre” con confidente tenerezza, perché gli risparmi di “bere il calice” , un’espressione che si riferisce alla sua passione e morte. Lo prega che quell’ora passi… Ma alla fine Gesù si rimette completamente alla sua volontà:

«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»

Gesù sa che la sua passione non è un evento fortuito, né semplicemente una decisione degli uomini, ma un disegno di Dio. Sarà processato e rifiutato dagli uomini, ma il “calice” viene dalle mani di Dio.
Gesù ci insegna che il Padre ha un suo disegno d’amore su ciascuno di noi, ci ama di amore personale e, se crediamo a questo amore e se corrispondiamo col nostro amore – ecco la condizione -, egli fa finalizzare ogni cosa al bene. Per Gesù nulla è successo a caso, neppure la passione e la morte.
E poi ci fu la Risurrezione, la cui solenne festa celebriamo in questo mese.
L’esempio di Gesù, Risorto, deve essere di luce per la nostra vita. Tutto quanto arriva, quanto succede, quello che ci circonda e anche tutto quanto ci fa soffrire dobbiamo saperlo leggere come volontà di Dio che ci ama o una permissione di lui che ancora ci ama. Allora tutto avrà senso nella vita, tutto sarà estremamente utile, anche quello che sul momento ci pare incomprensibile e assurdo, anche quello che, come per Gesù, può farci piombare in un’angoscia mortale. Basterà che, insieme a lui, sappiamo ripetere, con un atto di totale fiducia nell’amore del Padre:

«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»

La sua volontà è vivere, ringraziarlo con gioia dei doni della vita, ma a volte non è certamente quella che si pensa: un obiettivo di fronte al quale rassegnarsi, specie quando ci si imbatte nel dolore, né un susseguirsi di atti monotoni disseminati nella nostra esistenza.
La volontà di Dio è la sua voce che continuamente ci parla e ci invita, è il modo con cui egli ci esprime il suo amore, per darci la sua pienezza di Vita.

Potremmo rappresentarcela con l’immagine del sole i cui raggi sono come la sua volontà su ciascuno di noi. Ognuno cammina su un raggio, distinto dal raggio di chi ci è accanto, ma pur sempre su un raggio di sole, cioè sulla volontà di Dio. Tutti, dunque, facciamo una sola volontà, quella di Dio, ma per ognuno essa è diversa. I raggi poi, quanto più si avvicinano al sole, tanto più si avvicinano tra di loro. Anche noi, quanto più ci avviciniamo a Dio, con l’adempimento sempre più perfetto della divina volontà, tanto più ci avviciniamo fra noi… finché tutti saremo uno.

Vivendo così, nella nostra vita ogni cosa può cambiare. Anziché andare da chi piace a noi e amare solo quelli, possiamo avvicinare tutti coloro che la volontà di Dio ci mette accanto. Anziché preferire le cose che più ci piacciono, possiamo attendere a quelle che la volontà di Dio ci suggerisce e preferirle. L’essere tutti proiettati nella divina volontà di quell’attimo (“ciò che vuoi tu”) ci porterà di conseguenza al distacco da tutte le cose e dal nostro io (“non ciò che io voglio”), distacco non tanto cercato di proposito, perché si cerca Dio solo, ma trovato di fatto. Allora la gioia sarà piena. Basta inabissarci nel momento che passa ed adempiere in quell’attimo la volontà di Dio, ripetendo:

«Non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu»

Il momento passato non è più; quello futuro non è ancora in nostro possesso. È come un viaggiatore in treno: per arrivare alla mèta non cammina avanti e indietro, ma sta seduto al suo posto. Così dobbiamo star fermi nel presente. Il treno del tempo cammina da sé. Dio lo possiamo amare soltanto nel presente che ci è dato, pronunciando il proprio “sì” fortissimo, totalitario, attivissimo alla sua volontà.
Amiamo dunque quel sorriso da donare, quel lavoro da svolgere, quella macchina da guidare, quel pasto da preparare, quell’attività da organizzare, chi soffre accanto a noi.
Neppure la prova o il dolore deve farci paura se, con Gesù, sapremo riconoscervi la volontà Dio, ossia il suo amore per ognuno di noi. Anzi, potremo pregare così:
“Signore, dammi di non temere nulla, perché tutto ciò che succederà non sarà che la tua volontà! Signore, dammi di non desiderare nulla, perché niente è più desiderabile che la tua sola volontà.
Che importa nella vita? La tua volontà importa.
Dammi di non sgomentarmi di nulla, perché in tutto è la tua volontà. Dammi di non esaltarmi di nulla, perché tutto è tua volontà”.

Chiara Lubich

(altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

L’offensiva della pace in atto

Già dall’ottobre scorso, da quando il Papa aveva rilanciato il rosario per la pace e la famiglia, e aveva dato una particolare consegna al Movimento, si era riscoperta e diffusa tra le famiglie, i giovani, i ragazzi la preghiera del rosario. Da quando è scoppiata la guerra, si stanno moltiplicando le iniziative, come raccontano i fax che arrivano da tutto il mondo. Ne riportiamo alcune.

Iniziative ecumeniche e interreligiose NORVEGIA – 23 marzo – Veglia di riflessione sulla pace nella Moschea di Oslo. 600 presenti: adulti e bambini, cattolici, luterani e musulmani. Iniziativa che ha avuto risalto sui media. Vari giornali titolavano: “Nessuna religione sprona all’aggressione. Questa guerra non c’entra con la religione”. Nascerà ora un comitato cristiano-musulmano per dare seguito a questa iniziativa. Diramato via e-mail un messaggio dal titolo “Effetto palla di neve”: “Invece di fare la guerra, vogliamo costruire la pace e la riconciliazione attorno a noi nel quotidiano. Ci impegniamo con atti concreti. Ad esempio: accogliere chi è discriminato; perdonare; non coricarsi prima di essere riconciliati tra marito e moglie; chiedere scusa; evitare di parlare male del prossimo, ma mettere in luce il positivo; collaborare con i colleghi o i capi, invece di mettere i bastoni tra le ruote; sensibilizzare tutti al fatto che l’amore è più potente delle bombe. Ci stai anche tu? ”. FILIPPINE – MANILA, 26 marzo – Serata ecumenica di preghiera con pastori e laici di altre Chiese, in una chiesa metodista. 27 marzo – Serata interreligiosa per la pace con amici di altre religioni: ebrei, musulmani, buddisti. Iniziativa accolta con gratitudine specie dagli amici musulmani. STATI UNITI – CHICAGO – Cena di beneficenza presenti anche amici musulmani, conclusa con un momento di silenzio e con la lettura della preghiera di San Francesco. Scrivono: “Anche se la propaganda televisiva continua ad affermare che tanti sono per la guerra, assicuriamo che tantissimi non condividono queste decisioni politiche e militari e sono innumerevoli le dimostrazioni e le veglie di preghiera per la pace”. TEXAS – Si stanno contattando gli altri Movimenti ecclesiali a Dallas e Austin, membri di altre Chiese cristiane, amici musulmani in varie città: Houston, San Antonio, Dallas, a Denver in Colorado e in Oklahoma, per riflessioni sulla pace. Sono state lanciate catene di recita quotidiana del rosario che copre tutto l’arco della giornata. BELGIO – BRUXELLES – “Battere i tamburi per la pace” – Un’azione promossa dal Movimento da alcuni anni per sensibilizzare i bambini alla non-violenza e alla responsabilità civica, sostenuta dal Ministero dell’educazione e da vari Comuni. Coinvolge ogni anno numerose scuole. Quest’anno, per la drammatica attualità, l’azione ha radunato 60.000 bambini, con echi alla TV locale e su uno dei più importanti quotidiani nazionali. Iniziativa di riflessioni sulla pace davanti alla Basilica del Sacro Cuore, al centro di Bruxelles con rappresentanti di varie Chiese e Religioni. Molti i musulmani. Un momento profondissimo di raccoglimento ripreso da una catena televisiva nazionale. I partecipanti desiderano ripetere questa esperienza allargandola. ALBANIA – LEZHA, 22 marzo – Vari gruppi dalle diverse regioni hanno partecipato ad una marcia per la pace che è partita dalla Chiesa cattolica e si è conclusa alla Moschea. Numerosa la partecipazione di cattolici e musulmani con varie autorità religiose e civili. BULGARIA – SOFIA – In programma, insieme agli amici ortodossi, per sabato 29 marzo, un pellegrinaggio ad un monastero ortodosso dedicato a Maria nelle vicinanze di Sofia. Protagonisti: giovani, ragazzi e bambini Sin dal dicembre 2002, i Giovani per un mondo unito dei Focolari avevano lanciato il “Rosario Planetario”: 10 Ave Maria ogni giorno, o un momento di silenzio per i non credenti, in un orario prestabilito che copre tutto il pianeta con una preghiera continua. In molti Paesi è stato rilanciato il Time-out: ogni giorno 1 minuto di preghiera per la pace alle ore 12. Appuntamento iniziato col 1^ conflitto in Iraq e che coinvolge ogni giorno migliaia di persone nel mondo. AUSTRIA – VIENNA – Da mesi i giovani e i ragazzi del Movimento hanno lanciato l’Operazione “Lifestyle4peace”. Proponendo la “Regola d’oro”: “fa’ agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te”, la promuovono come nuovo stile di vita per la pace. Sono stati coinvolti migliaia di giovani in decine di scuole: raccolgono firme per la pace (finora 10.000), partecipano con le loro esperienze a ’lascia la tua impronta’, (24.000 i messaggi nel nostro sito Internet), si impegnano in concorsi artistici. I premiati dei concorsi faranno da spalla al Gen Rosso che nei giorni prossimi porterà il suo spettacolo con un forte messaggio di fraternità. Questa iniziativa sta avendo ripercussione sui mass media. Prima dei concerti i presidenti delle rispettive regioni a Innsbruck, Graz, Linz e Vienna premieranno i partecipanti ai concorsi. Il patronato del progetto abbraccia politici di tutti gli schieramenti, oltre al cardinale Franz König e al presidente della comunità islamica in Austria, Anas Schakfeh. EGITTO – IL CAIRO – Veglia per la pace organizzata dai giovani dell’Azione Cattolica insieme a quelli del Movimento. Vi ha partecipato il vescovo siriano cattolico, sacerdoti, religiosi, giovani, famiglie, ragazzi. Preghiere canti, esperienze e meditazioni e uno stralcio della lettera del Papa sul Rosario e la pace. Scrivono: “Alla luce delle candele, in 150, abbiamo recitato un mistero del rosario e riproposto a tutti il time-out. In un clima di profonda e solenne preghiera, ogni pensiero, preoccupazione, giudizio cadevano ed erano offerta a Dio con una speranza nuova, credendo nella pace e con l’impegno ad essere operatori di pace”. ITALIA – MILANO – Sabato 22 marzo, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, è stata indetta una marcia silenziosa per le vie della città, per la pace in Iraq e nei 62 Paesi dove sono in atto conflitti. Attraverso testimonianze, è stata proposta la pace come stile di vita: sono intervenuti un giovane algerino musulmano, una ragazza israeliana, un buddista dello Sri Lanka. In una chiesa del centro, è iniziata una staffetta di preghiera insieme ai giovani di vari movimenti e associazioni della diocesi. ITALIA – PALERMO – Sit-In di preghiera promosso dai ragazzi del Movimento, domenica 24 marzo in una grande piazza di Palermo. L’invito è lasciare l’impronta della mano con la firma per la pace su un grande lenzuolo bianco. Momento centrale: pregare insieme in modo nuovo il Rosario, lanciando ad ogni Ave Maria un palloncino in cielo con la scritta “Pace”. Ogni mistero è stato accompagnato da una testimonianza di Vangelo vissuto. ITALIA – CASTELNUOVO VALSUGANA (TRENTO) – Una ragazzina ha sensibilizzato, classe per classe, tutta la sua scuola, coinvolgendo anche i professori e il vicesindaco per una marcia per la pace. A chi le ha chiesto come è riuscita a fare questo, pur essendo timidissima: “Sentivo dentro che dovevo fare qualcosa”. Ed ha aggiunto: “Da due giorni la mia classe è cambiata radicalmente. Ora fra noi siamo tutti uniti”. REPUBBLICA SLOVACCA – BRATISLAVA – Un gruppo di bambine dai 4 ai 6 anni, dopo aver pregato il rosario per la pace, hanno avuto l’iniziativa di inviare al giornale cattolico nazionale una lettera per tutti i bambini. Da Julia di cinque anni, la prima idea: “Preghiamo che non ci sia più nessuna guerra mondiale”. Uscirà sul prossimo numero di Kalocke Noviny. Ecco il testo: “Carissimi amici, abbiamo saputo che il Santo Padre ha avuto un grande dolore per l’inizio della guerra in Iraq e ha subito pregato. Anche noi abbiamo iniziato a pregare ogni giorno il rosario o almeno una decina, perché non ci sia più nessuna guerra. Che nessuno provochi guerre o conflitti: né nelle scuole, ne a casa o sul campo dei giochi, nei mezzi di trasporto pubblici, sulle strade o nel parlamento, fra i politici. Venite a pregare insieme, più bambini possibili, perché con le preghiere facciamo finire al più presto la guerra. Invitate anche altri bambini e adulti. Ringraziamo! Ciao! ”. Nel cuore delle città BRASILE – , 24 marzo – Giovani e famiglie munite di striscioni al mercato all’aperto: distribuiti 8000 volantini con le parole della canzone del Gen Rosso: Speranze di Pace. Hanno allestito una bancarella per raccogliere gesti d’adesione alla pace. Circa 1000 le firme. SAN PAOLO – Si distribuiscono volantini nel centro della città invitando i passanti a fare delle camminate per le strade, un momento di pellegrinaggio per la pace, recitando qualche preghiera. ITALIA – ROMA – Istallato un “avamposto di preghiera e di testimonianza per la pace” presso la Chiesa dei Bergamaschi, nel cuore di Roma e della vita politico-sociale italiana: ogni giorno momenti di preghiera, dialogo, testimonianza. ARGENTINA – BUENOS AIRES – Iniziativa della Chiesa locale insieme ad alcune comunità evangeliche ed organizzazioni ebree e musulmane: è stata installata una Tenda d’Incontro per la pace nella famosissima Plaza de Mayo. La Tenda resterà aperta 24 ore su 24 e sarà uno spazio di preghiera per la pace. Il Movimento ha assicurato turni per assicurare una presenza costante. FRANCIA – STRASBURGO – “Festival per la Pace e la Fraternità”, dal 29-30 marzo, a Erstein, nei pressi di Strasburgo, in collaborazione con il Rettore e presidente della Moschea di Strasburgo, e col patrocinio del sindaco, di religione ebraica.   (altro…)

