«Tanti hanno provato a spiegare le radici e le ragioni degli inizi della vita monastica, ma i detti dei Padri e la loro esperienza di vita ci mostrano che il monaco è “il martire vivente”, e che “hanno lasciato il mondo per l’unica realtà che ha valore: Dio”. È come voler rispondere all’amore di Dio, espresso bene in un versetto della Santa Messa Copta, che noi chiamiamo Divina Liturgia, che si rivolge a Dio dicendo: “Non c’è niente delle parole dette che potrà delineare il Tuo amore per gli uomini”. San Gerolamo dice che attraverso la loro ascetica e la loro vita eremitica è come se dicessero: “L’amore divino ci ha colpito con le sue frecce”; e ognuno ripetesse: “Ho trovato quello che la mia anima anela, lo terrò forte e non lo lascerò mai”. Il desiderio di questi monaci era, quindi, di darsi completamente a questo amore, e per consacrarsi a Lui non hanno trovato altro che lasciare le città. San Basilio annuncia chiaramente: “Chi ama Dio lascia tutto e va verso di Lui”. E si dice del discepolo di San Pacomio, San Tawadros, che “il suo unico interesse nel mondo era di amare Dio con tutto il cuore seguendo il comando di Gesù Cristo”. Si intuisce che la radice della vita ascetica è somigliare a Cristo: la completa spogliazione di sé, seguire la volontà del Padre, la verginità, in contatto continuo con Dio Padre attraverso la preghiera. Padre Matta El Meskin lo spiega bene: “La garanzia della nostra consacrazione (l’essere monaci) sta nell’aggrapparsi a Cristo personalmente, e attenersi bene alla Bibbia. E così, con Cristo e la Bibbia, potremo camminare nella nostra via, in continua crescita, fino alla fine”. La scelta del consacrato è quella di seguire Gesù “Via, Verità e Vita”. Vivere in Cristo e per Lui solo. Seguirlo nello stile di vita che ha vissuto. Lui ha scelto di vivere povero, vergine ed obbediente. Allora il monaco non sceglie la povertà, ma Cristo il povero. La scelta è della persona stessa di Gesù, e perciò di quello che ha vissuto Cristo, come l’ha vissuto e perché l’ha vissuto così. Per quanto riguarda l’aspetto comunitario nella vita ascetica dei monaci del deserto, possiamo ricordare come – ad esempio nei monasteri che seguono San Pacomio – la vita di comunione diventava l’estensione della Chiesa primitiva del tempo degli apostoli. Guardando alla vita dei Padri, possiamo tracciare alcune caratteristiche comunitarie: l’amore reciproco (San Pacomio sollecita sempre i suoi ad amarsi, ed è per la carità fra i monaci che questa vita si è diffusa e continua fino ad oggi); la vita insieme (il “tutto era fra loro comune” delle prime comunità cristiane è caratteristica dominante in tutti gli aspetti della convivenza dei monaci). Gli insegnamenti dei Padri del deserto mi ricordano la meditazione di Chiara Lubich “L’attrattiva del tempo moderno”, che esprime bene quello che provo: “Penetrare nella più alta contemplazione, rimanendo mescolati fra tutti, uomo accanto a uomo”. Una contemplazione che attualizza la vita dei Padri in questo secolo, ma in mezzo al mondo.La presenza spirituale di Gesù tra noi con le focolarine cattoliche con cui vivo nel focolare di Sohag, l’impegno a volerci bene, ci ha reso veramente sorelle e ci fa sperimentare la gioia del Risorto, al di là delle nostre differenze. Nella vita quotidiana tutto è fra noi in comune: preghiamo, lavoriamo, gioiamo e condividiamo i momenti di sofferenza delle persone che ci circondano. Cerchiamo di testimoniare a tutti, con la nostra vita, che Dio è amore.Vivere per l’unità piena nella Chiesa di Cristo “che tutti siano una cosa sola”, mi affascina sempre di più. Godo della bellezza e la varietà dei doni di Dio che ritrovo nelle diverse Chiese, e l’aspirazione e l’emozione di vedere che siamo uniti in Cristo fra noi e nel futuro della Chiesa nel disegno di Dio. Ne sono testimonianza i piccoli e grandi passi nel cammino ecumenico, anche nel mio Paese. Da qualche anno, ad esempio, è stata costituita una commissione ecumenica con persone di ogni confessione cristiana esistente a Sohag. Ogni volta ci si incontra in una chiesa diversa: quest’anno in quella copta ortodossa. Il 5 marzo erano presenti quasi tutti i responsabili locali delle chiese. Il tema principale era “la vittoria sul male”, a partire dalla situazione di persecuzione dei cristiani in Libia, e ripercorrendo le tappe del popolo d’Israele che lascia l’Egitto. «La bandiera che vola su di noi è l’amore di Dio», ha affermato il vescovo copto ortodosso Mons. Bakhoum, augurando ai presenti «che ci troviamo sempre nell’Amore». (altro…)
«Il Venerdì Santo è avvenuta la strage di Garissa. Mi sono recata nell’obitorio dove stavano trasportando le salme degli studenti per il riconoscimento, non lontano dalla mia casa a Nairobi, portando con me la macchina fotografica: era impossibile non sentire le sirene. Ho trovato da una parte i genitori degli studenti uccisi che svenivano… dall’altra, i colleghi con le telecamere. Certamente avrei potuto riprendere qualche intervista, ma non ce l’ho fatta; mi sono trovata subito a piangere con quelle famiglie. C’era una forte pressione da parte di tutti, dell’opinione pubblica, che voleva avere notizie, si aspettava qualcosa … io, però, avevo bisogno di tempo per assumere e digerire questa situazione così dolorosa, per essere in grado di dire qualcosa di costruttivo. Sentivo che la mia parte era di stare in silenzio con questo dolore, e resistere alle pressioni». Racconta, non senza commozione, Liliane Mugombozi, giornalista keniota. Sono quasi 150 le vittime dell’attacco da parte di estremisti somali al Garissa University College, nel Nord-Est del Kenya (al confine con la Somalia e a 350 km dalla capitale Nairobi). Nella giornata del 3 aprile, infatti, i terroristi avevano attaccato il college, prendendo di mira gli studenti cristiani. Solo l’intervento delle forze armate governative, che hanno fronteggiato per l’intera giornata gli assalitori, ha evitato che la strage avesse dimensioni ancora maggiori. Ma la paura generale di nuovi attacchi resta così alta che, anche un qualunque incidente può scatenare il panico con pesanti conseguenze, come è successo il 12 aprile al “Kikuyu Campus” (altro college universitario) di Uthiru, a 30 km da Nairobi: un trasformatore elettrico nelle vicinanze è esploso provocando uno boato simile all’esplosione di una bomba. Uno studente è morto lanciandosi dal 5° piano e circa 150 sono rimasti feriti, nell’intento disperato di fuggire. «Già dai primi giorni, con tanti della comunità siamo stati nella camera mortuaria dove sono stati portati i 148 corpi dei giovani uccisi, per consolare le persone che hanno perso i loro figli – racconta Charles Besigye della comunità locale dei Focolari –. Oggi, 11 aprile, insieme ai nostri giovani, abbiamo passato il pomeriggio nell’obitorio. È qualcosa che spezza il cuore! Persone nella sospensione assoluta che, a distanza di una settimana, non sanno ancora dove sono i propri figli. Alcuni corpi sono già stati identificati e li stanno portando via per la sepoltura nei rispettivi villaggi. Il dolore è immenso… scene angoscianti dei parenti. È straziante vederli crollare, dopo tanto tempo di attesa. Siamo rimasti lì per condividere con loro il dolore, per aiutarli a portare questa pesante croce. Per piangere con quelli che riescono ancora a farlo, perché c’è chi non ha più lacrime. Una di noi si è offerta a dare una mano per aiutare a sistemare i corpi dei giovani defunti prima di mostrarli ai parenti. Una esperienza forte! C’è tanto spirito di solidarietà da parte delle varie associazioni e di tutto il popolo keniota: portano pane, latte, bibite, ecc… E tutti i mass-media richiamano all’unità e al dialogo. Commuove anche vedere il clima sacro che si respira nell’obitorio. Le persone che si raccolgono: chi prega Dio, chi consola». Nel corso della Via Crucis al Colosseo di Roma la sera del Venerdì Santo, il Papa ha usato parole durissime: «La sete del tuo Padre misericordioso – ha detto Francesco – che in te ha voluto abbracciare, perdonare e salvare tutta l’umanità ci fa pensare alla sete dei nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in te, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice». È un forte monito che ci sprona a non tacere. (altro…)
Nell’accorato appello pasquale di papa Francesco per i tanti nostri fratelli che nel mondo «patiscono ingiustamente le conseguenze dei conflitti e delle violenze in corso», non poteva mancare l’invocazione per «l’amata Ucraina», affinché «possa ritrovare pace e speranza grazie all’impegno di tutte le parti interessate». Sì, perché quella in Ucraina è una guerra che tuttora continua nella sua assurda violenza. Ne parliamo con Roberto Catalano, invitato a tenere delle conferenze all’università di Leopoli, Ivanova Franziksva e Ternopil sul tema del dialogo. È significativo che nel bel mezzo della “crisi” i giovani (e i loro tutor) anziché trincerarsi nel privato, si adoperino per approfondire il dialogo, come unica risorsa cui meriti dirigere ogni sforzo. Roberto, che clima hai percepito incontrando la gente?«Al termine di una conferenza, una collaboratrice scolastica mi ha mostrato tre foto di ex-studenti dell’Università uccisi nel conflitto nel sud est del Paese. Con gli occhi lucidi di lacrime mi ha raccontato che ogni sera, al termine delle lezioni, un gruppo di studenti si ritrova nella caffetteria dell’università per preparare piatti tipici ucraini, che vengono poi congelati ed inviati ai soldati. Un’altra signora mi ha raccontato di suo figlio di neanche 6 anni che disegna cartoncini che manda ai soldati per ringraziarli dello sforzo che fanno per difendere il suo Paese. Purtroppo da noi, a differenza dello scorso anno, quando anche i nostri telegiornali ne parlavano, oggi quanto succede in Ucraina non fa più notizia. Eppure, nell’Ucraina occidentale si sta combattendo una vera guerra». Una situazione che appare senza sbocchi, che genera sospensione e sofferenza nel cuore delle persone… «Ho avuto prova di questo profondo dolore in ogni momento della mia permanenza in Ucraina. Studenti e professori mi hanno chiesto cosa pensassi della situazione del Paese e, soprattutto, di cosa si dice nel resto dell’Europa. Non ho avuto il coraggio di esprimere giudizi. Di fronte al dolore e alla paura ho preferito ascoltare e restare in silenzio. Mi ha fatto impressione la forza e la dignità di questo popolo, ma mi ha fatto anche paura che il resto dell’Europa e del mondo l’abbia praticamente lasciato al suo destino, aggravato, fra l’altro dal crescente nazionalismo, un fenomeno che può sempre nascondere grandi pericoli per il futuro». Esattamente come ha detto il Papa parlando dell’eccidio degli studenti in Kenya. Di fronte a queste atrocità sembra che la Comunità Internazionale volga lo sguardo da un’altra parte. Eppure anche il popolo ucraino ci è fratello, per la comune umanità e per la fede cristiana che lo anima. «Sono entrato in una grande chiesa dove si stava celebrando la liturgia in rito orientale. Colpisce l’iconostasi, modernissima, di grande bellezza, ma di più sorprende la religiosità della gente, in una partecipazione attenta, raccolta, sacra. Colpisce la lunga fila che attende il turno della confessione. Settant’anni di marxismo non hanno cancellato la fede nella gente». Secondo te, c’è speranza in una possibile pace? «Ho visitato solo metà dell’Ucraina e non ho potuto, come mi sarebbe piaciuto, incontrare persone del segno opposto. Anche loro hanno dolori che forse è difficile capire. Qui la storia è presente con i suoi corsi e ricorsi, ma anche con i suoi problemi attuali, dettati da interessi internazionali di gas e carburante. Si rischia un silenzio che cancella il dolore di milioni di persone, da qualsiasi parte stiano. Come ha auspicato il Papa, c’è bisogno dell’impegno di tutte le parti interessate. Solo così si potrà arrivare ad una pace duratura». (altro…)
Un evento internazionale fatto di convegni e seminari in diverse capitali del mondo, per riflettere sulle prospettive che dal messaggio di unità portato da Chiara emergono oggi per la politica è stato il filo conduttore di molti degli appuntamenti che l’hanno ricordata. Ma il rapporto tra il carisma dell’unità e la politica non è l’unico aspetto sottolineato nel 7° anniversario di Chiara Lubich. Ad Istanbulil Patriarca Bartolomeo fa gli onori di casa per l’appuntamento – la presentazione dei libri di Chiara tradotti in greco – che coinvolge oltre un centinaio di rappresentanti del mondo ortodosso e cattolico. Nel suo discorso la indica come una delle «sante donne, che con il loro esempio, con il loro amore poggiato sulla filantropia divina e con la parola ispirata dallo Spirito Santo, continuamente sollecitano una “metanoia”, una conversione del cuore per tutta l’umanità sofferente».Dentro le crisi – Una risposta alla crisi politica in atto in Congo sono sembrati i due incontri tenutisi nel Paese. A Lubumbashi sono intervenute 370 persone, cristiani e musulmani. I giovani dei Focolari hanno presentato in chiave artistica l’amore di Chiara per i poveri, il suo incontro con Igino Giordani, il suo «sogno»: l’unità della famiglia umana. La Messa è stata animata da una cinquantina di seminaristi. A Goma la giornata ha visto la partecipazione di 400 persone, con un folto gruppo di politici della provincia del Nord-Kivu e rappresentanti della società civile. Dopo l’incontro la RTNC ha diffuso l’evento in quattro lingue locali. E non sono mancate iniziative coraggiose in altri punti caldi del pianeta. In Nigeria, ad esempio, vari sono stati gli eventi: a Yola, dove numerosi sono i rifugiati, il vescovo ha celebrato la Messa per Chiara pregando per la pace; a Abuja e Lagos si sono tenute giornate preparate dai giovani per i giovani; a Onitsha un incontro con più di 300 persone fra adulti, giovani e bambini; a Jos, dove non si è potuta fare una grande giornata per un’esplosione avvenuta pochi giorni prima, un gruppo dei Focolari è andato a far visita ad un Istituto Penale Minorile. Il tema della pace è stato al centro anche della giornata organizzata a Bujumbura (Burundi) con oltre mille partecipanti. Nel programma, molte testimonianze hanno messo in rilievo la possibilità di vivere in armonia e costruire la pace anche dove non è facile. Presente la mattina l’arcivescovo mons. Evariste Ngoyagoye. In Centro America, il tema della politica rimane caldo. Dall’Honduras scrivono: «stanchi di una politica corrotta e bombardati da notizie violente che generano disanimo nella popolazione, abbiamo organizzato questo evento per dare