Movimento dei Focolari
Portare il Risorto nel mondo

Portare il Risorto nel mondo

Al ritiro del Consiglio Generale in Terra Santa si sono conclusi i tre giorni di lavoro su comunione dei beni, nuove generazioni e Assemblea generale 2020.   “Quel Gesù che era sepolto qui ed è risorto, ora vuole vivere in mezzo a noi ed essere portato da noi in tutto il mondo”. Ha espresso così il Copresidente del Movimento dei Focolari Jesús Morán la sua emozione davanti al Santo Sepolcro dove ha celebrato l’Eucarestia insieme al Consiglio Generale. Una giornata intensa, ricca, quella del 13 febbraio iniziata con un risveglio all’alba per poter entrare in questo luogo straordinario che sembra avere molti punti in comune con la settimana di ritiro che il Consiglio Generale sta vivendo in Terra Santa. Al Santo Sepolcro ci si è trovati infatti davanti alla tomba lasciata vuota da Gesù Risorto. E, come essa provocò nei seguaci di Gesù tante domande sul futuro, così in questi giorni anche il Consiglio Generale si è lasciato interrogare facendo spazio alle domande sull’avvenire: dove il Risorto – anche attraverso i Focolari – vorrà arrivare oggi? Dove si dovrebbero, di conseguenza, concentrare le forze, le energie e le risorse? Domande che hanno pervaso i tre grandi argomenti affrontati in questi giorni a Gerusalemme. Riguardo all’aspetto “comunione dei beni, economia e lavoro”, il Consiglio Generale ha costatato in tutte le articolazioni del Movimento un grande desiderio di tornare alla radicalità dei primi tempi e di vivere con nuovo impegno e nuova coerenza la comunione dei beni. Ci si è interrogati su come dare concretezza a questo desiderio. La riflessione sulle nuove generazioni dei Focolari, secondo argomento trattato, è stata arricchita dalla retrospettiva sul Genfest a Manila e sulla recente GMG a Panama, due tappe che hanno evidenziato tutta la potenzialità di ragazzi e giovani. Lo dimostrano anche alcune iniziative che si stanno ampiamente diffondendo come il progetto “Pathways for a United World” oppure l’impegno verso “Fame Zero” per sconfiggere la fame entro il 2030. Tra gli argomenti di riflessione, come dare continuità alle singole iniziative in atto per aderire a questi impegni. E infine il terzo tema: la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020. Particolare attenzione del Consiglio è stata posta, da un lato, su come fare in modo che l’Assemblea rispecchi la varietà geografica, culturale e di vocazioni presente nel Movimento; dall’altra, ci si è chiesti come conciliare le esigenze di continuità e quelle di novità che caratterizzano il momento attuale del Movimento. A breve sarà costituita una commissione preparatoria che avvierà il lavoro partendo da queste due piste. Così descritto, però, potrebbe apparire un ritiro fatto di tante domande, ma senza risposte. Non è stato così. E’ venuto in luce un cammino già in atto, frutto della vita del Movimento presente in tutto il mondo. Porsi domande su questo cammino, lasciarsi interrogare dalle grandi questioni dell’umanità di oggi e cercare nuove risposte, attingere al percorso fatto per guardare al futuro, può produrre effetti inaspettati, può far incontrare il Risorto su strade inattese, proprio come è accaduto a quei due discepoli che, lasciata la tomba vuota, si erano incamminati verso Emmaus.

Joachim Schwind

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Nuova Zelanda: quando le culture s’incontrano

