Movimento dei Focolari
La scelta di Dio come famiglia

La scelta di Dio come famiglia

Edgar e Maquency, insieme ai loro tre figli, Edgar (18), Monserrat (16) e Mackenzie (15), da quattro anni vivono a “El Diamante”, 50 km da Puebla e circa 170 da Città del Messico. Poche decine gli abitanti, ma svariate migliaia ogni anno i visitatori, in una terra ricca di culture e dai forti contrasti, con moderne e popolose metropoli ed estese zone emarginate. La cittadella è una vera e propria “punta di diamante”, cuore pulsante del Movimento dei Focolari, fondata nel 1990 da Chiara Lubich. Un luogo che testimonia come l‘inculturazione della vita del Vangelo sia possibile se basata sul dialogo e sullo scambio reciproco tra le diverse culture. «Abbiamo deciso di trasferirci nella cittadella con i nostri tre figli per dare un contributo concreto. Siamo arrivati qui rispondendo ad una vera e propria chiamata di Dio per costruire, insieme ad altri, la cittadella», racconta Edgar. «Per noi, dare la nostra disponibilità era anche un modo per ricambiare tutto l’amore che ci aveva donato, da quando abbiamo conosciuto l’ideale dell’unità», aggiunge Maquency. «In questo periodo – racconta Edgar – mi sono trovato a fare i conti con la difficoltà di non avere un lavoro fisso. Nel primo anno trascorso alla cittadella avevo fatto vari lavori di falegnameria e di idraulica, poi avevo lavorato come imbianchino, sempre per sostenere l’economia famigliare. In seguito, parlando con Maquency e con gli altri focolarini, abbiamo deciso che io cercassi un’altra fonte di reddito nell’ambito della mia professione di ingegnere. Dopo qualche tempo ho trovato un lavoro in una città a 90 km dalla cittadella. Il lavoro era buono ed ero contento, ma mi restava sempre dentro la nostalgia di trovarmi lontano da casa, dalla mia famiglia, dalla cittadella». Quindi un’altra opportunità, in una città più vicina. «Parlandone in famiglia, abbiamo preso la decisione di accettare. A prima vista sembrava una buona opzione, però dopo alcuni mesi di lavoro in questa impresa, mi sono accorto che le cose non erano come apparivano e ho dovuto rinunciare. Sono tornato quindi alla cittadella, e mi sono dedicato al lavoro di serigrafia. Mi sembrava di essere tornato indietro, invece poco dopo mi è arrivata un’offerta di lavoro inaspettata come consultore in un progetto. Sono stato subito assunto. Il lavoro mi piaceva molto e lo stipendio era buono. Finalmente, in famiglia, eravamo riusciti ad avere una economia stabile». Quando tutto sembrava essersi normalizzato dal punto di vista economico, a Edgar viene proposto, a sorpresa, di occuparsi della gestione dei lavori di manutenzione della cittadella, necessari dopo tanti anni dalla costruzione. «Con mia moglie siamo entrati in una nuova tappa di discernimento, cercando di capire la decisione giusta da prendere. Non sono mancati i momenti di incertezza e apprensione, soprattutto pensando al futuro dei nostri figli». «Ci siamo ricordati – interviene Maquency – dell’esperienza iniziale della chiamata che Dio ci aveva fatto. Ci siamo sentiti nuovamente interpellati, perché quando Dio chiama ti chiede di lasciare tutto ed esige un amore esclusivo. Vuole che lasciamo le nostre sicurezze, per metterci al servizio. Però anche ci offre tutto, come dice il Vangelo: “Non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto”». «Così abbiamo deciso che io mi mettessi a servizio della cittadella. Quando ne ho parlato con il responsabile dell’impresa lui ha esclamato: “Ce ne fossero tante di persone come te!” e mi ha fatto la proposta di lavorare nell’impresa con un orario ridotto, più adatto alle nuove esigenze. Ho toccato con mano l’intervento della Provvidenza e la verità del Vangelo». (altro…)