il tipico apporto del carisma dell’unità, attraverso idee e testimonianze». Nel Salvador che attende la beatificazione di Romero, ci si è chiesti come si può vivere per l’unità pur in mezzo alla violenza. Tra le testimonianze, anche quella di Francesco, assalito da due ragazzi armati. È riuscito ad aprire con loro un dialogo parlando di Dio. I due delinquenti, spiazzati, hanno ritirato le armi e sono andati via. In Pakistan, a Karachi, Lahore, Rawalpindi, Dalwal – oltre mille persone in tutto – 4 celebrazioni con una voglia di speranza dopo i tragici eventi del 15 marzo a Yohannabad.Nelle sedi istituzionali – A Seul numerosi deputati e persone impegnate nell’amministrazione pubblica si sono date appuntamento al Parlamento per un bilancio del percorso verso una politica di fraternità intrapreso dieci anni fa; a Madrid è stata la sede del Parlamento Europeo ad ospitare un seminario su «Un mondo, molti popoli abbracciando la diversità»; mentre Strasburgo (Francia), sede di istituzioni europee, ha ospitato tre giorni di eventi sul tema della fraternità come categoria politica. A Roma il convegno «Chiara Lubich: l’unità e la politica» si è svolto nell’Aula del Palazzo dei Gruppi parlamentari della Camera dei Deputati. Numerosi i politici presenti alla tavola rotonda organizzata a Toronto, incentrata sulla visione di Chiara della politica. A Solingen (Germania), invece, tema centrale del convegno è stata la cultura della fraternità in tre campi molto attuali: i rifugiati, la pace, il dialogo con altre culture. Oltre cento i partecipanti di varie confessioni e religioni, e di diverse nazionalità. «Il pensare e l’agire politico di Chiara Lubich» è stato il tema intorno al quale si sono svolti i lavori di un altro evento dedicato a Chiara: il convegno di Curitiba (Brasile), dove è stato stampato anche un francobollo commemorativo. Il Parlamento della Provincia di Córdoba (Argentina) ha ricordato Chiara approvando il decreto di riconoscimento postumo alla sua opera. Approfondimenti sulla politica anche in altre città d’Italia, in Ungheria, Repubblica Ceca, Portogallo, Svezia, Usa, Honduras, Messico, Colombia, Tanzania, Kenya. In vari ambiti – Ma in occasione del 14 marzo 2015 per ricordare Chiara non si è parlato solo di politica. Arte e cultura sono state al centro di numerosi ed originali eventi. A Durban (Repubblica Sudafricana) si è svolta la terza edizione del «Chiara Lubich Memorial Lecture» con la partecipazione di Ela Gandhi, nipote del Mahatma Gandhi; mentre a Maracaibo (Venezuela) l’Università Cattolica «Cecilio Acosta» (UNICA) ha realizzato un concorso per la IV Biennale d’Arte Chiara Lubich. Rivolto ad artisti professionisti, studenti e amatori, ha dato la possibilità di esporre le proprie opere nella Piazza della Repubblica. In vari Paesi preparare e realizzare gli eventi legati al 14 marzo ha dato l’occasione di riunirsi. Ne sono un esempio i due appuntamenti di Cuba: a L’Avana con oltre 200 persone e a Santiago de Cuba con 150: le comunità locali hanno preparato le giornate per presentare il Movimento dei Focolari e offerto le loro testimonianze sull’incidenza della spiritualità dell’unità in tanti ambiti della vita personale e sociale. A Cochabamba in Bolivia con 120 persone. A Città del Messico e il territorio di Nezahualcoyotl si è ricordata Chiara nel corso della Mariapoli. In Vietnam, sia a Ho Chi Minh City al sud, come nel piccolo villaggio di Ngo Khe (Ha Noi), al nord, si sono stretti intorno all’altare per rinnovare «davanti a Dio e a Chiara, il nostro impegno a portare avanti con fedeltà la sua consegna», scrivono. In Myanmar, a Yangon, dove la maggioranza dei membri dei Focolari non ha mai conosciuto Chiara di persona, ma si sente attirata dal suo carisma. Anche in Thailandia, sia a Bangkok che a Chiang Mai, la famiglia dei Focolari si è riunita. 600 persone in Slovacchia, tra Kosice e Bratislava. «Le testimonianze dei membri di altre Chiese – raccontano – e delle persone senza riferimenti religiosi, ci hanno fatto vedere come Chiara appartenga a tutti. Il rettore dell’Università di Trnava, Prof. Peter Blaho, che nel 2003 aveva conferito a Chiara il dottorato honoris causa in teologia, ha condiviso i ricordi dell’incontro con lei. A Fontem (Camerun) in 500 da tutti i villaggi circostanti la cittadella, a ricordare “Mafua Ndem”, Chiara Lubich. Il tema scelto era “L’ impatto dell’Ideale dell’Unità nei vari aspetti della vita sociale”. I giovani del collegio hanno presentato le loro esperienze sul “dado della pace”: «Da quando abbiamo introdotto il dado nelle nostre classi – scrivono – sono diminuiti i furti, l’assenteismo, il rendimento scolastico è migliorato, ognuno si cura degli oggetti dell’altro, c’è più tolleranza e ci perdoniamo più facilmente. È cresciuta la condivisione tra gli studenti….».Momenti di preghiera – Alle celebrazioni eucaristiche in varie parti del mondo molte le personalità civili e religiose presenti. Tra i numerosi interventi di Vescovi e Cardinali nelle diverse celebrazioni, riportiamo quella del card. Angelo Scola di Milano che ha detto tra l’altro: «Il nostro impegno di oggi è raccogliere con rinnovata consapevolezza il sogno che ha animato la vita e il pensiero di Chiara, costruendo spazi di fraternità ovunque ci troviamo e privilegiando le necessità del prossimo che ci sta accanto e di quello lontano che vive in Paesi dove ci sono guerra e violenza. Vorremmo, in questo modo, essere testimoni autentici del carisma che Dio ha dato a Chiara, essendo a servizio della Chiesa e dell’umanità». (altro…)
https://vimeo.com/131228522 Cesar, un diciottenne del Ghana, è stato salvato quando ormai stava annegando, avendo bevuto acqua e carburante. Da quella traversata sono state tratte in salvo 72 persone, mentre 32 non ce l’hanno fatta. Maria, nigeriana incinta di sette mesi, riceve una telefonata del padre mentre era per strada col marito e il figlioletto. Diceva loro di non tornare a casa perché la chiesa era stata bruciata e la madre uccisa. Sono scappati con quello che avevano e, arrivati in Libia, avendo soldi per un solo passaggio per l’Italia, è partita solo lei. Il marito ed il piccolo sono rimasti dall’altra parte del Mediterraneo in attesa di un prossimo imbarco. «Sono squarci di vita che spezzano il cuore. Ricordando le parole di Gesù “ero forestiero e mi avete ospitato”, vorremmo essere braccia e cuore per ciascuno di questi profughi». È il racconto di Carla e David di Firenze (Italia), che come famiglia si sono aperti all’accoglienza dei migranti.«Nell’estate del 2013, abbiamo partecipato in Brasile alla Giornata Mondiale della Gioventù insieme ai nostri tre figli. Cogliendo l’occasione, abbiamo trascorso un periodo di missione a Salvador Bahia. Un’esperienza forte che ci ha dilatato il cuore alla condivisione con tante persone nel bisogno. Tornati a casa, abbiamo deciso di riservare all’accoglienza dei migranti parte del B&B che gestiamo. Da quel momento la missione è venuta da noi! Dall’inizio, sono passate 756 persone provenienti da Siria, Pakistan, Nepal, Bangladesh e alcuni paesi dell’Africa. Qualcuno si ferma solo per rifocillarsi e partire per altre mete europee, altri rimangono più a lungo. Ed è qui che i rapporti si stringono fino a diventare più che fraterni. Una famiglia eritrea, ora in viaggio per la Norvegia, è stata da noi due mesi: lui musulmano, lei cristiana, sei figli lasciati liberi dal padre nella scelta della religione. Appena arrivati la mamma col figlio più piccolo sono stati in ospedale perché disidratati, poi è stata la volta del papà per un’infezione. Ricordiamo la loro gioia per avergli messo in mano il cellulare col quale avvertire i parenti che erano tutti sani e salvi. La domenica siamo stati a messa insieme e proprio in quella minuscola chiesetta alla periferia di Firenze c’era il Card. Betori in visita pastorale. La sua omelia era tutta incentrata sull’accoglienza. Alla fine li ha abbracciati e benedetti tutti. Tre ragazze: una del Mali e una della Libia,entrambe musulmane, giunte assieme ad una giovane fuggita dalla Nigeria dopo aver visto uccidere i genitori perché cristiani. Tra esse si è subito instaurato un rapporto di sorelle e con noi come tra genitori e figlie. Una domenica facevamo insieme una passeggiata e Mersi era molto triste perché proprio in quel giorno la TV aveva annunciato una nuova strage in Nigeria. Finalmente la telefonata: la sorellina era riuscita a scappare in Libia con un amico del padre. La ragazza libica si è subito messa in contatto con la sua famiglia e la bimba – cristiana – è stata ospitata da loro – musulmani. Un altro affresco: Joy e Lorenz, che ha visto uccidere il padre perché cristiano. Io, David, come operatore sociale, posso salire sull’autobus all’arrivo dei profughi. Lo faccio a rischio malattie, ma so che il primo approccio è fondamentale ed è in quel momento che si riesce a individuare i gruppi che, nel frattempo, si sono creati fra loro. Ho visto che Joy era incinta, così li ho invitati a venire da noi. Anche quando la Prefettura li ha spostati abbiamo continuato ad andare a trovarli; e alla nascita del bimbo, abbiamo portato carrozzina e vestitini che le Famiglie Nuove dei Focolari avevano raccolto per loro. Joy e Lorenz ci hanno chiesto di fare i padrini del piccolo John. Ora questa famiglia è stata mandata in Puglia. Il distacco è stato forte ma il rapporto continua. Ci chiamano mamma e babbo. Quando avranno il permesso di soggiorno definitivo desiderano tornare a vivere vicino a noi». (altro…)
Il 20 marzo è stata inaugurata a Mendicino (Cosenza) la nuova chiesa parrocchiale dedicata a Cristo Salvatore. Un evento celebrato proprio nell’anniversario dell’arcivescovo mons. Nunnari e che ha coronato il sogno dell’intera comunità ecclesiale di 10.000 abitanti che ora dispone di un luogo di culto dalla struttura decisamente originale, con una quindicina di aule per la catechesi, una sala per incontri, la canonica. Il progetto, attuato con il supporto tecnico di esperti mendicinesi, è stato ideato a cura del Centro Ave Arte di Loppiano, un traguardo architettonico che scaturisce dall’ispirazione e dalla ricerca portata avanti negli anni dall’équipe di architetti della cittadella dei Focolari. Perché oltre alla riflessione continuamente condivisa al proprio interno, tale équipe si pone in sinergica relazione culturale anche con architetti di tutto il mondo. È del dicembre scorso, ad esempio, la partecipazione ad un convegno internazionale organizzato a Barcellona dall’Ordine degli Architetti della Catalogna (Spagna), sul tema del patrimonio sacro. L’équipe vi ha partecipato non solo in rappresentanza del Centro di Loppiano, ma del più vasto gruppo “Dialoghi in architettura”, la rete internazionale dei Focolari composta da studiosi e professionisti la cui attività e interessi culturali ruotano attorno al tema dell’architettura. E proprio in questo convegno in Spagna è stato richiesto a tre di loro: Mario Tancredi e Iole Parisi dall’Italia e Tobias Klodwig dalla Germania, di presentare un intervento corale dal titolo: ‘Cristianesimo flessibile, tra vita della comunità e spazi sacri’, un approccio, il loro, che ha destato nei 150 architetti provenienti da Spagna e altri Paesi d’Europa, non poco interesse. I tre relatori, partendo dal dato che forme e spazi dell’architettura mutano in base all’esperienza di vita delle comunità cristiane, hanno posto alcune riflessioni e provocazioni sul fatto che l’architettura si arricchisce proprio degli elementi ‘immateriali’ che il concetto stesso di “sacro” può assumere nei vari contesti culturali: il forte valore sociale che si percepisce in America Latina, la profezia del segno ancestrale di realizzazioni in terra africana; la valenza delle espressioni simboliche contenute nelle cattedrali europee e nelle chiese di metropoli globalizzate. Per esprimere tutto ciò essi si sono avvalsi di alcuni esempi concreti: la chiesa Maria Théotokos a Loppiano, come espressione di un carisma contemporaneo; la chiesa di St. Claire a Fontem in Africa che comunica i valori della cultura locale; alcuni progetti di trasformazione di chiese dismesse in Germania. Per ‘Dialoghi in architettura’ la ricerca culturale è in continuo evolversi, mossa dall’esigenza di coniugare – proprio perché ha a che fare con l’Assoluto – continuità e innovazione. In un dialogo sempre più fecondo sia con la committenza che col mondo accademico. (altro…)
«Ciao sono Abraham, vengo del Messico: un popolo di persone nobili e con tanta fede, un popolo con le braccia aperte al mondo». Esordisce così il suo racconto davanti a una platea di 300 giovani in un’aula del Parlamento italiano, riuniti in ricordo di Chiara Lubich e della sua profetica visione sulla politica. Abraham porta con sé il bagaglio di un Paese dilaniato dal narcotraffico e dai signori della morte. Lui stesso si è visto puntare una pistola alla testa dalla polizia perché scambiato per spacciatore, al posto di uno vero che gli stava a fianco e che la miseria aveva spinto su questa strada. «Nel 2006 – continua – è cominciata la lotta contro il narcotraffico, una guerra che in 8 anni ha lasciato più vittime della guerra del Vietnam, fra cui molti innocenti e gente che si batte per un impegno civile: giornalisti, attivisti ecc. Spesso il popolo decide di manifestare e il Governo sta perdendo credibilità in una forte crisi economica e sociale». «Abito a Città del Messico dove ogni giorno si presenta una nuova sfida; ciò nonostante credo in un mondo unito e nell’ideale della fraternità universale. Ma so che il cambiamento deve iniziare da me stesso, senza aspettarlo dagli altri, neanche dalle autorità». «Se fossi in voi che avete a cuore il bene comune in Messico – afferma Luigino Bruni rivolgendosi ai giovani – cercherei di guardare le cause di questa malattia, fra queste il capitalismo finanziario che aumenta le diseguaglianze. Sono forme di ricchezza che non includono più». «Il primo passo da fare quando si vuol cambiare un Paese è amarlo», sottolinea ancora l’economista, sollecitato dalla testimonianza di Abraham. «Ogni Paese ha una vocazione di bellezza, ha un suo genio, una sua identità, con ambivalenza». E poi un consiglio: studiare di più, imparare bene un mestiere! «Siete una minoranza? Non importa. Basta essere pochi, ma molto motivati. Il mondo lo cambiano le minoranze profetiche. E non smettete di credere che un mondo diverso è possibile. La prima lotta da fare quando si è giovani è non perdere la fede nell’ideale. Occorre credere l’impossibile per avere un possibile buono».