Nuova Zelanda: quando le culture s’incontrano

Esther è Maori e Tom è di origini irlandesi e scozzesi. Una storia, la loro, che ribalta il principio dell’incomunicabilità tra culture molto diverse.  Figlio di madre irlandese e di padre scozzese, Tom ha 26 anni quando arriva in Nuova Zelanda, un arcipelago dove il popolo Maori è approdato per primo, seguito da numerose migrazioni, tanto da renderlo un Paese multiculturale. Ci è arrivato con uno dei voli low-cost che i governi britannico e neozelandese offrivano a giovani disposti a fermarsi almeno due anni nelle terre d’oltremare. Esther, invece, è Maori ed è la più grande di 13 fratelli. I due si sono conosciuti in discoteca ed è stato amore a prima vista. “Non ho mai notato che venivamo da due culture diverse”, esordisce Tom, “E io non ci ho proprio fatto caso che lui fosse bianco”, replica lei. “Quando l’ho vista mi sono semplicemente innamorato”, conclude lui. Le complicazioni sono arrivate dopo, quando hanno annunciato alle rispettive famiglie che volevano sposarsi. La madre di lui gli ricorda che non potrà portarla in Inghilterra perché non è bianca e anche la nonna di Esther non era per nulla convinta di Tom. Aveva già scelto un uomo per lei, come aveva fatto prima per sua figlia, la madre di Esther: le tradizioni nella comunità Maori sono forti e difficili da trasgredire. Tuttavia, dopo lo shock iniziale, i genitori di Tom imparano a voler bene alla nuora Maori e anche lui viene accolto dalla numerosa famiglia di Esther. Di comune accordo, i figli vengono battezzati ed educati nella Chiesa Cattolica della quale Esther fa parte e nella quale Tom sente il desiderio di inserirsi. Il primo contatto con i Focolari avviene nel 1982 attraverso padre Durning, il catechista di Tom, un sacerdote scozzese, missionario presso la comunità Maori.  Invitati a trascorrere un weekend con le focolarine, Esther e Tom partono con i figli e non poco batticuore. “Mi sforzavo di leggere la Bibbia – ricorda Tom –, ma non ne traevo beneficio. Mi ha colpito piuttosto una frase che una di loro ha detto: “Cerca di cogliere la presenza di Gesù in chi ti passa accanto”.  Le ho risposto che se lei avesse conosciuto il mio posto di lavoro, le ferrovie, avrebbe concordato con me che non era possibile. Era un ambiente difficile, ma lei ha insistito. Ci ho provato e la mia fede ha ripreso forza e ho trovato quello che cercavo: la possibilità di farla diventare vita”. Alla loro prima Mariapoli[1] Esther e Tom si ritrovano ad ascoltare persone che condividono esperienze e vicende personali “lette” alla luce del Vangelo e ne rimangono colpiti. “La nostra, però, non era una vicenda semplice da raccontare – spiega ancora Esther – perché Tom aveva iniziato a bere, un’abitudine presa sul lavoro”. “Una sera, mentre stavo per prendere una birra – continua Tom – Esther mi ha chiesto cosa stessi per fare.  Ho capito che non potevo continuare a vivere così; avevo una moglie e quattro figli. L’alcolismo stava distruggendo la nostra famiglia, così ho deciso di smettere”. Ma la vita di una famiglia come la loro non era mai monotona e succedeva che, superata una sfida, se ne presentava subito un’altra. Accade così che, in seguito ad un incidente, Tom è costretto a lasciare il lavoro e decidono quindi di scambiarsi i ruoli: “Esther andava a lavorare e io restavo a casa a badare ai bambini”, racconta Tom. “Ho dovuto imparare a fare tante cose e anche la difficile ‘arte’ di amare a casa propria. Per gli amici la nostra era una scelta totalmente contro corrente e non possiamo dire che sia sempre andato tutto liscio, ma pur tra alti e bassi, ci siamo sempre trovati uniti. Anche quando abbiamo punti di vista diversi, o quando mi impunto su un’idea, mi ricordo che Chiara Lubich ci ha insegnato ad amare sempre per primi, a chiedere scusa e a non perdere il coraggio di amare”. “Da 46 anni la spiritualità dell’unità è diventata il nostro stile di vita quotidiano” – conclude Esther. “Ho capito che Dio ci aveva dato una vita bella, mostrato una meta alta e donato la fedeltà per raggiungerla; a noi, ora, andare avanti”.

Gustavo E. Clariá

  [1] L’appuntamento storico dei Focolari: un incontro di più giorni per tutti, bambini, giovani, famiglie, per conoscere e fare esperienza della spiritualità dell’unità. (altro…)

