Movimento dei Focolari
Roma: Ho trovato la gioia a Baobab

Roma: Ho trovato la gioia a Baobab

baobabBaobab è uno dei tanti centri di raccolta profughi, nei pressi della stazione Tiburtina di Roma. Accoglie circa 400 eritrei, somali e sudanesi, giovani uomini e donne, cristiani e musulmani. «Li c’è un felice, caldo, libero, caotico e anarchico volontariato auto convocato – racconta S. –: ognuno va, vede cosa c’è bisogno, aiuta, chiama amici… E funziona benissimo! Ottenuto il consenso dei Responsabili del Banco Alimentare di Roma, insieme con un giovane che coordina tutto il volontariato del Centro Baobab, siamo andati a Fiano Romano ed abbiamo caricato una ventina di quintali di ottimo cibo (pasta, zucchero, carne in scatola, 600 yogurt, scatoloni di olio, 120 ananas, 30 cassette fra pesche e pesche noce, 100 pezzi di grana padano, e molto di più). Già alle 10 c’erano circa 40°! Siamo arrivati al Centro verso le ore 13 dove erano già in fila per il pranzo almeno 500 ragazze e ragazzi, ordinati e pazienti, nella maggioranza eritrei, tutti provenienti dagli sbarchi di quei famigerati barconi che vediamo al telegiornale. I gradi erano almeno 42° a quell’ora. Nell’arco di una decina di minuti, i ragazzi, senza nemmeno bisogno di chiederlo, si sono messi in fila ordinata ed hanno scaricato, molto ordinatamente, il ducato strapieno, portando tutto il materiale nel magazzino. Non un solo yogurt o una bibita è stata presa, tutto perfettamente riposto al posto giusto. Poi, sono tutti rientrati nella fila di attesa del pranzo. Anche a me è stato servito un piatto che ho condiviso con molta gioia con loro. Il Centro di accoglienza non punta alla assistenza soltanto, ma soprattutto al coinvolgimento ed alla integrazione dei rifugiati stessi. Questo garantisce il rispetto della dignità di ciascuna e ciascuno di coloro che vengono accolti. Molti poi, appena possono, raggiungono parenti ed amici in altri Paesi Europei. La fila dei cittadini romani che portano aiuti di ogni genere è costante e anche commovente. Arrivano tali e tanti aiuti che, spesso, portiamo scatoloni di roba ad altri centri di assistenza. Mentre ero lì a stringere mani, a fare delle conoscenze, è arrivata la prima bimba nata da una ragazza rifugiata accolta nel Centro. È arrivata dall’ospedale all’età di 20 giorni. Medici, infermieri, volontari, tutti intorno a farle un sorriso, volendo almeno vederla. Un segno di come la vita va avanti, sempre. Sono tornato a casa stanco, sudato come non mai … Ma nel cuore e nell’anima una gioia molto speciale, una serenità impagabile, la vera ricompensa per un piccolo gesto in favore di quelle bellissime creature che in questo momento vengono chiamati “rifugiati”… A fine mese siamo già d’accordo di fare un altro carico. Inoltre, attraverso un amico la cui famiglia gestisce cinque supermercati, organizziamo anche una raccolta periodica di quei prodotti che scadrebbero a breve e che, invece, portati al Centro possono essere consumati in un paio di giorni. Ringrazio i rifugiati eritrei ed i volontari del Campo Baobab per avermi dato l’opportunità di vivere un momento veramente bello, prezioso, che, sono certo, si ripeterà nei prossimi giorni e in futuro. Mi sento un privilegiato e lo sono veramente!» (S.D. Italia) (altro…)

Argentina: l’insolito bottino di una rapina

Argentina: l’insolito bottino di una rapina

Nanita (300 x 300)el 2012, mentre ero ospite della famiglia di un amico, sono entrati in casa tre uomini armati. Dopo averci malmenati e costretti a terra, puntandoci le pistole continuavano ad urlare: “dove sono i soldi?” Il padrone di casa, rivolto ad uno di loro ha provato a dirgli che lo perdonava, ma che quello non era il modo di fare le cose. A queste parole egli si è arrabbiato ancora di più e tutti noi avevamo paura che facesse qualcosa di terribile. Invece, sorprendentemente, il rapinatore si è messo a piangere e a chiedere scusa. Gli altri due, che nel frattempo avevano messo insieme il bottino, sono usciti per scappare con l’automobile di famiglia. L’uomo – che sembrava essere il capo del gruppo – prima di raggiungerli ha chiesto se fra quanto avevano preso ci fosse stato qualcosa di importante perché, nel caso, l’avrebbe riportato. Il papà ha detto di tenere pure tutto, che andava bene così, ma che aveva bisogno della macchina per lavorare. Al che il ladro ha promesso che l’avrebbero presto restituita. Prima di scappare ha chiesto perdono ad ognuno. Mezz’ora dopo la macchina è apparsa intatta riportata dalla polizia. Personalmente, anche se quell’uomo aveva chiesto scusa, avevo una certa difficoltà a perdonare. Non mi andava di accettare che al mondo ci fossero delle persone che possono decidere della mia vita o di quella di gente a me cara.  Probabilmente avevo bisogno di tempo. Contemporaneamente però sentivo di dover fare qualcosa, quantomeno cercare di capire la radice di tanta violenza. Con alcuni amici dei Giovani per un mondo unito (GMU) ho cominciato a frequentare un asilo di uomini senza tetto. Forse il condividere il dolore e le difficoltà di chi si trova nelle periferie del mondo poteva aiutarmi a ‘capire’. A questo asilo ci stiamo andando tutti i sabati: facciamo dei giochi, suoniamo la chitarra, guardiamo una partita di calcio (la Coppa del Mondo è stata incredibile!) a volte ceniamo insieme. Così conosciamo le loro storie, alcune veramente allucinanti. Sono persone che hanno bisogno di tanta forza, sia per perdonare chi ha fatto loro del male sia per perdonare loro stesse. Ma più di tutto sono persone che hanno bisogno di ricominciare. Un gruppo di specialisti le aiuta nel processo di recupero mentre il nostro ruolo è di crescere con loro, senza smettere mai di far loro sentire l’affetto. Che ormai, lo sperimentiamo, è diventato reciproco. Stando con loro mi sono resa conto che per tanti di essi, rubare è l’ultima risorsa, da sempre trattati come persone che non esistono. Io stessa mi sono domandata: «Cosa farei io al loro posto, se – come accade a loro – nessuno ti guarda, nessuno ti risponde, nessuno ti considera?».  Ed è stato così che ho sentito di perdonare i tre rapinatori di quella sera. E mi sono accorta che questo mio riconciliarmi con loro, metteva un mattone per la costruzione della pace del mio paese. A dicembre 2013, a causa di uno sciopero della Polizia, tante persone hanno approfittato per saccheggiare aziende e negozi. Hanno rubato perfino in una ONG che raccoglie e distribuisce cibo per i poveri. È stata una piccola guerra tra la gente, con disordini e caos. Il giorno dopo, attraverso le reti sociali, con i GMU  abbiamo mobilitato gli amici per pulire la città e anche per raccogliere cibo per la ONG. Da 15 che eravamo all’inizio siamo diventati più di 100 persone (oltre a quelle che hanno portato cibo). La sera i media TV, che erano venuti a riprendere l’iniziativa, hanno detto che c’è anche un’altra faccia della cronaca e che non solo era stato tutto ripulito, ma che anche i bambini di un quartiere molto povero avevano potuto mangiare. https://www.youtube.com/watch?v=9WX_TbWHvVw&feature=youtu.be Da allora, mentre noi continuiamo ad andare all’asilo di uomini di strada, un altro gruppo di GMU ha fatto amicizia con l’asilo ‘Angolo di luce’ cui erano andati gli alimenti che avevamo raccolto. Per cominciare, data l’imminenza del Natale, i GMU hanno procurato regalini per tutti i bimbi e organizzato un presepe vivente. Poi c’era da pensare al miglioramento dell’infrastruttura, precaria e insufficiente. Così hanno promosso una raccolta fondi presso amici, colleghi di università, la propria famiglia e organizzato varie attività e vendite di torte. Alcuni dei giovani stanno aiutando anche nei workshop di igiene orale e di ortocultura, mentre il progetto continua con la costruzione dei bagni e il rifacimento dell’impianto elettrico.  I GMU si stanno davvero dando da fare. Ma anche l’asilo sta facendo la sua parte, almeno così affermano loro stessi: «L’asilo ci ha dato la possibilità di sognare grandi cose e di credere che attorno a noi ci sono tutte le mani di cui abbiamo bisogno per portare avanti le cose. Basta fare il primo passo». Fonte: United World Project (altro…)

Gandalf según Tolkien

Gandalf según Tolkien

gandalfFrodo, Bilbo, Sam, los hobbits y el mago Gandalf, los personajes creados por J. R. R. Tolkien, son los protagonistas de dos grandes obras de la literatura universal: El Hobbit y El Señor de los Anillos. Presentamos este breve libro en el cual Ives Coassolo, profundo conocedor de la materia, nos introduce en el fecundo epistolario de Tolkien, ordenado y comentado, para descubrir aspectos novedosos sobre los personajes de la Tierra Media y el significado de la aventura del Anillo. Sin rebuscamientos, con entusiasmo genuino y contagioso, será una lectura feliz para cualquier lector amante o aficionado de la obra tolkeniana: un aporte tan ameno como enriquecedor. Datos del autor: Ives Coassolo, tiene 34 años, estudió Ciencias de la Educación y vive en Italia. A su tareas de profesor de religión, agrega una gran pasión por el teatro y la literatura, en especial por la obra de J.R.R. Tolkien. En 2007 con un grupo de amigos dio vida a la Asociación Senderos Tolkenianos. Grupo Editorial Ciudad Nueva – Buenos Aires

Los Hobbits de Tolkien

Los Hobbits de Tolkien

TAPA HOBBITFrodo, Bilbo, Sam, los hobbits y el mago Gandalf, los personajes creados por J. R. R. Tolkien, son los protagonistas de dos grandes obras de la literatura universal: El Hobbit y El Señor de los Anillos. Presentamos este breve libro en el cual Ives Coassolo, profundo conocedor de la materia, nos introduce en el fecundo epistolario de Tolkien, ordenado y comentado, para descubrir aspectos novedosos sobre los personajes de la Tierra Media y el significado de la aventura del Anillo. Sin rebuscamientos, con entusiasmo genuino y contagioso, será una lectura feliz para cualquier lector amante o aficionado de la obra tolkeniana: un aporte tan ameno como enriquecedor. Datos del autor: Ives Coassolo, tiene 34 años, estudió Ciencias de la Educación y vive en Italia. A su tareas de profesor de religión, agrega una gran pasión por el teatro y la literatura, en especial por la obra de J.R.R. Tolkien. En 2007 con un grupo de amigos dio vida a la Asociación Senderos Tolkenianos. Grupo Editorial Ciudad Nueva – Buenos Aires