Al Senato Messicano
«Parecchie volte mi hanno offerto la droga, altre mi hanno derubato – continua Abraham – Tempo fa mentre tornavo a casa dopo la scuola, si è avvicinato un ragazzo per chiedermi una sigaretta; allo stesso tempo è arrivata la polizia per prenderci. Lui aveva la droga in tasca e io solo i libri nello zaino. Hanno cominciato a picchiarlo, mentre l’altro poliziotto mi ha puntato una pistola alla testa chiedendo dove avessi la droga. Quando i poliziotti sono andati via, ho aiutato questo ragazzo ad alzarsi, gli ho dato i pochi soldi che avevo. Lui mi ha dato un abbraccio e mi ha detto: sai che con questi soldi oggi mangerà la mia famiglia? Mi sono accorto come un piccolo atto di amore sprigioni una forza grandissima e non sappiamo fin dove può arrivare. Nonostante l’impotenza, voglio provare a vedere il mio vicino di casa e le persone che trovo per la strada con occhi nuovi e, con altri amici, voglio dare un contributo concreto». Nel desiderio di un maggiore impegno per il bene del proprio Paese, nonostante le tante difficoltà e lo scoraggiamento dei più, il 20 marzo scorso giovani di diverse organizzazioni si sono trovati al Senato Messicano per svolgere una giornata con i politici sul dialogo, molto importante in un mondo che attende risposte alle sfide più grandi. (altro…)
«Chiara Lubich ha portato sensibilità e dolcezza, ma fondamentalmente ci ha donato, attraverso la sua semplicità, una grande corrente di amore verso l’altro. Vivere in comunità, saper condividere, lavorare per il bene comune e riuscire a costruire la fraternità anche tra le diverse idee politiche, questo è il suo messaggio». Si è espressa così Alicia Monica Pregno, Vicegovernatore della Provincia di Cordoba (Argentina), nel contesto del riconoscimento internazionale all’eredità trasmessa dal pensiero e dalla prassi di Chiara Lubich. Durante la sessione del 25 marzo 2015, l’Onorevole Camera del Parlamento di questa Provincia, ha approvato il decreto di riconoscimento postumo all’opera della fondatrice del Movimento dei Focolari.
La cerimonia si è svolta nella stessa aula parlamentare davanti a un folto pubblico: deputati di vari schieramenti politici, rappresentanti del Comipaz (Comitato Interreligioso per la Pace), giovani delle Scuole di Politica del Movimento Politico per l’Unità, docenti universitari, membri delle organizzazioni sociali, ecc.
I responsabili dei Focolari a Cordoba hanno presentato la figura di Chiara Lubich e subito dopo il Vicegovernatore ha invitato i deputati dei vari schieramenti a compiere un gesto simbolico, consegnando loro, insieme, il decreto e la targa commemorativa.
Alicia Monica Pregno, poi, ha spiegato le motivazioni del riconoscimento: il contributo alla costruzione della comunità che offre la “spiritualità dell’unità”, e ha aggiunto che «di fronte al messaggio della Lubich sorgono domande che ci portano a riflettere sul perché degli scontri, perché non sempre siamo capaci di pensare insieme. Credo che il mondo sia chiamato a camminare verso un destino migliore, nella misura in cui lasciamo da parte gli interessi personali e ci disponiamo a risolvere le discussioni con sguardi comuni. Si tratta di una grande sfida in quest’epoca segnata da tanto individualismo». Sono seguite le parole del Pastore Raffa, rappresentante del Comipaz, che ha messo in rilievo il contributo del carisma della Lubich «alla nascita di questa commissione fin dai suoi inizi»; e SoherEl Sucaría, oggi militante politica, dopo aver scoperto – attraverso l’esperienza vissuta nel Comitato Interreligioso per la Pace – il suo valore di servizio. Si sono poi aggiunte alcune testimonianze di cittadini, che hanno raccontato storie di trasformazioni personali e di impegno nella cosa pubblica: dal mettersi insieme tra vicini per affrontare i problemi del quartiere, all’assumere un impegno politico a livello provinciale e nazionale. Questa parte del programma si è svolta attraverso due tavole rotonde. La prima: “Fraternità, seme di trasformazione sociale”, alla quale ha partecipato Estela Daima, direttrice della Caritas nel Dipartimento di Rio III, dove si porta avanti un’impresa di produzione di pane con 40 donne; Paola Chávez, segretaria dell’associazione Fazenda de la Esperanza (con la testimonianza di Agustina, giovane “recuperata” grazie alla Fazenda); e Ricardo Galli, economista ed imprenditore dell’Economia di Comunione. Nella tavola rotonda intitolata “Contributo della fraternità alla Politica. Esperienze e sfide”, Laura Blanco, militante socialista, ha presentato le Scuole di Politica realizzate in questo Parlamento, come suo impegno a vivere la fraternità nel fare politica. Sono intervenuti poi Julio Bañuelos, sindaco di Mina Clavero, e Guillermo Castillo, militante della Democrazia Cristiana e funzionario pubblico. In tutti i presenti si è fatta strada la certezza che la fraternità vissuta come “categoria politica” può dare risposte alle sfide di oggi per favorire la costruzione di società più giuste e fraterne. A conclusione, il Vicegovernatore ha manifestato la sua gioia per il fatto che il Parlamento di Cordoba è sede delle Scuole di Politica per i giovani e ha sottolineato gli sforzi che già si fanno per vivere il concetto di fraternità all’interno del Parlamento stesso. (altro…)
Un volume edito alla luce degli ultimi documenti resi pubblici dall’Archivio Segreto Vaticano, al centro di una vicenda che sconvolse l’Europa e portò allo scisma della Chiesa inglese da Roma. La leggenda avvolge le vicende di Enrico VIII Tudor e delle sue sei mogli, Anna Bolena in particolare. Una manciata di lettere appassionate di Enrico ad Anna, ritrovate negli Archivi Segreti Vaticani, apre nuovi spiragli su una storia scandalosa che ha determinato le sorti di una nazione. Mario Dal Bello la ripercorre, in un vivo affresco, indagando la complessità di un periodo turbolento che vede coinvolti, tra ragion di Stato e ambizioni personali, sovrani europei, ambasciatori, dignitari, clero. L’Autore – Mario Dal Bello, docente di letteratura italiana e storia, è giornalista, critico d’arte, di cinema e di musica. Collabora con diverse riviste culturali. Membro della Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI dal 1997, partecipa alla commissione del David di Donatello ed è autore di numerose pubblicazioni di arte e di cinema. Per questa collana ha già pubblicato: La leggenda nera, i Borgia (2012), Gli ultimi giorni dei Templari (2013), La congiura di Hitler (2014) La Collana – Misteri svelati dall’Archivio Segreto Vaticano propone una serie di saggi storici di taglio divulgativo su eventi e personaggi del passato facendo luce sulla verità dei fatti, scritti con un stile narrativo vivace e avvincente.
Come il figlio della parabola «Nostro figlio maggiore, 17 anni, una sera non è tornato a casa. Cosa pensare? Non ci aveva mai dato di queste preoccupazioni. Potevamo solo pregare. La mattina dopo, dai genitori di due suoi amici siamo venuti a sapere che erano partiti tutti e tre per Firenze. Chi voleva far intervenire la polizia, chi sosteneva che avrebbe cacciato di casa il suo ragazzo. Mia moglie invece ed io ci mantenevamo tranquilli: avevamo messo tutto nelle mani di Dio. Solo ogni tanto ci arrivava qualche notizia. Pur addolorati, ci sentivamo più uniti in famiglia. Su una cosa eravamo tutti d’accordo: l’avremmo accolto con gioia, come nella parabola del figlio prodigo, senza fargli pesare quella ragazzata. Dopo una settimana i tre sono tornati all’ovile. Il nostro, sentendosi amato, ha assicurato piangendo che non avrebbe fatto mai più un’azione del genere. Venuto poi a sapere che gli altri compagni d’avventura erano stati trattati ben diversamente, ha capito meglio la fortuna di avere una famiglia nella quale si cerca di vivere secondo il Vangelo». F.A. – RomaUn dolore condiviso «Il padre e una sorella di una compagna di mia figlia erano morti in un incidente. Anch’io avevo perso mio padre così. Conoscevo solo di vista la mamma, ma saputa la disgrazia ho sentito l’impulso ad andare a trovarla. Per non limitarmi ad una semplice visita, sapendola in difficoltà economiche, le ho portato vari generi alimentari e ho cercato di consolarla. Sono tornata più volte da lei. Le ho anche offerto una somma che avevo messa da parte. Col passar dei giorni lei era più forte, più fiduciosa nella vita e grata per l’amicizia nata fra noi grazie a quel dolore condiviso». B. G. – BoliviaIl berretto «Era inverno e con i miei compagni giocavo nel cortile della scuola. Faceva tanto freddo. Ad un tratto una bambina s’è messa a piangere: il berretto non le copriva bene le orecchie che erano così fredde da farle male. Allora, sapendo di amare Gesù in lei, le ho dato il mio berretto che teneva più caldo». J. – BelgioLa merenda «Ero nel cortile e stavo facendo merenda. Ho visto una mia compagnetta che tirava i capelli ad un’altra bambina, allora ho lasciato la merenda sul muretto sono andata a dire di non fare così perché Gesù ha detto che bisogna amare sempre. Ma siccome si sono messe a piangere, sono andata a prendere la merenda e ne ho dato un po’ a ciascuna di loro. È vero che sono rimasta con un po’ di fame, ma ero felice perché ero riuscita ad amare». Valentina – Italia Fonte: Il Vangelo del giorno – Aprile 2015 – Città Nuova editrice (altro…)
«Auguro a tutti noi occhi di Pasqua,capaci di guardare nella morte sino a vedere la vita, nella colpa sino a vedere il perdono, nella separazione sino a vedere l’unità, nelle ferite sino a vedere la gloria, nell’uomo sino a vedere Dio, in Dio sino a vedere l’uomo, nell’Io sino a vedere il Tu. E insieme a questo, tutta la forza della Pasqua!» (Pasqua 1993) Klaus Hemmerle, La luce dentro le cose, Città Nuova, Roma 1998, pag. 110.(altro…)
«Oh, una luce con i chiodi! Così un bambino dinanzi al cero pasquale. I chiodi li sentiamo. Ma la luce, la vediamo? E noi, siamo luce? Noi siamo inchiodati: a noi stessi e agli altri, al nostro tempo e alle nostre responsabilità. Uno si è lasciato inchiodare alla nostra croce. E da essa è sceso. Inchiodato sino alla morte. In questo modo egli è divenuto la luce, la luce che penetra attraverso le porte chiuse. Egli è risorto E mostra i segni dei chiodi. Luce inchiodata. I chiodi li sentiamo. Ma la luce, la vediamo? E noi, siamo luce?» (Dalla lettera pastorale in occasione della Pasqua 1984) Klaus Hemmerle, La luce dentro le cose, Città Nuova, Roma 1998, pag. 109. (altro…)