Perché si ponga fine alla guerra: manifestare e pregare per la pace.  A tutti i costi vivere per la fratellanza universale

Perché si ponga fine alla guerra: manifestare e pregare per la pace. A tutti i costi vivere per la fratellanza universale

Mobilitarsi per la pace “Quello che con il Santo Padre avremmo voluto che mai succedesse è avvenuto: la guerra in Iraq”. Così Chiara Lubich il 20 marzo inizia il suo messaggio al movimento e invita tutti a mobilitarsi per la pace: “Il Santo Padre informato dell’attacco americano all’Iraq dopo aver messo in moto la settimana scorsa, ogni possibile iniziativa per salvare la pace, sgomento, si è ritirato a pregare. La nostra coscienza e il suo esempio ci spingono ora, in tutti i Paesi dove siamo presenti a dar vita a manifestazioni in favore della pace. Chiara invita soprattutto a moltiplicare le iniziative di preghiera, “perché si invoca l’aiuto di Dio verso un fenomeno, la guerra, dove non sembra essere assente il principe del Male: quindi preghiere, pellegrinaggi, sante Messe, recita pubblica del rosario”.

Una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale Nel messaggio per una scuola di formazione delle famiglie musulmane del Movimento dei Focolari, iniziata il 26 marzo in Algeria, Chiara scrive: “Stiamo vivendo momenti difficili nei rapporti internazionali, momenti che ci chiedono una misura maggiore di fede nell’amore misericordioso dell’Unico Dio, una appassionata ricerca “a tutti i costi” della fratellanza universale, una più generosa e totalitaria immersione della nostra vita nei valori del nostro Ideale: un Ideale dove l’amore reciproco, l’accoglienza e la solidarietà, preparano l’avvento del mondo unito. Lo so che tante realtà, attorno a noi, ci spingono forse in senso inverso, ma noi sappiamo e crediamo che l’unico ambiente dove può vivere la giustizia è l’amore fraterno, quell’amore che attingiamo da Dio. Vi auguro di vivere insieme una feconda esperienza spirituale, che vi faccia crescere sia nell’amore tra di voi che nella testimonianza di fede da offrire alle vostre comunità. Una famiglia che vive secondo la volontà di Dio è come una lampada che illumina le vie degli uomini e la loro convivenza. Sono insieme a voi con tutto il mio amore”.

(altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

"La sfida di una politica autentica"

Signore e Signori politici impegnati a livello comunale, cantonale e nazionale, Signore e Signori, Amici,