Lettera dal carcere

Lettera dal carcere

«Questa lettera per me è preziosa come le parole scritte da Chiara Lubich: “Io posso immaginare che tutti voi … sentiate il peso che la violenza e il terrorismo siano in intere nazioni. Dei giovani non più grandi di voi, credono di poter cambiare la società con rapimenti, uccisioni e commettendo i crimini più svariati. Senza dubbio loro non hanno trovato ideali più positivi e si sono così lasciati andare in strade estremamente pericolose. Molta gente è spaventata e non può vivere in pace. Cosa possiamo fare? Quale contributo possiamo dare?”. Queste parole riassumono perfettamente quello che sto passando ora. Vorrei condividere quello che sto vivendo e di come io mi senta abbandonato in questo momento; forse un po’ come si è sentito Gesù quando era abbandonato sulla croce. Questo senso di abbandono è qualcosa che ho sperimentato nei quattro centri di detenzione dove sono stato e dove mi sono ritrovato con ragazzi che erano la maggior parte, più giovani di me. All’inizio questi ragazzi mi spaventavano, erano contro di me e volevano perfino ammazzarmi. Ma ho provato ad avvicinarli e mi sono reso conto che quello che a loro mancava era di essere capiti, una mancanza di opportunità e di conseguenza una mancanza d’amore. Non sto cercando di giustificali, ma anche loro hanno bisogno di amore e di aiuto, solo che lo chiedevano richiamando l’attenzione su sé stessi, nel modo sbagliato, ma era l’unico modo che conoscevano. I miei genitori cercano di vivere per un mondo unito e, fin da quando sono piccolo, anche io. È più facile quando fai parte di una comunità in cui si cerca di vivere in questo modo. Mentre per le persone che hanno paura di lasciarsi amare è più difficile, specie quando vedi che questo amore non è corrisposto e si è circondati da ladri e assassini. In ogni modo l’amore sfonda tutti i limiti ed è questa la verità più preziosa, nonostante quello che sto vivendo qua. Ora questi ragazzi vengono nella mia cella per chiedere consigli o aiuto, in particolare quando attraversano un brutto momento; qualcuno vuole persino sapere di più sui Giovani per un Mondo Unito di cui faccio parte, nonostante la mia situazione. Tanti mi domandano come sto, se ho bisogno di qualcosa, qualcuno addirittura mi chiama fratello. Quello che sto vivendo in prigione può diventare un’invasione d’amore che si diffonde pian piano dove regna la violenza. Così come la pioggia leggera che penetra dolcemente nelle profondità della terra…». (altro…)

Santità di popolo

Santità di popolo

Maria Voce

«Chiara Lubich era una ragazza ventitreenne che cercava un Ideale nella vita e l’aveva trovato in Dio, e per questo aveva scelto di vivere il Vangelo integralmente. Da questa sua scelta lei aveva capito che poteva derivare un cambiamento personale e intorno a lei, e quindi si era lanciata in questa rivoluzione evangelica. […] Chiara Lubich ci ha indicato una strada di santità che in questo momento viene guardata anche dalla Chiesa, che sta studiando l’eventuale sua canonizzazione. Ma non è solo questo. Chiara ci ha fatto capire che la santità si costruisce facendo la volontà di Dio, momento per momento; che la santità non è una questione di estasi, di miracoli, o di cose straordinarie. Facendo la volontà di Dio, momento per momento, tutti la possono raggiungere. Anche nel nostro Statuto c’è scritto, come primo e generale scopo, la “perfezione della carità”. Ma questa perfezione, che è poi la santità, si raggiunge momento per momento nella volontà di Dio che è varia per ciascuno, ad esempio per una mamma di famiglia è fare bene la mamma di famiglia, per uno studente è fare bene lo studente, ma può condurci a questa perfezione della carità. E questo, mi sembra, è un messaggio sempre attuale, che trascina le persone, perché non è una santità straordinaria fatta di immagini o di culto. Ma è costruire, attimo per attimo, un rapporto con Dio e con gli altri, nell’amore. Questo è il primo tratto fondamentale. Il secondo è che questa santità, poi, deve servire agli altri. Non è una santità fine a se stessa, perché nessuno di noi vive per se stesso. Dio ci ha creati e redenti insieme. Gesù è venuto sulla terra per redimerci tutti come suo popolo, Chiesa, Corpo di Cristo, e quindi vuole che questa santità sia allargata all’umanità intera. Chiara ci lascia un messaggio che è quello di aprirsi a tutti, di non guardare nessuno come se fosse diverso da te, ma ognuno come se fosse tuo fratello. E questo “ognuno” significa la persona della stessa patria come di un’altra, il cristiano come il non cristiano, il credente come il non credente, chi comprende e accetta quello che dico e chi mi combatte, perché anche la persona che mi combatte è un fratello. Questo ci ha insegnato Chiara vivendolo in prima persona, avendo un cuore capace di accogliere ciascuno come se fosse l’unica persona al mondo, che fosse un capo di Stato o un bambino, un parente o un responsabile di un’altra chiesa o di un’altra religione. Chiara aveva per tutti lo stesso amore. E questo, io credo, è il messaggio più importante anche oggi, mentre vediamo rinascere tensioni, violenze, egoismi, indifferenze reciproche. Per costruire un mondo che, animato dal Vangelo, possa diventare il mondo della fraternità, della vera famiglia umana».