Many Christians today favor the approach of dialogue between faith and science. As Pope Francis writes, “all of society can be enriched thanks to this dialogue, which opens up new horizons for thought and expands the possibilities of reason.” After all, faith is not fearful of reason. It seeks and trusts reason. It values science for the simple reason that since there is only one Truth and since the light of reason and the light of faith both come from God, they cannot contradict each other. The Catholic Church’s position, therefore, is that she has no wish to hold back the marvelous progress of science. Indeed, the pathway of dialogue is needed, not least because it is linked to the promotion of peace and harmony in the world.Read more
Si quieres construir un boceto de mundo unido, con personas de toda edad y condición social, a través de conferencias, excursiones, espacios artísticos y de comunicación, grupos de diálogo, juegos… te esperamos en Astorga del 2 al 6 de agosto. En Mariápolis, la diversidad es una riqueza y cada uno ayuda a construir la fraternidad de la familia humana. Más información en la invitación y en los teléfonos 636 297 926 y 608 601 127. Todos los viernes de 18 a 20 h.; a partir del 15 de abril, de lunes a viernes, en el mismo horario. El plazo de inscripción finaliza el 30 de junio. Sigue paso a paso la preparación de Mariápolis Astorga 2015 en Facebook. También te puedes inscribir aquí
«Nella liturgia pasquale, si ringrazia Dio per aver fatto splendere, «in piena luce, Cristo, il quale, dopo aver salvato gli uomini col suo mistero pasquale, riempì la chiesa di Spirito Santo e l’arricchì mirabilmente di doni celesti», tra questi il sacerdozio regale conferito a tutti i fedeli. La chiesa dunque è santa, perché piena di Spirito Santo; è il corpo di Cristo che è la santità totale. Cristo l’ha istituita per continuare con lei a redimere e ne ha fatto lo strumento di liberazione dal male e di attrazione al bene. Il Vangelo realizzato, l’umanità recuperata, la convivenza con Dio in unità perenne, la grazia comunicata ininterrottamente: questa é la chiesa. E la chiesa siamo noi, compaginati, coi sacramenti e la dottrina, attorno al papa e ai vescovi, componendo un corpo sociale, le cui arterie portano il sangue di Cristo, la cui anima è lo Spirito Santo, principio di santificazione. Così, la chiesa è la degna stanza della Trinità divina in terra. Manzoni la chiama «madre dei santi, immagine della città superna».Suo compito è la nostra santificazione. E il mistero pasquale riassume lo scopo per cui siamo su questo pianeta e lo scopo per cui sul pianeta è disceso, a essere crocifisso, lo stesso Figlio di Dio». Giordani continua sottolineando come l’uomo ha sete di santità e di verità e rifiuta di trascinare un’esistenza insulsa e senza colore: vuole vivere, non languire. È per questo che sbagliamo se proponiamo un cristianesimo illanguidito, ambiguo, illudendoci di attirare così le persone.«Quel dire e non dire genera una “no man’s land”, una zona desertica. Non é un servizio al Signore, la cui parola fu sempre esplicita; non serve a Dio e provoca il disgusto di quelli stessi, a cui si pensa di rendere più appetibile l’idea religiosa. Chi ha ammorbidito la verità, chi ha camuffato la croce a decorazione, ha sottratto al popolo la bellezza e la potenza del comandamento divino, che invita a dare a Dio il corpo, l’anima, tutto, prendendo posizione per Cristo, sino a farsi Lui. Sì, sì, no, no, insegna il Vangelo ed esige la chiesa. Il ni sfiacca la fede e nullifica la chiesa. Santificali nella verità; la tua parola è verità! Chiese Gesù al Padre mentre stava per consumare il sacrificio supremo dell’amore. Nella verità, non nella neutralità o nella mediocrità o nella banalità… Se si accoglie Cristo intero, allora tutta la giornata, qualunque lavoro si faccia, viene spesa a professare la fede. La vita allora diventa un’operazione meravigliosa, quasi una liturgia ininterrotta, dove ricchi o poveri, malati o sani, uomini o donne, vecchi o giovani, tutti si ha da fare; tutti si può edificare. Edificare un destino eterno con materiali del tempo. Questa è la santificazione. La quale non è una diserzione dalla vita. È un viverla, la vita, intera e sana, eliminando le tossine. Cristo chiede a tutti, anche a te e a me, di seguirlo rompendo i ponti col passato, con ciò che è morto, ritrovandoci in una giovinezza perenne. Questa è la libertà. Cosi riguardata, la chiesa, con la quale il Salvatore seguita a donare la salute, appare un divino ministero della sanità: sacramento che risolve la morte in resurrezione». Da Igino Giordani, Il mistero pasquale, Città Nuova, Roma, n.6 del 25.3.1977, pp.24-25. (altro…)
La strada che unisce la capitale e il porto al resto dell’isola di Tarawa, la più grande dell’arcipelago delle Kiribati, in Oceania, è distrutta. Gli argini che difendevano le spiagge dalle maree sono crollati e molte abitazioni tradizionali sono state spazzate via. Il ciclone Pam, uno dei più violenti registrati nel Pacifico meridionale, ha colpito in particolare gli arcipelaghi di Vanuatu, Salomone e Kiribati, con onde altissime rafforzate da un vento che ha raggiunto i 250/300 chilometri orari. La Croce Rossa locale segnala che mancano rifugi d’emergenza, cibo e acqua potabile per molti dei 253.000 abitanti, e la popolazione sta evacuando le aree più colpite. «Abbiamo avuto notizie dalla locale comunità del Movimento dei Focolari – scrive Mary Cass, referente del progetto AMU, da Perth, Australia -. Tutti stanno bene e sono impegnati nel lavoro di ricostruzione e di approvvigionamento di cibo e acqua per le famiglie del villaggio di Buota (dove è in corso il progetto ), che al momento è tagliato fuori: la strada e il ponte che lo collegano al resto di Tarawa, infatti, sono distrutti. Hanno in mente la Parola di Vita del mese che sollecita a “prendere la propria croce” e sperano di potersi incontrare presto per rafforzare il loro spirito di unità in questo momento così difficile». «Il tempo sta tornando alla normalità – scrive uno di loro – le onde sono tornate a sorridere. Siamo felici che tutti stiano bene». Ma se lo spirito e la dignità degli abitanti di Tarawa sono ammirevoli, la situazione è comunque molto grave: l’acqua potabile scarseggia perché con l’inondazione molti pozzi e serbatoi sono stati contaminati dall’acqua marina, scarseggia anche il cibo a causa della distruzione dei raccolti e dell’interruzione delle vie di comunicazione; manca il carburante, l’80% delle case tradizionali è stato distrutto…La Repubblica di Kiribati, inoltre, ha un grosso problema di fondo: il progressivo innalzamento del livello del mare sta sottraendo terre all’agricoltura, con effetti negativi sulle attività lavorative e sulla qualità dell’alimentazione. Solo il 10% della popolazione ha un lavoro regolare, mentre tutti gli altri vivono di espedienti. Non potendo arrestare l’avanzata del mare, dovuta al surriscaldamento globale, il governo punta a fornire agli abitanti una collocazione all’estero o in altre parti del Paese. Si prevede che fra alcuni decenni tutto l’arcipelago sarà sommerso. Il progetto dell’AMU (Azione per un Mondo Unito onlus), Ong ispirata ai principi del Movimento dei Focolari, ha l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della comunità di Buota, uno dei villaggi più poveri dell’isola di Tarawa, attraverso iniziative mirate per le donne e i bambini. Inoltre è previsto un supporto per sviluppare piccole attività produttive. «La prima – continua Mary Cass – consiste nella produzione e vendita di ghiaccio, grazie ad un congelatore; la seconda riguarda invece la vendita di oggetti di artigianato all’aeroporto di Tarawa. Con i contributi AMU con i quali abbiamo acquistato anche una macchina da cucire. Va bene anche la produzione di pane che viene venduto a tre negozi presenti nel villaggio e nell’area circostante. Il ricavato di queste attività – oltre a retribuire il lavoro delle donne coinvolte – va a beneficio della nostra scuola materna “Love and Unity” e permette di provvedere ad alcune necessità alimentari dei bambini e delle loro famiglie». Come si vive in una terra senza futuro? «La vita della locale comunità dei Focolari a Buota va avanti: i gruppi della Parola di Vita – raccontano – uniscono le persone nei villaggi sparsi in tutta la stretta striscia di terra. Il Vescovo di Tarawa, con l’aiuto dei sacerdoti, traduce ogni mese il testo della Parola di Vita nella lingua locale, il gilbertese. Le famiglie si aiutano, ricostruendo le case distrutte dalle calamità naturali, e ricominciano a trovarsi per condividere le esperienze appena riescono a mettere un tetto sulla testa. La comunità ha nominato il proprio centro (dove c’è una piccola scuola) “Loppiano, Centre of Unity and Love” – ricordando il nome della prima cittadella dei Focolari – col desiderio di essere un esempio di amore e unità per tutti». Vedi anche: Scheda progettoAMU Notizie n. 1/2015. Video su Facebook(altro…)
Quando una coppia si forma un uomo e una donna tentano un cammino che pare fatto di latte e miele. È anche la storia di Carlo e Anna. Nel tempo però le fragilità possono trasformare il piacere di stare insieme in uno stillicidio di incomprensioni e rivalse. Sono momenti difficili, a volte disperati, e possono portare alla separazione. Nello stesso tempo la crisi può essere occasione di rinascita e l’emozionante racconto contenuto in questo libro ci fa immergere in modo profondo nella vita di una coppia nei dieci giorni più simbolici della loro crisi. Sono giorni nei quali entrambi i coniugi possono operare scelte capaci di trasformare il loro amore. Oggi in Italia un matrimonio su tre culmina con una separazione e il saggio che segue svela le dinamiche psicologiche di ogni famiglia fornendoci utili consigli, indicazioni e strategie per affrontare la crisi della coppia. L’Autore: Fernando Muraca è regista, sceneggiatore, attore. Per il cinema ha diretto La terra dei santi (2014) con Valeria Solarino e Duns Scoto (2010). Per la televisione Il commissario Rex, Don Matteo, Un passo dal cielo per Raiuno. È stato responsabile dell’Ufficio selezione sceneggiature per la Lux Vide Spa. L’Esperto: Rino Ventriglia è neurologo, psicoterapeuta, analista transazionale didatta e supervisore, da sempre appassionato all’uomo. Nel 2004 ha fondato il Centro Logos, Centro casertano di analisi transazionale. È direttore della Scuola di psicoterapia a indirizzo analitico‒transazionale psicodinamico di Casapulla (CE). La Collana: Passaparola affronta attraverso racconti autobiografici temi scottanti e dolorosi della quotidianità: adolescenza, crisi di coppia, malattia, dipendenze, lutto, anoressia, trauma. Drammi, ferite e problemi attuali nei quali il lettore può ritrovarsi. Storie scritte con uno stile agile, piacevole e avvincente. Nella seconda parte del volume un esperto rilegge il racconto e fornisce chiavi di lettura utili, indicazioni pratiche, e prospettive concrete.