esprimo anzitutto la gioia nel trovarmi qui con tutti i presenti, dopo aver incontrato e conversato cordialmente, l’estate scorsa, con alcuni di loro partecipanti ad Innsbruck nel novembre 2001, al Congresso “Mille città per l’Europa”. E ringrazio per l’occasione che mi hanno dato di fare un intervento su un argomento che tanto appassiona me e politici in più parti del mondo. Esso recita così: “La sfida di una politica autentica”, intendendo quella arricchita dalla fraternità come nuova categoria politica. Un argomento attraente che immette fiducia e alimenta speranze. Eppure poche volte forse, come nel tempo presente, il nostro pianeta è stato ed è attraversato dalla sfiducia, dal timore, dal terrore persino; mai il nostro mondo, specie quello civile e politico, è stato così profondamente scosso. Basta accennare a due terribili avvenimenti: l’affacciarsi del terrorismo, l’11 settembre 2001 e lo scoppio d’una guerra aborrita dai più: il 20 marzo 2003. Tutto nero, dunque, senza speranza? Può sembrare, ma non è così. Infatti, contemporaneo a questi tristissimi avvenimenti, non si può negare un fatto, anche se oggi è messo senza dubbio in ombra. Un fatto reale: il mondo, il nostro mondo, in questi ultimi decenni, va verso l’unità. “Questa – è stato detto autorevolmente – sembra la prospettiva che emerge dai molteplici segni del nostro tempo: la prospettiva di un mondo unito. E’ la grande attesa degli uomini di oggi (…) e, nello stesso tempo, la grande sfida del futuro”. Molti fattori religiosi, sociali e politici lo stanno a dimostrare. Lo affermano, nel mondo cristiano, le varie Chiese e Comunità ecclesiali, spinte verso la riconciliazione e la piena comunione, dopo secoli di indifferentismo e di lotta. Lo afferma la realtà del Consiglio Ecumenico delle Chiese, che rappresenta più di 300 Chiese, come lo ha sottolineato il Concilio Vaticano II. Lo dice ancora, nel mondo religioso, ad esempio, la Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace, che unisce rappresentanti delle più varie tradizioni religiose in un comune impegno ricco di iniziative, a favore della pace. Nel mondo politico, poi, dicono che il mondo va verso l’unità gli Stati che lavorano, in modi diversi, alla loro unificazione, come quelli dell’Unione Europea. Un caso recente è anche l’Unione Africana che ha visto la luce nel luglio 2002, chiamata a modellarsi intorno al concetto africano di “cooperazione comune solidale”, così da garantire, accanto all’integrazione economica, una coesione sociale ed umana tra le diverse anime di quel continente. Un altro caso sono le Conferenze ibero-americane che periodicamente indicano obiettivi comuni all’azione dei Paesi dell’America Latina, della Spagna e del Portogallo. E ancora le riunioni tra i Paesi che sono parte dell’APEC, il sistema di cooperazione economica tra l’Asia e il Pacifico, che vede unirsi intorno ad obiettivi comuni i Paesi del continente asiatico e di quello americano. Evidenzia ancora la tendenza del nostro mondo all’unità l’affermarsi di numerosi enti e organizzazioni internazionali come l’ONU. E fanno capire questa tendenza situazioni, esigenze, aspetti importanti della realtà contemporanea. I mezzi di comunicazione rendono presenti gli uni agli altri persone e popoli materialmente lontanissimi. La globalizzazione economica e finanziaria ha intrecciato tutti i nostri interessi, per cui ciò che accade in un Paese può avere ripercussioni materiali immediate in molti altri Paesi. Esistono problemi che interessano l’umanità nel suo insieme: basta pensare alla questione ambientale e in particolare l’ecologia umana, lo sviluppo e l’alimentazione, le problematiche riguardanti il patrimonio genetico dei diversi gruppi umani. Viviamo in un mondo che davvero è diventato un villaggio. L’umanità vive oggi come fosse un piccolo gruppo che, se non è riuscito ancora a sviluppare sufficientemente un pensiero capace di rispettare le distinzioni, comprende la sua fondamentale unità. Sì, anche se oggi tutto può dire il contrario, anche se altre nere previsioni lasciano l’uomo moderno col cuore sospeso, il mondo va verso l’unità, anzi, l’unità globale. Ed è in questo quadro che va collocato anche il Movimento che indegnamente rappresento: il Movimento dei Focolari. Occorre vederlo così perché il suo obiettivo è proprio l’unità, è la fratellanza universale. Non solo, occorre vederlo così, e quindi come elemento di speranza nel mondo d’oggi, perché è una delle riprove che Dio, se lo si ama, sa sempre trarre dal male, da qualsiasi male, anche dai terribili mali moderni, un bene. Il Movimento dei Focolari è nato proprio durante una guerra, la seconda guerra mondiale, quando, di fronte ai nostri occhi ed al nostro giovane cuore, pieno di idealità, tutto crollava sotto le bombe e ogni nostro sogno si spegneva sotto le macerie. Ma ecco che la grazia d’un carisma dello Spirito Santo ci fece capire che uno solo era l’Ideale che non passa: Dio e con Lui il suo piano sull’umanità: fare di essa una famiglia, attraverso la fratellanza universale. S’è cominciato con grande slancio. Ora siamo presenti in 182 nazioni e contiamo milioni e milioni di persone, più di quelle dell’intera Confederazione svizzera. Se amiamo Dio, possiamo attenderci, dunque, anche dalle attuali circostanze, un bene. Naturalmente occorre fare la propria parte. Quale? Cooperare al disegno di Dio e cioè alla fraternità universale. E’ la sfida che dobbiamo affrontare. La fratellanza universale, anche prescindendo dal cristianesimo, non è stata assente dalla mente di qualche spirito forte. Diceva il Mahatma Gandhi: “La regola d’oro è di essere amici del mondo e considerare ’una’ tutta la famiglia umana” . Ed è presente tuttora in qualche grande personalità come il Dalai Lama che, a proposito di quanto era successo l’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, scriveva ai suoi: “Per noi le ragioni (degli eventi di questi giorni) sono chiare. (…) Non ci siamo ricordati delle verità umane più basilari. (…) Siamo tutti uno. Questo è un messaggio che la razza umana ha grandemente ignorato. Il dimenticare questa verità è l’unica causa dell’odio e della guerra (…)”. Ma anche altre voci stimolano l’umanità ad amare; così Augusto Comte propone una religione (tutta terrena) che abbia come morale l’altruismo e una regola fondamentale “vivere per l’altro” ; così Feuerbach, uno dei padri dell’ateismo moderno, afferma: “La legge prima e suprema deve essere l’amore dell’uomo per l’uomo” . Ma chi ha portato la fraternità come dono essenziale all’umanità, è stato proprio Gesù, che ha pregato così prima di morire: “Padre…, che tutti siano uno” (cf Gv 17,21). Egli, rivelando che Dio è Padre, e che gli uomini, per questo, sono tutti fratelli, abbatte le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”; gli amici dai nemici; che isolano una città dall’altra. E scioglie ciascun uomo dai vincoli che lo imprigionano, dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo in tal modo un’autentica rivoluzione esistenziale, culturale e politica. L’idea della fraternità iniziò così a farsi strada nella storia. E tutti vi sono chiamati: anche coloro che lavorano in politica. Lo ha detto, ad esempio, la Rivoluzione francese che nel suo motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”, ha sintetizzato il grande progetto politico della modernità, anche se questo progetto è stato inteso da essa in modo assai riduttivo. La Rivoluzione francese, nonostante le sue contraddizioni, aveva però intuito quel che le esperienze successive hanno dimostrato: i tre principi stanno o cadono insieme; solo il fratello può riconoscere piena libertà e uguaglianza al fratello. Inoltre, se numerosi Paesi, arrivando a costruire regimi democratici, sono riusciti a dare una certa realizzazione alla libertà e all’uguaglianza, la fraternità è stata più annunciata che vissuta. La fraternità, dunque, come ideale da recuperare, come ideale di oggi. Ma come suscitare fraternità? Per dare al mondo la fraternità che generi un’unità spirituale, garanzia dell’unità politica, economica, sociale, culturale, non mancano gli strumenti. Basta saperli individuare. Uno, la cui efficacia non è ancora del tutto scoperta, è quello dell’apparire nel mondo cristiano, dopo i primi decenni del ’900, di decine e decine di Movimenti, simili al nostro già menzionato, che, come tante reti collegano i popoli, le culture e le diversità: quasi un segno che il mondo potrebbe diventare una casa delle Nazioni perché esso lo è già attraverso queste realtà , pur se ancora a livello di laboratorio. Sono Movimenti meritevoli di grande ed alta stima perché effetto non di progettualità umane, ma anch’essi di carismi dello Spirito di Dio, che conosce meglio di qualsiasi uomo e donna della terra i problemi del nostro pianeta ed è desideroso di concorrere a risolverli. Ora questi Movimenti, poiché fondati o prevalentemente composti da laici, veicolano un sentito e profondo interesse per il vivere umano con ricadute nel campo civile, cui offrono concrete realizzazioni politiche, economiche, e così via. Sono venuti in piena luce appena cinque anni fa, quando la Chiesa cattolica si è riscoperta e ripresentata al mondo costituita, oltre che dall’aspetto istituzionale, anche da quello carismatico, atto a riportare il popolo cristiano, spesso secolarizzato dal contatto col mondo, alla radicalità del Vangelo, sempre capace di dare un volto nuovo anche alla città terrena. Questi Movimenti, seguendo ciascuno il proprio carisma, concretizzano l’amore in tante forme. Qualcuno fra questi, in particolare, manifesta la forza dello Spirito nella capacità che ha d’aprire uomini e donne del nostro pianeta a un dialogo profondo e dare così origine a brani di umanità affratellata. Per quanto riguarda il Movimento dei Focolari, quattro sono i dialoghi che, da quasi mezzo secolo, esso ha messo in atto. Il dialogo all’interno della Chiesa, che l’aiuti ad essere sempre più “comunione”, quella comunione in cui la fraternità e la pace sono assicurate. Il dialogo ecumenico nella sua forma di “dialogo del popolo”, che coinvolge, vivissimo, cristiani di 350 Chiese, trasformati tutti in una sola “famiglia cristiana”, quasi un pezzo d’anima di quell’unica Chiesa di Cristo che verrà. Il dialogo con persone di altre religioni: musulmani, ebrei, buddisti, indù, sikhs, ecc., oggi presenti un po’ dovunque per le ondate migratorie. Dialogo possibile per la cosiddetta “regola d’oro”, comune a tutte le principali religioni della terra. Essa dice: “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (cf Lc 6,31). Regola d’oro che in fondo domanda di amare ogni prossimo, cosicché se noi, perché cristiani, amiamo, ed essi, pure, come indù, musulmani, ebrei, amano, ecco l’amore reciproco, da cui fiorisce la fraternità. Questo dialogo ha già fruttato, per il Movimento dei Focolari, una fraternità piena e sentita con un Movimento buddista moderno di Tokio, la Rissho Kosei-kai, che conta sei milioni di membri. E con un altro Movimento musulmano afroamericano, l’Associazione di musulmani americani, di due milioni di membri, il quale, per lo scambio dei doni che si effettua nel dialogo, ha, ad esempio, aperto a noi 40 moschee negli USA, dove possiamo annunciare le nostre esperienze evangeliche, da loro tanto desiderate, e la nostra finalità: la fraternità universale. Dialogo, infine, con i nostri fratelli che non professano una fede religiosa, ma hanno iscritta pure essi, nel DNA della loro anima, la spinta ad amare. E sono, forse, i più. Ma ecco ciò che più particolarmente interessa qui. Il Movimento dei Focolari, pur essendo primariamente religioso, ha avuto, sin dal 1948, e poi durante gli anni, un’attenzione particolare per il mondo politico, sino a veder nascere dal suo seno, a Napoli nel 1996, il cosiddetto “Movimento politico per l’unità”. Movimento che ora sta diffondendosi e organizzandosi su tutto il pianeta. Vi fanno parte politici, amministratori, funzionari, studiosi e cittadini, appartenenti ai più diversi orientamenti politici. Ne parlerà oggi l’on. Lucia Fronza, deputato al Parlamento italiano per due legislature ed ora presidente del “Movimento politico per l’unità”. Della genesi e sviluppo di detto Movimento ho potuto parlare anch’io più volte come, fra il resto, ai parlamentari italiani, a Strasburgo, al Centro Europeo di Madrid e all’ONU. Non è un nuovo partito, ma il portatore di una cultura e di una prassi politiche nuove. Cambia il metodo della politica. Pur rimanendo fedele alle proprie autentiche idealità, il politico dell’unità ama non solo i politici del suo partito, ma tutti gli altri politici, cercando di vivere in comunione con ognuno. Fa questo nei consigli comunali, nei partiti, nei diversi gruppi di iniziativa civica e politica, nei parlamenti regionali o cantonali, nei parlamenti nazionali. L’unità, così vissuta, è portata come fermento anche tra i partiti stessi, nelle istituzioni, in ogni ambito della vita pubblica, nei rapporti fra gli Stati. Lo scopo specifico del “Movimento politico per l’unità” è dunque: aiutare ed aiutarsi a vivere sempre nella fraternità; con essa alla base, credere nei valori profondi, eterni dell’uomo e solo dopo, muoversi nell’azione politica. Ed ecco alcune idee-forza del “Movimento politico per l’unità”. Anzitutto, per il politico dell’unità, la scelta dell’impegno politico è un atto d’amore, con il quale egli risponde ad un’autentica vocazione, ad una chiamata personale. Egli vuol dare risposta ad un bisogno sociale, ad un problema della sua città, alle sofferenze del suo popolo, alle esigenze del suo tempo. Chi è credente, avverte che è Dio stesso a chiamarlo, attraverso le circostanze; il non credente, risponde ad una domanda umana che trova eco nella sua coscienza: ma è sempre l’amore che entrambi immettono nella loro azione. E gli uni e gli altri, questi politici, hanno la loro casa nel “Movimento politico per l’unità”. In secondo luogo, il politico dell’unità prende coscienza che la politica è, nella sua radice, amore; e ciò porta a comprendere che anche l’altro, colui che a volte è chiamato avversario politico, può avere compiuto la propria scelta per amore. E questo esige che lo si rispetti, anzi il politico dell’unità ha a cuore che anche l’altro realizzi il disegno buono di cui è portatore, che, se risponde ad una chiamata, ad un bisogno vero, è parte integrante di quel bene comune che solo insieme si può costruire. Il politico dell’unità ama, dunque, non solo coloro che gli danno il voto, ma quelli che lo danno ad altri; non solo il proprio partito, ma anche quello altrui. Un altro aspetto della fraternità in politica è la capacità di saper ascoltare tutti, anche i “diversi”. E in tal modo ci si “fa uno” con tutti, ci si apre alla loro realtà. E il farsi uno aiuta a superare i particolarismi, rivela aspetti delle persone, della vita, della realtà, che ampliano anche l’orizzonte politico: il politico che impara a farsi uno con tutti diventa più capace di capire e di proporre. Il farsi uno è il vero realismo politico. Ancora, il politico dell’unità non può rimanere passivo davanti ai conflitti, spesso aspri, che scavano abissi tra i politici e tra i cittadini. Al contrario, egli compie il primo passo per avvicinarsi all’altro e riprende la comunicazione interrotta. Creare la relazione personale dove essa non c’è, o dove ha subito una interruzione, può significare, a volte, riuscire a sbloccare lo stesso processo politico. La fraternità, ancora, trova piena espressione nell’amore reciproco, di cui la democrazia, se rettamente intesa, ha una vera necessità: amore dei politici fra loro, e fra i politici e i cittadini. Il politico dell’unità non si accontenta di amare da solo, ma cerca di portare l’altro, alleato o no, all’amore, perché la politica è relazione, è progetto comune. Un’ultima delle nostre idee-forza è che la patria altrui va amata come la propria; la più alta dignità per l’umanità sarebbe infatti quella di non sentirsi un insieme di popoli spesso in lotta fra loro, ma, per l’amore vicendevole, un solo popolo, arricchito dalla diversità di ognuno e per questo custode nell’unità delle differenti identità. E’ quanto il Movimento ha cercato di vivere in momenti anche drammatici, attraverso gesti di amicizia e di pace attuati tra i nostri dell’una e dell’altra nazione: gesti che avevano un profondo significato politico. Ma tutti questi aspetti dell’amore politico, che realizzano la fraternità, richiedono sacrificio. Quante volte l’attività politica fa conoscere la solitudine, l’incomprensione da parte, anche, dei più vicini! E a quante divisioni, spaccature, ferite della propria gente il politico deve rimediare. E’ questo il prezzo della fraternità che è a lui richiesto: prezzo altissimo, ma altissimo è anche il premio. La fedeltà alla prova farà, infatti, del politico un modello, un punto di riferimento per i suoi concittadini, orgoglio della sua gente. Questi sono i politici che il “Movimento politico per l’unità” desidera, con l’aiuto di Dio, generare, nutrire, sostenere. E non è utopia. Lo dicono alcuni dei nostri che ci hanno preceduti in Cielo: Jozef Lux, già vice-primo ministro della Repubblica Ceca, che seppe conquistare l’ammirazione dei colleghi e degli altri; o Domenico Mangano, che visse la politica nell’amministrazione comunale di Viterbo, in costante servizio ai suoi concittadini; o il deputato nazionale Igino Giordani, modello non solo di virtù religiose, ma anche di virtù civili: segno, questo, che ci si può realizzare come cristiani non “nonostante la politica”, ma “attraverso la politica”. Questi uomini hanno risposto alla loro chiamata. E la risposta alla vocazione politica è anzitutto un atto di fraternità: non si scende in campo, infatti, solo per risolvere un problema, ma si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio. Il vivere così permette ai sindaci, ad esempio, di ascoltare fino in fondo i cittadini, di conoscerne i bisogni e le risorse; li aiuta a comprendere la storia della propria città, a valorizzarne il patrimonio culturale e associativo: in tal modo arrivano a cogliere, un po’ alla volta, la sua vera vocazione ed a guardare ad essa con sicurezza per tracciarne il cammino. Il compito dell’amore politico è quello di creare e custodire le condizioni che permettono a tutti gli altri amori di fiorire: l’amore dei giovani che vogliono sposarsi e hanno bisogno di una casa e di un lavoro, l’amore di chi vuole studiare e ha bisogno di scuole e di libri, l’amore di chi si dedica alla propria azienda e ha bisogno di strade e ferrovie, di regole certe… La politica è perciò l’amore degli amori, che raccoglie nell’unità di un disegno comune la ricchezza delle persone e dei gruppi, consentendo a ciascuno di realizzare liberamente la propria vocazione. Ma fa pure in modo che collaborino tra loro, facendo incontrare i bisogni con le risorse, le domande con le risposte, infondendo in tutti fiducia gli uni negli altri. La politica si può paragonare allo stelo di un fiore, che sostiene e alimenta il rinnovato sbocciare dei petali della comunità. Ma ora, parlando più in particolare ai Signori Sindaci, viene spontaneo chiedersi: che cosa significa e comporta l’ideale della fraternità per la vita della città? Esso non si aggiunge dall’esterno alla riflessione e alla pratica politica, ma si può considerare l’anima con la quale affrontare i problemi di oggi. Noi sappiamo, infatti, che anche oggi ci sono cittadini per i quali la città è come non esistesse, cittadini per i cui problemi le istituzioni cercano con difficoltà le risposte. C’è anche chi si sente escluso dal tessuto sociale e separato dal corpo politico, a causa della mancanza di lavoro, o di casa, o della possibilità di curarsi adeguatamente. Sono questi, e molti altri, i problemi che quotidianamente i cittadini pongono a chi ha il governo della città. E la risposta che ricevono è determinante perché anch’essi si sentano a pieno titolo cittadini e avvertano l’esigenza e abbiano la possibilità di partecipare alla vita sociale e politica. E perciò, da questo punto di vista il Comune è la più importante delle istituzioni, perché più vicina alle persone, di cui incontra direttamente tutti i tipi di bisogni. Ma è pure attraverso il rapporto con il Comune, nelle sue varie articolazioni, che il cittadino sviluppa la gratitudine – o il rancore – verso l’insieme delle istituzioni, anche quelle più lontane, quali lo Stato. Nel “Movimento politico per l’unità” si è sperimentato che il Comune riesce a rispondere bene alle esigenze dei cittadini se colui che governa, o che in qualche modo ha una responsabilità nell’amministrazione della città, ha, alla base del suo impegno politico, l’esigenza di vivere la fratellanza con tutti, e guarda anche al cittadino come ad un fratello. E si sa che per un fratello i problemi si risolvono più facilmente, perché si pensa e si ripensa al suo problema, si bussa a tutte le porte, si cercano tutte le opportunità, si mettono insieme tutte le risorse; e, infine, quando tutte le forze fossero state impiegate, ci si rivolge, se si ha la fede, pure a Dio perché provveda. Il “Movimento politico per l’unità” in generale vede l’umanità come un unico corpo nel quale tutti gli uomini possono essere affratellati. L’umanità è prima di tutto una cosa sola. Un’unità, sempre nella diversità, nella libertà, costruita da persone e da popoli che siano veramente se stessi, portatori di una propria identità e di una propria cultura aperte e dialoganti con le altre. E quando sarà così, si potrà conoscere finalmente la pace. Infatti, a mano a mano che a ciò ci si avvierà, vedremo realizzarsi particolari sogni di grandi della nostra storia. Come quello di Martin Luther King: “Oggi ho (…) sognato che (…) gli uomini muteranno le loro spade in aratri, (…) (e che) la guerra non sarà neppure più oggetto di studio. (…) Con questa fede noi saremo capaci di affrettare il giorno in cui vi sarà pace sulla terra e buona volontà verso tutti gli uomini. Sarà un giorno glorioso, e le stelle canteranno tutte insieme, ed i figli di Dio grideranno di gioia” . Che il Signore ed il nostro agire facciano in modo che quel giorno non sia lontano. Ringrazio tutti dell’ascolto. Chiara Lubich