Nigeria. Yakoko e il dono della pioggia

Nigeria. Yakoko e il dono della pioggia

2In Nigeria c’è un grande dislivello di sviluppo fra le città ed i villaggi rurali dove non ci sono quasi infrastrutture e mancano elettricità, cure mediche, strade, ecc. Yakoko è un uno di questi villaggi – vicino al deserto, in mezzo alle montagne – nel quale la comunità cristiana e quella musulmana vivono da sempre in grande concordia. La sera, dopo il lavoro nei campi, gli uomini si incontrano in piazza per discutere attorno ad una bevanda alcolica che producono dal loro Guinea corn. Alcuni anni fa una missionaria, Suor Patricia Finba, aveva portato a Yokoko la spiritualità dei Focolari e Felix, Abubacar, Nicodemus, Loreto, Father Giorge Jogo e altri l’hanno fatta propria. L’anno scorso hanno accolto nel loro villaggio più di 200 persone venute da varie regioni della Nigeria per approfondirne la conoscenza. Quest’anno  un gruppo di giovani e adulti di Onitsha ha deciso di passare alcuni giorni lì. Dopo 24 ore di viaggio – a volte pericoloso – nei pulmini pubblici strapieni, carichi di borse e pacchi, sono stati accolti calorosamente dalla comunità nelle loro case. «Partecipiamo alla loro vita – racconta Luce – condividiamo tutto», «e – aggiunge Cike – ci siamo accorti che quello che ai giovani interessava non erano tanti i beni materiali, i vestiti e le medicine che avevamo portato, ma quelli spirituali: la nostra amicizia e il tesoro della nostra vita: la scoperta di Dio Amore». Perciò hanno deciso di passare insieme una giornata di riflessione, facendo un’escursione in montagna che, con la sua arida bellezza, invita alla meditazione. «È stata una giornata importante – racconta Imma -. In un atmosfera di amicizia profonda abbiamo condiviso i valori in cui crediamo e sui quali abbiamo impostato la nostra vita». Per poi, nei giorni seguenti, portare insieme gli aiuti a chi aveva bisogno, soprattutto ad anziani e bambini e ai molti rifugiati giunti dalle regioni del nord. Visitando ben cinque villaggi.5 Una comunità musulmana li ha accolti con particolare gioia. Alcuni di essi vivono già per l’unità del mondo e con loro subito si è creato un clima di famiglia nel quale si sono potuti condividere gioie e dolori del posto. I villaggi stavano infatti passando un periodo molto difficile per la siccità e, secondo la tradizione,  avevano chiesto ad un notabile del villaggio di pregare per la pioggia. Ma la pioggia non era arrivata e così avevano deciso di uccidere questa persona. «Sentendo tale decisione ci siamo spaventati e abbiamo pregato Dio che piovesse – racconta ancora Luce –  e infatti il terzo giorno Lui ci ha benedetto con una bella pioggia! Ma oltre che per la pioggia in sé, eravamo contenti di aver salvato la vita a una persona». (altro…)

Madrid: dall’empatia alla reciprocità

Madrid: dall’empatia alla reciprocità

psy220720150001La Summer School si configura come un laboratorio rivolto a studenti e giovani psicologi. Le tematiche verranno affrontate con un approccio interattivo, con la possibilità di dialogo, condivisione e rielaborazione insieme ai docenti/esperti presenti, in un’ottica di reciprocità costruttiva attraverso seminari, workshop, dibattiti. Le tematiche proposte sono state analizzate e studiate da alcuni dei partecipanti. Tale approfondimento, supervisionato dagli esperti coinvolti in qualità di formatori, costituisce un materiale di base su cui si struttura il percorso formativo. La Summer School, rivolta a studenti e giovani psicologi provenienti da vari Paesi, si svolgerà in italiano e in spagnolo, e prevedere un numero massimo di 20 partecipanti. Per info: www.psy-com.org

Parola di vita Agosto 2015

In questa parola è racchiusa tutta l’etica cristiana. L’agire umano, se vuole essere come Dio l’ha pensato quando ci ha creati, e quindi autenticamente umano, deve essere animato dall’amore. Il cammino – metafora della vita – per giungere alla sua meta deve essere guidato dall’amore, compendio di tutta la legge. L’apostolo Paolo rivolge questa esortazione ai cristiani di Efeso, come conclusione e sintesi di quanto ha appena scritto loro sul modo di vivere cristiano: passare dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, essere veri e sinceri gli uni con gli altri, non rubare, sapersi perdonare, operare il bene…, in una parola “camminare nella carità”. Converrà leggere per intero la frase da cui è tratta la parola incisiva che ci accompagnerà per tutto il mese: «Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore». Paolo è convinto che ogni nostro comportamento deve avere come modello quello di Dio. Se l’amore è il segno distintivo di Dio, deve esserlo anche dei suoi figli: in questo essi devono imitarlo. Ma come possiamo conoscere l’amore di Dio? Per Paolo è chiarissimo: esso si rivela in Gesù, che mostra come e quanto Dio ama. L’apostolo lo ha sperimentato in prima persona: «mi ha amato e ha consegnato se stesso per me» (Gal 2, 20) ed ora lo rivela a tutti perché diventi l’esperienza dell’intera comunità. «Camminate nella carità» Qual è la misura dell’amore di Gesù, sul quale va modellato il nostro amore? Esso, lo sappiamo, non ha confini, non pone preclusioni o preferenze di persone. Gesù è morto per tutti, anche per i suoi nemici, per chi lo stava crocifiggendo, proprio come il Padre che nel suo amore universale fa splendere il sole e fa scendere la pioggia su tutti, buoni e cattivi, peccatori e giusti. Ha saputo prendersi cura soprattutto dei piccoli e dei poveri, degli ammalati e degli esclusi; ha amato con intensità gli amici; è stato particolarmente vicino ai discepoli… Il suo amore non si è risparmiato, giungendo fino al punto estremo di donare la vita. Ed ora chiama tutti a condividere il suo stesso amore, ad amare come lui ha amato. Può farci paura questa chiamata, perché troppo esigente. Come possiamo essere imitatori di Dio, che ama tutti, sempre, per primo. Come amare con la misura dell’amore di Gesù? Come essere “nella carità”, così come ci viene richiesto dalla parola di vita? È possibile soltanto se prima abbiamo fatto noi stessi l’esperienza di essere amati. Nella frase “camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato”, l’espressione nel modo in cui, può essere tradotta anche con perché. «Camminate nella carità» Camminare qui equivale ad agire, a comportarsi, come a dire che ogni nostra azione deve essere ispirata e mossa dall’amore. Ma forse non a caso Paolo impiega questa parola dinamica per ricordarci che amare si impara, che c’è tutta una strada da percorrere per raggiungere la larghezza del cuore di Dio. Egli usa anche altre immagini per indicare la necessità del progresso costante, quale la crescita che da neonati conduce fino all’età adulta (cf 1 Cor 3, 1-2), lo sviluppo di una piantagione, la costruzione di un edificio, la corsa nello stadio per la conquista del premio (cf 1 Cor 9, 24). Non siamo mai degli arrivati. Ci vuole tempo e costanza per giungere alla meta, senza arrendersi davanti alle difficoltà, senza mai lasciarci scoraggiare dai fallimenti e dagli sbagli, pronti sempre a ricominciare, senza rassegnarsi alla mediocrità. Agostino d’Ippona, forse pensando al suo sofferto cammino, scriveva in proposito: «Ti riesca sempre sgradito ciò che sei, se vuoi giungere a ciò che non sei ancora. Infatti là dove ti senti bene, ti fermi; e dici addirittura: “Basta così”, e così sprofondi. Aggiungi continuamente, cammina sempre, procedi in avanti di continuo: non fermarti lungo il cammino, non voltarti, non deviare. Resta indietro chi non avanza». «Camminate nella carità» Come procedere più celermente nel cammino dell’amore? Poiché l’invito è rivolto a tutta la comunità – “camminate” –, sarà utile aiutarsi reciprocamente. È infatti triste e difficile intraprendere un viaggio da soli. Potremmo iniziare col trovare l’occasione per ridirci ancora una volta tra noi – con gli amici, i familiari, i membri della stessa comunità cristiana…– la volontà di camminare insieme. Potremmo condividere le esperienze positive su come abbiamo amato, in modo da imparare gli uni dagli altri. Possiamo confidare, a chi può comprenderci, gli sbagli commessi e le deviazioni dal cammino, in modo da correggerci. Anche la preghiera fatta insieme potrà darci luce e forza per andare avanti. Uniti tra noi e con Gesù in mezzo a noi – la Via! – percorreremo fino in fondo il nostro “santo viaggio”: semineremo amore attorno a noi e raggiungeremo la meta: l’Amore. Fabio Ciardi (altro…)

Burundi: un dolore che genera amore

Burundi: un dolore che genera amore

hope (350 x 249)«Jean Paul frequenta l’ultimo anno della facoltà di ingegneria civile, e già da alcuni anni ha conosciuto la spiritualità dell’unità. Il Burundi, come è noto a tanti, attraversa ora una difficile situazione politica a causa delle prossime elezioni. L’impasse politica ha provocato non poche controversie che danno luogo a manifestazioni e scontri. Qualcuno ha perso la vita. Ed è in questo contesto di grande instabilità e sofferenza che Jean Paul, insieme ad un amico, tornando a casa a piedi per non aver trovato un mezzo di trasporto pubblico, si trovano davanti ad un nuovo ed inaspettato volto di Gesù Abbandonato». A scrivere così è Marcellus, insieme a tutta la comunità dei Focolari del Burundi e del Rwanda. «Era la sera del 2 maggio quando i due giovani sono stati assaliti da un gruppo di malfattori. Li hanno picchiati brutalmente fino a far perdere loro conoscenza. Aiutati da alcuni poliziotti che li hanno trovati gettati in un tombino, vengono portati all’ospedale. L’amico ha delle leggere lesioni, ma la situazione di Jean Paul è grave: una frattura alla colonna vertebrale con paralisi degli arti inferiori. Nonostante la gravità del suo stato Jean Paul sorride sempre e spera di guarire. Si fida di Dio e di Chiara [Lubich]. “Se sono ancora vivo è già un miracolo suo” afferma. In poco tempo la notizia di quanto accaduto a Jean Paul arriva a tutta la comunità che, oltre a pregare per lui, si dà da fare per trovare il denaro necessario ed anche un’ambulanza per portarlo in Rwanda, dove potrebbe ricevere le cure adeguate. Assieme ad un infermiere e Séverin, un giovane del suo stesso gruppo Gen, parte il 12 maggio per Kigali/Rwanda. La catena d’amore e di preghiere per Jean Paul s’allarga, coinvolgendo la famiglia del Movimento dei Focolari in Rwanda e nel mondo, soprattutto i Gen. A Kigali/Rwanda, Jean Paul e Séverin danno una testimonianza dell’amore reciproco in maniera forte. In ospedale la gente si stupisce che le visite a questo ragazzo siano più numerose che a tutti gli altri ammalati. Ancora di più si meravigliano del fatto che Jean Paul e Séverin non sono fratelli, non vengono dello stesso villaggio e non sono neppure della stessa etnia. Loro spiegano a tutti che il motore del loro agire è un’altro: la spiritualità dell’unità basata sull’ amore reciproco, richiesto da Gesù. Dopo diversi accertamenti medici, Jean Paul viene operato alla schiena e al torace, il 10 giugno, all’ospedale “Roi Fayçal”. Il costo in questo ospedale è molto alto, ma l’intervento di Dio con la sua Provvidenza non è mancato. Jean Paul, che non si è mai scoraggiato, vede in questa esperienza un vero miracolo. L’intervento chirurgico è andato bene e questo è proprio un incoraggiamento per tutti. Jean Paul ora è stato trasferito in un’altra struttura dove ha iniziato la fisioterapia, seguito da vicino dal medico e dalla squadra che l’ha operato. La sua salute dà segni di ristabilimento incredibili. Ricomincia a sentire la fame, i bisogni fisiologici, il dolore, la sensibilità ai piedi. Ora può lasciare il suo letto e girare l’ospedale in una sedia a rotelle. Afferma che se non fosse per l’amore di questa famiglia allargata non sarebbe più in vita. Jean Paul è molto grato alla comunità dei Focolari in Rwanda, a tutti i Gen sparsi nel mondo, ai Centri Gen internazionali, e tutti coloro che hanno fatto arrivare il loro sostegno in denaro e in preghiera. Ora ci sgorga dal cuore un immenso grazie a Dio per averci dato la possibilità di vivere questa forte esperienza che ha suscitato un’attenzione, una comunione, un amore vero tra i suoi figli, una forte testimonianza dell’amore che vince tutto». (altro…)