Non potevo tirarmi indietro

A volte sono le relazioni più prossime quelle più difficili. È l’esperienza di Miso Kuleif e del suo papà. “Con mio padre ho sempre avuto un rapporto difficile, né io né il resto della famiglia siamo mai riusciti ad andare d’accordo con lui e ne abbiamo sofferto moltissimo. Eppure, in un preciso momento della mia vita, ho fatto una scoperta: lui mi voleva bene veramente e anche io gliene volevo”. Esordisce così, Miso Kuleif, 24 anni, nata in Giordania, che da oltre venti anni vive in Italia con la sua famiglia. Il padre di Miso per molto tempo ha avuto gravi problemi di salute, ma la svolta avviene circa tre anni fa quando apprende di dover fare con urgenza un trapianto di fegato. Poiché in Giordania, a differenza che in Italia, è possibile fare questo tipo di operazioni anche con un donatore vivente, il padre sceglie di operarsi nella sua terra d’origine. “Il problema – continua Miso – era trovare un donatore e quindi persone disposte a fare i controlli di compatibilità. Quando l’ho saputo, non ci ho pensato molto. Sono partita con lui per sottopormi agli esami”. “Dove ho attinto forza? Mi ha aiutato il vivere da alcuni anni la spiritualità dell’unità – spiega -. Ho conosciuto i Focolari nella mia città attraverso il Movimento Diocesano, che porta questa spiritualità in tante Diocesi e parrocchie, tra le quali la mia. Negli incontri molte volte ci proponevamo di amare come insegna il Vangelo, pronti anche a dare la vita gli uni per gli altri. Adesso non potevo tirarmi indietro. Se abbiamo la possibilità di salvare una vita, non possiamo non farlo”. Miso lascia quindi l’Italia e interrompe l’Università senza sapere quando sarebbe potuta tornare. Arrivata in Giordania, l’esperienza è dura. “Ero lì, sola, circondata da una famiglia alla quale mi sembrava di non appartenere. Se avessi subìto l’intervento, tutte le persone che avrei voluto vicine non sarebbero state con me”. Ma va avanti. Dagli esami risulta però che Miso non è compatibile. Poco tempo dopo si trova un donatore: è il fratello del padre, l’unico che dopo Miso ha accettato di fare i controlli. “Mi ci è voluto un po’ per metabolizzare questa esperienza. Anche grazie a tante persone del Movimento che mi sono state vicine, sono riuscita a sviluppare la consapevolezza del bene che voglio a mio padre, anche se mi è difficile ammetterlo. Odiare qualcuno è molto più facile, ma molto più deleterio. Il vero problema non era la situazione in sé, ma come io l’ho affrontata. Ho imparato che si può essere felici sempre, che dipende da noi. Nel Vangelo si legge: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Ora mi rendo conto dell’importanza di queste parole. Se la mia vita fosse stata diversa, magari sarebbe stata solo più semplice, ma io non sarei quella che sono oggi”.

Anna Lisa Innocenti

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Calabria (Italia): cambiare si può