Martigny, 22 marzo 2003

(altro…)

Potevano essere i miei ultimi minuti di vita

Abito a Rio de Janeiro: una città tra le più belle del mondo. Da tempo vivo la Parola di Vita e consegno il foglietto con il commento di Chiara a varie persone. Ero uscita dal lavoro un po’ più tardi quella sera, ma non volevo tornare a casa senza aver consegnato l’ultimo foglietto a una famiglia che ogni mese visitavo. Ho telefonato quindi a mia madre, per dirle il mio programma. Per arrivare prima, ho pensato di prendere un taxi. Nel retrovisore vedo il volto del tassista che mi dice: “Sei entrata nella macchina sbagliata, questo è un taxi rubato, ora verrai con me”. Rabbrividisco: è un rapinatore, dove mi porterà? Il taxi fila fuori della città. Siamo arrivati davanti a un Motel, una casa di prostituzione, e lì mi fa scendere, spingendomi dentro una stanza. Mentre lui resta nella hall, mi siedo su un letto: cosa sarà di me? Poteva essere il mio ultimo momento di vita… Mi sono allora ricordata della Parola di Vita che portavo e ho cominciato a leggerla lentamente. Quella persona entra e chiude la porta, si siede accanto a me mettendomi un braccio sulle spalle. “Cosa stai facendo?” Gli spiego che si trattava di un commento al Vangelo, una frase di Gesù che cercavo di mettere in pratica. “Leggimela a voce alta!”, mi dice con tono aggressivo. Penso di vivere quel momento con solennità, leggendo parola per parola con amore. Non arrivo neanche alla fine della pagina che lui, strappandomi il foglio dalle mani, mi dice: “Vai via, vai pure, sei troppo buona!”. La Parola mi ha salvato. M.A.C. – Rio de Janeiro (Da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice)

(altro…)

Un momento di tregua per cercare le radici di un comune impegno per la pace

da Agenzia ASCA_SOCIALE Digiuno: Camera, riflessione interreligiosa sulla pace Una riflessione interreligiosa sulla pace, con la partecipazione del Presidente della Camera Pier Ferdinando Casini e di numerosi politici dei due schieramenti, si è svolta a Montecitorio in occasione della giornata di digiuno indetta da Giovanni Paolo II. L’incontro, durato un’ora, dalle 14,00 alle 15,00, si è tenuto nella Sala della Regina e si è sviluppato sulla lettura di nove brani di altrettanti personaggi che hanno dedicato la loro vita o loro significative opere alla pace. Si è iniziato con Ignazio Silone, poi con Chiara Lubich, per passare a Gabriel Garcia Marquez, Simone Weil, Giovanni XXIII, Vaclav Havel, Gandhi, Teresa di Calcutta e Martin Luther King. Riflessioni e testimonianze sono state offerte dal cattolico mons. Rino Fisichella (cappellano della Camera dei deputati), Alberto Piperno, ebreo, (presidente del Comitato Memoria, Dialogo, Pace), da Ajahn Chandapalo, buddista, del monastero Santacittarama di Rieti, e dalla teologa musulmana iraniana Shahrzad Hushman. Tutti i partecipanti, trecento circa, hanno devoluto l’equivalente di un pranzo alla CRI. All’incontro, promosso da Lucia Fronza Crepaz, del Movimento politico per l’unità (ex parlamentare Ppi), oltre al presidente Casini, hanno preso parte numerosi politici sia di maggioranza sia di opposizione. Tra gli altri, Nicola Mancino, Pierluigi Castagnetti, Willer Bordon, Roberto Pinza, Alberto Monticone, Patrizia Toia (della Margherita), Luciano Violante, Mimmo Lucà e Livia Turco (Ds), Gabriella Pistone (Pdci), Paolo Cento (Verdi), Rocco Buttiglione e Francesco D’Onofrio (Udc), Clemente Mastella (Udeur). Alla riflessione hanno partecipato anche il presidente delle Acli, Luigi Bobba e il missionario padre Alex Zanotelli.