«L’Economia di Comunione vuole crescere in Africa per amarla, per apprendere dalla sua cultura della vita, per praticare la comunione e la reciprocità», ha affermato Luigino Bruni, coordinatore internazionale del progetto EdC, in vista dell’appuntamento internazionale di maggio. A Nairobi, infatti, in Kenya, si sono dati appuntamento tutti i soggetti coinvolti a livello mondiale nel sogno dell’Economia di Comunione per fare il punto su creatività e generatività, innovazione e produzione, ma anche lavoro, microcredito, disuguaglianze e povertà. Le aziende africane che da quest’anno hanno iniziato a versare utili per sostenere i poveri del mondo sono salite a 10 mentre altre 12 si sono avvicinate al progetto, e questo sviluppo è possibile grazie alla diffusione di una cultura dell’Economia di Comunione, che in Africa trova terreno fertile. Lo dimostra la recente conferenza internazionale (9-13 febbraio) promossa da un’università camerunense, la CUIB (Catholic University Institute of Buea), su richiesta del rettore dell’Università stessa, Fr. George Nkeze, e del vescovo, Mons. Emmanuel Bushu. Fra i relatori Benedetto Gui, attualmente docente presso l’Istituto Universitario Sophia (Firenze, Italia), e Brice Kemguem, Direttore nazionale per il Centrafrica dell’ONG internazionale AHA (African Humanitarian Agency). Ad accompagnarli Steve William Azeumo, commissione EdC della zona dell’Africa Centrale, Winnifred Nwafor, commissione EdC di Fontem (Camerun), Isabel Awungnjia AtemeMabih Nji, entrambi laureati all’Istituto Universitario Sophia nella veste di facilitatori locali alla CUIB. Il programma ha spaziato dalle tematiche economiche dell’oggi care alla Dottrina sociale della Chiesa che ritroviamo nei valori e nei principi EdC, ai grandi problemi socio economici del nostro tempo, dalla carenza di acqua potabile, alle epidemie, ai conflitti con armi di distruzione di massa. In video conferenza due imprenditori EdC hanno condiviso la loro esperienza: Alberto Ferrucci, Amministratore delegato di una azienda che produce software per raffinerie, sottolineava gli aspetti caratterizzanti di una economia di condivisione. Teresa Ganzon, Amministratrice della Banca rurale filippina Bangko Kabayan, che ha fatto crescere le attività nell’ambito della microfinanza rurale. Dal Camerun le esperienze del chief FobellaMorfaw e di sua moglie, fondatori nel 2003 di una scuola nella città di Dschang che oggi si compone di Scuola materna, primaria e secondaria; dello Studio di Ingegneria Civile BSE (Bridge Structure Engineering Consulting) che grazie alla grande esperienza di un socio «senior» è arrivato oggi a farsi strada in mezzo ad una concorrenza molto agguerrita. Parte importante del programma sono stati i workshop, rivolti a discutere con gli studenti casi di impresa ed a preparare progetti di micro-imprese: molto partecipati e che hanno stupito per la qualità degli elaborati presentati in plenaria; nelle conclusioni è stato premiato il miglior progetto di impresa EdC. Una settimana fruttuosa, grazie al lavoro di preparazione svolto dall’Università e grazie all’atteggiamento positivo dei ragazzi, che hanno preso l’impegno di partecipare, incoraggiati da un riconoscimento di crediti didattici. Una nota simpatica, l’atmosfera allegra: l’intervallo spesso era costituito da una animazione, da una piccola danza o un po’ di musica. Le impressioni dei partecipanti sono state molto favorevoli: tanti hanno rilevato che, oltre a proporre uno stile di gestione di impresa, l’EdC è una «proposta di vita» che si può mettere in pratica da subito, ed hanno dichiarato di volerla seguire. In sintesi: molta positività, voglia di fare e di impegnarsi per un mondo migliore. Leggi anche. edc-online. Immagini su video: https://www.youtube.com/watch?v=RxwKXsEvmn0 (altro…)
Nella prima lettera alla comunità di Corinto, da cui è tratta la parola di vita di questo mese, Paolo deve difendersi dalla scarsa considerazione che alcuni cristiani mostrano nei suoi confronti. Essi mettevano in dubbio o negavano la sua identità di apostolo. Dopo averne rivendicato a pieno titolo questa qualifica per aver “veduto Gesù Cristo” (cf 9, 1), Paolo spiega il perché del suo comportamento umile e dimesso, al punto da rinunciare ad ogni tipo di compenso per il suo lavoro. Pur potendo far valere l’autorità e i diritti dell’apostolo, preferisce farsi “servo di tutti”. È questa la sua strategia evangelica. Si fa solidale con ogni categoria di persona, fino a diventare uno di loro, con lo scopo di portarvi la novità del Vangelo. Per cinque volte ripete “mi sono fatto” uno con l’altro: con i Giudei, per amore loro, si sottopone alla legge mosaica, pur ritenendosi non più vincolato da essa; con i non Giudei, che non seguono la legge di Mosè, anche lui vive come fosse senza la legge mosaica, mentre invece ha una legge esigente, Gesù stesso; con quelli che venivano definiti “deboli” – probabilmente cristiani scrupolosi, che si ponevano il problema se mangiare o meno le carni immolate agli idoli –, si fa anche lui debole, pur essendo “forte” e provando una grande libertà. In una parola, si fa “tutto a tutti”. Ogni volta ripete che agisce così per “guadagnare” ognuno a Cristo, per “salvare” ad ogni costo almeno qualcuno. Non si illude, non ha aspettative trionfaliste, sa bene che soltanto alcuni risponderanno al suo amore, nondimeno egli ama tutti e si mette al servizio di tutti secondo l’esempio del Signore, venuto «per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20, 28). Chi più di Gesù Cristo si è fatto uno con noi? Egli che era Dio, «annientò se stesso, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini» (Fil 2, 7). “Mi sono fatto tutto a tutti” Chiara Lubich ha fatto di questa parola uno dei capisaldi della sua “arte di amare”, sintetizzata nell’espressione “farsi uno”. Vi ha visto un’espressione della “diplomazia” della carità. «Quando uno piange – ha lasciato scritto –, dobbiamo piangere con lui. E se ride, godere con lui. E così è divisa la croce e portata da molte spalle, e moltiplicata la gioia e partecipata da molti cuori. […] Farsi uno col prossimo per amor di Gesù, coll’amore di Gesù, finché il prossimo, dolcemente ferito dall’amore di Dio in noi, vorrà farsi uno con noi, in un reciproco scambio di aiuti, di ideali, di progetti, di affetti. […] Questa è la diplomazia della carità, che ha della diplomazia ordinaria molte espressioni e manifestazioni, per cui dice non tutto quello che potrebbe dire, perché al fratello non piacerebbe e non sarebbe gradito a Dio; sa attendere, sa parlare, arrivare allo scopo. Divina diplomazia del Verbo che si fa carne per divinizzarci» . Con fine pedagogia Chiara individua anche gli ostacoli quotidiani che si frappongono al “farsi uno”: «A volte sono le distrazioni, altre volte il cattivo desiderio di dire precipitosamente la nostra idea, di dare inopportunamente il nostro consiglio. In altre occasioni siamo poco disposti a farci uno col prossimo perché riteniamo che non comprenda il nostro amore, o siamo frenati da altri giudizi al suo riguardo. In certi casi siamo impediti da un recondito interesse di conquistarlo alla nostra causa». Per questo «è proprio necessario tagliare o posporre tutto quanto riempie la nostra mente e il nostro cuore per farci uno con gli altri» . È dunque un amore continuo e infaticabile, perseverante e disinteressato, che si affida a sua volta all’amore più grande e potente di Dio. Sono indicazioni preziose, che potranno aiutarci a vivere la parola di vita in questo mese, a mettersi in sincero ascolto dell’altro, a capirlo dal di dentro, immedesimandosi in ciò che vive e che prova, condividendone preoccupazioni e gioie: “Mi sono fatto tutto a tutti” Non possiamo interpretare questo invito evangelico come una richiesta a rinunciare alle proprie convinzioni, quasi approvassimo in maniera acritica qualunque modo di agire dell’altro o non avessimo una nostra proposta di vita o un nostro pensiero. Se si è amato fino al punto da diventare l’altro, e se quanto si condivide è stato un dono d’amore ed ha creato un rapporto sincero, si può e si deve esprimere la propria idea, anche se forse potrà far male, rimanendo però sempre in atteggiamento di più profondo amore. Farsi uno non è segno di debolezza, non è ricerca di una convivenza tranquilla e pacifica, ma espressione di una persona libera che si pone a servizio; richiede coraggio e determinazione. È importante anche avere presente lo scopo del farsi uno. La frase di Paolo che vivremo questo mese continua, come abbiamo precedentemente accennato, con l’espressione: «… per salvare ad ogni costo qualcuno». Paolo giustifica il suo farsi tutto con il desiderio di portare alla salvezza. È una via per entrare nell’altro, per farvi emergere in pienezza il bene e la verità che già vi abitano, per bruciare eventuali errori e per deporvi il germe del Vangelo. È un compito che per l’Apostolo non conosce né limiti né scuse, al quale egli non può venir meno perché glielo ha affidato Dio stesso, e deve compierlo “ad ogni costo”, con quella inventiva di cui soltanto l’amore è capace. È questa intenzionalità a dare la motivazione ultima al nostro “farsi uno”. Anche la politica e il commercio sono interessati a farsi vicini alle persone, ad entrare nel loro pensiero, a coglierne le esigenze e i bisogni, ma vi è sempre la ricerca di un tornaconto. Invece «la diplomazia divina – direbbe ancora Chiara – ha questo di grande e di suo, forse di solo suo: che è mossa dal bene dell’altro ed è priva quindi d’ogni ombra d’egoismo» . “Farsi uno” dunque, per aiutare tutti nella crescita dell’amore e così contribuire a realizzare la fraternità universale, il sogno di Dio sull’umanità, il motivo per il quale Gesù ha dato la vita. Fabio Ciardi (altro…)
«Portare l’amore di Dio dappertutto, secondo il comandamento di Gesù di amarsi l’un l’altro». Era questo l’ideale di Chiara Lubich che ancora attira centinaia di persone in tutto il mondo. Oggi, nel settimo anniversario della morte della fondatrice del Movimento dei Focolari celebrato in tutto il mondo e a pochi giorni dall’apertura del suo processo di Beatificazione e Canonizzazione, a ricordarla è Palmira Frizzera, che la conobbe nel 1945 e colpita dall’ideale della “fraternità universale”, decise di seguirla. La sua testimonianza: «Il concetto della fratellanza universale è proprio quello che io ho trovato quando sono entrata nel primo focolare, quasi 70 anni fa: noi eravamo sorelle con Chiara, ma con un “Maestro”, una guida, che era Gesù in mezzo a noi, Gesù che vive dove due o più sono uniti nel Suo nome». Con quale obiettivo siete andate avanti insieme per tanti anni? «Siamo andate avanti non pensando in realtà a niente… avevamo scelto Dio come ideale della nostra vita, Lo volevamo amare, coscienti che potevamo anche morire da un giorno all’altro sotto i bombardamenti. Quindi abbiamo cercato di realizzare il Testamento di Gesù, l’amore scambievole, fino all’unità tra di noi. Quello che io ho sentito nel mio incontro con Chiara – ed è generale per tutte le sue prime compagne – è che aveva una luce e una novità… – allora non la chiamavamo “il carisma” – con la quale ci ha generate ad una vita totalmente nuova!». È stato quindi l’amore evangelico vissuto tra voi, incarnato e comunicato agli altri, a generare poi tutto il Movimento? «Ma Chiara non ha mai pensato di fondare nulla! Adesso si dice che Chiara è la fondatrice del Movimento dei Focolari arrivato in tutto il mondo. Però, io non l’ho mai sentita come una persona che fondava qualcosa, ma come una persona che dava la vita a qualcosa di nuovo. Chiara ci diceva: “Ma noi non vogliamo fondare niente. Noi vogliamo fondare Dio nelle anime, con l’amore; portare l’amore dappertutto”. Ecco, proprio quel messaggio che Gesù ci ha lasciato: “Vi do un comandamento nuovo che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”. Questo ha portato alla fratellanza universale». Da gennaio di quest’anno, Chiara è stata dichiarata Serva di Dio ed è iniziato un processo di Beatificazione e di Canonizzazione. Che effetto le fa? «Sento che Chiara non è solo della Chiesa cattolica: Chiara è anche delle altre Chiese, delle altre religioni e, per via dei dialoghi aperti sin dai primissimi tempi, anche con persone che non hanno nessun credo religioso. Sotto questo aspetto, non mi piace restringerla solo alla Chiesa cattolica, però capisco che questa Beatificazione è un grande dono per la Chiesa e per tutti noi». Le nuove generazioni che lei incontra e che forma, perché dopo tanto tempo, anche non avendola conosciuta, sono attratte da Chiara e dalla sua spiritualità? «Chiara è partita, ma la sua luce è rimasta, il suo carisma è rimasto. E a questo corrono dietro i giovani, non alle persone». Questo settimo anniversario è improntato sulla tematica politica e su come la spiritualità di Chiara può essere vissuta in politica. In questo ambito cosa ci può insegnare? «Ci può insegnare l’arte di amare, di capire, di ascoltare… E questo è un trait d’union con tutti: se non si fa così, come alternativa ci sono solo la violenza e la guerra». Fonte:Radio Vaticana(altro…)
Istanbul: il Patriarca Bartolomeo fa gli onori di casa nella chiesa ortodossa di Aya Strati Taksiarhi per l’appuntamento che coinvolge oltre un centinaio di rappresentanti del mondo ortodosso e cattolico, in occasione del 7° anniversario della fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich. Ci sono i metropoliti Ireneos, Apostolos ed Elpidoforos; due archimandriti, Patera Vangeli, che ha tradotto in simultanea dal greco al turco e il Grande Archimandrita Vissarion. Presenti anche l’arcivescovo degli Armeno Cattolici, Levon Zekiyan e il vescovo cattolico, Louis Palâtre, oltre a religiose e religiosi. Da Roma, per addentrarsi nella presentazione dei volumi di Chiara tradotti in greco, la linguista Maria Caterina Atzori, del Centro studi dei Focolari. A moderare gli interventi, da Atene, il giornalista Nikos Papachristou. «Nel corso dei secoli, la divina epifania del Signore si è manifestata in tanti modi, per far comprendere all’umanità le cose di Dio», ha esordito il Patriarca, dopo aver aperto l’incontro con una preghiera per Chiara, intonando l’inno allo Spirito Santo. «Egli non si è stancato di far sorgere tra noi santi uomini e sante donne, che con il loro esempio, con il loro amore poggiato sulla filantropia divina e con la parola ispirata dallo Spirito Santo, continuamente sollecitano una “metanoia”, una conversione del cuore per tutta l’umanità sofferente».