Per vivere il Vangelo

Per vivere il Vangelo

sbarre (350 x 233)In sala d’aspetto – «Nostro figlio e la sua compagna erano in carcere per spaccio di droga. Nelle lunghe attese prima dei colloqui coi parenti reclusi, abbiamo conosciuto a una ragazza straniera dal volto triste: da tre anni, facendo un lungo percorso a piedi, faceva regolarmente visita al il suo compagno in carcere. Quando ha sentito che poteva contare da allora in poi su un passaggio nella nostra auto, finalmente si è aperta al sorriso e non finiva di ringraziarci. La volta seguente, per rendere meno pesante l’attesa soprattutto ai bambini venuti con le mamme, abbiamo portato loro giocattoli, dolci e frutta. Quando  ha saputo ciò che accadeva in sala d’aspetto, dove c’era un clima più sereno, anche nostro figlio ha cambiato il suo rapporto con noi». (Italia) Perdono – «Ero andato a vivere con una collega, lasciando moglie e quattro figli. Mentre il maggiore l’ha presa male ed è andato via di casa, lei con gli altri tre ha cominciato a chiedere a Dio la grazia del mio ritorno. A poco a poco ho trovato la forza di lasciare quella donna; per evitare di rivederla (lavorava nella mia stessa azienda) ho lasciato anche il lavoro. E sono tornato dai miei, rimanendo disoccupato finché ho trovato un impiego molto semplice. Vivere l’umiltà mi faceva bene. Ringrazio Dio per il sostegno avuto da altre famiglie e soprattutto per il perdono di mia moglie dei miei figli, con i quali ho cominciato un nuovo cammino». (Usa) Al telefono – «Anni fa mio figlio è morto a 23 anni in un incidente d’auto. Da allora mi ha accompagnata un sottile rancore nei confronti dell’amico che era al volante, rimasto illeso: lo ritenevo responsabile di quella morte. Ora lui è sposato, ha figli. Ma in chiesa il prete ha parlato di riconciliazione, di perdono. Parole che ho sentito rivolte a me. Con le mani che tremano digito il suo numero telefonico. Risponde la moglie, sorpresa e imbarazzata quando le dico chi sono. Le apro il cuore: «Ho pensato tanto a voi in questi giorni, vorrei vedervi, conoscere i vostri bambini… Sarei felice se voleste venirmi a trovare». Lei, commossa, promette che presto verranno… Mi scopro felice e leggera». (Svizzera)  I conti tornano – «Madre di cinque figli con problemi di salute, droga e alcolismo, scelte di vita che hanno dato origine a famiglie quasi tutte irregolari, fra tensioni e litigi, sono oggi vedova. Sola, alle prese con problemiliberty1 (350 x 263)che la gente neanche s’immagina, per il fatto che appaio così serena, devo dire che sono aiutata dal mio carattere, ma ho potuto reggere a certe situazioni soprattutto grazie al dono della fede e al sostegno delle amicizie. Oggi vivo con la sola pensione, ma riesco lo stesso ad aiutare mensilmente qualche persona bisognosa. A volte verrebbe da dire basta: in fondo farebbe comodo metter da parte qualcosa per la vecchiaia. Ma è più forte di me. E vedo che la provvidenza arriva puntuale e i conti mi tornano sempre». (Italia)   (altro…)

Uma carona para a vida

Uma carona para a vida

Um encontro muda a vida de Alberto. Leva-o a sair de sua pequena Salto (Uruguai), rumo à Argentina. Mais tarde, rumo à Itália, à África e ao Brasil. Leva-o, principalmente, a comprometer a própria vida com Deus e com o próximo. Médico, ele aprende a captar o sofrimento humano. https://vimeo.com/132712963  Este livro narra as duas longas semanas entre o desaparecimento até o encontro de seu corpo, contrapondo a voz dos que acompanham as investigações à voz de Alberto que, em seus últimos instantes, relembra sua vida, descobrindo o “fio de ouro” que liga toda essa trajetória: tudo é amor, e por amor vale a pena doar-se integralmente. vendas@cidadenova.org.br Coleção Retratos da Vida Cidade Nova cópia

Roma: Social-One, scienze sociali in dialogo

Roma: Social-One, scienze sociali in dialogo

LocandinaL’amore in tempi di contabilità –  Roma, Università degli Studi La Sapienza, 7 ottobre 2015 (scarica programma) L’amore al tempo della globalizzazione. Per un nuovo umanesimo Università LUMSA – Sala Convegni “Giubileo” Via Porta di Castello, 44 Roma, Università LUMSA, 15 ottobre, 2015 – ore 15,00-18,00 (scarica programma) Per informazioni: www.social-one.org Tel. 06 945407212 E-mail info@social-one.org

L’amore al tempo della globalizzazione

L’amore al tempo della globalizzazione

Amore_GlobalizzazioneINTRiconoscere che l’amore ha una dimensione pubblica e non solo intima nella società globalizzata di oggi sembra un azzardo. Eppure, la nostra quotidianità è costellata di azioni, interazioni e relazioni che hanno come caratteristica fondante l’eccedenza, l’incondizionalità e la non contabilizzazione. Sta qui la sfida del libro: trovare ciò che già esiste nel sociale, per dargli un nome: amore-agape. Il libro è il risultato di un progetto avviato alcuni anni fa da un gruppo di studiosi di Social-One, con l’obiettivo di dare inizio ad un dialogo con la cultura e, in particolare, con alcuni tra i più autorevoli autori contemporanei della sociologia e del servizio sociale. I CURATORI Vera Araújo è coordinatrice del gruppo di sociologi e studiosi del servizio sociale Social-One. Gennaro Iorio è professore associato di sociologia all’Università di Salerno. Silvia Cataldi, ricercatrice di Sociologia all’Università di Cagliari. CONTRIBUTI DI: Axel Honneth, esponente di terza generazione della prestigiosa Scuola di Francoforte. Paulo Henrique Martins, Presidente dell’Associazione Latino-Americana di Sociologia. Luc Boltanski, Direttore di ricerca presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) di Parigi. Michael Burawoy, già Presidente dell’International Sociological Association. Annamaria Campanini, già Presidente della European Association of Schools of Social Work.

Crisi di coppia: irreversibile?

Crisi di coppia: irreversibile?

coppia_tramonto (350 x 233)Poca comunicazione, incapacità ad accogliere l’altro, a vedere il positivo della sua diversità, a stabilire la giusta distanza con le famiglie d’origine, spesso sono causa di crisi coniugali, in una società individualista che non crede nel matrimonio e nell’impegno di una relazione per sempre. L’esperienza del corso di Loppiano organizzato da Famiglie Nuove, volto a rafforzare l’unità di coppia (20-27 Giugno), quest’anno alla settima edizione, dimostra che la volontà di rimettersi in discussione, unita alla condivisione profonda con gli animatori e con le altre famiglie, e all’aiuto di esperti, possono far ripartire un rapporto che si è inceppato. Se c’è questo, anche le difficoltà più grandi si possono superare, come dimostra una coppia che si è ricongiunta dopo nove anni di separazione, offrendo una commovente testimonianza sul perdono incondizionato. Il cammino per “ritrovarsi” è però faticoso. «All’arrivo, i volti tesi e l’espressione triste delle coppie, più di ogni parola, descrivevano una profonda sofferenza», raccontano Marina e Gianni Vegliach, animatori di Famiglie Nuove. «Chi parlava di bisogno di ricerca di senso, chi di un coniuge sconosciuto, chi del dubbio se continuare il futuro insieme, altri dell’impossibilità di dialogo e chi confidava: ‘non riuscirò mai a perdonarmi’». «Man mano che ci addentravamo nel programma del corso dal titolo (Per)corso di luce nella coppia – continuano i Vegliach – la spiritualità dell’unità dei Focolari, unita al percorso psicologico, alle esperienze, alle esercitazioni pratiche, ai colloqui e ai momenti di relax, ha favorito la trasformazione dei cuori e delle anime. E questo traspariva dal cambiamento dei volti e degli sguardi, adesso più sereni». «Siamo arrivati vuoti, ossessionati dalla parola fine, torniamo con la parola inizio», diceva una coppia. Tra le famiglie animatrici, due coppie che, avendo fatto il percorso negli anni passati, ora desiderano mettersi al servizio e con impegno, serietà e competenza hanno saputo entrare nel tunnel con chi era nel buio, incoraggiare e sostenere le coppie con la propria testimonianza. Durante il corso si affrontano i temi della conoscenza di sé, della diversità, del conflitto, dell’accoglienza. Si cerca di individuare proprio quella ferita particolare che richiede di essere affrontata, anche con un eventuale adeguato supporto psicologico. La condivisione con altre coppie aiuta a guardare la situazione personale da diversi punti di vista e trovare la forza e il coraggio necessari a ricostruire una relazione di qualità, uscendo da quella solitudine che fa apparire la crisi irreversibile. L’appuntamento quotidiano al Santuario della “Theotokos” e il clima speciale che si respira a Loppiano, la cittadella internazionale dei Focolari, a Incisa Valdarno (FI) – dove si apprende spontaneamente a mettersi nei panni dell’altro vivendo nella fratellanza – hanno contribuito positivamente alla riuscita del percorso, che ha aperto nuove possibilità per “vedere il domani insieme, condividendo alti e bassi”, “riscoprire il dialogo, la speranza e per ricominciare ad occuparsi l’uno dell’altro.” Come diceva qualcuno: «Ora abbiamo i mezzi per uscire dal riccio chiuso che eravamo e speriamo di continuare a usarli al momento giusto». Per consolidare i risultati, è previsto un week-end di verifica e valutazione invernale. Inoltre dal 24 al 27 settembre 2015 è in programma un incontro internazionale a Castelgandolfo aperto a non più di 60 tra animatori ed esperti, per avviare la possibilità di moltiplicare i (per)corsi di luce anche localmente. (altro…)

Ricordando Emilio Bruzzone

Ricordando Emilio Bruzzone

Dono-e-Emilio,-Himalaya

Emilio Bruzzone (a destra), con Domenico Salmaso, sull’Himalaya

«Sono passati 10 anni dalla “partenza” di Emilio, ma lui resta semplicemente nei nostri cuori. Ancora». A ricordarlo così è Giuseppe Ferraro, Tesan, trentino, uno degli amici toccati profondamente e personalmente dal suo amore semplice e concreto. «Quanti di noi di Loppiano – ma non solo – ha accompagnato in gite ed escursioni tra monti e ghiacciai! Per tutti – credo – l’aver conosciuto Emilio (e magari condiviso con lui un tratto di vita in Focolare o in vacanza) è stato l’incontro con un amico ed un fratello che ha segnato profondamente l’anima. Così è stato per me…». Emilio – che aveva fatto la sua scelta di vita donandosi a Dio nel Movimento dei Focolari – faceva l’idraulico e fino a 30 anni aveva vissuto a Genova. Antonella Ferrucci, un’amica, ricorda un episodio particolare: «Lui, amante della montagna ad un certo punto si è ammalato di artrite reumatoide; ogni giorno aveva febbre, debolezza…. La cosa che più gli pesava era non poter più salire le sue montagne, ma accettava tutto. Un giorno scrive a Chiara Lubich raccontandogli della sua situazione; dopo qualche tempo riceve la sua risposta: Chiara pregava con forza per la sua guarigione e lo invitava a fare lo stesso… immediatamente dopo Vincenzo parte per qualche giorno di riposo in montagna e –sulla parola di Chiara, contro ogni ragionevolezza – decide di portare con sé gli scarponi. Il giorno stesso… da un momento all’altro, la febbre è sparita, era guarito…  i medici increduli». «Ho rischiato due volte la vita in montagna, in entrambi i casi su sentieri facili facili: è proprio vero che Dio ci chiama quando siamo pronti». Vincenzo Bruzzone (da tutti conosciuto come Emilio) lo ripeteva sempre agli amici. Il 13 luglio del 2005, a 68 anni, è morto precipitando dal ghiacciaio della Tribolazione (una delle vie che portano alla cima del Gran Paradiso), in Val d’Aosta.