(altro…)

Momento di riflessione sulla pace

Diamo inizio a questo momento di riflessione sulla pace. Comincio col ringraziare tutti quanti hanno accettato questo invito e tutti quelli che ci hanno aiutato a realizzarlo: in particolare Mons. Fisichella, appena di ritorno da un lungo e – immagino – faticoso viaggio in India, che ha risposto al nostro appello; l’Ajahn Chandapalo del Monastero buddista di Santacittarama; il dott. Piperno rappresentante della comunità ebraica di Roma, la dott.ssa Shahrzad Hushman, teologa musulmana, e il Presidente della Camera che ci ha aperto con grande disponibilità le strutture di Montecitorio. L’idea di questa iniziativa è frutto di un cammino politico che si sta costruendo da alcuni anni – in più nazioni – tra politici di diversi orientamenti, assieme a cittadini, funzionari, studenti e studiosi di scienza politica, un cammino condotto alla luce del carisma dell’unità di Chiara Lubich. Lo scopo è quello di andare in profondità nel nostro impegno politico, ritrovarne le ragioni e rimettere la politica al suo posto, quello di strumento indispensabile all’unità e alla pace della famiglia umana. Questo approfondimento non ci ha portato fuori della quotidianità politica, ma ci ha richiesto lo sforzo di trovare, nell’approfondire le nostre e nel capire le ragioni dell’altro, quali sono i valori che oggi possono ridare voce e soggettività alla politica. E così, anche in questi giorni così difficili, siamo partiti dalla convinzione che era necessario fare la nostra parte per approfondire la nostra unità intorno alla pace, e trovare un momento alto di sintesi dentro quei valori che sono propri dell’uomo e che sono alla base di ogni scelta politica fatta, o che ci attende. Abbiamo pensato così di costruire, per offrirlo a tutti, un momento di tregua, in cui cercare nel rispetto delle nostre posizioni diverse, le radici profonde di un comune impegno per la pace. La decisione degli 8 parlamentari presenti quel giorno è stata quella di non prendere la parola, di fare un gesto che hanno chiamato di umiltà e di ascolto. E’ nato così questo momento di meditazione in cui abbiamo chiesto ispirazione a grandi testimoni, religiosi e laici, e ai rappresentanti delle grandi religioni di accompagnarci in questa ricerca, religioni che sono presenti nei teatri di guerra o nei punti nei quali la pace è più minacciata e che hanno certamente una parola di dire alle coscienze degli uomini. Del resto, dall’indomani dell’11 settembre, si sono moltiplicati gli incontri tra i responsabili delle religioni consapevoli del contributo che esse possono dare al dialogo tra i popoli e alla costruzione delle condizioni della pace, proseguendo nel dialogo che lo stesso Giovanni Paolo II ha cominciato ad Assisi. Penso di esprimere un sentimento che avvertiamo tutti dicendo che, in questo momento storico, ci stiamo accorgendo che la pace non è conseguenza scontata, come tanti di noi avevano immaginato nell’89, non è un dono gratuito legato alla caduta di un regime, ma può essere solo frutto di fatica, un lungo cammino che ha bisogno del contributo di tutti. Per questo, a nostro parere due premesse sono indispensabili: una negativa ed una positiva. La negativa: abbandonare da una parte e dall’altra eventuali atteggiamenti di chiusura, di giudizio precostituito; quella positiva: fondare il nostro pensare ed il nostro operare politico su categorie nuove e universali che reggano all’impatto della domanda oggi rivolta alla politica. Oggi la capacità di parola della politica rispetto alla pace può essere salvaguardata solo con sforzi creativi proporzionati ai pericoli che la minacciano. Ci vuole il coraggio di uscire dalle strade che fino ad oggi abbiamo percorso, il coraggio di uscire da una politica parziale e dall’orizzonte stretto. Un esempio? Oggi è chiaro che l’indipendenza di un popolo deve sempre più essere coniugata assieme all’interdipendenza, direi di più: all’intercomunione. Già lo diceva la Pacem in terris, 40 anni fa. La fraternità è la categoria che oggi, vicino alla libertà e alla uguaglianza può reggere questo impatto. Non è, forse, proprio la fraternità che può ridare alla libertà la sua vera interpretazione, come espressione completa di ciascuno, e non come spazio senza regole in cui prevale il più forte? Non è, forse, proprio la fraternità che può dare all’uguaglianza il suo vero significato come principio di giustizia sociale, e non come ideologia collettiva e impersonale? Perché la fraternità è il legame universale tra gli uomini. Chi, fra noi, attinge al messaggio di Cristo, la scopre come conseguenza dell’esser figli dell’unico Padre, Dio Amore, e quindi fratelli fra di noi; ma anche chi ha dato altri riferimenti culturali alla propria vita la riscopre, al centro della propria coscienza, come patrimonio di ogni persona e di tutte le persone. Da qui, l’esigenza di approfondire la fraternità e il contributo che essa può dare alla politica e alla costruzione della pace. La scoperta che abbiamo fatto noi, anche alla luce del cammino storico e filosofico che l’umanità ha compiuto finora – basti ricordare la Rivoluzione Francese, crocevia della modernità, con le sue ombre e le sue luci – è che la fraternità è una categoria politica che getta luce su metodo, contenuto e fine della politica. Sceglierla come orizzonte cambia i nostri atti politici, richiedendo concretezza verso l’uomo, chiunque esso sia, e universalità, una qualità così consona alla stato attuale della politica. C’è ancora una caratteristica da sottolineare. La fraternità, proprio perché nasce dal più profondo di ogni uomo e chiama ognuno alla sua personale partecipazione, non frutta una omogeneità di pensiero mortificante; chiede, anzi, la ricerca appassionata del proprio contributo personale e di gruppo, insieme ad una grande capacità di ascolto della posizione dell’altro. Non è forse questa la domanda che ci viene posta con insistenza oggi? Capacità di comprendere a fondo le domande, al tempo stesso globali e locali, e capacità di costruire risposte, al tempo stesso realistiche e aperte al progetto? Se la pace è un lento e faticoso cammino, la fraternità può esserne la radice e il motore. Presentazione del programma A questo punto, qualche parola sul programma di quest’ora. Cominceremo dalla lettura di alcuni pensieri di testimoni che hanno coerentemente speso la vita per la pace. Ci aiuteranno in questo primo momento Saverio D’Ercole e Sabrina Duranti, attori. Si tratta di 9 brevi brani, scelti – tra i mille possibili – con l’unico criterio di portarci alle radici delle ragioni della pace e del nostro impegno personale e collettivo per essa. Subito dopo, diamo spazio alla riflessione che ci viene offerta, in quest’ordine, dagli interventi del dott. Piperno, di Ahajn Chadapalo, della dott.ssa Hushman; chiuderà Mons. Fisichella. Il ricavato di quanto verrà raccolto come corrispettivo del pranzo – come avrete letto nella lettera di invito – sarà devoluto, attraverso il Comitato Internazionale della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa, ad un progetto di solidarietà in Iraq.

(altro…)

Riflessioni sulla Pace

Ignazio Silone “L’uomo mutilato della fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… “

Chiara Lubich “E’ in gestazione un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore”. Gabriel Garcia Marquez “All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita”. Simone Weil “E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale”. Giovanni XXIII “Un compito immenso: ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà”. Vaclav Havel Esiste qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità. Mohandas Gandhi Attraverso la libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la fratellanza degli uomini. Teresa di Calcutta Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene! Martin Luther King Ho il sogno che la fraternità diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo. (altro…)