Sulla Via di Damasco, puntata del 28/07/2018 (altro…)

Vangelo vissuto: “Ti ho amato di amore eterno”

Il più piccolo Una vicina di casa, in pena per lo scarso profitto scolastico del suo bambino, non sapeva come aiutarlo nei compiti. Per lavorare, infatti, usciva di casa alle 5,30 del mattino e tornava solo la sera. Le ho proposto allora di mandarlo da me a studiare con il mio. Non era facile, perché dovevo aiutare anche l’altro figlio più grande e tenere il più piccolo, di appena un anno. Ma sono stata felice di poter essere d’aiuto a qualcuno. M. M. – Venezuela

Fabbrica di armi Finalmente avevo trovato un lavoro, in una fabbrica dotata di sofisticati sistemi di sicurezza. Ero incredulo, e consideravo ormai finiti i nostri problemi. Dopo poco venni a conoscenza di un particolare che mi era stato tenuto segreto: quella fabbrica costruiva armi. Mi chiesero se avevo problemi di coscienza, e disinvoltamente risposi di no. Non avrei mica risolto io il problema, oltretutto rinunciare avrebbe significato tornare in strada. Ma non ero più in pace con me stesso. Parlandone con mia moglie e alcuni amici, capii qual era la scelta da fare. Mentre tornavo a casa, di nuovo disoccupato, piangevo senza freno, ma in fondo alla mia anima c’era anche una gioia insolita. Avevo messo davanti a tutto il mio essere cristiano, quindi uomo di pace. Non potevo immaginare che di lì a poco mi sarebbe stata offerta la possibilità di un altro lavoro, gratificante e soprattutto in linea con la mia coscienza. D. R. – Italia Con animo diverso Nostro figlio era tornato da un periodo di vacanza vissuto in un modo che come genitori non potevamo approvare. Abbiamo deciso di parlargli dopo cena, decisi a dirgli che o cambiava stile o se ne doveva andare via da casa. Per tutto il giorno mi sono chiesta se quell’aut aut fosse veramente per il suo bene. Ne ho anche parlato con delle mie amiche, e il dubbio cresceva. Forse, pensavo, occorreva saper aspettare, aggiungere amore nel nostro rapporto, come Gesù ci insegna. Dopo averne parlato con mio marito, ci siamo disposti con animo diverso, non più per imporre la nostra posizione. “Parlaci di te…”. Abbiamo parlato due ore, ci siamo sentiti liberi di dirgli tutto quello che pensavamo. Ci ha ascoltato fino in fondo e, pur non condividendo le nostre idee, ci ha fatto partecipi dei suoi travagli. Abbiamo ringraziato Dio per averci guidato. C. W. – Austria Un tipo sospetto Nel paesino dove ci siamo trasferiti per il lavoro non conosciamo nessuno. Le colleghe mi dicono anzi di non dare confidenza a nessuno, perché ci vive gente poco raccomandabile. Mio marito, con il suo carattere estroverso, inizia presto a parlare con diverse persone, soprattutto con un signore che incontra ogni giorno dal giornalaio. Le colleghe, nuovamente, mi mettono in guardia e mi avvisano che quella persona, in particolare, ha avuto seri problemi con la giustizia. Qualche giorno dopo la nostra bambina si sente male e peggiora velocemente. Mi sento smarrita. In quel momento mio marito si ricorda che quel signore incontrato dal giornalaio gli aveva regalato una piantina dove erano indicati tutti i numeri di pubblica utilità, compreso ospedale, medico e farmacista. Tutto è risultato facile grazie alla cartina del “tipo sospetto”. Per me è stata una forte lezione: l’amore verso il prossimo viene prima di ogni giudizio. L. S. – Italia (altro…)