Giordani e la famiglia

Giordani e la famiglia

giordani_famiglia_int«Funzione precipua della famiglia è il crescere e moltiplicare: aumentare la vita; cooperare all’opera creativa del Creatore. La sua unità non s’interrompe, ma si aumenta e prolunga nella prole. Nella prole l’amore dei due sposi s’incarna; l’unità si fa persona: padre, madre, figlio formano una vita a immagine e somiglianza, in qualche modo, della divinità, da cui furono creati e sono vivificati. Tre punti per cui passa il circuito dell’unico amore, che parte e s’alimenta dall’amor di Dio». (Giordani, 1942) Qui Giordani, nel tracciare il profilo divino della famiglia, in certo modo anticipa quanto verrà poi dichiarato nei testi del Vaticano II sia nel sottolineare il privilegio degli sposi di «cooperare all’opera creativa del Creatore», sia nel vedere la famiglia come specchio della vita trinitaria, da cui ne trae il disegno. Una dottrina questa tanto cara a S. Giovanni Paolo II, che metterà a tema delle sue storiche catechesi sull’amore umano degli anni ‘80. Il 23 giugno scorso la Commissione preparatoria del Sinodo ha divulgato l’Instrumentum Laboris, sul quale il prossimo ottobre i padri sinodali saranno chiamati a riflettere, per poi proporre al Santo Padre possibili soluzioni da mettere in atto a favore delle famiglie. Il documento, incentrato sulla vocazione e la missione della famiglia, inizia con uno sguardo sulle molteplici problematiche che investono la famiglia oggi e le gravi sfide culturali e sociali che la minano. Ma non è solo di questi tempi l’avvertire di tali gravi criticità. Nel ’75 ci fu una lettera dell’episcopato del Quebec che conteneva un’analisi preoccupante in questo senso. Giordani ne fu molto colpito, al punto che in un suo scritto ne riportò alcuni passaggi, per poi offrire alle famiglie – alto e luminoso – il suo messaggio: «Le difficoltà della vita non schiacciano una famiglia ancorata a Dio; mentre in troppi casi la spazzano via perché ancorata solo al denaro. L’unione dei coniugi fa la loro forza: ma l’unione è frutto dell’amore. È perciò nel loro interesse terreno e celeste di amarsi, sfruttando le prove, i dolori, i disinganni per santificarsi. Il matrimonio non unisce soltanto gli sposi l’uno all’altro, in quanto sposi, padre e madre: li unisce a Dio. Questa unità in Dio, dell’uomo e della donna, dei genitori e dei figli, è il senso più profondo del matrimonio e della famiglia». (Giordani, 1975) A cura del Centro Igino Giordani Brani tratti da: Igino Giordani, Famiglia comunità d’amore, Città Nuova, Roma 2001 e Igino Giordani, La società cristiana, Città Nuova, Roma, 2010 (altro…)

LOPPIANOLAB 2015

Europa, immigrazione, terrorismo, famiglia, crisi economica, ma anche cultura e sviluppo: di questo si parlerà alla sesta edizione di LoppianoLab, il 25 e 26 settembre prossimi a Loppiano (FI). Sarà possibile seguirla via streaming anche da casa in alcuni momenti del programma. Come da tradizione, saranno le diverse anime del Paese – cittadini, mondo politico, economico e culturale – a darsi appuntamento per riflettere, progettare e agire sulle grandi sfide dell’attualità. Perché se in queste ore l’Europa è alle prese con la sfida dell’unità del continente, il mondo sta facendo i conti su più fronti con la paura, nemico subdolo e “liquido”, che prende forme inattese e sconcertanti: il consenso popolare trasversale riscosso dai gruppi terroristici più disparati; la gravissima situazione in Siria e in Libia, i fatti di Parigi, di Copenaghen, di Tunisi; la perdurante crisi economica che stravolge Paesi quali la Grecia e i tassi di disoccupazione crescenti; la corruzione dilagante che investe larghi strati della pubblica amministrazione; la questione del gender che abbatte certezze millenarie sull’uomo e sulla donna, solo per citarne alcune. Gli appuntamenti principali:

  • “Un’idea di persona, un’idea di società, un’idea di economia” (25 settembre alle 21,00) nel quale l’Istituto Universitario Sophia in collaborazione con il Gruppo Editoriale Città Nuova offrirà un’occasione di riflessione sull’attualità del pensiero di Antonio Rosmini.
  • Il convegno centrale di LoppianoLab (26 settembre ore 15.30), che darà voce alla società civile, alla politica, all’economia e alla cultura.
  • La Convention nazionale dell’Economia di Comunione promossa dal Polo Lionello Bonfanti (25-26 settembre) dal titolo “Generare e rigenerare. Imprese, Beni Comuni, Persone”.
  • Sono in programma anche i tradizionali laboratori di Città Nuova su problematiche di grande attualità: Alleanza uomo-donna (e bambino). Separazioni, monogenitorialità, uteri in affitto e bambini invisibili. 2. Internet ci rende stupidi o intelligenti? 3. Le periferie esistenziali. Povertà, emarginazione, infanzia disagiata. 4. Dialogo con i musulmani. Utopia o realtà al tempo dell’ISIS e del terrorismo?

Comunicato stampa n. 1  Comunicato stampa n. 2 Comunicato Stampa n.3 Comunicato Stampa n.4 Comunicato stampa n.5 programma_LoppianoLab 2015 Info: Blog: http://www.loppianolab.blogspot.it Facebook: www.facebook.com/loppianolab Twitter: @LoppianoLab

Bolivia, vento di cambiamento

Bolivia, vento di cambiamento

Bolivia (1)Una grande esplosione di entusiasmo attraversa il popolo boliviano per l’arrivo del Papa. Per una generazione di giovani si tratta di una vera novità, perché dopo 27 anni è la seconda volta che un Papa raggiunge questa terra andina e amazzonica. La Chiesa ha preparato i fedeli in modi diversi: molti si sono organizzati come volontari per aiutare i pellegrini che da tutto il paese giungeranno a La Paz, ma soprattutto a Santa Cruz de la Sierra, per ascoltare il messaggio di Francesco. A La Paz, dove il Papa sosterà alcune ore, alla gente viene chiesto di vestirsi di bianco. Si preparano regali di ogni tipo, come l’ostia fatta di quinoa, un cereale andino, oppure tessuti con figure andine preparati per l’occasione. A Santa Cruz, dove Francesco rimane più a lungo, le delegazioni stanno arrivando da anche dai paesi limitrofi. In questa città nell’Amazzonia boliviana, che ospiterà anche il 2° incontro mondiale dei Movimenti popolari, si è preparato un grande altare in legno scolpito con figure raffiguranti gli edifici delle missioni dei Gesuiti arrivati in Bolivia durante la colonizzazione spagnola. «Siamo in partenza per Santa Cruz, per la messa e per l’incontro con tutti della vita consacrata» – scrivono dal focolare di Cochabamba, sede del Movimento dei Focolari in Bolivia. Anche i membri dell’opere sociali che il Movimento porta avanti nel Paese – l’asilo “Clara Luz” a La Guardia che accoglie a 150 bambini e il Centro “Rincón de Luz” per la promozione integrale di 60 ragazzi e le loro famiglie – sono in attesa dell’incontro di papa Francesco con i movimenti sociali e del discorso che indirizzerà loro. Bolivia (5)Il popolo boliviano è profondamente religioso, ricco di quella pietà popolare che tanto piace recuperare e mettere in luce a Francesco. Lì c’è la radice dell’identità cattolica del paese che aspetta con entusiasmo la visita de vescovo di Roma. A questo riguardo spiega Alfonso Alarcon, giornalista boliviano, «il Paese mantiene una forte predominanza di questa fede in tutta la sua geografia e settori sociali».«Sebbene negli ultimi anni sia incrementata la presenza di chiese evangeliche, soprattutto pentecostali, e le riforme dello Stato abbiano permesso che emergessero alcune pratiche rituali andine, è altrettanto certo che nelle principali feste religiose permangano le ferventi e numerose devozioni cattoliche». Queste realtà del Paese non sono estranee a papa Bergoglio, che a Buenos Aires ha avuto molte opportunità di incontrare le comunità di boliviani che vivono, commerciano e si sono stabiliti da generazioni nei barrios della capitale. Secondo Alarcon due “miracoli politici”, inimmaginabili un po’ di tempo fa, hanno preceduto l’arrivo di Francesco in Bolivia: «uno sforzo manifesto e ampio da parte del governo di riconquistare la fiducia dei fedeli e delle istituzioni cattoliche. Il secondo miracolo è vedere insieme leader politici che fino a qualche anno fa non potevano stare uno accanto all’altro, compreso il presidente».

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Una veduta di La Paz

Nella generale dimostrazione di affetto per il Papa, non sono mancate alcune critiche per il rilievo che nel Paese si dà alla visita di un leader religioso, ma – continua Alarcon – bisogna dire che esistono molti altri, indifferenti, atei vari, che hanno applaudito alla visita, con argomenti che vanno dalla simpatia per l’enciclica “Laudato si’”, all’importanza che sarà data alla figura di Luis Espinal, sacerdote gesuita spagnolo, intellettuale, regista, giornalista e attivista della teologia della liberazione, assassinato durante la dittatura militare in Bolivia». Anche il pastore Gustavo Loza, rappresentante della Chiesa Metodista di Cochabamba, ha manifestato la vicinanza verso la figura di papa Francesco e lo definisce come un fratello che viene da uno stesso popolo: la sua presenza in Bolivia è piena di segnali di vita e di buone notizie. Loza riconosce inoltre l’importanza sul piano ecumenico dell’impegno per la giustizia e con i poveri, e dà grande valore al gesto che Papa Francisco farà in memoria di Luis Espinal a La Paz, un atto di riconoscenza verso qualcuno che ha dato la propria vita e che rappresenta tanto i cattolici come i non cattolici. «In ogni caso – conclude Alarcon – la visita di Francesco non passa inosservata e sicuramente porterà molta speranza ad una chiesa boliviana che ha bisogno di una parola di incoraggiamento dal suo pastore romano per continuare la sua missione in un Paese che sta subendo profondi cambiamenti».