Testi dei pensieri sulla Pace

“L’uomo mutilato della fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile…” Ignazio Silone Ed Egli si nascose (1943), Città Nuova Ed., Roma, 2000 Posso dirvi questo: il poco che io so non l’ho imparato all’università, ma in compagnia di uomini come voi. La fraternità è la verità sacra dell’uomo. L’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… Per non morire bisogna ricominciare col riscoprire la fraternità. Amici, io sono venuto per dirvi questo: è necessario, è urgente stare assieme, metterci insieme, creare in questo paese cellule viventi di uomini interi cioè fraterni, difenderci dal contagio della morte. Vi ripeto che è urgente. Fra pochi giorni, forse anche voi lo sapete, scoppierà la nuova guerra d’Africa, e sarà una guerra fredda, cinica, infame. Il disprezzo dell’uomo vi celebrerà il suo trionfo. La protesta più efficace da parte nostra non sarebbe qualche rumoroso attentato individuale, ma un atto di amicizia e di fraternità. Io sono tornato solo per questo. *** “E’ in gestazione un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore” Chiara Lubich “Il pianeta al bivio”, in Città Nuova, 13 luglio 2001, 14/2001, Roma Viviamo in un tempo di “svolta epocale”, di gestazione sofferta di un mondo nuovo. Ma c’è bisogno di un’anima: l’amore. (…) L’amore – lo constato sempre più a contatto di singoli e gruppi di religioni, razze e culture diverse – è iscritto nel DNA di ogni uomo. E’ la forza più potente, feconda e sicura che può legare l’intera umanità. Ma esige un capovolgimento totale di cuori, di mentalità, di scelte. Del resto è ormai parte del sentire comune della vita internazionale la necessità di rileggere il senso della reciprocità, uno dei cardini dei rapporti internazionali. Sono questi i tempi in cui ogni popolo deve oltrepassare il proprio confine e guardare al di là, fino ad amare la patria altrui come la propria. Reciprocità tra i popoli significherà allora superamento di antiche e nuove logiche di schieramento e di profitto, stabilendo invece relazioni con tutti ispirate all’iniziativa senza condizioni e interessi, perché si guarda all’ “altro” come ad un altro se stesso, parte della stessa umanità, e in questa linea si progetta: disarmo, sviluppo, cooperazione. Nascerà una reciprocità in grado di rendere ogni popolo, anche il più povero, protagonista della vita internazionale, nella condivisione di povertà e ricchezze. Non soltanto nelle emergenze, ma nella quotidianità. Identità e potenzialità saranno sviluppate proprio col metterle a disposizione degli altri popoli, nel rispetto e nello scambio reciproco. Allora sì, se singoli e governanti faremo la nostra parte, potremo sognare di comporre un’unica comunità planetaria. Utopia? Il primo a lanciare la globalizzazione è stato Gesù quando ha detto: “Che tutti siano uno”. Non solo: ci ha fatto capaci di quell’amore che ha la forza di ricomporre la famiglia umana nell’unità e nella diversità. Basta poi aprire gli occhi: sono disseminati nel mondo molti “laboratori” di questa “umanità nuova”. Che sia giunta l’ora di proiettarli su scala mondiale? *** “All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita” Gabriel Garcia Marquez Nobel Lecture, 8 December, 1982: “The Solitude of Latin America”, in Nobel Lectures in Literature 1981-1990, World Scientific Publishing Co., Singapore, 1994 (nostra traduzione) All’oppressione, allo sfruttamento e all’abbandono, noi rispondiamo con la vita. Né le inondazioni e le epidemie, la fame e le catastrofi, nemmeno le interminabili guerre durate per secoli, hanno potuto sconfiggere la forza incessante della vita sulla morte. E’ un vantaggio che cresce e accelera sempre più: ogni anno, le vite che si accendono superano di settantaquattro milioni quelle che si spengono, un numero di nascite sufficiente a moltiplicare per sette, ogni anno, la popolazione di New York. La maggior parte di esse avviene in America Latina. Allo stesso tempo, i paesi più ricchi continuano ad accumulare armi di distruzione capaci di annichilire, più di cento volte, non solo gli esseri umani che sono esistiti fino ad oggi, ma anche la totalità delle creature che abbiano mai respirato su questo pianeta sventurato. In un giorno come questo, il mio maestro William Faulkner disse: “Mi rifiuto di accettare la fine dell’uomo”. Non sarei degno di stare in questo luogo che è stato suo, se non fossi pienamente consapevole che la colossale tragedia che egli rifiutò di riconoscere trentadue anni fa, è ora, per la prima volta dall’inizio dell’umanità, nient’altro che una semplice eventualità scientifica. Di fronte a questa spaventosa realtà che era sembrata una mera utopia durante tutta la storia dell’umanità, noi, gli inventori delle favole, che presteremmo fede a qualsiasi cosa, abbiamo il diritto di credere che non è troppo tardi per impegnarci a costruire l’utopia opposta. Una nuova e travolgente utopia della vita, dove nessuno potrà decidere per gli altri come dovranno morire. Dove l’amore proverà che la verità e la felicità sono possibili, dove gli uomini condannati a cent’anni di solitudine avranno ancora, finalmente e per sempre, una seconda opportunità sulla terra. *** “E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale” Simone Weil Obbedire all’amore nella giustizia, trad.it., P.Elia (a cura di), Gribaudi, Torino, 1975 L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando egli stesso non ne riconosce alcuno. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su nessuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale. *** “Un compito immenso: ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà” Giovanni XXIII “Pacem in terris”, in Le encicliche sociali, Ed. Paoline, Milano, 1984 47. Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti e di doveri; per cui anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella libertà. La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche. Ciò non è difficile a capirsi quando si pensi che le persone che rappresentano le comunità politiche, mentre operano in nome e per l’interesse delle medesime, non possono venire meno alla propria dignità; e quindi non possono violare la legge della propria natura, che è la legge morale. Sarebbe del resto assurdo anche solo il pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità; quando invece sono scelti a quell’alto compito perché considerati membra più ricche di qualità umane e fra le migliori del corpo sociale. Inoltre, l’autorità è un’esigenza dell’ordine morale nella società umana; non può quindi essere usata contro di esso, e se lo fosse, nello stesso istante cesserebbe di essere tale; perciò ammonisce il Signore: “Udite pertanto voi, o re, e ponete mente, imparate voi che giudicate tutta la terra. Porgete le orecchie voi che avete il governo dei popoli, e vi gloriate di aver soggette molte nazioni: la potestà è stata data a voi dal Signore e la dominazione dall’Altissimo, il quale esaminerà le opere vostre, e sarà scrutatore dei pensieri” (Sap 6,2-4). 87. A tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale. *** “Esiste qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità” Vaclav Havel “L’idolo infranto dello Stato sovrano”, in La Repubblica/Dossier, 1 giugno 1999, Roma “Tutto sta a indicare che la gloria della nazione-stato, intesa come culmine della storia di ogni comunità nazionale e come suo più alto valore terreno – l’unico, anzi, in nome del quale è consentito uccidere, o per il quale era considerato dulce et decorum sacrificare la vita – ha già superato il suo zenit. Sembrerebbe che gli illuminati sforzi di generazioni di democratici, la terribile esperienza di due guerre mondiali – che tanto hanno contribuito all’ adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani – nonché l’evolversi della civiltà abbiano, finalmente, indotto l’umanità a persuadersi che gli esseri umani sono più importanti dello Stato. (…) Spero sia chiaro che io non sono contro l’istituto dello stato sovrano come tale. Sarebbe oltre tutto assurdo che un capo di stato auspicasse l’abolizione dello stato di fronte agli organi rappresentativi di altri stati. Parlo di qualcosa di ben diverso: dico cioè che esiste, di fatto, qualcosa di più alto valore dello stato. Questo valore è l’umanità. Come sappiamo, lo stato esiste per servire la gente, il popolo, non viceversa. Se un individuo serve il proprio paese, ebbene, si dovrebbe pretendere che questi lo serva solo nella misura necessaria a far sì che lo stato possa servire bene tutti i propri cittadini. I diritti umani sono superiori ai diritti degli stati. Le libertà umane rappresentano un valore più alto della sovranità statale. (…) Mi sono spesso domandato perché mai gli esseri umani abbiano dei diritti. E sono sempre giunto alla conclusione che i diritti umani, le libertà umane e l’ umana dignità hanno le loro radici profonde da qualche parte al di fuori del mondo percettibile. Questi valori sono tanto potenti perché in determinate circostanze, la gente li accetta senza esservi costretta ed è pronta a morire per essi. Questi valori hanno un senso solo nella prospettiva dell’infinito e dell’eterno.” *** “Attraverso la libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la fratellanza degli uomini” Mohandas Gandhi Antiche come le montagne, trad.it., S.Radhakrishnan (a cura di), Edizioni di Comunità, Milano, 1963 “Per vedere faccia a faccia l’universale spirito di Verità che tutto pervade, bisogna essere capaci di amare l’essere più modesto della creazione come noi stessi. E colui che aspira a questo, non può permettersi di tenersi lontano da alcun campo della vita. Perciò la mia devozione alla verità mi ha spinto nella politica; e posso dire senza la minima esitazione, e pure in tutta umiltà, che chi dice che la religione non ha nulla a che vedere con la politica, non sa che cosa significhi religione. (p.86) La mia missione non è semplicemente la fratellanza dell’umanità indiana. La mia missione non è semplicemente la libertà dell’India, benché oggi essa assorba, in pratica, tutta la mia vita e tutto il mio tempo. Ma attraverso l’attuazione della libertà dell’India spero di attuare e sviluppare la missione della fratellanza degli uomini. Il mio patriottismo non è esclusivo. Comprende tutto, e io ripudierei quel patriottismo che cercasse di affermarsi sulla miseria e lo sfruttamento di altre nazioni. Il patriottismo che io concepisco non vale nulla, se non si concilia sempre, in ogni caso senza eccezioni, con il maggior bene dell’umanità tutta. (p.162) Vogliamo la libertà del nostro Paese, ma non a costo di sacrificare o sfruttare gli altri, né in modo da degradare altri paesi. Non voglio la libertà dell’India, se essa deve significare l’estinzione dell’Inghilterra o la scomparsa degli inglesi. Voglio la libertà del mio paese affinché altri paesi possano imparare qualcosa dal mio libero paese, affinché le risorse del mio paese possano essere utilizzate a vantaggio dell’umanità.” (p.164) *** “Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene!” Madre Teresa Da un foglietto sul muro della ’Casa dei bambini’ di Calcutta “L’uomo è irragionevole, illogico, egocentrico: non importa, amalo! Se fai il bene, ti attribuiranno fini egoistici: non importa, fa’ il bene! Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici: non importa, realizzali! Il bene che fai verrà domani dimenticato: non importa, fa’ il bene! L’onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile: non importa, sii franco ed onesto! Dai al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci: non importa, continua! Se aiuti, la gente se ne risentirà: non importa, aiutala! Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: non importa, costruisci!” *** “Ho il sogno che la fraternità diventerà l’ordine del giorno di un uomo d’affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo” Martin Luther King “Discorso della Vigilia di Natale 1967 – Atlanta”, trad.it., in Il fronte della coscienza, SEI, Torino, 1968 “Per prima cosa lasciate che vi suggerisca che se vogliamo avere pace sulla terra, il termine fedeltà per noi deve avere un significato ecumenico, non parrocchiale. La nostra fedeltà deve trascendere la razza, la tribù, la classe sociale, la nostra patria stessa: e questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva mondiale. Nessun individuo può vivere solo; nessuna nazione può vivere sola; è provato che se qualcuno tenta l’isolamento, questo qualcuno perpetua la guerra. In fin dei conti si tratta di questo: la vita è un insieme di interrelazioni. Siamo legati da una rete di comunità, vestiti dello stesso abito del nostro destino. Tutto ciò che colpisce uno direttamente, colpisce tutti indirettamente. Siamo fatti per vivere insieme: la nostra realtà è intercomunicante. Non vi siete mai fermati a pensare che non potete neppure andare al lavoro al mattino senza dichiarare la vostra dipendenza da tutto il mondo? Dove sta il problema? Tutti parlano della pace come di una meta lontana, come di un fine a cui un giorno o l’altro si arriverà, ma noi sappiamo che si dovrà presto arrivare a considerare la pace non soltanto come una meta, ma anche come il mezzo con cui si può arrivare alla meta stessa. Dobbiamo raggiungere fini pacifici con mezzi pacifici. E questo equivale a dire che il fine e i mezzi devono essere coerenti, perché il fine preesiste nei mezzi, e mezzi distruttivi non potranno mai raggiungere un fine costruttivo. Ecco perché io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli. Oggi ho ancora il sogno (…) che la fraternità diventerà qualcosa di più che le poche parole alla fine di una preghiera, diventerà l’ordine del giorno di un uomo di affari e la parola d’ordine dell’uomo di governo.

(altro…)

La guerra è un omicidio in grande

La guerra è un omicidio in grande

Ristampato, a cinquant’anni dalla prima edizione, il volume “L’inutilità della guerra” di Igino Giordani

GIAMPAOLO MATTEI

Un pugno allo stomaco. Ecco che cosa ti assesta la lettura di un libro il cui titolo – “L’inutilità della guerra” – ha una eloquenza così forte da costringerti con le spalle al muro. A rendere ancora più significativa l’esperienza di avere a che fare con queste pagine è la constatazione che sono state scritte esattamente cinquant’anni fa. Portano la firma di Igino Giordani (1894-1980), uomo politico, giornalista, scrittore, grande protagonista della vita ecclesiale e della vita italiana. L’editrice Città Nuova ha deciso di riproporre il libro di Giordani (Roma 2003, pagine 116 – euro 6,50) in un tempo storico che dimostra di avere più che mai bisogno di parole vere, chiare, essenziali. Ci sono opere – si legge nella prefazione – che hanno il sapore di una perenne attualità. Nascono di sicuro sotto la spinta di problemi contingenti, ma producono un insegnamento che travalica la condizione storica e si mette al servizio di ogni uomo, in ogni epoca, di qualsiasi luogo. È proprio da questa constatazione che è scaturita l’idea di ripubblicare il libro scritto da Igino Giordani nel 1953 quando la “guerra fredda” stava congelando le posizioni geopolitiche e cristallizzando la spartizione delle coscienze.