Calabria (Italia): cambiare si può

“Bisogna lavorare insieme e avere il coraggio di far funzionare bene le cose”. Ne è convinto Loris Rossetto che al recente convegno “Co-Governance, corresponsabilità nelle città oggi” ha raccontato dell’ostello “Bella Calabria”, ricavato da una struttura confiscata alla ‘ndrangheta. “Forse a volte una mentalità all’insegna del ‘tanto non cambierà nulla’ o ‘meglio non rischiare’ danneggia la nostra terra. Quando invece ci si rimbocca le maniche e si fa lavoro di squadra i risultati arrivano”. È l’esperienza di Loris Rossetto e di sua moglie, calabresi emigrati negli anni ’90 in Veneto e poi in Trentino che tornati nella loro terra, nel 2005, hanno avviato attività in strutture confiscate alla ‘ndrangheta (così si chiama la malavita organizzata in questa terra). Sperimentata l’efficienza del nord Europa, hanno pensato di coniugarla con il calore e le risorse naturali e culturali del sud, sviluppando un turismo del tutto particolare, quello dell’amicizia e dell’accoglienza calabrese”. Il loro obiettivo è promuovere la crescita economica del territorio, ma soprattutto di creare legami di amicizia con persone di altri Paesi e incoraggiare la popolazione locale a operare per il Bene comune, nella legalità, credendo nella possibilità di rinascita del territorio. Dati alla mano infatti, in Calabria attualmente sono 35 i Consigli Comunali sciolti per mafia, compreso il capoluogo, e attraverso la Regione passa la metà della droga che arriva in Italia. Ma la piaga della mafia – dimostra l’esperienza dei Rossetto – non ha l’ultima parola se si ha il coraggio di proporre un modello di relazioni diverso. Iniziamo fondando l’associazione ‘Amici del tedesco’ – racconta Loris – con l’idea di promuovere scambi tra la nostra città e i Paesi di lingua tedesca. La prima esperienza è la creazione di un centro di aggregazione. Poi decidiamo di aprire l’ostello ‘Bella Calabria’ in uno stabile confiscato a Cutro, in provincia di Crotone”. L’11 aprile del 2015 si inaugura la struttura. Ci inventiamo un programma per le classi – continua Loris – ‘48 ore all’ostello all’insegna del motto: Chi rispetta le regole è felice’. Sottotitolo: ‘Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te!’. Gli alunni interiorizzano l’idea che lavorare in squadra è bello. Apprendono le lingue straniere attraverso simulazioni e dialoghi in lingua”. Ma i primi passi di questa avventura sono in salita. E non solo perché i Rossetto non si intendono di economia né di turismo. In estate nella zona viene a mancare l’acqua. Si supplisce con una cisterna, ma non basta. La Provvidenza vuole che l’anno seguente venga eletto un Sindaco che si dà da fare per aiutarli. “È un segno del cielo” pensano i coniugi, incoraggiati ad andare avanti. E intanto il progetto cresce. Arrivano classi dal nord Italia e ospiti dall’Europa, la squadra di Hockey di Hamm, una classe di Dresda, la Croce Rossa tedesca. Tutti sperimentano il calore dell’accoglienza calabrese, e le persone del posto, prima diffidenti, si aprono all’iniziativa. La gente di Cutro risponde in modo stupendo – osserva Loris – Spesso capita che il turista, sorpreso, ci dica ‘sono andato al bar e mi hanno offerto il caffè’, o che un vicino d’estate porti frutta fresca. Gli ospiti rimangono così colpiti che si innamorano del paese e dell’ostello, così chi viene una volta spesso ritorna. Capiamo che siamo sulla strada giusta”. Seguirà un secondo ostello a Crotone e un progetto che coinvolge tre parchi: “A Cropani Marina, proponiamo con delle mini car educazione stradale, a Isola un percorso per mountain bike, a Cirò un percorso botanico. Anche qui i problemi non mancano, ma alla fine funziona”. A fare da comun denominatore una motivazione forte e un invito: “Non smettere mai di sognare stando con i piedi per terra, con lo sguardo rivolto al cielo, per amare e migliorare il proprio territorio”. 

Claudia Di Lorenzi

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Kenya: a scuola di leadership

Kenya: a scuola di leadership

Si chiama “Together fo a new Africa” la prima scuola di leadership per giovani leader del continente africano organizzata dai Focolari. Hanno partecipato in più di cento da 12 Paesi. “Trova la tua passione, qualunque essa sia, assumila e fa che essa diventi te e vedrai accadere grandi cose per te, a te e grazie a te”. Questa citazione di Allan T. Armstrong riassume bene il senso della scuola di leadership a cui hanno partecipato oltre 100 giovani leader provenienti da 12 paesi dell’Africa dell’Est e della Repubblica Democratica del Congo agli inizi di gennaio. Il corso si è svolto alla Mariapoli Piero, la cittadella dei Focolari in Kenya e si tratta della prima di una serie di Summer School dal nome promettente “Together for a new Africa”, insieme per un’Africa nuova. Melchior Nsavyimana, giovane politologo burundese e ora docente e coordinatore pressol’Institute for Regional Integration/Catholic University of Eastern Africa è uno dei pionieri del corso. Spiega che lo scopo di questo primo appuntamento è  “approfondire e sperimentare un’idea di leadership che, radicata nei valori del continente africano, risponda alle sfide di oggi. Una leadership che si esprima in modi comunitari e costruisca comunità, con gli strumenti e i linguaggi della fraternità universale: Se questa è la domanda che interroga il nostro futuro, questo dev’essere il nostro impegno oggi. Facendo tesoro dei fondamenti della cultura dell’unità”. Ad organizzare questo primo appuntamento, un vero e proprio network composto dall’Istituto Universitario Sophia, con il supporto del Movimento politico per l’unità, con l’Ong New Humanity e la cooperazione dell’Unesco, e il sostegno di Caritas e Missio. Tutto è cominciato alcuni anni fa per iniziativa di un gruppo di studenti africani dell’Istituto Universitario Sophia che hanno deciso di impegnarsi per un’Africa nuova, partendo dalla trasformazione e dal rinnovamento culturale della sua leadership. Venti docenti dell’Africa orientale, della Repubblica Democratica del Congo e di Sophia hanno dato il via al primo ciclo di una formazione triennale interdisciplinare e interculturale sui temi della cittadinanza responsabile, della leadership e di una cultura di fraternità, per affrontare con lucida consapevolezza le ferite del continente. “Il viaggio è appena agli inizi”, si legge sulla pagina Web della scuola, dove i giovani promotori spiegano l’intento del progetto: “L’Africa (in particolare quella orientale) è sottoposta a una serie di cambiamenti demografici, politici, sociali e culturali molto complessi. Uno degli effetti è il clima di incertezza che incalza. Ai giovani spesso mancano gli strumenti necessari per comprendere i cambiamenti in corso e restano passivi di fronte alle domande confuse di politici, gruppi armati, multinazionali, ecc. È per questo che noi giovani africani, diplomati dell’Istituto Universitario Sophia abbiamo capito che è nostra responsabilità, insieme ai giovani africani, decidere quale Africa vogliamo per il futuro, come proposto dall’Agenda dell’Unione Africana per il 2063. Vogliamo dare ai giovani africani una formazione integrale sulla leadership responsabile e creare una rete tra di loro per agire insieme per l’africa che vogliono”.