“Life Directions”

“Life Directions”

Improntato sul “cosa faccio nella mia vita?”, uno dei sette workshop che si sono svolti a seguito del Genfest ha affrontato il tema delle scelte per la vita, della propria “Life direction”. «La costruzione di questo workshop – raccontano gli organizzatori, adulti insieme a un gruppo di giovani di varie parti del mondo – era già iniziata dallo scorso febbraio con incontri via Skype: un’esperienza davvero edificante, assunta da tutti con serietà, responsabilità e creatività». «Arrivando a Tagaytay e conoscendoci di persona, ci siamo resi conto quanto era alta in tutti l’aspettativa. Anche i numeri attesi al workshop erano alti: dei 1000 iscritti ai sette laboratori, 250 giovani avevano scelto Life Directions. Provenienti da vari paesi del mondo, si parlava in 16 lingue diverse». La conduzione del programma, snella e graduale verso contenuti sempre più “profondi” e in cui le esperienze erano il fattore principale, è stata preparata e portata avanti dagli stessi giovani della cittadella asiatica, e il filo conduttore era il “motto quotidiano”: un pensiero da mettere in pratica durante la giornata. «Il primo giorno è stato aperto con “Open your heart”: un invito ad aprire il cuore alla vera felicità, cercando di togliere quanto poteva essere di impedimento per vivere con intensità l’attimo presente. Si sono presentate quattro esperienze in modi e situazioni diverse sul tema della felicità trovata grazie all’amore vissuto, o scoperta dopo la ripresa in seguito alla caduta o, ancora, in situazioni dolorose e difficili. Lo scambio in piccolo gruppi ha permesso di verificare quanto erano calate in profondità e quante domande e aspettative ciascuno portava con sè». «Il secondo giorno – continuano –, il motto era “What is the call” (cos’è la chiamata) in cui era richiesta la nostra partecipazione in modo più attivo nel presentare il senso della “chiamata” con un linguaggio comprensibile per poter essere accolta, associandola a tre parole chiave: capire, ascoltare, scegliere. Quindi, la storia con Dio di cinque personaggi biblici: Samuele, il giovane ricco, il figlio prodigo, Maria e Pietro. Una coppia di sposati, un religioso, un’impegnata nel mondo professionale e una focolarina sono stati intervistati sulle tre parole chiave. «In gruppi più piccoli si è potuto approfondire il senso di ciascuna di queste chiamate, interagendo anche con domande e risposte». «Il terzo giorno si puntava in alto con il motto: “Aim high”. Abbiamo lasciato la parola a Chiara Lubich che racconta della sua chiamata ai giovani a Barcellona nel 2002. Le domande, stavolta scritte, poco a poco affollavano la cassetta messa a disposizione e che sono state la materia con cui si è animato il pomeriggio, con interviste ancora ai nostri invitati: ognuno sottolineava la bellezza della propria vocazione nell’ottica dell’unica chiamata all’amore. Un’ora e mezza che è volata!» «In questi quattro giorni – scrivono gli adulti – abbiamo visto giovani con la sete di un rapporto con Dio, in profonda ricerca, apertura e ascolto. Anche pieni di sofferenza, di dubbi e paure, tutto in un clima di grande semplicità e serenità. Abbiamo avvertito che qualcosa di nuovo è avvenuto: un’esperienza di luce che ha aperto una nuova strada di dialogo con i giovani sulla chiamata ad una vocazione radicale». Qualche impressione dei presenti: «Era proprio quello di cui avevo bisogno a questo punto della mia vita. Vivere il momento presente, aprire le mie porte, fare passi radicali oltre noi stessi, è quello che mi porto via». «I giovani che hanno raccontato della loro scelta di seguire Gesù in modo totale mi dà il coraggio di fare scelte solo per amore». «Per me era importante capire come rispondere alla chiamata: capire (che Dio mi ama), ascoltare (la voce dentro) e decidere (di seguire Gesù). Sono tanto felice per questa esperienza. Grazie!» (altro…)