Oggi il testo non soltanto consente di respirare quel clima con il senno di poi, tenendo tra le mani, si potrebbe dire, i pezzi del Muro di Berlino: è davvero un’esperienza di enorme portata storica e politica. Ma in queste ore così difficili ci pianta nello stomaco un gran bel pugno perché dimostra, dati alla mano, l’inutilità della guerra, la sua intrinseca ed evidente stupidità. E – attenzione – Giordani sa esattamente di che cosa sta parlando perché lui al fronte c’è stato meritando anche, nella catastrofe della Prima Guerra Mondiale, un’alta onorificenza. Non è uno sprovveduto, non parla per “vigliaccheria” secondo la consueta, ridicola, accusa che viene mossa a quanti si schierano dalla parte della pace: oltretutto i veri coraggiosi sono i costruttori di pace e non quanti si riparano dietro missili, cannoni, fucili o quant’altro. Giordani afferma con chiarezza, scandendo i suoi ragionamenti, che la pace è il risultato di un progetto che va realizzato con pazienza e con serietà e non è una parola buona solo per riempirsi la bocca, non è un paravento per celare chissà quali interessi. Leggere le cento pagine del libro è sconvolgente proprio perché sembra scritto stamani e non cinquant’anni fa. Davvero la storia è “maestra di vita” secondo l’antico detto. Peccato che gli uomini siano troppo spesso pessimi scolari. Già la prima frase del libro di Giordani ti inchioda e ti costringe subito a sottolinearla con la matita: “La guerra è un omicidio in grande”. Ed ecco che punta il dito sulla retorica, sulla menzogna, sugli interessi che accompagnano ogni conflitto ovunque si combatta: “Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare”. Punto e basta. Alzi gli occhi e avverti una sensazione di fierezza. Sì, giovane cattolico, ti senti fiero di appartenere ad una cultura che è stata tessuta da persone di questo spessore. Giordani non era un isolato, farneticante e controcorrente. Giordani è uno dei tanti protagonisti del mondo cattolico che hanno contribuito in maniera decisa, e oggi forse dimenticata, allo sviluppo del popolo italiano con progetti di vita e di speranza. È un fatto che entusiasma, prima ancora che un dovere, conoscere i pensieri di questi uomini così vicini a noi e così spiritualmente ricchi da non passare mai di moda. Da ex combattente di trincea dimostra che la guerra è inutile La lettura del libro di Giordani appassiona ed è difficile persino interromperla. Dopo una manciata di pagine devi già rifare la punta alla matita perché l’hai consumata nel far segni quasi ad ogni riga. L’autore è polemico e polemista di razza senza però smettere di essere fratello di ogni persona, anche quella che la pensa in modo diametralmente opposto. Non offende gli uomini, ma da strenuo lottatore, da ex combattente di trincea, si avventa contro la guerra e dimostra, appunto, che è inutile. Non molla la presa. Giordani ha un modo personalissimo di esprimersi, trascinante, appassionato, evidentemente scaturito dalla voglia di comunicare idee. È in stato di missione permanente. È nel cuore della Chiesa. Lui non è uno scrittore puro, è “oltre”, è “di più”. Sa scegliere le parole giuste e, se serve, inventa espressioni affascinanti. Ha il linguaggio tipico dei mistici e si riconoscono nelle sue parole gli echi dei Padri della Chiesa. È un libro di storia, è un libro di vita, è un libro di preghiera. È un libro che si schiera contro la tentazione della rassegnazione davanti alle decisioni dei potenti di turno. Giordani sostiene che ogni persona è protagonista della pace. “Se vuoi la pace, prepara la pace” è il suo grande messaggio che coinvolge tutte le categorie umane. “Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte – scrive -. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una “inutile strage”. Strage, e per di più inutile”. Queste ultime parole appartengono a Benedetto XV. Giordani respira a pieni polmoni il Magistero dei Papi e nel percorso del libro non perde mai di vista i passi dei Successori di Pietro. La guerra – afferma – è sempre una sconfitta anche per chi vince sul campo. Con i soldi investiti in questa “inutile strage” si potrebbero finalmente affrontare con decisione problemi drammatici come la fame e la povertà, tante malattie potrebbero essere definitivamente debellate. È un fatto di giustizia. Così non valgono a nulla i mille pretesti, sempre gli stessi, adoperati per giustificare la guerra. E non è una buona “scusa” la “rapidità” delle operazioni militari: qui Giordani è sprezzante e ricorda che, nel giudizio di Hitler, la Seconda Guerra Mondiale avrebbe dovuto essere “la guerra lampo” e che, secondo Salandra, la prima doveva essere “la passeggiata”. Aggiunge con impeto: “Non credo che ci sia mai capo di Stato, il quale abbia ammesso di far la guerra a scopo di rapina; ha sempre dichiarato di farla per fini uno più nobile, uno più altruista, più ideale dell’altro. E – puerilità dell’odio – sempre la rapacità è assegnata al nemico e l’idealità all’amico”. Rovesciare una macabra prospettiva della storiografia La logica dice che chi fa la guerra ha torto, non risolve nulla e comunque ci rimette. Il popolo non la vuole. E si commette un grave errore rigirandosi nelle biografie di personaggi che hanno scatenato stragi indicibili – da Hitler a Stalin – ignorando i veri condottieri dell’umanità come, scrive Giordani, ad esempio un Cottolengo o un don Orione. È un fatto culturale riuscire a rovesciare questa macabra prospettiva della storiografia. Giordani indica la strada del dialogo alla ricerca di una soluzione sempre e comunque, senza cedere alla stanchezza. Afferma che miseria e cupidigia sono le prime cause delle guerre la cui radice è la paura. Ma c’è una speranza, un’alternativa: si chiama carità e l’ha incarnata Cristo che ha voluto redimere anche la politica per portarla ad una funzione di pace, di vita. “I nemici si amano: questa è la posizione del cristianesimo – scrive Giordani -. Se si iniziasse una politica della carità, si scoprirebbe che questa coincide con la più illuminata razionalità, e si palesa, anche economicamente e socialmente, un affare”. Definisce un crimine ogni guerra, aggressiva e preventiva che sia. È infatti un’azione contro la giustizia perché la giustizia vera fa scaturire la pace vera. I riferimenti che Giordani dedica a san Francesco e a Dante sono una sollecitazione spirituale elevatissima. Afferma: “Per meritarsi il nome di figli di Dio i cristiani devono lavorare per la pace”. Senza timidezze e con coraggio, vivendo il ministero della riconciliazione, abbattendo ogni muro di separazione, perdonando quanti ci fanno del male, riconducendo ad unità chi è lontano. Cita il tedesco Max Josef Metzger, ucciso dai nazisti nel 1944: “Noi dobbiamo organizzare la pace così come altri hanno organizzato la guerra”. Non è serio, non è credibile parlare di pace e intanto preparare la guerra. “L’opera pacificatrice comincia da me e da te…” conclude Giordani. Per rimuovere la guerra non basta eliminare le armi, ma occorre innanzitutto ricostruire una coscienza, una cultura di pace. È un’opera urgentissima che gli uomini di fede accompagnano con la strategia della preghiera. Ecco la missione dei cristiani oggi nella storia: realizzare il Vangelo della Pace. (altro…)

La cultura della sconfitta, per una nuova cultura della vittoria

Brani da «L’inutilità della guerra»

“La guerra è un omicidio in grande, rivestito di una specie di culto sacro”, p. 9

“Quando l’umanità sarà progredita spiritualmente, la guerra verrà catalogata accanto ai riti cruenti, alle superstizioni della stregoneria e ai fenomeni di barbari”, p. 9 “Solo i matti e gl’incurabili possono desiderar la morte. E morte è la guerra. Essa non è voluta dal popolo; è voluta da minoranze alle quali la violenza fisica serve per assicurarsi vantaggi economici o, anche, per soddisfare passioni deteriori. Soprattutto oggi, con il costo, i morti e le rovine, la guerra si manifesta una ‘inutile strage’. Strage, e per di più inutile” , p. 9 “Come la peste serve ad appestare, la fame ad affamare, così la guerra serve ad ammazzare: per giunta, distrugge i mezzi della vita. E’ una industria funeraria: una fabbrica di rovine”, p.12 “La guerra non serve a niente, all’infuori di distruggere vite e ricchezze”, p.13 “La guerra moderna – inutile, maledetta – non conta più né vittorie né sconfitte. E’ tutta una sconfitta”, p.15 “Con le somme spese si sarebbe potuto provvedere d’un alloggio comodo e mobiliato ciascuna famiglia degli Stati Uniti, del Canada, dell’Australia, Inghilterra, Irlanda, Francia, Germania, Russia e Belgio ecc., e di più costruire chiese, ospedali, scuole, musei, strade, stadi, ecc. Ma s’è preferito quella ricchezza – costata lavoro, ingegno, sacrifici – gittarla in armi, per distruggere abitati e abitanti”, p.17 “Se quanto si spende per le guerre, si spendesse per rimuoverne le cause, si avrebbe un accrescimento immenso di benessere, di pace, di civiltà: un accrescimento di vita. E non è meglio vivere che morire ammazzati?”, p.20 “Ha torto senz’altro chi inizia la guerra. (…) Il torto è di chi, pur avendo ragione, ricorre alle armi. Chi primo spara è il più sicuro criminale”, p.22 “La guerra è guerra, cioè una sciagura senza attenuanti, complicata da imbecillità senza limiti (pretende di conseguire il bene con il male, di curare un malato uccidendolo); ed è tale sia se combattuta dagli amici sia se combattuta dagli avversari. Questo perciò è da stabilire: la guerra è un male: dunque non è lecito muoverla”, p.23 “Chi ama la Patria le assicura la pace, cioè la vita: come chi ama suo figlio, gli assicura la salute. La pace è la salute di un popolo: è l’ossigeno della sua civiltà”, p.24 “…il ‘si vis pacem para pacem’, è di tutti i tempi, anche dei nostri, al lume, se non altro, della semplice ragione”, p.25 “Se la guerra è inutile, non si ha da fare: ecco, la logica. La questione è spirituale: ma allora è questione della carità, e non della tecnica”, p.29 “E dunque discutere, trattare: questa la soluzione, più che il riarmo, il quale – dicono i pensatori d’ogni colore – porta alla guerra”, p.54 “La sostanza della frattura sta altrove che nel capitalismo o nel comunismo. Sta nella miseria. E causa prima della guerra è la miseria. Essa, come porta all’ateismo, porta alla guerra. I Padri della Chiesa sapevano ciò”, p.58 “Se causa prima della guerra è la miseria, causa seconda è la cupidigia”, p.64 “La diplomazia dei due emisferi prosegue il ragionamento dei figli di Caino, col quale e per il quale da millenni gli uomini vivono la loro esistenza come un’occasione per ammazzarsi, facendo della vita una produzione di morte. E’ il trionfo dell’imbecillità: ma non si vede come sottrarvisi”, p.71 “Il principale argomento a sostegno delle spese di guerra è tratto dalla sapienza pagane: – Si vis pacem para bellum (se vuoi la pace, allestisci la guerra) -. Che è come dire: se vuoi la salute, procurati la polmonite; se vuoi arricchire, dilapida il denaro; se vuoi il bene, opera il male…”, p.72 “La pace si ottiene con la pace: e sant’Agostino già dai suoi tempi, nei quali le guerre stavano dissolvendo l’Impero Romano, insegnava ad acquistare vel obtinere pacem pace: a conquistare o a custodire la pace con la pace, non con le armi. Con le armi si ammazza la pace”, p.74 “Solo una suggestione ipnotica può dare a certuni l’illusione che con le armi si difenda la civiltà cristiana: che con l’omicidio si difenda l’amore; che si custodisca il culto di Dio ammazzandoGli i figli”, p.81 “Noi dovremmo resistergli (al Principe della Morte, l’Omicida): muovere guerra alla guerra; rispondere con la carità alla bestialità”, p.82 “Per non aver timore dell’uomo, bisogna amarlo. Amarlo anche se malvagio, anche se pezzente, anche se sporco, vedendo sempre, sotto le sue spoglie e i suoi cenci e la sua grinta il volto di Cristo”, p.84 “Ci vuole coraggio – un coraggio razionale – a sostener la pace contro le orge della propaganda bellica, contro quei fenomeni di ossessione collettiva prodotti dalla retorica”, p.85 “La guerra è l’utopia che rinasce, come idra: la pace è la realtà, che l’intelligenza postula. La guerra è l’utopia che pretende di risolvere problemi, mentre invece essa complica tutti i problemi ed altri crea”, p.87 “C’è un alternativa all’atomica? C’è: e si chiama carità, che è l’amore divino che lega Dio e uomini”, p.88 “La pace comincia in noi… in me e da me, da te, da ciascuno… come la guerra”, p.91 “Se gli altri odiano, non è una ragione perché odiamo anche noi. Si vince il male col bene; la malattia con la salute; si oppone all’ostilità la carità: questo è il comandamento di Dio. Gli altri sono comandamenti di uomini e uomini senza Dio, anche se facciamo salamelecchi al pievano”, p.91 “Il comandamento vale anche in politica. Soprattutto in politica, dove si scatenano le passioni irrazionali, e più arduo diviene il mantenere la serenità – la pace -, mentre diviene quasi eroico il serbare l’amore dentro il vortice delle ambizioni e intrighi e miserie. Ma Cristo ha voluto redimere anche al politica, per portarla a una funzione di pace, di vita”, p.92 “I nemici si amano: questa è la posizione del cristianesimo. Se si iniziasse una politica della carità, si scoprirebbe che questa coincide con la più illuminata razionalità, e si palesa, anche economicamente e socialmente, un affare”, p.93 “E un giorno saremo liberi dalla guerra come dalla peste e dalla fame, e succubi d’oggi, i retori delle virtù militari e dell’onore insanguinato, appariranno figuri sinistri come i monatti e gli untori. Ma tocca al popolo – a questo deposito di carne da macello, per gli uni; a questo corpo sociale di Dio, per noi -, a rovesciare il maleficio, abbattendo la tirannide d’odio, avarizia e ignoranza, da cui è immolato”, p.95 “‘L’invasione liberatrice è un crimine di guerra come la guerra preventiva’. Tranne il caso di evidente aggressione subìta, e cioè tranne il caso di difesa, la guerra è sempre ingiusta. Mentre la stessa guerra giusta è di fatto condotta oggi con tale violenza indiscriminata che colpendo militari e civili, per il danno sproporzionato che reca, diviene essa stessa ingiusta”, p.98 “La religione porta alla pace. Essa è la pace, cercata e attuata, tra Dio e gli uomini, tra materia e Spirito. Il saluto tipico dell’anima religiosa è: Pace”, p.99 “Per meritarsi il nome di figli di Dio, i cristiani devono lavorare per la pace”, p.108 “L’opera pacificatrice comincia da me e da te…”, p.110 “Ecco perché il problema è anzitutto morale. Come sempre, anche oggi il male nasce dal cuore dell’uomo: e là va curato. Non basta il riarmo e neppure il disarmo per rimuovere il pericolo della guerra: occorre rimuovere lo spirito di aggressione e sfruttamento ed egemonia, dal quale la guerra viene: occorre ricostruire una coscienza”, p.111 “Le guerre sono franamenti della costruzione sociale sulla sabbia di nequizie giuridiche, economiche, sociali, politiche: sul terreno, puntellato magari di cannoni e illustrato di lampioni, ma senza uno strato di principi morali”, p.114 “La guerra, mentre impoverisce tutti, non abolisce le più gravi disuguaglianze”, p.116 “Il popolo non vuole inutili stragi. E qui davvero vox populi vox Dei”, p.116