Video “Atenagora, Paolo VI e Chiara Lubich”
Nel suo discorso, letto aggiungendo a braccio commenti spontanei, ha tracciato la figura spirituale di Chiara, da testimone diretto della sua storia, in particolare degli incontri tra lei e il Patriarca Athenagoras: «Come non cogliere la Sapienza di Dio nell’opera benedetta che la nostra sorella sempre ricordata Chiara, ha offerto alle nostre Chiese, alle nostre Società e a tutti gli uomini di buona volontà. Colei che il nostro amato Predecessore, di venerata memoria, il Patriarca Athenagoras, chiamava amabilmente Tecla, la discepola di Paolo, colei che è uguale agli apostoli e protomartire». E ha ripercorso i tratti salienti del cammino di spiritualità da lei aperto nella chiesa e oltre: «La mite Chiara ha risposto alla chiamata di Dio, facendosi in tutto simile al suo Maestro, ma soprattutto lasciandosi rendere vaso che offre vie di salvezza, al fine di portare tutti a Cristo. La sua vita si è spesa a trovare vie di incontro e di dialogo con tutti, contraddistinta dal profondo rispetto per ogni cultura nella quale sapeva condurre il cammino dell’incontro, della conoscenza reciproca e della collaborazione reciproca». «Chiara Lubich inizia il suo percorso di vita, dedicata al Signore, nelle sofferenze della guerra. In questa sofferenza vive il Cristo crocifisso e abbandonato e comprende che non c’è Resurrezione senza passare attraverso la caduta. E la sofferenza di Cristo diviene la sua personale sofferenza, mai però disperazione». «La sua vita è contraddistinta da una passione per la Santa Scrittura, la Parola di Dio che in lei diviene Parola fondante, viva, esaltante. Ha vissuto fino in fondo il comandamento del Signore. “(…) come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv. 13,34) E questo comandamento si è personificato in lei fino a contagiare un numero sempre maggiore di persone, diverse tra loro, anche di diversa fede, ma unite in un ideale concreto di comunione. Chiara è sempre stata anche figlia fedele della sua Chiesa, condividendo e vivendo in se stessa la via della sua Chiesa. E in questa convinta partecipazione, ha sentito il dramma della divisione, il dramma della impossibilità di partecipare allo stesso Calice. In lei fanno eco le parole ancora del nostro venerabile Predecessore, inviatele nel 1969: “Dov’è il Cristo Salvatore? Divisi gli uni dagli altri, noi l’abbiamo cacciato. È Da qui che provengono le nostre disgrazie”. E che fanno le Chiese? Stanno mercanteggiando su Colui che non ha presso e da qui il loro triste frazionamento” (Messaggio del 21 febbraio 1969). Percependo il grido di dolore per la lacerazione, offre tutta se stessa per il carisma dell’unità, facendosi strumento nelle mani di Dio per incontrare i capi delle Chiese, come i semplici fedeli. Ma non si ferma a questo: sollecita, sprona, invita, propone di trovare vie di comunione nuove». «Chiara ha anche un amore tutto particolare per la Santa e Divina Eucarestia del Signore. In essa percepisce il dono d’amore di Colui che si è offerto una volta e per sempre, per attrarre a sé l’uomo. Potremmo affermare che in lei si forma una coscienza eucaristica dell’unità». «Ancora un altro aspetto possiamo scorgere nell’opera di Chiara: l’unità dalla Trinità, attraverso l’Eucarestia, passa sulla famiglia. (…) Il luogo dove può splendere l’amore scambievole che lega naturalmente i suoi membri. (…) È in questo contesto che l’unità della famiglia umana si intravede in tutti i suoi aspetti, nella società, nella politica, nell’economia, nel rispetto dell’opera di Dio per ciascuno di noi singolarmente e in tutta la sua meravigliosa creazione. Il messaggio e l’opera di Chiara pertanto risultano essere sempre più attuali, soprattutto nel contesto mondiale in cui stiamo vivendo». Risulta così particolarmente apprezzato «il dono che il Movimento dei Focolari offre oggi nel presentare la traduzione in Lingua Greca dell’opera di Chiara Lubich. La accogliamo come un dono tra fratelli, dono che sicuramente farà apprezzare anche al pubblico greco, al fedele greco-ortodosso, questo meraviglioso messaggio di unità e d’amore». E prima di impartire la sua benedizione, si rivolge a Chiara perché interceda «perché l’alba di un nuovo giorno per questa umanità ferita e divisa possa sorgere presto e che i sentimenti per i quali Ella ha speso tutta la sua vita, diano abbondanti frutti, lì dove oggi non scorgiamo altro se non tenebre e martirio di sangue». (altro…)
Son adolescentes, forman parte del mismo grupo Gen 3. Comparten sus experiencias, anhelos, sueños como todo joven de esa edad. Una de ellas comenta: “Voy a empezar a militar en política, en una organización juvenil”. Continúa la conversación y cada vez se pone más caliente. Quien está a favor de esa organización juvenil y quienes están en contra. Un reflejo de la Argentina de hoy: dos posiciones enfrentadas e irreconciliables. Pero no se quedan en el “de eso mejor no hablar porque nos divide”. Deciden hacer un taller para entender más lo que es la fraternidad en política. Son 40 adolescentes los que se dieron cita para reflexionar sobre la fraternidad, la política y el diálogo. En primer lugar compartieron qué era la política para ellos: gobierno, presidente, propaganda, mentiras, corrupción, decisiones y, por medio de un juego de roles, respondieron a la siguiente pregunta: ¿Qué harían si se encuentran perdidos en una isla? A través de la puesta en común se observó como cada grupo se organizó en forma diversa, lo que a su vez podía compararse con las distintas formas de organización social. En un segundo momento trabajaron sobre los distintos conflictos, desde los suyos más cotidianos hasta reflexionar sobre como hacen los políticos para tomar decisiones. Al terminar este momento sonaban fuerte palabras como respeto, escucha, tolerancia, apertura, diálogo. Al terminar la actividad volvieron a reflexionar sobre la palabra política y encontraron que no les decía lo mismo que antes y que existe otro horizonte que muchas veces no se logra vislumbrar, fruto de las dísputas que escuchamos a diario en los medios de comunicación. Pero también pudieron conocer que existe otra cara de la medalla, la de muchos políticos, funcionarios y ciudadanos en distintos ángulos del planeta que deciden jugarse por la fraternidad y el bien común por sobre todas las cosas. Casi un juego, pero en cada uno se fortalece una visión distinta de la política, descubriendo valores como la tolerancia, la participación, el compromiso social, el escuchar al otro, como decía uno de ellos: “pudimos darnos cuenta que la política no es algo para mirar de lejos, ni para tenerle miedo, sino que tiene que ser otra herramienta para llegar a la fraternidad”. “¡Ahora a ponerlo en práctica!”, decía a modo de conclusión una chica.
«Abito a Erbil, nel nord dell’Iraq, dove, nel 2010, ho iniziato una scuola per i bambini kurdi – racconta Malu Villafane, nata nelle Filippine –. In questi anni, ho lavorato nel santuario locale, organizzando varie attività. Nell’agosto scorso, il santuario è diventato un campo profughi. Le città di Sinjar e Mosul con i villaggi adiacenti, come Qaraqosh, Qaramlesh, Bartalla e altri, sono stati invasi dall’ISIS. Gli abitanti sono scappati lasciando tutto e si sono rifugiati in Kurdistan, da noi. Nel campo c’era un’aria pesantissima, di grande pessimismo, i bambini erano smarriti… Insieme ai responsabili del centro abbiamo iniziato alcune attività per i ragazzi, coinvolgendo anche alcuni colleghi della mia scuola». In questi anni com’è stata la convivenza tra i cristiani, musulmani, gli Yazidi e le altre etnie come kurdi, turkmeni, ecc.? «C’era rispetto tra loro, facevano le cose insieme. Lavoro con i kurdi, con i turkmeni, arabi e altri stranieri. Quando c’è stata la crisi, tanti kurdi hanno dato la loro disponibilità per ospitare i profughi in casa loro. Il popolo del Kurdistan non condivide questo massacro». Quando è iniziata la crisi dei profughi a Erbil? Dove si sono sistemati? Quali prospettive possono avere per i prossimi mesi? «La crisi che ha causato queste forzate migrazioni è iniziata già da giugno del 2014 e si è aggravata agli inizi di agosto. La gente ha perso tutto: casa, lavoro, scuola ; tanti di loro si sono rifugiati inizialmente nei palazzi vuoti, nelle chiese, lungo la strada e quando hanno potuto, presso i parenti a Erbil. Molte ONG, insieme alla Chiesa, hanno dovuto affrontare l’emergenza senza nessuna preparazione. Avevano bisogno di tutto! Insieme abbiamo raccolto tante cose di prima necessità. In quel periodo la temperatura di giorno saliva quasi a 50°C, un inferno, e ora durante l’inverno fa tanto freddo. Le tende non bastano per accudire migliaia di famiglie. Ci sono campi che non hanno acqua e cibo per alcuni periodi di tempo. Eppure, dopo un po’ di mesi, i bambini hanno iniziato a sorridere, a giocare, a provare altre esperienze fuori dal campo, come andare in piscina o nel parco pubblico. I genitori, vedendo la gioia dei loro figli, hanno ritrovato la speranza. Hanno iniziato a pulire il campo, a cucinare e a darci una mano. Dopo aver vissuto con loro questa drammatica situazione, la mia vita si è capovolta. Il mio soggiorno qui in Iraq ha trovato un senso profondo: ho vissuto per la fratellanza universale». Ma ha senso lavorare per la fraternità? Cosa ti spinge a continuare a lavorare nel campo? «Se guardo alle circostanze dal punto di vista umano, mi scoraggio e scapperei via. Invece, se guardo tutto quello che accade attraverso l’occhio di una speranza fondata sulla fede, riesco ad andare al di là delle sofferenze che vedo. Ho pensato alla frase del Vangelo: “Quando ho avuto fame, mi hai dato da mangiare; quando ero triste mi hai consolato…”. Queste parole mi danno la forza di affrontare le difficoltà quotidiane che incontro nel campo. È difficile spiegare o descrivere il dolore che c’è. Tanti di loro hanno perso la speranza perché hanno perso tutto. Questa esperienza mi ha spalancato il cuore per accogliere l’altro come un fratello, come una sorella. Mi ha dato la possibilità di uscire dal mio mondo “comodo” per mettermi a servizio degli altri. Voglio vivere per la fratellanza universale non perché posso risolvere i problemi ma perché, con piccoli passi, si può lasciare un seme. La pace cresce soprattutto dalle piccole cose che facciamo tutti i giorni per gli altri». Cosa possiamo fare noi da qui per aiutarvi e per essere vicini a queste persone? «Credo che bisogna affrontare il tema della “disinformazione”. Nonostante l’emergenza sia tuttora in corso, quasi non se ne parla. Diffondere una cultura che accoglie, che ascolta, soprattutto fra popoli e religioni diverse nelle vostre città; promuovere iniziative e progetti che abbattono le barriere. Vi ringrazio per il vostro aiuto e continuiamo a credere che la Pace è possibile». Fonte:Umanità Nuova online(altro…)
Lavorare qui «Medici qui nelle Filippine, dove la povertà è dilagante, mio marito ed io abbiamo ricavato un modesto ambulatorio privato nella nostra già piccola abitazione. Certo, non è facile: pensando a nostri colleghi che hanno fatto carriera in Occidente, ci chiediamo talvolta se abbiamo fatto bene a restare. Ma ci trattiene il pensiero dei tanti bisogni della nostra gente: bambini da far crescere sani, coppie da formare, anziani e malati terminali da assistere… Dal Vangelo ci viene la spinta a dare anche noi un contributo per rendere migliore la società, cominciando nel nostro Paese». L. R. – FilippineMosé della strada «Una famiglia numerosa: sei figli e uno in arrivo, che muore prima di nascere. La mamma si è salvata, ma per diversi giorni ha lottato tra la vita e la morte. Proprio in quel periodo dei militari avevano portato nell’ospedale dov’era ricoverata, un neonato, che era stato abbandonato per strada. Dopo le cure s’era ripreso, ma ora gli occorreva una famiglia. Subito l’ha trovata nell’altra, prendendo il posto del bambino morto. Dai nuovi genitori è stato chiamato Giuseppe-Mosé: Giuseppe perché l’ospedale era intitolato a san Giuseppe, Mosé perché abbandonato e poi ritrovato». H. E. – CongoVolevo vendicarmi «Solo otto giorni dopo il mio matrimonio ho perso mia madre, investita da un’auto. Deciso a vendicarmi, ho preso un pullman per raggiungere il paese di residenza dell’investitore. Lungo il tragitto però mi sono tornate in mente certe parole sull’amore di Dio e del prossimo, e pian piano il rancore si è sciolto. Quando l’altro ha saputo chi ero l’ho visto impallidire, ma l’ho tranquillizzato: ero lì solo per capire la dinamica dell’incidente. Dopo aver ascoltato il suo racconto, fatto tra le lacrime, ho cercato di dargli pace. La gioia promessa dal Vangelo mi ha accompagnato nel ritorno». F.A. – RomaFonte: Il Vangelo del giorno – marzo 2015 – Città Nuova editrice(altro…)
Il centro evangelico di formazione “Haus Schoenblick” (Schwaebisch Gmuend)
150 responsabili di movimenti evangelici e chiese libere, nella variegata realtà del mondo evangelico, e alcuni rappresentanti di movimenti cattolici, si son posti una domanda: come rimanere fedeli al proprio carisma nei momenti di forte cambiamento? È la situazione in cui si trovano diversi movimenti, sorti nel secolo scorso per rispondere all’una o all’altra delle sfide dell’ideale cristiano, e alla ricerca oggi di nuove risposte, adatte ai tempi che viviamo, sempre fedeli alla radice che li ha originati. All’appuntamento di quest’anno del “Convegno di responsabili”, Gerhard Pross, moderatore e tra i volti più conosciuti di Insieme per l’Europa (la rete di movimenti cristiani che lavora insieme per il continente europeo) ha fortemente voluto la presenza di Maria Voce, presidente dei Focolari, e prima a succedere a Chiara Lubich alla guida del Movimento dopo la sua scomparsa nel 2008. La riflessione di Maria Voce ha aiutato a comprendere la differenza tra la fase di fondazione, il “periodo carismatico”, “pieno di sorprese, nuovo, dinamico, luminoso” e la fase della maturità, il “periodo della fedeltà creativa” di un movimento, in cui “far crescere, sviluppare, moltiplicare” quanto intuito e fatto nascere dalla fondatrice/fondatore, con originalità. Ha continuato raccontando l’impegno dei Focolari a vivere un protagonismo diffuso di quanti ne vivono la spiritualità e ne condividono i fini, e soprattutto a “uscire” sempre più fuori “nei vari ambienti della vita e della società”, senza limitarsi a vivere e testimoniare l’unità al suo interno, ma portando lo spirito e l’esperienza di unità in tutto il mondo, “perché tutti siano una cosa sola” (Gv. 17,21), il fine specifico dei Focolari. «Non possiamo perciò pensare a noi – afferma Maria Voce – dobbiamo “uscire”, donarci per essere noi stessi». Fondamentale per andare oltre se stessi, la scelta di Gesù che, nel suo abbandono, va oltre se stesso per ricomporre l’unità fra gli uomini e con Dio, uno dei punti cardine della spiritualità dell’unità. C’erano evangelicali, pentecostali, carismatici, ciascuno impegnato in modo diverso o in opere sociali, o sul fronte dell’evangelizzazione, della formazione, dell’impegno politico. Il “Convegno di responsabili” esiste già dal 1974, ben prima che nella chiesa cattolica Giovanni Paolo II desse il via, nella Pentecoste 1998, alla comunione tra i movimenti. C’è quindi un’esperienza di condivisione che va avanti da anni. Momento importante, nella memoria di tutti i presenti, è stato però nel 2000, quando con Chiara Lubich a Rothenburg si è fatto un passo avanti nella riconciliazione. Si erano infatti depositati dissapori e incomprensioni che sono stati resettati nel «momento sacro del perdono reciproco», così ne parla Maria Voce, «esperienza fondante della comunione tra movimenti e comunità di Chiese diverse, da cui più tardi è emerso l’”Insieme per l’Europa». Una tappa comune a cui si guarda adesso insieme è Monaco 2016, quando la rete di Insieme per l’Europa si ritroverà per un congresso e una manifestazione pubblica, a sua volta tappa verso il cinquecentenario della Riforma di Lutero, offrendosi come segno profetico di un’Europa riconciliata e unita. Di ritorno dalla Germania, il 4 marzo, Maria Voce si è recata poi in udienza da papa Francesco insieme ai Vescovi amici dei Focolari, e ha portato il saluto dei 150 rappresentanti di movimenti evangelici e la loro speranza nel comune impegno verso l’unità. «Bene», ha affermato papa Francesco nel ringraziare. «Molto importante il lavoro ecumenico che portate avanti». (altro…)