a cura di Stefania Tanesini

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Recuperare la radicalità di uno stile di vita evangelico

Recuperare la radicalità di uno stile di vita evangelico

Quest’anno il Consiglio Generale dei Focolari ha scelto per il suo ritiro annuale un luogo di grande valore simbolico: Gerusalemme e la Terra Santa. L’istituto ecumenico Tantur, situato al confine della Città Santa con Betlemme, vuole essere una oasi di ospitalità e comunione per chi desidera immergersi nella realtà assai complessa di Gerusalemme, con il suo intreccio di culture, popoli, religioni e confessioni. È per questo che si presenta adatto per il ritiro annuale del Consiglio Generale del Movimento dei Focolari, in corso, dal 10 al 17 febbraio. “Il programma di questi giorni comprende, in un certo senso, il passato, il presente e il futuro”, spiegano Friederike Koller ed Ángel Bartól, delegati centrali del Movimento e coordinatori di questo ritiro. “Un viaggio in Terra Santa è sempre un pellegrinaggio che invita a guardare il passato, e cioè i luoghi storici della fede cristiana e le sue radici nella religione ebraica. Il presente si toccherà nei momenti di lavoro su uno dei temi principali dell’anno 2019: l’aspetto ‘comunione dei beni, economia e lavoro’. L’intento è di recuperare nel Movimento una radicalità di vita evangelica rispetto alla comunione dei beni, anche materiale, e, a partire da uno stile di vita alternativo impregnato dal carisma dell’unità, trovare risposte alle sfide economiche di oggi. Volgeremo poi lo sguardo al futuro trattando due argomenti importanti: il lavoro per e con le nuove generazioni e la preparazione della prossima Assemblea Generale del 2020”.  Ángel Bartól sottolinea quanto sia esigente applicare il metodo di lavoro scelto, considerato il numero dei partecipanti (62 persone): “Sia che lavoriamo in plenaria o in piccoli gruppi, siamo in pellegrinaggio; ci sentiamo sempre in cammino con Gesù che vuole essere presente, vivo e attivo in mezzo a noi. Ciò è possibile quando ognuno di noi è pronto ad offrire il suo punto di vista senza esservi attaccato”. E Friederike Koller aggiunge: “In questo modo possiamo dare anche noi un piccolo contributo alla pace, alla quale ci invita la Parola di Vita di questo mese e di cui il mondo, e soprattutto questa città, hanno tanto bisogno”.

Joachim Schwind

Qui il saluto di Maria Voce, presidente dei Focolari, in partenza per Gerusalemme. (altro…)

Dio li ama in modo particolare

In occasione della “Giornata mondiale del malato” proponiamo una breve riflessione di Chiara Lubich sulla malattia e sulla comunità del Movimento nelle quali vivono persone ammalate. Voi sapete che tutta la nostra vita, perché cristiana, è una rivoluzione. È una rivoluzione del modo di pensare, è un andare controcorrente. Ora, se noi guardiamo come sono considerati gli ammalati nel mondo, osserviamo che, specie se la malattia si prolunga o è incurabile, essi sono in certo modo, considerati diversi dai sani, come una categoria a parte. La società di oggi infatti, non comprendendo il valore del dolore e volendolo dimenticare, così come si vuole fare con la morte, emargina gli ammalati. È una cosa anticristiana, gravissima, perché il primo emarginato dovrebbe allora essere Gesù Cristo in croce. Perciò queste comunità particolari in cui vivono persone ammalate, se sono senz’altro come le altre, sono anche speciali per il bene che fruttano e perché hanno la possibilità di testimoniare al mondo che cosa è il dolore per un cristiano. Il dolore è un dono che Dio fa ad una creatura. E questo non è soltanto un modo di dire per consolarci o per consolare gli ammalati. Tutti coloro che stanno poco bene sono veramente amati da Dio in modo speciale, perché più simili a suo Figlio. (Chiara Lubich, Perchè mi hai abbandonato?, 1997, pp.108-109) (altro…)