Città Nuova, Roma 2003

(altro…)

marzo 2003

Alle folle che accorrevano, Gesù parlava del Regno di Dio . Lo faceva con parole semplici, con parabole tratte dalla vita di ogni giorno, eppure il suo parlare aveva un fascino tutto particolare. La gente rimaneva colpita dal suo insegnamento perché insegnava loro come uno che ha autorità, non come gli scribi . Anche le guardie andate per arrestarlo, quando i sommi sacerdoti e i farisei le interrogarono perché non avevano eseguito gli ordini, risposero: “Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo”.

Il Vangelo di Giovanni riporta anche colloqui di luce con singoli, come Nicodemo o la samaritana. Gesù va ancora più in profondità con i suoi apostoli: parla apertamente del Padre e delle cose del Cielo, senza più fare uso di similitudini ; ne sono conquistati, e non indietreggiano neppure quando non comprendono appieno le sue parole, oppure quando esse sembrano troppo esigenti.
“Questo linguaggio è duro” , gli dissero alcuni discepoli quando sentirono che avrebbe dato loro da mangiare il suo corpo e da bere il suo sangue.
Gesù, vedendo che i discepoli si tiravano indietro e non andavano più con lui, si rivolse ai 12 Apostoli: “Forse anche voi volete andarvene?”
Pietro, ormai avvinto a lui per sempre, affascinato dalle parole che gli aveva sentito pronunciare dal giorno che lo aveva incontrato, rispose a nome di tutti:

«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»

Pietro aveva capito che le parole del suo Maestro erano diverse da quelle degli altri maestri. Le parole che vanno dalla terra alla terra, appartengono e hanno il destino della terra. Le parole di Gesù sono spirito e vita perché vengono dal Cielo: una luce che scende dall’Alto ed ha la potenza dell’Alto. Le sue parole possiedono uno spessore ed una profondità che le altre parole non hanno, siano esse di filosofi, di politici, di poeti. Sono “parole di vita eterna” perché contengono, esprimono, comunicano la pienezza di quella vita che non ha fine, perché è la vita stessa di Dio.
Gesù è risorto e vive, e le sue parole, anche se pronunciate nel passato, non sono un semplice ricordo, ma parole che egli rivolge oggi a tutti noi e a ciascuna persona di ogni tempo e di ogni cultura: parole universali, eterne.

Le parole di Gesù! Devono essere state la sua più grande arte, se così si può dire. Il Verbo che parla in parole umane: che contenuto, che intensità, che accento, che voce!
“Un giorno racconta ad esempio Basilio il Grande , quasi svegliandomi da un lungo sonno, guardai la luce meravigliosa della verità del Vangelo e scoprii la vanità della sapienza dei prìncipi di questo mondo.”
Teresa di Lisieux in una lettera del 9 maggio 1897 scrive: “Qualche volta, quando leggo certi trattati spirituali… il mio povero piccolo spirito non tarda a stancarsi. Chiudo il libro dei sapienti che manda in pezzi la mia testa e dissecca il mio cuore, e prendo in mano la Sacra Scrittura. Allora tutto mi diventa luminoso, una sola parola dischiude all’anima mia orizzonti infiniti e la perfezione mi sembra facile”.

Sì, le parole divine saziano lo spirito fatto per l’infinito; illuminano interiormente non solo la mente, ma tutto l’essere, perché sono luce, amore e vita. Danno pace quella che Gesù chiama sua: “la mia pace” anche nei momenti di turbamento e di angoscia. Danno gioia piena pur in mezzo al dolore che a volte attanaglia l’anima. Danno forza soprattutto quando sopraggiungono lo sgomento o lo scoraggiamento. Rendono liberi perché aprono la strada della Verità.

«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna»

La parola di questo mese ci ricorda che l’unico Maestro che vogliamo seguire è Gesù, anche quando le sue parole possono sembrare dure o troppo esigenti: essere onesti nel lavoro, perdonare, mettersi a servizio dell’altro piuttosto che pensare egoisticamente a se stessi, rimanere fedeli nella vita familiare, assistere un ammalato terminale senza cedere all’idea dell’eutanasia…
Ci sono tanti maestri che ci invitano a soluzioni facili, a compromessi. Vogliamo ascoltare l’unico Maestro e seguire lui, che solo dice la verità ed ha “parole di vita eterna”. Così possiamo ripetere anche noi queste parole di Pietro.
In questo periodo di Quaresima in cui ci prepariamo alla grande festa della Resurrezione, dobbiamo veramente metterci alla scuola dell’unico Maestro e farci suoi discepoli. Anche in noi deve nascere un amore appassionato per la parola di Dio: la accogliamo con attenzione quando ci viene proclamata nelle chiese, la leggiamo, la studiamo, la meditiamo…
Ma soprattutto siamo chiamati a viverla, secondo l’insegnamento della stessa Scrittura: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi” . Per questo ogni mese ne prendiamo in considerazione una in particolare, lasciando che ci penetri, ci modelli, “ci viva”. Vivendo una parola di Gesù viviamo tutto il Vangelo, perché in ogni sua parola egli si dona tutto, viene lui stesso a vivere in noi. E’ come una goccia di sapienza divina di Lui, il Risorto, che lentamente ci scava dentro e sostituisce il nostro modo di pensare, di volere, di agire in tutte le circostanze della vita.

Chiara Lubich

(altro…)

Il coraggio della coerenza, a costo di rischiare il lavoro

Sono studentessa di diritto e allo stesso tempo lavoro in un ministero nel Paraguay. Spesso mi trovo ad andare controcorrente ad una mentalità opposta al progetto di Dio, per difendere i miei principi fino alle ultime conseguenze. Una persona importante nel mio ambiente di lavoro, che godeva di certi privilegi, aveva un comportamento chiaramente disonesto. E per giustificarsi soleva argomentare: “Se hai deciso di essere avvocato e non commettere nessuna illegalità, perdi il tuo tempo e finirai tranquillamente morta di fame”. Io sentivo invece che ciò non era vero. Ne avevo la prova: molte altre persone che conoscevo, vivevano con coerenza. Dovevo dirglielo, certamente con carità, ma dovevo farlo, anche se mi rendevo conto che era rischioso. Ma più forte era “quella” voce interiore, che mi dava la certezza che era ‘amore’ anche dire all’altro ciò che non va bene. Come temevo, per aver manifestato le mie convinzioni, perdo il lavoro. Ho sofferto terribilmente, ma allo stesso tempo ero tranquilla perché sapevo che avevo agito in modo giusto. Più forte in me è la coscienza di avere un Padre a cui tutto è possibile e che mi ama oltre misura. Non era scritto nel Vangelo che il Padre che si prende cura degli uccelli del cielo, tanto più si sarebbe occupato di noi? Certo, sembrava umanamente impossibile nella situazione economica e lavorativa che vive il Paraguay, eppure quella stessa sera mi sono arrivate due proposte di impiego e per il giorno dopo è stato fissato il primo colloquio di lavoro. Per di più il nuovo lavoro è più direttamente collegato con i miei studi e quindi più interessante e formativo. Infinita è in cuore la riconoscenza per il Padre. E’ una nuova sfida che si apre davanti a me e mi offre migliaia di opportunità di amare e servire. P.C. – Paraguay (Da “I Fioretti di Chiara e dei Focolari” – San Paolo Editrice)

(altro…)