La Repubblica Democratica del Congo: un grande Paese con immense risorse naturali. 72 milioni di abitanti, alcune centinaia di etnie diverse. Le difficili relazioni con l’Occidente, la guerra per lo sfruttamento dei minerali, il dramma di una popolazione dimenticata. Abbiamo intervistato il biologo congolese Pierre Kabeza, sindacalista, padre di famiglia, che da tre anni ha dovuto lasciare la sua città, Bukavu, nella regione dei Grandi Laghi, e adesso frequenta l’Istituto Universitario Sophia.Lei ha dovuto espatriare, lasciando moglie e figlie. Quali i motivi? «A volte ci sono cose che non si possono capire e vedere bene se non con gli occhi che hanno pianto, diceva Mons. Munzihirwa, vescovo di Bukavu ucciso per la sua lotta per la giustizia. Dopo la sua morte eravamo tutti scoraggiati, ma è arrivato Mons. Kataliko che ha scelto di seguire la sua stessa strada: parlare per i senza voce. Kataliko ha asciugato le lacrime di un popolo che non era più ascoltato. Il 24 dicembre 1999 ha scritto un messaggio nel quale denunciava la guerra ingiusta, l’occupazione del Congo da parte dei paesi vicini, lo sfruttamento e il saccheggio delle risorse minerarie. Per questo gli è stato impedito di fare il suo lavoro pastorale per 7 mesi e 20 giorni. Le campane non hanno più suonato. Facevamo sit-in di protesta ogni giorno, finché non è rientrato in diocesi. Musulmani e cristiani di Bukavu, siamo andati insieme in cattedrale, dove Mons. Kataliko ha celebrato una messa di perdono per quelli che l’avevano fatto soffrire. È morto in Italia poche settimane dopo. Per continuare l’opera dei nostri vescovi – difesa della verità, lotta per la giustizia e per la libertà -è nato il gruppo “Dauphin Munzihirwa Kataliko” (DMK). Le iniziative per onorarli davano fastidio ai loro nemici. Con il gruppo DMK, di cui ero responsabili, ci siamo impegnati nell’ambito dell’educazione, a cominciare dalla scolarizzazione dei bambini. I docenti, infatti, non vengono pagati dallo Stato e sono sostenuti dai genitori. Ci siamo adoperati perché il governo congolese si assumesse le proprie responsabilità. Manifestazioni, sit-in, scioperi… prigione: eravamo considerati persone che disturbano l’ordine pubblico. Ho incontrato tutti i responsabili del Paese, perfino il presidente della Repubblica al quale ho ricordato l’articolo 43 della nostra costituzione che riconosce la gratuità e l’obbligo per i bambini di frequentare la scuola elementare. Mi ha ascoltato, ma purtroppo finora niente è cambiato. Per il mio impegno, però, sono stato minacciato, arrestato e torturato. La mia casa è stata attaccata due volte. Hanno distrutto tutto. È cosi che ho dovuto andare via per salvare la vita». Un guerra dimenticata. 6 milioni di morti, 2 milioni di donne e bambini in fuga dai loro villaggi e città. Ci può raccontare di più? «Sì. Anche Maria Voce, presidente dei Focolari, ha detto che sembra che i morti in “terre lontane dall’Occidente” abbiano meno valore in termini di umanità e “meno peso politico sulla coscienza della comunità internazionale”. È il caso del Congo. I nostri morti non interessano la comunità internazionale perché siamo nelle periferie del mondo. Eppure, oggi, la guerra è il nemico comune di tutti. Mandela ci ha insegnato che “siamo nati per essere fratelli”.Della guerra del Congo si parla poco qui in Europa, e senza dire tutta la verità. Non si tratta solo di guerre etniche. È vero che abbiamo tanti problemi in Africa, ma mi domando: perché il fuoco si accende solo nei paesi ricchi, dove ci sono minerali e petrolio? C’è sempre il fuoco dove si trovano coltan, oro, diamanti. E dove vanno a finire questi minerali insanguinati? Vengono usati per fare smartphone, air bag, navigatori e così via. Si calcola che per ogni chilo di coltan estratto in Congo muoiono due bambini. Altri sono obbligati a divenire “bambini e bambine soldati”. Sarebbe importante che i nostri bambini sappiano che usando il video-gioco c’è un altro bambino che perde la vita nelle periferie del mondo». Che significa per lei fare quest’esperienza intellettuale e umana presso l’Istituto Universitario Sophia? Quali sono le attese personali e in vista del bene del suo Paese? «Sophia è stata uno dei doni che ho avuto in Italia. Penso che sarebbe stato meglio fare l’esperienza di Sophia prima di impegnarmi come sindacalista, perché qui ho capito l’importanza della fraternità. Credo che il fallimento della nostra società congolese stia nel fatto che abbiamo dimenticato il principio della fraternità, una forza che unisce tutti, che non esclude nessuno. Oggi ho capito che l’altro è parte di me, che i suoi problemi sono i miei. L’impegno politico ci dovrebbe aiutare a capire che siamo responsabili gli uni degli altri. A Sophia ho compreso anche il senso della diversità tra noi. Siamo uguali ma diversi e che, se gli uomini sfruttassero questa ricchezza, sarebbe un bene. Sophia mi ha insegnato anche a capire il cammino del dialogo. Il vero dialogo è quello che dà spazio all’altro, dove c’è sempre una parte di verità». Video (altro…)
Quando Papa Francesco li ha incontrati, nel settembre scorso, ha ricordato Chiara Lubich come «straordinaria testimone» dell’unità che «ha portato il profumo di Gesù in tante realtà umane e in tante parti del mondo». E oggi, a sette anni dalla morte della fondatrice, il Movimento dei Focolari riconferma la sua vocazione a essere scuola di comunione e fucina di unità per tutta la Chiesa, come ribadisce la presidente Maria Voce in questa intervista al nostro giornale. Crede che il carisma dell’unità di Chiara sia destinato a realizzarsi? Lei pensa che se non lo credessi avrei dato la vita al Movimento? Crediamo si realizzerà perché coincide con la preghiera che Gesù ha rivolto al Padre: che tutti siano una cosa sola. E non possiamo pensare che una preghiera del Figlio di Dio non si debba realizzare. Certo, non sappiamo come, non sappiamo quando, ma diamo la vita perché si realizzi. Vogliamo che si realizzi e facciamo quei piccoli passi che oggi possiamo compiere per affrettare il momento del suo compimento totale. Cosa significa «essere famiglia» secondo il testamento lasciato da Chiara? In occasione della mia prima elezione ho detto che il mio desiderio era che il Focolare privilegiasse i rapporti umani. Credo che questo è in fondo quello che abbiamo cercato di fare, anche se si è sempre tentati dall’individualismo. Costruire rapporti con le persone all’interno del Movimento significa veramente interessarsi degli altri e avere quell’amore capace di comprendere, di perdonare, di accogliere, di aiutare quando c’è bisogno: tutto quello che si fa all’interno della famiglia. Una vita di famiglia, quindi, ma integra, perché fatta di rapporti veri, autentici. […]Quale ruolo hanno oggi nella Chiesa i movimenti? Il ruolo è duplice: da un lato i movimenti sono portatori di carismi, doni dello Spirito Santo per la Chiesa e l’umanità. Hanno quindi un’influenza su tutta la Chiesa, perché vengono messi a disposizione di tutti per la costruzione del corpo ecclesiale. Oltre a questa grazia, proprio perché depositari di un carisma, i membri di un Movimento sono capaci di comprendere i carismi degli altri. Quindi capaci di rendersi conto che la Chiesa è ricca di carismi che possono essere messi in comune. Nell’ambito dei singoli movimenti poi c’è questa spinta a una vita evangelica più radicale. C’è il desiderio di un maggior impegno, di un’apertura al mondo che ci circonda. Sono caratteristiche che i movimenti cercano di vivere, ma che dovrebbero vivere tutti i cristiani. I membri dei movimenti sentono di avere una grazia, che è anche una responsabilità, e sentono di poter vivere queste cose in comunione tra di loro, per aiutarsi reciprocamente. Nelle associazioni, nei movimenti ci si può aiutare: si può scoprire il valore di essere l’uno accanto all’altra, per darsi una mano, incoraggiarsi, sostenersi e anche rialzarsi qualora si cada. […]Nell’ultima assemblea Papa Francesco vi ha affidato tre verbi: contemplare, uscire, fare scuola. Come li state realizzando? Papa Francesco ha citato una frase di Chiara Lubich: questa è la grande attrattiva del tempo moderno, cioè penetrare nella più alta contemplazione e rimanere in mezzo agli uomini, uomo accanto all’uomo. Chiara ci ha sempre insegnato che bisogna diventare Gesù. E quindi contemplare significa essere Gesù, diventare Gesù, vivendo il Vangelo integralmente, riuscendo a scoprire quello che Gesù sta operando nella storia, quello che vuole dirci attraverso ogni uomo che incontriamo. Vuol dire, quindi, essere in continuo contatto con Gesù. Ricordo una volta che a Chiara venne chiesto come si fa a vivere l’invito del Vangelo a pregare sempre. Lei rispose che occorre essere sempre Gesù, occorre amare sempre. È perfino semplice questa contemplazione che si svolge nelle attività quotidiane, anche presi da mille cose. In quella quotidianità possiamo vedere Dio che ci viene incontro con la sua volontà e con la richiesta di amore del fratello che ci passa accanto. Questa è la contemplazione che vogliamo vivere e che cerchiamo insieme di realizzare. Riguardo all’uscire, è una delle nostre priorità. L’abbiamo sentita particolarmente nostra quando Papa Francesco l’ha sottolineata e abbiamo sentito la gioia di essere in sintonia con quello che il Papa ci chiede oggi. Il fare scuola ci sembra sia soprattutto essere attenti a rivisitare continuamente il nostro carisma: non per trasformarlo, ma per vedere come risponde oggi ai segni dei tempi, cogliendo i linguaggi, gli stili, le domande nuove che l’umanità impone. Facciamo nostro tutto questo per esprimere il carisma di sempre adeguandolo all’oggi. Come presidente quali priorità indica per il futuro del Movimento? Non scelgo io le priorità. Devo cogliere quelle che vengono espresse dal Movimento in tutto il mondo. L’esigenza emersa nell’ultima assemblea è quella di essere molto aperti e in uscita verso le periferie, che non sono solo quelle geografiche, ma dovunque manchi l’amore e le divisioni impediscano di realizzare lo spirito di unità del carisma che Chiara ci ha lasciato. Significa per noi avere una grande apertura a tutti i dialoghi, che è uno stile di vita del Movimento: essere aperti verso tutti, accogliere chiunque, senza distinzione etnica, religiosa, culturale, sociale, anagrafica. Questo porta come conseguenza un’attenzione particolare verso i luoghi dove più si manifestano queste divisioni. Pensiamo a quei Paesi dove c’è un’enorme differenza tra le classi sociali, oppure dove le differenze religiose diventano motivo di lotte, di guerra, di terrorismo. Guardando a questi Paesi, in particolare, vogliamo spendere risorse, talenti, e fare tutto il possibile per aiutarli. Senza però dimenticare l’Europa, che ha perso l’anima religiosa perché ha tagliato le sue radici. Portiamo avanti anche il dialogo con la cultura post moderna, con questa notte che sembra avvolgere la vita degli uomini di oggi. Di Nicola Gori, su Osservatore Romano 18 marzo 2015. Leggi l’intervista integrale (altro…)
Sabato 14 marzo. Il “Salão dos Atos” immerso nel verde del Parque Barigui di Curitiba, era affollato da deputati federali, statali, sindaci, assessori, funzionari pubblici, giovani e accademici giunti dall’Amazzonia, dal Nordest, Brasilia e da altre città del Brasile. In quella sala sono risuonate parole insolite: la politica presentata come «“l’amore degli amori”che conferisce agli amministratori pubblici di fare progetti capaci di rispondere alle esigenze della comunità e ai cittadini di realizzare le proprie aspirazioni». È stato ricordato che «il potere conferisce la forza, ma è l’amore che dà autorità». Molte volte è stata ripetuta la parola “fraternità”, non solo quale principio etico della politica, ma come “la sua sostanza”. Sono questi i punti centrali del pensiero di Chiara Lubich, che Maria Voce, presidente dei Focolari, ha citato nel suo messaggio e che sono stati approfonditi nei vari interventi. Questa visione della politica che Chiara stessa aveva proposto, anni fa, nei parlamenti di vari Paesi, oggi è apparsa come una luce nel tunnel della crisi che attraversa il Brasile. Ha risvegliato nuova speranza, perché molti sono stati i testimoni che ne hanno mostrato l’attuazione, non solo in Brasile, ma anche in altri Paesi. Un panorama innovativo, presentato nel video-documentario all’inizio dell’evento promosso dal Movimento Politico per l’Unità (MPPU) espressione dei Focolari, nel 7° anniversario della sua morte. L’incontro ha avuto luogo in concomitanza di due manifestazioni popolari di segno opposto e molti degli interventi hanno evidenziato la crisi politica, economica ed etica, sottolineando la crescente mancanza di fiducia nelle istituzioni. «Noi siamo qui come mediatori, chiamati a cambiare questa situazione attraverso il dialogo e la fraternità», ha detto Sergio Previdi, presidente nazionale del MPPU. «Questa è una grande sfida. La democrazia non è solo un fatto tecnico, ha bisogno di un’anima. Dobbiamo ripensare la politica per poterla riumanizzare», ha affermato Gustavo Fruet, sindaco di Curitiba. Ed ha citato l’innovativa cultura politica espressa da Chiara, dalla quale trae ispirazione il programma 2010-2030 per far di Curitiba “una città innovatrice globale”, già riconosciuta quale modello di pianificazione sostentabile e come “città della fraternità». Molti gli interventi di deputati e assessori di diversi partiti che cercano, non senza fatica, di attuare una politica contro-corrente che hanno testimoniato come attingono dal MPPU “nuova forza e nuovo impegno”. «Fraternità significa attuare una strategia di unità, cercare il dialogo tra maggioranza e opposizione, tra istituzioni e società, nella comune ricerca del bene comune», ha affermato il sindaco di Sorocaba, Antonio Carlo Pannunzio. Julio Carneiro del MPPU Brasile, ha citato le cittadelle fondate da Chiara Lubich (oggi più di 20) quali bozzetti-modello di città, per testimoniare l’incidenza della fraternità nella convivenza civile. «Una nuova cultura politica richiede uomini nuovi», ha affermato il prof. Marconi Aurélio Silva, evidenziando l’urgenza della formazione dei giovani alla cittadinanza attiva, basata sulla fraternità: «essendo noi per natura esseri relazionali e non individui isolati». Ed ha parlato dei molti frutti della Scuola Civitas in molti stati del Brasile e del mondo. Para saperne di più:www.mppu.org.br – www.focolares.org.br(altro…)