Un uomo evangelico

Mite ma deciso, con la convinzione che il Vangelo è una delle pagine più rivoluzionarie della storia, capace di cambiare il mondo. Per questo ha vissuto Marco Aquini. Ci ha lasciati un mese fa, il 4 gennaio scorso. L’incontro con Marco lasciava un segno: era una di quelle persone di rara schiettezza che con lo sguardo profondo si rivolgeva direttamente al tuo cuore, e con poche parole, senza divagare, rispondeva con gesti concreti alle tue necessità, ti dava un consiglio ma senza importi niente, anzi, suscitandoti la risposta dal di dentro. Nato nel 1958 è stato uno dei primi giovani della sua regione, il Friuli, ad aderire ai Focolari; una terra dove la gente è tutta d’un pezzo: seria, laboriosa, disciplinata. Conosce presto la crudezza che a volte ti consegna la vita quando gli viene tolto il padre in seguito a un grave incidente. Ma l’incontro con la spiritualità dei Focolari dà una svolta alla sua storia. Durante un campus con i Gen (i giovani dei Focolari) nel 1978, avverte la chiamata a donarsi a Dio come focolarino e aderisce all’invito di Chiara Lubich di sottoscrivere un impegno di fedeltà a Dio fino alla morte. Si tratta del “Patto del fino alla fine”, rimasto storico e scrive a Chiara in quell’occasione: “Prima di conoscere l’Ideale* ero chiuso nel mio mondo dorato. Vivendolo sto uscendo da me stesso. Torno conscio di avere la forza potenziale di cambiare il mondo in cui vivo”. Offre con passione il suo contributo prima in Germania, poi di nuovo in Italia, al centro del Movimento dei Focolari, specialmente nella fondazione di due organismi a servizio degli ultimi e della pace: l’AMU, “Associazione Mondo Unito”, e “New Humanity”, la ONG del Movimento accreditata presso l’ONU. Per anni opera anche in qualità di consigliere centrale per l’aspetto della “Comunione dei beni, Economia e Lavoro”; diventa corresponsabile del movimento Giovani per un Mondo Unito. Dall’anno 2000 è accanto a Chiara e a Eli Folonari nella conduzione del Collegamento CH, la video-conferenza che dal 1980 raccoglie periodicamente la famiglia dei Focolari nel mondo. Ma la vita gli riserva un’altra inaspettata esperienza, l’inspiegabile scomparsa della sorella Chiara, già fragile di salute. Soffre molto insieme alla mamma, mentre si susseguono le ricerche fino al ritrovamento del corpo. In questa tragedia Marco riesce a cogliere l’amore di Dio che gli dà la forza di sostenere la sua famiglia. Con la mamma Franca, Marco collabora poi alla nascita di una casa d’accoglienza intitolata alla sorella, per l’inserimento sociale dei disabili fisici e psichici e, seppur a distanza, mantiene sempre i rapporti con l’associazione. Si dedica anche all’insegnamento accademico presso la Pontificia Università di San Tommaso d’Aquino di Roma e sempre nell’ambito dell’economia all’interno dei Focolari assume la carica di membro dell’attuale Consiglio di amministrazione della rivista Città Nuova. Il suo amore verso gli ultimi lo impegna pure nell’offrire un’assistenza competente presso un gruppo di ascolto della Caritas. Nel novembre 2018 condivide con i tanti amici la scoperta di una grave malattia e affronta questa nuova tappa con una rinnovata scelta di Dio, che gli dà profonda gioia, nonostante le forti sofferenze fisiche. Maria Voce, nel telegramma inviato alle comunità dei Focolari nel mondo, mette in risalto la sua vocazione di focolarino, il suo stile sobrio, chiaro e diretto che si rispecchia nella parola del Vangelo che gli propone Chiara da vivere: “Sia il vostro parlare: «Sì, sì», «No, no»” (Mt 5,37), e di come abbia vissuto in maniera straordinaria la malattia. L’ultimo tratto di vita di Marco ha lasciato tutti senza parole, nell’apparente impossibilità di stare al passo con il rapido peggioramento della salute che in soli due mesi lo ha portato, la mattina del 4 gennaio, a raggiungere la meta del Cielo. Al suo funerale c’erano persone di ogni genere, tutti legati a lui e tutti, in qualche modo, “in cordata” con lui a scalare non più solo le sue amate montagne, ma le vette della vita, accompagnati dal suo esempio autentico e luminoso.