EXPO: Cucine solari per Haiti

EXPO: Cucine solari per Haiti

haiti_poor_int«Haiti, che è stata una delle più floride colonie francesi, la perla delle Antille, oggi è tra i Paesi più poveri del pianeta, devastata da una grave catastrofe ecologica», afferma Ronald La Rêche, ex deputato, candidato al senato di Mont Organizé. Infatti, sono migliaia le persone che non hanno accesso alle fonti tradizionali per l’energia quali elettricità o gas. Il continuo ricorso alla legna da ardere ha come conseguenza un disboscamento selvaggio che incide negativamente sui cambiamenti climatici, causando la desertificazione e la progressiva diminuzione dell’acqua a disposizione. Inoltre lo scarseggiare della legna secca, costringe la popolazione ad utilizzare legna verde che, una volta bruciata, produce fumi tossici altamente nocivi per la salute in particolare delle donne e dei bambini. Di qui l’idea di sostenere la popolazione di Haiti facendo ricorso alle energie rinnovabili e in particolare all’energia solare. Il progetto “Cucine solari per Mont-Organizé” è ideato e realizzato da AFNonlus – associazione ispirata ai valori dei Focolari – in collaborazione con PACNE (Action Contre la Pauvreté du Nord Est), Ente Nazionale per il Microcredito, Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” e Tesla I.A. srl. e patrocinato dalla SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale). Intende introdurre le cucine solari nei centri sostenuti da AFN ad Haiti, nel territorio di Mont-Organisé. La cucina solare è dotata di una tecnologia molto semplice, di facile manutenzione e montaggio, è possibile imparare a costruirle in loco favorendone la facile diffusione presso la comunità. È costituita da  un dispositivo basato su un sistema a concentrazione solare: attraverso una lente, l’energia solare si tramuta in energia termica che viene immagazzinata in una batteria. Come materiale termoconvettore, sono utilizzati dei “Sali Fusi”, una miscela di Nitrato di Potassio e Nitrato di Sodio, facilmente reperibili e a basso costo. Questa miscela, non infiammabile e non  tossica, si comporta come accumulatore e conservatore di energia termica, in grado di mantenere il calore per circa 20 ore, successive all’interruzione dell’irradiamento. La presentazione del progetto si è svolta Sabato 4 luglio, in occasione del convegno “Cucine Solari, una risposta alle problematiche dei Paesi in via di sviluppo”, all’EXPO di Milano 2015 presso la Cascina Triulza, il padiglione della società civile. Tra i relatori, Andrea Turatti (Presidente AFNonlus), l’on. Franco Mirabelli (Membro della Commissione Territorio Ambiente e Beni ambientali del Senato), Ronald Laréche (Candidato al Senato della Repubblica di Haiti), il prof. Paolo Masi (Direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II), Joachim Joseph (Coordinatore PACNE), Davide Cantini (Responsabile Automazione Industriale TESLA I.A. srl) e Tommaso Martelli (Centro studi e progettazione ENM), con la moderazione di Elisabetta Kustermann. Sono stati illustrati i dettagli del progetto ed è stato esposto al pubblico il prototipo della cucina solare. «Il percorso che ipotizziamo prevede come primo passo la sperimentazione della cucina solare all’interno delle scuole aiutate da AFN a Mont- Organizé, una realtà rurale nell’arrondissement di Ouanaminthe haiti_expo_intnel dipartimento Nord-Est di Haiti», spiega Andrea Turatti, presidente di AFNonlus. «I passi seguenti saranno quelli di formare gli insegnanti che a loro volta formeranno le famiglie, per coinvolgere la popolazione con programmi di microcredito ad hoc». «L’idea più intelligente che sta dietro questo progetto è legata al fatto che questi sali utilizzati per accumulare energia la rilasciano nel tempo, quindi la sorgente di energia non dura solo il quarto d’ora serve che per riscaldare un determinato prodotto», sostiene il professor Paolo Masi, Direttore Dipartimento Agraria Università degli Studi di Napoli, «il progetto offre delle opportunità per risolvere una serie dei problemi e con alcune semplici tecnologie creare attività intorno alla produzione e conservazione degli alimenti». Sulla stessa linea anche l’ex ministro degli Esteri Franco Frattini, presidente della SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale) e sponsor del progetto “Cucine solari per Mont-Organisé”. «La SIOI ha appoggiato con interesse il progetto ritenendolo un’iniziativa utile a sviluppare le condizioni socioeconomiche di Haiti. Un modello che dopo un’attenta sperimentazione potrà essere applicabile anche ad altri Paesi in via di sviluppo offrendo opportunità di inclusione sociale delle fasce svantaggiate attraverso occasioni di lavoro in loco. Ritengo il progetto interessante anche nell’ottica della cooperazione internazionale, ambito del quale si occupa la SIOI». “Il progetto è un incentivo allo sviluppo e alla crescita del Paese ospitante da un punto di vista dell’incremento del welfare e  della sicurezza alimentare”. Sostiene L’on. Mario Baccini, ex ministro e attuale presidente dell’Ente Nazionale per il Microcredito.  “In prospettiva lo strumento microfinanziario può essere un volano da utilizzare per lo sviluppo delle attività di impresa per una vera e propria ripresa della crescita economica di Haiti e eventualmente di altre zone con criticità simili.” Attenzione alle tecnologie verdi e alla sostenibilità globale del progetto, sono tra gli elementi di innovazione rilevati da Luigino  Bruni, professore ordinario di Scienze economiche all’Università di Roma LUMSA, e coordinatore dell’Economia di Comunione. A questi si aggiungono «la valorizzazione delle risorse locali (e tra queste il sole), dei materiali del posto, e il coinvolgimento della popolazione». «Qui si gioca il successo vero del progetto – afferma l’economista – che funzionerà nella misura in cui verrà sentito come una vera opportunità da parte della popolazione locale». «Il progetto “Cucine solari” – scrive infine Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari – «è in piena sintonia con l’insegnamento di papa Francesco che ha posto l’attenzione sulla questione ambientale mettendo al centro dell’enciclica “Laudato sì” il concetto di ecologia integrale, cioè la relazione tra la natura e le persone che la abitano». «Il progetto, avendo alla base l’attenzione all’ambiente e allo sviluppo sostenibile che nasca dall’interno delle comunità beneficiarie, può offrire risposte valide alle problematiche urgenti dei Paesi in via di sviluppo. Infatti il progetto cerca una risoluzione a emergenze ambientali, alimentari, sanitarie e di approvvigionamento energetico, guardando ai bisogni essenziali delle persone più deboli. Utilizzando in modo nuovo l’energia solare, oltre ad essere rispettoso della cultura locale, offre opportunità di sviluppo e di inclusione sociale delle categorie più svantaggiate, come i bambini, che nelle scuole dove opera il Movimento ricevono formazione e sostegno». (altro…)

Lisbona: sanità tra presente e futuro

Lisbona: sanità tra presente e futuro

Summer School

Programma

Metodologia didattica: approccio interattivo, con possibilità di dialogo, condivisione e rielaborazione insieme ai docenti/esperti presenti, attraverso seminari, workshop, dibattiti. Le tematiche: proposte, analizzate e studiate nei 6 mesi precedenti da una commissione preparatoria internazionale formata da alcuni degli studenti partecipanti e coadiuvata dagli esperti.

  • la relazionalità nelle attività sanitarie
  • l’etica nella pratica clinica quotidiana, a partire da alcuni documenti di istituzioni mediche internazionali, fino ad arrivare ad esperienze cliniche su aspetti come le cure alla fine della vita.

Destinatari: studenti e giovani di età compresa tra i 20 e i 35 anni delle diverse professioni dell’area biomedica (medici, infermieri, fisioterapisti, terapisti occupazionali, ecc.), provenienti da vari Paesi. Numero massimo previsto: 50 partecipanti Lingue: Portoghese, inglese, italiano, spagnolo. Obiettivi: offrire ai professionisti sanitari gli skills necessari per prendersi cura della persona e non solo della patologia, e per ovviare alla frammentazione della cura, garantendo una presa in carico unitaria del paziente. Al termine del programma verrà rilasciato l’attestato di partecipazione. Sede: Cidadela Arco-íris, Rua Senhora da Graça, 60 2580-042 Abrigada Tel. +351 263 799 995   + 351 263 790 131   Fax: + 351 263 799 091 Orari: Il programma inizierà il mattino del 3 settembre alle ore 9.00 e si concluderà il 6 settembre alle ore 13. Costo: La quota, comprensiva di vitto e alloggio per i giorni della Summer School (a partire dalla cena del 2 Settembre fino al pranzo del 6 Settembre), del trasporto dall’aeroporto di Lisbona alla sede della Summer School per l’andata e il ritorno, dell’escursione turistica a Lisbona, è di 180 €. Iscrizioni: Compilare e inviare la scheda di iscrizione (www.mdc-net.org) all’indirizzo mdc@flars.net. L’iscrizione verrà accettata dopo la recezione del pagamento a mezzo bonifico bancario a: ASSOCIAZIONE MEDICINA DIALOGO COMUNIONE (M.D.C.) IBAN: IT68L0335901600100000113321 BIC: BCITITMX Per ulteriori informazioni rivolgersi a: mdc@flars.net ——————————————————————— Associazione Medicina Dialogo Comunione Via IV Novembre 7, 00046 GROTTAFERRATA (RM) Fax 06-94549841   Email: mdc@flars.net Website: www.mdc-net.org (altro…)

Dal Brasile, la storia di João

Dal Brasile, la storia di João

rio_preto_2Era nell’aria. Troppe volte João aveva sentito i suoi genitori litigare e il fatto che con sua madre e i suoi fratelli abbiano dovuto lasciare casa perché il padre aveva una figlia con un’altra donna, non lo ha sorpreso più di tanto. Allora aveva 16 anni, frequentava la parrocchia, aveva amici. Interiormente però si sentiva deluso e insoddisfatto, con una forte esigenza di libertà, di essere sé stesso. Un’inquietudine che lo ha portato persino ad interrompere gli studi. Per poi riprenderli anni dopo, quando cioè ha trovato la vera ragione per cui vivere.

«A vent’anni – racconta João – con il gruppo giovani della mia parrocchia partecipo ad un’attività dei Focolari. In quei giorni mi rendo conto che il Vangelo non è tanto da commentare o riflettere, quanto da mettere subito in pratica. Mi colpiscono particolarmente quei brani su come comportarci con il prossimo: il samaritano, la regola d’oro. Ero andato per pura curiosità, invece è stato l’evento che mi cambia la vita. 

A Sao José do Rio Preto (Stato di Sao Paulo), la mia città, c’è tanta gente che vive per strada. Una sera, tornando a casa con la mia bicicletta, incrocio un uomo che cammina scalzo. I suoi piedi sono sporchi e feriti. A quella vista non riesco più a pedalare. «Quell’uomo è il mio prossimo, devo tornare da lui». E prima di raggiungerlo mi tolgo le scarpe per dargliele. Lui mi guarda sorpreso. Vedo che indossa la maglietta della mia squadra di calcio e per toglierlo d’imbarazzo gli dico: «Sei allora Santista? Anch’io lo sono! Come ti chiami?». Prende le scarpe e diventiamo amici. joaoSono alla stazione, di ritorno da un incontro tenutosi in un’altra città. A quell’ora – le due di notte – i trasporti pubblici non funzionano, così mi incammino a piedi verso casa, attraversando il centro. Guardando in giro vedo tante persone che, approfittando della chiusura notturna dei negozi, dormono davanti alle vetrine. Non ho paura, questa è la mia città. Ad un certo punto però mi si avvicina un uomo grande e grosso che mi chiede del denaro. Devo confessare che un po’ di paura comincio ad averla. Chi mi garantisce che non sia violento? Ma penso: «Anche lui è mio fratello, questo il Vangelo insegna». Con calma gli dico che non posso dargli nulla perché neppure io ho soldi. Comincia a raccontarmi la sua storia, poi mi fa infilare i suoi auricolari. Stava ascoltando la predica di un pastore protestante. Ascolto per un po’ anche io la trasmissione, così posso dirgli che quella persona sta dicendo cose belle e che è bene ogni tanto sentire buoni messaggi. Lui mi chiede: «Chi sei?».Non sapendo cosa rispondere gli chiedo il perché della domanda. Ed egli: «Perché nessuno ci tratta bene così». La cosa va avanti per 30/40 minuti. Penso al tragitto che ancora devo fare per arrivare a casa, al fatto che all’indomani mi dovrò alzare alle 6 per andare al lavoro. Ma sento che devo restare ancora un po’ per accogliere quel fratello che ha grande bisogno di ascolto, di compagnia. Alla fine, dopo avermi chiesto l’indirizzo per venire a fare una grigliata a casa mia, ci salutiamo, con la sensazione di aver trovato un fratello. Un giorno di pioggia, tornando a casa in moto, vedo un uomo che, fradicio, tenta di rialzarsi da una pozzanghera senza riuscirci. Lo riconosco: è un nostro vicino di casa che è sempre ubriaco. Nel bar accanto ci sono diversi uomini che si limitano a guardare la scena senza fare nulla. Cercando di non arrabbiarmi, mi fermo, lascio lì la moto e lo accompagno a casa, raccontando alla moglie cosa era successo. Infine torno sui miei passi per riprendere la moto. Strada facendo, in fondo al cuore riecheggia una frase: «L’hai fatto a me». Non sono più arrabbiato. Mi basta per sentirmi felice e per non inveire contro quegli uomini che stupiti continuano a guardarmi». (altro…)