Patrizia Mazzola

*La spiritualità dei Focolari (altro…)

Tre città, un unico fine: il bene comune

Tre città, un unico fine: il bene comune

Cosa hanno in comune Medellin, Katowize e Kingersheim? Nonostante la distanza culturale, ciò che le accomuna è il progetto sociale e civile. Sono geograficamente situate in due continenti diversi e in tre aree culturali distanti. Si tratta di Medellin (Colombia), Katowize (Polonia) e Kingersheim (Francia). Sono città che hanno accolto la sfida di porre al centro il bene comune nel senso più autentico e non come somma di interessi privati. Amministrazioni e cittadinanza hanno lavorato per trovare una via per rompere egoismi, povertà, solitudini e riconoscersi fratelli. I protagonisti sul campo sono rispettivamente Federico Restrepo, Danuta Kaminska e Jo Spiegel che al Convegno “Co-Governance. Corresponsabilità nelle città oggi” hanno raccontato le loro tre storie, diverse ma con un unico leitmotiv. La prima storia è raccontata da Federico Restrepo, ingegnere e già direttore dell’EPM – Imprese Pubbliche di Medellin (Colombia) che, insieme ad altri amici, non si è arreso dinanzi all’ineluttabilità della situazione che sembrava più grande delle sue forze. Medellín – città che conta quasi tre milioni di abitanti –, come tante altre città sudamericane dimostra una forte tendenza di crescita delle aree urbane a scapito della popolazione rurale. In alcuni quartieri di Medellin si trovano popolazioni che cercano di costruire una loro città nella periferia della città”racconta Restrepo. Da alcuni anni è partita un’esperienza-pilota nei quartieri nati da migrazioni forzate per attuare progetti urbani integrali. L’immigrazione, in aumento in Colombia anche a causa della crisi venezuelana, non si risolve costruendo muri: “Abbiamo la responsabilità  – continua – di costruire relazioni tra le città per poter risolvere questo problema sociale che la nostra società sta attraversando”,. Ma non è soltanto una questione di urbanistica, altre sfide si presentano per riscoprire il cuore della città e farlo pulsare. L’esperienza che racconta Danuta Kaminska fa da tramite tra il continente americano e l’Europa. Amministratrice pubblica nel Consiglio della Slesia Superiore, in Polonia, lei presenta storie quotidiane, ma nello stesso tempo straordinarie, di accoglienza da parte dei cittadini di Katowize per favorire l’inserimento immigrati dei migranti, in maggioranza ucraini. Soltanto lo scorso anno essi hanno raggiunto il numero di 700.000. “Per attivare la co-governance nella nostra città abbiamo capito che occorre sostenere i cittadini. Si collabora con le comunità religiose e le organizzazioni non governative per l’integrazione, come ad esempio il sostegno alle comunità ebraica e musulmana”. Katowize, due milioni di abitanti, ha subìto in questi anni una profonda mutazione, trasformandosi da città industriale a sito UNESCO, ed è stata sede della La Conferenza delle Parti sul Clima del 2018 (COP24) . Se la città è uno spazio di trasformazione, se la democrazia deve essere fraterna, occorre coltivare la partecipazione e la spiritualità. Stiamo parlando di amministratori che diventano facilitatori dei processi decisionali e Jo Spiegel, sindaco di Kingersheim, cittadina francese di circa 13.000 abitanti, continua a spendersi con tutte le forze per restituire alla sua città un volto multiforme dove possano coesistere culture e generazioni diverse. “Venti anni fa – racconta il sindaco – abbiamo fondato un ecosistema democratico partecipato, dando vita alla “Casa della Cittadinanza, un luogo privilegiato dove di impara a vivere insieme, cittadini e politici”. Più di quaranta i progetti portati a termine come la revisione del piano urbanistico locale, la pianificazione del tempo del bambino, la creazione di un luogo di culto musulmano. “La fraternità non si delega, non si decreta. È dentro di noi, è tra noi. Si costruisce