Eucaristia e modernità

Eucaristia e modernità

citta«Il mondo moderno, con il suo laicismo, ha voluto allontanarsi da Dio perché […] non gli è stato detto abbastanza che lui era Dio, che era stato divinizzato, che non era solo un dipendente da un essere estraneo e lontano: era in maniera misteriosa un altro piccolo Dio, perché partecipava della natura divina attraverso la vita di Gesù, in modo particolare attraverso l’Eucaristia. Quando ripenso a certe pagine di Marx, nelle quali egli nega il valore della religione proprio perché aliena l’uomo, perché lo rende estraneo a se stesso, proprio perché lo fa dipendere da qualche cosa che è al di fuori di sé: io penso che se avesse saputo che l’uomo trova la sua divinizzazione e quindi la sua autonomia, intesa in senso trinitario, quelle cose non le avrebbe mai pensate. […] Lo stesso si può dire anche di Hegel, dal quale Marx è stato generato; lo stesso si può dire di tutti gli immanentisti, tutti quelli che hanno negato Dio per mettere in luce l’uomo, fino a Sartre, fino a Camus, fino agli ultimi. È Sartre che dice: «Non può esistere Dio perché, allora, non esisterei io», proprio perché mi schiaccerebbe. E questo non è possibile proprio perché quel Dio, che si è fatto uomo, ti ha fatto Dio, ti ha fatto partecipe della natura divina. […] Tutti i giorni constatiamo come non esiste più problema dell’umanità che si possa risolvere singolarmente, né come gruppi particolari, né come gruppi nazionali. I problemi si devono risolvere ormai collegialmente, dando vita all’unità che Gesù ha portato. E noi sappiamo che raramente si può creare questa unità se non c’è una vita spirituale. Insomma, non è che si crea una comunità di corpi, si crea una comunione di persone, e queste persone, se non sono nutrite da qualche cosa che le amalgami, non lo faranno mai. Questo qualcosa può, in un senso lontano, essere la scienza, può essere la ricerca posta in atto dall’uomo. Ma ciò che per eccellenza crea l’unità è l’Uomo per eccellenza, cioè Gesù, è Lui che ci rende uomini e ci rende comunità. […] L’Eucaristia da una parte è un grandissimo mistero, dall’altra è un convito, cioè è un centro di fraternità umana naturale. […] L’Eucaristia è l’anima, deve diventare l’anima di questa socialità». Tratto da: Luce che si incarna, commento ai 12 punti della spiritualità, Pasquale Foresi, Città Nuova 2014, pp. 107-109 (altro…)

Campi estivi dei Ragazzi per l’Unità in Italia, Portogallo e Ungheria

Anche quest’anno i Ragazzi per l’Unità del Movimento dei Focolari, in tutta Italia e all’estero, danno spazio alla fantasia per appuntamenti rivolti ai loro coetanei, e vivere alcuni giorni all’insegna della Regola d’Oro: Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te. Natura, azioni sociali, approfondimenti tematici e tanti giochi sono le caratteristiche comuni. Di seguito le date e i luoghi di questi appuntamenti.

  • 2-5 luglio Arcinazzo (FR) – Stop’n Go
  • 2-5 luglio Palermo – Tabor Beach
  • 13-22 luglio Arco Iris, Lisbona – Cantiere organizzato dai Ragazzi per l’Unità della Lombardia
  • 17-21 luglio Vitorchiano (VT) – Stop’n Go Lazio in Progress
  • 19-24 luglio Brendola (VI) – Coloriamo la città
  • 22-26 luglio Alatri (FR) – Stop’n Go
  • 9-14 agosto Csobánka,Ungheria – Teens for Unity táborba! -Teens for Unity camp!

Per info sui campi contattare le regioni di riferimento su: https://www.focolare.org/focolare-worldwide/europa/italia/ www.run4unity.net https://vimeo.com/29361955

Migrazioni: cosa posso fare io?

Migrazioni: cosa posso fare io?

FlaviaCerino«Quando parliamo di migrazioni, i numeri dicono più delle parole: da un rapporto pubblicato a ottobre del 2014, si deduce che nel mondo siamo 7 miliardi e 124 milioni di persone. Se la ricchezza fosse ripartita in maniera equa, ogni persona disporrebbe di un reddito medio annuo di circa 14.000 dollari USA. In realtà, 2 miliardi e 700 milioni di persone hanno un reddito di 2 dollari e mezzo al giorno. Ora, questa disuguaglianza economica, che è una disuguaglianza sociale, ha un impatto molto forte sul fenomeno migratorio: popoli interi si spostano verso i Paesi più ricchi». Chi è il migrante? Nel 2013, l’ONU ha ritenuto che nel mondo si siano spostate 232 milioni di persone. E definisce il migrante come “una persona che lascia il proprio Paese per motivi di lavoro e si stabilisce in un altro posto per un periodo superiore a 12 mesi”. «È l’unica definizione che si trova … che ritengo piuttosto riduttiva – sottolinea Flavia Cerino –. Infatti, ci sono i rifugiati (quelli che hanno bisogno di un asilo politico presso un altro Paese), i profughi che fuggono da situazioni di guerra, i cosiddetti “clandestini” (che si spostano senza avere un documento idoneo a entrare in un altro Stato). E anche le ragioni sono le più diverse: guerra, povertà, studio, interessi culturali, catastrofi naturali … Quindi le condizioni umane che si racchiudono in una sola parola, migrante, sono molto diverse». 20150630-01Quali sono le parole più ricorrenti nei report dei lavori di gruppo svolti durante la scuola internazionale di Umanità Nuova in cui si è affrontato questo tema? Durante i workshop ne sono venute alcune in particolare evidenza. «La prima è “paura”; una paura di qualcosa che è diverso da me – continua Cerino –. In realtà la diversità (lo vediamo nella natura, anche la diversità biologica), è una grande ricchezza. Perdendola saremmo destinati all’estinzione. Bisogna considerare ovviamente la paura che nasce dell’insicurezza e che ci porta al tema dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale. Un conto, quindi, è l’ordine pubblico e un conto è la paura della diversità. Un altro aspetto che è stato ripreso con frequenza è quello della famiglia. Il migrante che parte da solo lasciando la famiglia, difficilmente descrive le difficoltà che trova per non far preoccupare i suoi cari. Invece si dovrebbe arrivare a riferire alla propria famiglia la situazione reale in cui vive, per una piena consapevolezza di ciò che implica la migrazione, anche in vista della riunificazione della famiglia, perché in genere le famiglie mirano a rimanere insieme. Un’altra parola emersa: intercultura. E cioè la capacità di superare la paura della diversità per creare luoghi, spazi, ambienti di incontro e di conoscenza. Che non è solo di tipo culturale, ma appunto esistenziale, di condivisione di problemi. Il migrante deve essere messo in condizione di dare: invece lui stesso ritiene di non avere niente da dare quando non è riconosciuto come persona, quando non può esercitare cittadinanza attiva e quindi è escluso a priori». 20150630-02Flavia Cerino cita una domanda che Igino Giordani si poneva già tanti anni fa: “Che faccio io per costui?”, riferita proprio all’immigrato. «È la domanda che ci facciamo ora noi. Cosa facciamo? Ci sono miriadi di esperienze, grandi iniziative. La mia esperienza e quella di tanti di voi si muove su due elementi: il primo è che tutto nasce da una sensibilità personale. Cioè io, persona, mi sento interpellata e messa in discussione da un problema che vedo nel mio vicino di casa, nella realtà in cui vivo. E cerco di capire cosa posso fare, rivolgendomi alle persone e istituzioni che hanno la competenza per agire. Perché si tratta di alleviare, di rendere più leggera la presenza dell’immigrato nella mia città. In pratica, alla domanda “cosa posso fare io?”, possiamo rispondere cominciando ad agire secondo ciò che è alla mia portata; quindi, mettendoci insieme a chi condivide questo desiderio, cominciamo da piccoli gesti, possiamo intrecciare i nodi di una rete, lì dove siamo; gesti semplici che generano un’umanità rinnovata intorno a noi». Fonte:Riflessioni su migrazioni e intercultura”, intervento svolto durante la scuola internazionale di Umanità Nuova (febbraio 2015), coordinato da Flavia Cerino, esperta di immigrazione – www.umanitanuova.org (altro…)

Pasquale Foresi

Pasquale Foresi

PasqualeForesi_Chiara_Lubich_IginoGiordani

Foto CSC Media

Per l’ultimo saluto a Pasquale Foresi sono giunti davvero in tanti a Rocca di Papa (Roma), anche da altri Paesi europei. Per non parlare degli innumerevoli accessi streaming, a testimonianza della stima e riconoscenza per questa figura di spicco dei Focolari. Don Foresi ha contribuito molto allo sviluppo del Movimento, da quando Chiara Lubich, fin dall’inizio, l’ha voluto accanto a sé, definendolo cofondatore insieme a Igino Giordani. Ora tutti e tre – Lubich-Giordani-Foresi – riposano nella piccola cappella del Centro Internazionale, segno visibile di una triade che, ricomposta in Cielo, continua a sostenere quanti nel mondo si impegnano nella via dell’unità che scaturisce dal carisma di Chiara. Pasquale nasce a Livorno nel 1929. Appena quattordicenne, per ‘rendere qualche servizio all’Italia’ come lascia scritto, scappa nottetempo per unirsi ai gruppi della Resistenza che lottano per una nuova Italia. È in quel periodo che si fa strada in lui l’idea del sacerdozio. Tornato a casa entra nel seminario diocesano di Pistoia (dove la famiglia si era trasferita) e poi al Collegio Capranica a Roma per frequentare l’Università Gregoriana. Ma quella vita sembra non soddisfarlo appieno.
PasqualeForesi_IginoGiordani

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Nel frattempo papà Palmiro, deputato al Parlamento italiano, conosce Igino Giordani che a sua volta le presenta la Lubich. Profondamente colpito dalla radicalità evangelica di quella ragazza trentina, l’on. Foresi spera di farla incontrare con il figlio che sapeva alla ricerca di un cristianesimo autentico. L’invito era di recarsi a Pistoia per incontrare l’élite cattolica del luogo. Non potendo andare personalmente, Chiara vi manda Graziella De Luca, una delle sue prime compagne, che per un disguido giunge a Pistoia il giorno successivo a quello stabilito. Ad accoglierla a casa Foresi è Pasquale, per niente interessato alla sua conoscenza, ma che per pura cortesia si offre di accompagnarla da un sacerdote che avrebbe dovuto presenziare all’incontro del giorno prima. Nel tragitto, sempre per non essere scortese, le rivolge qualche domanda sulla sua esperienza spirituale e ne rimane profondamente colpito, al punto di chiederle di fargli conoscere Chiara. Nel Natale ‘49 Pasquale trascorre qualche giorno a Trento: è un incontro davvero folgorante per lui, che decide di andare a vivere nel primo Focolare maschile di Roma. Qui trova la conferma che la vocazione al focolare –  sono parole sue – : «non era entrare in un istituto religioso più bello e più santo degli altri, ma era far parte di una rivoluzione cristiana religiosa e civile che avrebbe rinnovato la Chiesa e l’umanità».
PasqualeForesi_con giovani

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Chiara scopre in Pasquale un timbro tutto speciale e gli chiede di condividere con lei la guida del Movimento. Nella donazione a Dio nel Focolare, Pasquale vede appagarsi la sua sete di radicalità e sente riaffiorare la chiamata al sacerdozio. Il suo compito diventa ancora più specifico. Per la sua profonda conoscenza della teologia, Pasquale Foresi sa riconoscere tutta la portata teologica e dottrinale contenuta nelle intuizioni di Chiara ed è interlocutore qualificato nei rapporti con la Chiesa, soprattutto quando il nascente movimento è sotto studio da parte del Santo Uffizio. Ma la funzione di don Foresi più pregnante è quella «dell’incarnazione»: aiutare, cioè, Chiara a realizzare in opere quanto il carisma dell’unità ha posto in lei: la cittadella di testimonianza di Loppiano vicino a Firenze, il gruppo editoriale Città Nuova, l’Istituto universitario Sophia che sorge a Loppiano nel 2007. «Ad un certo punto – racconta lui stesso – ebbi l’impressione di aver sbagliato tutto nella mia vita e in modo particolare che quelle cose positive che potevo aver contribuito a fare, erano mie e non di Dio». Un travaglio spirituale il suo, che Dio permette ai grandi dello spirito per una profonda purificazione e per un distacco da tutto ciò che non è Lui. Ed è proprio durante questa prova spirituale, che sembra compromettere anche il suo benessere fisico, che hanno maggiore compimento le innumerevoli opere che Chiara vede realizzarsi con don Foresi accanto a lei nella veste di copresidente. Di grande spessore sapienziale i suoi volumi Teologia della socialità e Conversazioni con i focolarini, fonti di ispirazione anche per altri autori del Movimento. Dopo la morte di Chiara, determinante è il sereno apporto di don Foresi all’Assemblea generale preposta ad eleggere la presidente che per prima sarebbe succeduta alla fondatrice. Grazie, don Foresi! (altro…)

La storia di Estelle, a Man, Costa d’Avorio

La storia di Estelle, a Man, Costa d’Avorio

 20150629-aEstelle è la sorella maggiore di otto fratelli di una famiglia ivoriana che, dopo aver lavorato 3 anni come segretaria in una clinica medica di Abidjan, si trasferisce a Man nel 2006, dove aiuta nella costruzione del centro medico del Movimento dei Focolari, soprattutto nel rapporto con gli sponsor. Finito il progetto, decide di approfondire le sue competenze gestionali. Nel frattempo, dovendo sostenere la sua famiglia per la morte di suo padre, chiede e accede ad una borsa di studio di Fraternità con l’Africa. Così, mentre lavora, si specializza a distanza in “Gestione delle organizzazioni, ong e associazioni non profit” in una università del Burkina Faso. Dopo aver finito i suoi studi, con il supporto del tutor e dell’AMU, va in Burundi per fare uno stage in amministrazione e finanze presso CASOBU, ong che promuove lo sviluppo umano e comunitario attraverso attività e progetti sulla base di valori di condivisione e sviluppo sostenibile. Fraternita con l'Africa“È stata una bella opportunità concreta per me perché era la prima volta che uscivo dalla Costa d’Avorio e ho potuto conoscere altre culture e imparare molto da CASOBU, ad esempio il loro approccio al microcredito. Quando sono rientrata nel mio paese ho deciso di iniziare anch’io a proporre questo modello di microcredito cominciando con persone che conoscevo. Abbiamo già formato 2 gruppi che fino ad oggi sembrano funzionare bene…”, racconta Estelle. Tutto ciò che ha ricevuto ha spinto Estelle ad impegnarsi per Fraternità con l’Africa: “Finiti gli studi, ho pensato che, pur non potendo dare un contributo materiale, potevo mettere il mio tempo libero a disposizione del progetto”, quindi per una parte, lavora nell’amministrazione, finanze e gestione del magazzino del centro medico e, per un’altra redige i rapporti, cura l’amministrazione ed è all’interno della commissione che valuta le candidature e accompagna gli studenti che ricevono le borse di studio, delle quali lei ha molta esperienza, anche perché ne ha beneficiato a sua volta. AMU-NOTIZIE-nIl centro medico di Man è nato nel 2002 durante la guerra civile quando era stato chiuso l’ospedale. Era ospitato in un appartamento di 3 stanze, poi, nel 2008 è stato inaugurato l’attuale CMS (Centro Medico Sociale) con sale di visita, sale per i ricoveri giornalieri, farmacia, laboratorio. Ma oggi l’afflusso di pazienti è tale che si sta costruendo un nuovo Centro, dove saranno aggiunti servizi di diagnostica e con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi sanitari e ridurre la malnutrizione infantile nella zona di Man, così come consolidare l’educazione delle madri nel campo della nutrizione. A Man la situazione sanitaria della popolazione è problematica. Tutto si paga in anticipo e senza possibilità di rimborso. Data la povertà di gran parte della popolazione, le famiglie riescono a sostenere in genere le spese alimentari e quelle scolastiche. Ma se la malattia bussa alla porta, si arriva dal medico solo quando lo stato del paziente è ormai grave. Il nuovo centro medico  potrà curare ogni anno 6 mila pazienti adulti e 3  mila bambini. Cfr. AMU notizie 2/2015 (altro…)

Parola di Vita Luglio 2015

«Si concludono con queste parole i discorsi di addio che Gesù ha rivolto ai discepoli nella sua ultima cena, prima di essere consegnato nelle mani di coloro che lo avrebbero messo a morte. È stato un dialogo serrato, nel quale ha rivelato la realtà più profonda del suo rapporto con il Padre e della missione che egli gli ha affidato. Gesù sta per lasciare la terra e tornare al Padre, mentre i discepoli rimarranno nel mondo per continuare la sua opera. Anch’essi, come lui, saranno odiati, perseguitati, perfino messi a morte (cf. 15, 18.20; 16, 2). La loro sarà una missione difficile come lo è stata la sua. Egli sa bene le difficoltà e le prove che i suoi amici dovranno affrontare: «Nel mondo avete tribolazioni», ha appena detto (16, 33). Gesù si rivolge agli apostoli riuniti attorno a sé per quell’ultima cena, ma ha davanti tutte le generazioni di discepoli che lo avrebbero seguito lungo i secoli, anche noi. È proprio vero. Pur tra le gioie disseminate sul nostro cammino, non mancano le “tribolazioni”: l’incertezza sul futuro, la precarietà del lavoro, le povertà e le malattie, le sofferenze a seguito delle calamità naturali e delle guerre, la violenza diffusa in casa e tra le nazioni. Vi sono poi le tribolazioni legate all’essere cristiani: la lotta quotidiana per rimanere coerenti al Vangelo, il senso di impotenza davanti a una società che sembra indifferente al messaggio di Dio, la derisione, il disprezzo se non l’aperta persecuzione da chi non comprende o si oppone alla Chiesa. Gesù conosce le tribolazioni avendole vissute in prima persona ma dice: “Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo” Questa affermazione, così decisa e convinta, sembra una contraddizione. Come può Gesù affermare di aver vinto il mondo quando pochi momenti dopo aver pronunciato queste parole sarà fatto prigioniero, flagellato, condannato, ucciso nella maniera più crudele e vergognosa? Più che aver vinto sembra essere stato tradito, rifiutato, ridotto a nulla, e quindi sconfitto, clamorosamente. In cosa consiste la sua vittoria? Certamente nella resurrezione: la morte non può tenerlo in suo possesso. La sua vittoria è talmente potente da rendere partecipi di essa anche noi: si rende presente tra di noi e ci porta con sé nella vita piena, nella nuova creazione. Ma prima ancora la sua vittoria è stata l’atto stesso dell’amore più grande con il quale ha dato la vita per noi. Qui, nella sconfitta, egli trionfa pienamente. Penetrando in ogni angolo della morte, ci ha liberato da tutto quanto ci opprime e ha trasformato ogni nostro negativo, ogni nostro buio e dolore, in un incontro con lui, Dio, Amore, pienezza. Paolo, ogni volta che pensava alla vittoria di Gesù sembrava impazzire di gioia. Se egli, così affermava, ha affrontato ogni avversità, fino a quella suprema della morte e ha vinto, anche noi, con lui e in lui possiamo vincere ogni difficoltà, anzi, grazie al suo amore, siamo «più che vincitori»: «Io sono infatti persuaso che né morte né vita […], né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8, 37-39; cf. 1 Cor 15, 57). Si comprende allora l’invito di Gesù a non avere più paura di niente: “Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo” Questa parola di Gesù, che terremo viva durante tutto il mese, potrà infonderci fiducia e speranza. Per quanto dure e difficili possano essere le circostanze nelle quali ci troviamo, abbiamo la certezza che esse sono già state fatte proprie e superate da Gesù. Anche se noi non abbiamo la sua forza interiore, abbiamo lui stesso che vive e lotta con noi. «Se tu hai vinto il mondo – potremo dirgli quando ci sentiamo sopraffare dalle difficoltà, dalle prove, dalle tentazioni – saprai vincere anche questa mia ‘tribolazione’. A me, alla mia famiglia, ai miei colleghi di lavoro quanto sta avvenendo sembra un ostacolo insormontabile, abbiamo l’impressione di non farcela, ma con te fra noi troveremo il coraggio e la forza per affrontare questa avversità, fino ad essere “più che vincitori”». Non si tratta di avere una visione trionfalista della vita cristiana, come se tutto fosse facile e già risolto. Gesù è vittorioso proprio nel momento in cui vive il dramma della sofferenza, dell’ingiustizia, dell’abbandono e della morte. La sua è la vittoria di chi affronta il dolore per amore, di chi crede nella vita dopo la morte. Forse anche noi, a volte, come Gesù e come i martiri, dovremo attendere il Cielo per vedere la piena vittoria sul male. Spesso si ha timore a parlare del Paradiso, quasi che il suo pensiero fosse una droga per non affrontare con coraggio le difficoltà, un’anestesia per attutire le sofferenze, un alibi per non lottare contro le ingiustizie. La speranza del Cielo e la fede nella risurrezione sono invece un impulso potente ad affrontare ogni avversità, a sostenere gli altri nelle prove, a credere che la parola finale è quella dell’amore che vince l’odio, della vita che sconfigge la morte. Dunque, ogni volta che ci imbattiamo in qualsiasi difficoltà, personale, di quanti ci sono vicino, o di quelli di cui veniamo a conoscenza nelle diverse parti del mondo, rinnoviamo la fiducia in Gesù, presente in noi e tra noi, che ha vinto il mondo, che ci rende partecipi della sua stessa vittoria, che ci spalanca il Paradiso dove è andato a prepararci un posto. In questo modo troveremo il coraggio per affrontare ogni prova. Tutto potremo superare, in colui che ci dà forza. Fabio Ciardi (altro…)

Santa Sindone: l’Amore più grande

Santa Sindone: l’Amore più grande

sindone«La rivista francese “Paris Match” ha riportato un lungo articolo su un documento importantissimo che può svelarci qualcosa di Colui che amiamo. Durante quest’anno – per desiderio dei gen – ho cercato di parlare di un solo argomento: Gesù crocifisso e abbandonato. Vogliamo conoscere quel mistero, vogliamo sviscerarlo. Vogliamo vedere e sapere e capire, per quanto possiamo, quello che può essere considerato il vertice della passione di Gesù. “Paris Match” riportava uno studio fatto sul lenzuolo – la Sindone – che avvolse il corpo di Gesù quando fu sepolto. Gli studi fatti su questo straordinario pezzo di tessuto fanno pensare che sia veramente autentico. Esso rivela qualcosa, anzi molto, di Cristo quando viveva la sua agonia alzato lassù fra terra e cielo. È di questo Gesù Uomo che oggi vorrei parlarvi. Mi interessa moltissimo, perché è in quelle carni che abitava quell’Anima che attraversò il terribile buio dell’abbandono. Il lenzuolo è esso stesso un reportage: porta infatti impressi molti segni del corpo santo di Cristo. Dice che Gesù era un uomo forte e lavoratore: la muscolatura della spalla e del braccio destro e le mani lo stanno a dimostrare. La muscolatura delle gambe dice che era un camminatore: e noi dal Vangelo ne sappiamo qualcosa. Terribile fu la sua flagellazione: più di cento colpi dati con un ordine preciso. Inchiodato ai piedi, tutto il suo corpo privo di qualsiasi sostegno cadeva in avanti, sorretto soltanto dai chiodi alle mani. La corona di spine non fu come sempre la immaginiamo. La presenza di grossi buchi nel capo dice che gli conficcarono in testa un intero casco di spine. Il volto, con un occhio tumefatto, non sarebbe insanguinato come il resto del corpo, il che confermerebbe l’episodio della Veronica che conosciamo per tradizione. Un ginocchio è leso per una forte caduta. Sangue da ogni dove. Una spada ha raggiunto il suo cuore, passando dal basso del torace… Dolore, dolore, dolore inenarrabile, inconcepibile. Tre lunghe eterne ore così, senza sosta, senza perdere la conoscenza mai. Ho capito che nessuno al mondo può dire di aver mai sofferto come Lui; e che Lui può dire qualcosa di più, sempre, a chiunque nel mondo sia visitato da qualsiasi sofferenza. «Perché Gesù ha sofferto?», mi chiese un giovane coreano giorni fa. C’era una rottura da riaggiustare tra Dio e l’uomo. Solo un prezzo come il suo l’avrebbe riparata. Oggi sembra che i tempi in cui i cristiani meditano i dolori di Gesù e seguono passo passo la sua salita al Calvario siano pressoché tramontati. Sono senz’altro cadute in disuso alcune pratiche arrugginite dal tempo e svuotate di significato, perché non più espressione di amore vero. «Donne, perché piangete sopra di me? Non piangete su di me, ma su voi stesse» (Lc 23, 28), ha ripetuto oggi Gesù a certi cristiani che non comprendono se non la superficie delle cose e portano in sé una pietà pietrificata o quasi, solo sentimentale. Ci sono due cose che occorre capire prima di penetrare il misterioso dolore del nostro Amico crocifisso, il vivo fra i vivi, per tutti i secoli. Ed è che tutto Egli ha sopportato per amore. E che noi dobbiamo rispondere al suo col nostro amore. Come? Dobbiamo fare di ogni dolore fisico, piccolo o grande, che ci tocca, un dono a Lui per continuare anche in noi, venti secoli dopo, la sua Passione per la salvezza del mondo. Egli, infatti, ci ha avvertito: «Se qualcuno vuol venir dietro a me… prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23 )». Chiara Lubichda “gen”, giugno 1970: editoriale Il nostro compito venti secoli dopo Fonte: Centro Chiara Lubich (altro…)