Patrizia Mazzola

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Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Gen Verde in tour a Panama e in Centro America

Il complesso racconta l’esperienza in Gran Bretagna e Lussemburgo e poi in Panama per la GMG. Il loro viaggio continua Cuba, Guatemala ed El Salvador. Nel vostro ultimo album “From the inside outside” emerge uno sguardo positivo sulle persone: ognuno ha la possibilità di trovare in sé quella luce che può portare agli altri. È così? Adriana: Spesso sentiamo dire che oggi la società sta passando una notte culturale, dove c’è tanto “buio” e le divisioni vengono più in risalto. Vogliamo che il messaggio di questo album sia un invito a tirare fuori quella speranza che magari è nascosta sotto la cenere, riaccendendola. L’album nasce dall’esperienza fatta con migliaia di giovani durante i nostri tour. Grazie al progetto “Start Now”, un programma con laboratori artistici e un concerto conclusivo, abbiamo la possibilità di vivere a stretto contatto con le nuove generazioni. Ci rendiamo conto delle sfide che affrontano, ma anche delle loro bellezze. Spesso offriamo la nostra esperienza, ma mai dall’alto come qualcuno che ha già risolto tutto. Piuttosto insieme a loro guardiamo in faccia le sfide, cerchiamo di affrontarle e dare una risposta. Diversi ci hanno detto: “Quando torno a casa le circostanze esterne non saranno cambiate, ma sarà diverso come io le affronto”. Secondo voi la musica, il canto, la danza funzionano per entrare in contatto con i giovani? Sally: Le discipline artistiche hanno proprio queste caratteristiche: facilitano il dialogo, l’apertura e i risultati spesso sorprendono. Una volta in una scuola un’allieva era affetta da mutismo selettivo, aveva cioè deciso di non parlare più. Quando si è iscritta al gruppo di canto ci siamo chieste: che cosa farà? Il primo giorno non ha aperto bocca. Il secondo ha ringraziato, il terzo si è offerta lei stessa per cantare una seconda voce. Tornando a casa in lacrime ha confidato alla madre: “Ho ritrovato la mia voce”. Anche le insegnanti erano commosse: “È da non credere, stava sempre sola, adesso comincia a parlare con gli altri e raccontarsi…”. Questo è solo un esempio, ma come questo ce ne sarebbero tantissimi altri. Nella canzone “Not in my name” affrontate i rapporti tra cristiani e musulmani. Come è nata? Adriana: Abbiamo voluto esprimere solidarietà ai nostri amici musulmani e mettere in luce i valori che condividiamo, sapendo che tanti di loro soffrono, perché si sta diffondendo una rappresentazione sbagliata dei mussulmani e perché il cuore della loro religione non è quello che viene diffuso dai media. Inoltre la stessa esperienza di creare la canzone è stata all’insegna del dialogo: ci siamo anche ispirate alle parole del Dr. Mohammad Ali Shomali, Direttore dell’Istituto Internazionale per gli Studi Islamici di Qum (Iran) che abbiamo conosciuto a Loppiano. Egli afferma che siamo tutti gocce che riflettono il volto di Dio e insieme possiamo essere un oceano d’amore. Quando lui ha letto le parole della canzone ha detto di sentirsi espresso. Per l’arrangiamento del brano abbiamo coinvolto Rassim Bouabdallah, membro dei Focolari di religione musulmana, che nella registrazione ha suonato il violino. Adesso vi trovate in Centro America dove avete partecipato anche alla GMG, come sta andando il vostro viaggio? Alessandra: A Panama nelle città di Chitré e di Colón abbiamo realizzato il concerto con i giovani per migliaia di pellegrini in occasione della GMG: essere sul palco con loro è stato sentire e dire a tanti che si può sperare insieme. Forte anche l’esperienza nell’Istituto Penale femminile di Panama City. Le donne lì vivono veramente una vita difficile, ma c’era un ascolto incredibilmente profondo: quanti applausi spontanei, quante lacrime durante le canzoni…Alla fine tante ci hanno detto che sembrava avessimo vissuto le stesse esperienze e che insieme potevamo rialzarci e guardare al futuro, in un posto nel quale sembrerebbe impossibile. È stato sperimentare la misericordia di Dio che opera nelle nostre vite al di là di qualsiasi circostanza.

a cura di Anna Lisa Innocenti

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