Enciclica ed economia: la «Laudato si’» e l’impresa

Enciclica ed economia: la «Laudato si’» e l’impresa

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Luigino Bruni

«Sul nostro sistema capitalistico incombe un’enorme domanda di giustizia che si innalza dalle vittime e dagli “scarti” umani, una domanda che è particolarmente grave perché non viene più vista né udita. Papa Francesco è oggi l’unica autorità morale globale capace innanzitutto di vedere e sentire questa grande domanda etica sul mondo (e questo dipende dal suo proprio carisma), e poi porre interrogativi radicali (e questo nasce dalla sua agape). Nessun altra “agenzia” mondiale ha la sua libertà dai poteri forti dell’economia e della politica, una libertà che purtroppo né l’Onu né la Commissione europea né tantomeno i politici nazionali dimostrano di avere, tant’è che continuano «a vendere il povero per un paio di sandali» (Amos) – vedi ciò che si rischia in Italia con le nuove regole sull’azzardo.

Alcuni commentatori, sedicenti amanti del libero mercato, hanno scritto che l’enciclica Laudato si’ è contro il mercato e contro la libertà economica, espressione dell’anti-modernismo e, addirittura, del marxismo del Papa «preso quasi alla fine del mondo». Nell’enciclica non si trova niente di tutto questo, anzi vi si trova l’opposto. Francesco ci ricorda che il mercato e l’impresa sono preziosi alleati del bene comune se non diventano ideologia, se la parte (il mercato) non diventa il tutto (la vita). Il mercato è una dimensione della vita sociale essenziale per ogni bene comune (sono molte le parole dell’enciclica che lodano gli imprenditori responsabili e le tecnologie al servizio del mercato che include e crea lavoro). Ma non è l’unica, e neppure la prima.

laudato_siIl Papa, innanzitutto, richiama il mercato alla sua vocazione di reciprocità e di «mutuo vantaggio». E su questa base critica le imprese che depredano persone e terra (e lo fanno spesso), perché stanno negando la natura stessa del mercato, arricchendosi grazie all’impoverimento della parte più debole.

A un secondo livello, Francesco ci ricorda qualcosa di fondamentale che oggi è sistematicamente trascurato. La tanto declamata «efficienza», la parola d’ordine della nuova ideologia globale, non è mai una faccenda solo tecnica e quindi eticamente neutrale (34). I calcoli costi-benefici, che sono alla base di ogni scelta “razionale” delle imprese e delle pubbliche amministrazioni, dipendono decisamente da che cosa inseriamo tra i costi e che cosa tra i benefici. Per decenni abbiamo considerato efficienti imprese che tra i costi non mettevano i danni che stavano producendo nei mari, nei fiumi, nell’atmosfera. Ma il Papa ci invita ad allargare il calcolo a tutte le specie, includendole in una fraternità cosmica, estendono la reciprocità anche ai viventi non umani, dando loro voce nei nostri bilanci economici e politici. C’è, poi, un terzo livello. Anche riconoscendo il «mutuo vantaggio» come legge fondamentale del mercato civile, e magari estendendola anche al rapporto con altre specie viventi e con la terra, il «mutuo vantaggio» non può e non deve essere l’unica legge della vita. È importante, ma non è la sola. Esistono anche quelli che l’economista e filosofo indiano Amartya Sen chiama «gli obblighi di potere». Dobbiamo agire responsabilmente nei confronti del creato perché, oggi, la tecnica ci ha attribuito un potere per determinare unilateralmente conseguenze molto gravi verso altri esseri viventi con i quali siamo legati. Tutto nell’universo è vivo, e tutto ci chiama a responsabilità. Esistono anche obblighi morali senza vantaggi per noi. Il «mutuo vantaggio» del buon mercato non basta a coprire tutto lo spettro della responsabilità e della giustizia. Anche il mercato migliore se diventa l’unico criterio si trasforma in un mostro. Nessuna logica economica ci spinge a lasciare le foreste in eredità a chi vivrà tra mille anni, eppure abbiamo obblighi morali anche verso quei futuri abitanti della terra. Molto importante è la questione del «debito ecologico» (51), che rappresenta uno dei passaggi più alti e profetici dell’enciclica. La logica spietata dei debiti degli Stati domina la terra, mette in ginocchio interi popoli (come nel caso della Grecia), e ne tiene sotto ricatto molti altri. Molto potere nel mondo è esercitato in nome del debito e del credito. Esiste però anche un grande «debito ecologico» del Nord del mondo nei confronti del Sud, di un 10% dell’umanità che ha costruito il proprio benessere scaricando i costi sull’atmosfera di tutti, e che continua a produrre “cambiamenti climatici”. L’espressione “cambiamenti” è fuorviante perché è eticamente neutrale. Il Papa parla invece di «inquinamento» e di deterioramento di quel bene comune chiamato clima (23). Il deterioramento del clima contribuisce alla desertificazione di intere regioni che influiscono decisamente sulle miserie, le morti e le migrazioni dei popoli (25). Di questo immenso «debito ecologico» e di giustizia globale non si tiene conto quando chiudiamo le nostre frontiere a chi arriva da noi perché gli stiamo bruciando la casa. Questo debito ecologico non pesa per nulla nell’ordine politico mondiale, nessuna Troika condanna un Paese perché ha inquinato e desertificato un altro Paese, e così il «debito ecologico» continua a crescere nell’indifferenza dei grandi e dei potenti. Infine, un consiglio. Chi deve ancora leggere questa meravigliosa enciclica, non inizi la lettura nel proprio studio o seduto sul divano. Esca di casa, vada in mezzo a un prato o in un bosco, e lì inizi a meditare il cantico di papa Francesco. La terra di cui ci parla è una terra reale, toccata, sentita, odorata, vista, amata. E, poi, concluda la lettura in qualche periferia reale, in mezzo ai poveri, e guardi il mondo dei ricchi epuloni accanto ai nostri lazzari, e ne abbracci almeno uno, come Francesco. Da questi luoghi potremmo reimparare a «stupirci» (11) delle meraviglie della terra e degli uomini, e così forse potremo capire e pregare Laudato si’». di Luigino Bruni pubblicato su Avvenire il 24/06/2015 www.edc-online.org (altro…)

Vangelo vissuto: l’essenziale che diventa vita

Vangelo vissuto: l’essenziale che diventa vita

Sobrietà20150626-a «Ogni mattina, prima di prendere l’autobus, faccio un tratto a piedi e spesso sono attirata da una scena che si ripete: uomini, donne, giovani, anziani, anche vestiti abbastanza dignitosamente, muniti di carrelli della spesa e di asticciole, “pescano” dai cassonetti della spazzatura un po’ di tutto. A modo loro, danno una lezione a me, che pure, in quanto cristiana, cerco di stare attenta all’essenziale e di evitare gli sprechi: quella di scegliere la sobrietà, il riciclo, rispondendo con forza no ogni volta che il consumismo mi lusinga con le sue offerte». (Emi –Italia) La nonna «“Ama i tuoi nemici”. Questa frase del Vangelo mi ha sconvolta, perché – a pensarci bene – anch’io avevo un nemico: la nonna, che da tanti anni la mia famiglia non frequentava per via di vecchi dissapori. Quando ho saputo che non stava per niente bene, ho pensato di andarla a trovare. I miei genitori erano meravigliati che all’improvviso mi fossi ricordata di lei. Loro non si sentivano di andare dopo tanti anni, ma se io lo desideravo potevo farle visita. Quando sono entrata nella sua casa tutti mi guardavano stupiti e mi trattavano freddamente. Non è stato facile, ma mi sono fatta avanti. La nonna era molto grave. Era assopita ma quando si è svegliata, l’ho potuta salutare e lei mi ha abbracciato: “Sei mia nipote, ti ho riconosciuta. Sono contenta, sono contenta…”. Entrambe abbiamo pianto di gioia. Tornata a casa, ho convinto i miei genitori e siamo tornati tutti insieme a trovarla. È stato un momento di grande commozione! Neanche una settimana dopo la nonna ci ha lasciati per il Cielo». (S. A. –Pakistan) Sono stato io «Eravamo in campagna. Accanto a noi abita Tino, un bambino che vive in un ambiente difficile; forse per questo è così violento anche col nostro Andrea, suo coetaneo. Un pomeriggio, trovo la nuova bici di Andrea rotta. Spazientita, voglio assolutamente sapere chi è stato. Poco dopo arriva Andrea mogio mogio. “Mamma, ho rotto io la bicicletta”. Sorpresa, ho dovuto sgridarlo prima di perdonarlo. Il giorno dopo, in un momento di intimità, il bambino mi confessa: “Sai mamma, a rompere la bici è stato Tino. Ma eri così arrabbiata che ho avuto paura per lui. A casa lo sgridano sempre…”». (I.P. Brasile) (altro…)

O DADO DO AMOR

O DADO DO AMOR

capa dado revisada 2015 baixa_menorO livro

Na verdade, não é um livro sobre crianças, mas um livro de crianças. É uma coletânea de episódios protagonizados por meninas e meninos do mundo inteiro, provenientes de diferentes ambientes e culturas. Um jogo — o “Dado do Amor” — serve de estímulo para que a criança coloque em prática o amor cristão, revelando uma atitude de compromisso com outras crianças, de generosidade (em especial para com os pobres), de iniciativa, de perdão… Os relatos evidenciam a receptividade da criança ao amor cristão e a capacidade de elas, por sua vez, se tornarem “mestras” na sua transmissão. O livro não só revela como as crianças podem se comportar, mas efetivamente dá pistas de quem elas são. Na orelha da 4ª capa a criança pode recortar e montar o seu próprio dado e começar a jogá-lo. O livro é dirigido a crianças de 6 a 8 anos. Seu estilo é propício para que seja lidos a elas (ou por elas) pelos pais, avós ou um mediador de leitura com o intuito de buscar um diálogo, uma troca de experiência sobre os aspectos da vida.

Os Autores

Gerta Vanderbroek (belga) e Mauro Camozzi (italiano) atuam no Centro Internacional do Movimento dos Focolares que se dedica a seu setor infantil (gen 4). Eles recolheram os textos que, na verdade foram narrados em primeira pessoa pelas próprias crianças. Informações: Editora Cidade Nova Cidade Nova