Da Ulan Bator, capitale della Mongolia, a Daejeon in Corea del Sud, sono oltre 10 ore di aereo, eppure queste due città fanno parte della stessa diocesi. Fatta eccezione per la capitale, la densità della popolazione in Mongolia è di 2 abitanti per km², i cristiani sono il 2%, in una terra dalla millenaria tradizione buddhista (53%) e di diffuso ateismo (29%). La chiesa locale, nel chiedersi come prendersi cura anche di questi pochi cristiani, ha chiesto aiuto alle Famiglie Nuove del Movimento dei Focolari, trovando la disponibilità di alcune famiglie coreane che, con l’annuncio del Vangelo, portano la testimonianza della spiritualità dell’unità vissuta in famiglia. Nelle parrocchie di Ulan Bator c’è un centro sociale che accoglie bambini e ragazzi per il doposcuola, una fattoria comunitaria e una clinica gratuita. È qui che si svolge prevalentemente la “missione” dei Focolari. Vediamo in cosa consiste. Dalla Corea due o tre coppie per volta si recano periodicamente in Mongolia per visitare le parrocchie e incontrare le famiglie. Le tematiche sono prevalentemente quelle familiari, con riferimento al Vangelo applicato alla vita quotidiana, che anche qui diventa fonte di cambiamento per la vita di coppia e di famiglia. Qualche volta incontrano anche i giovani. «Una volta abbiamo portato delle medicine», racconta Cedam. «Indicibile la gioia della suora quando le abbiamo dato il pacchetto: erano proprio quelle che le servivano e le sue erano finite. In Mongolia per quasi metà dell’anno è inverno. Per mesi la temperatura arriva a –40°C, per cui si capisce la difficoltà, ammesso che se ne abbiano i mezzi, di uscire di casa per procurarsi il necessario. Quando si avvicina la data della partenza per la Mongolia, le altre famiglie in Corea si danno da fare per mettere insieme cose utili da portare. Una volta avevamo pensato di portare dei palloni da calcio e da pallacanestro affinché i ragazzi potessero giocare nella grande pianura, ma bisognava comperarli e poi c’era la difficoltà dello spazio in aereo… Una famiglia aveva messo nel suo negozio un salvadanaio proprio per le famiglie mongole così, oltre ai palloni, abbiamo potuto comperare anche l’apparecchio per gonfiarli». «Il vescovo ci fa da autista – prosegue Andrea –, ci accoglie nel vescovado, ci accompagna nelle parrocchie e ci incoraggia a donare a piene mani le nostre esperienze come famiglia cristiana. E vediamo che le famiglie hanno sete proprio di queste. Quando la volta dopo ritorniamo, esse ci accolgono con un affetto sempre più grande. Anche loro vogliono raccontare come hanno vissuto il Vangelo. In un’omelia, presenti le suore di varie congregazioni, il vescovo ha detto che siamo stati inviati da Dio anche noi come missionari e chiamandoci ciascuno per nome ci ha definito: my friends. Quando lasciamo la Mongolia, ogni volta sentiamo che lasciamo lì anche i nostri cuori. Perché ogni volta si ripete con loro l’esperienza delle prime comunità cristiane». (altro…)
La corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68, di cui è in corso la causa di beatificazione, che ha trovato il segreto della felicità. Sedici anni. Di corsa. A perdifiato. Destinazione Paradiso. Maria Orsola Bussone è una ragazza piemontese del ’68 che ama la musica beat, si interessa alle prime manifestazioni studentesche, suona la chitarra e prende lezioni di canto. Un’adolescente come le altre, si direbbe, innamorata della natura, dello sport e della musica. Prende qualche cotta, annota i suoi pensieri sul diario personale, ha tanti amici e scrive lettere a quelli più cari. È la figlia semplice di un piccolo mondo antico che sembra prossimo a essere travolto dai venti della modernità. Ma la sua vita, apparentemente senza sussulti, nasconde invece un’anima straordinaria. Una fede genuina e cristallina. Insieme con altre amiche, sospinta da una spiritualità che le dà una marcia in più, inserita in una parrocchia che mette a frutto gli indirizzi del Concilio Vaticano II, “Mariolina” innesta la quarta e in poco tempo brucia rapidamente tutte le tappe. Su invito del parroco don Vincenzo Chiarle, nel 1968 partecipa ad uno dei primi congressi gen, la generazione nuova del Movimento dei Focolari. Lì Chiara Lubich presenta a quei giovani del ’68 un altro modello di rivoluzionario: quello di un uomo giusto che si è immolato per la libertà degli altri. Anche lui aveva un programma: “Che tutti siano uno”. Maria Orsola rimane affascinata, e questa scelta illumina tutta la sua vita. A sedici anni la sua corsa raggiunge il Cielo. Ma dietro di sé lascia una scia di luce. Un giorno aveva rivelato che avrebbe dato la sua vita pur di far scoprire ai giovani la bellezza di Dio.“E Dio la prese in parola”, disse a Torino, nel 1988, a migliaia di suoi coetanei papa Giovanni Paolo II, additandola quale esempio luminoso: “è una ragazza che ha accettato di fare della propria vita un dono, non un possesso egoistico”. “W la vita” era il suo motto.
Dal 2 ottobre 2004 le sue spoglie mortali riposano nella chiesa parrocchiale di San Secondo martire, in Vallo Torinese.
Nel 2007 è stata pubblicata la sua biografia, a firma di Gianni Bianco ed edita dall’editrice San Paolo: “Evviva la vita”. La corsa verso il Cielo di una ragazza del ’68”.«Mi è sembrata subito un’adolescente tremendamente attuale – scrive l’Autore -, che ha molto da dire ai ragazzi di oggi e che in alcuni aspetti ha anticipato le grandi idealità della generazione d’oggi, quella dell’impegno ecologista e del servizio civile volontario. Inoltre mi piaceva poter seguire da vicino la storia di questa ragazza semplice, che dalla prospettiva di Torino, dove il ’68 italiano nacque, osservava un mondo in rapido quanto burrascoso cambiamento. Soprattutto mi spingeva la possibilità di poterla raccontare, con un linguaggio fresco e – spero – coinvolgente, ai suoi coetanei d’oggi, ai teenager, accusati troppo spesso di aver perso ogni valore, e che adesso guardano a lei come ad un modello». Per saperne di più:Profilo biografico e spirituale di Maria Orsola Bussone(altro…)
Neste livro, Renato Chiera narra sobre o trabalho que desenvolve e junto às “cracolândias” do Rio de Janeiro, em especial a da Favela de Manguinhos e ao longo da avenida Brasil. Depositário das confidências de adolescentes, jovens e adultos dependentes do crack – muitas delas retratadas no livro –, o autor identifica possíveis causas do fenômeno nas carências de amor e afeto familiar dos “cracudos”, na sua falta de perspectivas e de oportunidades, na exclusão violenta. Ele avalia as atuais políticas públicas para enfrentá-lo, faz uma reflexão sobre como a sociedade e a Igreja lidam com ele, e propõe uma chave de abordagem e caminho, percorrido e abalizado pela instituição que ele fundou, a Casa do Menor São Miguel Arcanjo.
Por que ler As “cracolândias” estão surgindo como uma atuais chagas das metrópoles brasileiras, ante as quais os poderes públicos não sabem como agir.
Fenômeno entrelaçado com a exclusão social, tráfico de drogas, marginalização e violência; as muitas tentativas de abordagem dos dependentes do crack – dispersão, internação forçada, “cercadinhos” etc. – têm sido muito mais “faxinas” e paliativos do que solução.
Há dois anos, Renato Chiera visita semanalmente algumas “cracolândias” no Rio de Janeiro. De sua convivência com os drogados nasceu um trabalho que visa a ir à raiz do problema, a ser uma presença – de amor, inclusão, oportunidades – naquele ambiente.
Autor Renato Chiera (1942- ), sacerdote italiano e doutor em filosofia, que em 1978 adotou a Baixada Fluminense como sua terra, há mais de trinta anos dedica-se à causa dos meninos de rua. Atua numa comunidade da periferia de Nova Iguaçu (RJ). Fundou, com apoio de uma vasta rede de solidariedade, a Casa do Menor São Miguel Arcanjo (hoje presente em outros Estados do Brasil), que tem como objetivo assegurar a crianças e adolescentes de rua o efetivo exercício do direito à vida, à dignidade e à plena cidadania. É autor de Filhos do Brasil (1996) e Presença (2008), publicados pela Editora Cidade Nova.
«Siamo due giovani libanesi e siamo grati per l’opportunità che ci è stata data oggi di poter parlare davanti a quest’assemblea così speciale, chiamata ad accogliere le attese e i problemi del popolo per trasformarli in leggi a servizio dell’uomo». Comincia così il racconto di Lara Abou Moussa e George Zahm, tra i 400 giovani presenti il 12 marzo alla Camera dei deputati, per ricordare Chiara Lubich. 25 anni lei, laureata in biochimica e impiegata in uno studio per il controllo nella qualità del cibo, 22 anni lui, studente di marketing e pubblicità. «Come sapete, il Medio Oriente vive una delle pagine più sanguinose della storia dell’umanità. Davanti a tanto orrore, l’esempio straordinario di persone condannate a morte che rifiutano di rinnegare la loro religione, che pregano per i loro persecutori e che perdonano prima della loro morte questi massacri, come è stato per i ventuno copti morti in Libia durante gli eventi di febbraio scorso ci interpella profondamente, sia cristiani che musulmani che vivono in questi Paesi, e ci richiama alla grandezza dell’amore, del perdono, che un giorno cambieranno la faccia del mondo.Tanti esempi dalla Siria, ci hanno riconfermato che l’amore vince tutto anche là dove sembra impossibile. È il caso di una famiglia siriana che ha perso due dei suoi figli, di 3 e 9 anni. Mentre giocavano sul balcone un missile ha colpito i loro poveri corpi proprio nel momento in cui erano contenti di poter finalmente giocare all’aria aperta approfittando di un cosiddetto cessate il fuoco. Davanti al dramma e al dolore dei loro genitori, l’amore presente nella comunità dei Focolari, e la condivisione nel quotidiano di questa sofferenza, tentano di sanare questa profonda ferita e di ridare senso alla loro esistenza. Un altro fatto drammatico è accaduto a una famiglia in attesa di un bambino. Il papà, con il suo fratello si erano proposti come volontari per assicurare la sicurezza dei loro quartieri. I gruppi armati scontenti della loro presenza, li hanno rapito per due mesi prima di renderli alle loro famiglie, morti, tagliati a pezzi. Ancora una volta l’amore della comunità cristiana attorno a queste famiglie ha potuto offrire un po’ di consolazione. Queste stesse persone dicono che la forza dell’amore li aiuta ad accettare questo tragico dolore e a superare, poco a poco, i loro drammi. Uno dei nostri amici che ci voleva raggiungere, è stato fermato al confine e si è trovato per errore nell’oscurità della prigione. Avendo come unica arma la preghiera e la fiducia in Dio, ha deciso di mettere da parte la sua pena, per offrire agli altri prigionieri un sorriso, un ascolto, un consiglio, e anche i pochi alimenti che aveva. Voleva testimoniare l’amore di Dio in questo luogo così oscuro. Davanti al suo atteggiamento sorprendente gli altri prigionieri si sono messi a loro volta in questa disposizione di aiuto reciproco. Alcuni giorni dopo è stato fatto uscire di prigione. In luoghi diversi, specialmente in Giordania, non si esita ad accogliere anche nelle proprie case e con i pochi mezzi che ci sono, le famiglie irachene rifugiate, che scopriamo nostri fratelli e sorelle. Condividiamo con loro la fame, la vergogna, l’umiliazione, la perdita di persone care e ci arricchiamo dei tesori nascosti dietro le sofferenze. Ci interpellano le parole di Gesù riportate nel Vangelo: “…Avevo fame e voi mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato dell’acqua, ero straniero e mi avete ospitato nella vostra casa, ero nudo e mi avete dato dei vestiti, ero malato e in prigione e siete venuti a trovarmi!”. Con tanti amici, abbiamo sperimentato e crediamo fermamente che la violenza non avrà l’ultima parola. Se è capace di distruggere, non potrà mai mettere fine all’uomo e alla forza dell’amore che abita in Lui. Davanti all’odio, come diceChiara Lubich, un atto d’amore è capace di fermare la mano di un terrorista».(altro…)
«Carissimi Gen, forse volete sapere una parola che sia quella; una parola che dica tutto, che riassuma la verità, che vi porga una ricetta per una vita vera. È ciò che sto meditando anch’io questi giorni. Bene, Gen, mi sono convinta che non vi è strada più sicura, per arrivare alla vita perfetta, di quelladel dolore abbracciato per amore. E così l’hanno pensata tutti i Santi, di tutti i secoli. Il fatto è che ognuno ha voluto seguire Gesù e Lui ha parlato chiaro: «Chi vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8, 34). «…Prenda la sua croce». Ognuno per seguire Lui, il Perfetto, non ha che da accogliere nel suo cuore la propria croce, i propri dolori. Tutti ne abbiamo. Ebbene: alziamoci la mattina col cuore cambiato. Lo sappiamo: il dolore si vuole allontanare, accantonare, dimenticare. Così è fatto l’uomo. Ma non così il cristiano. Egli, perché seguace di Cristo, sa che il dolore è prezioso, che va accettato come ha fatto Gesù con la sua croce, e lo abbraccia con tutto lo slancio del suo cuore. Quale sarà il risultato? Quale il frutto? Ne verranno tutte le virtù: la pazienza, la purezza, la mansuetudine, la povertà, la temperanza e così via. E, con tutte le virtù, la perfezione, la vita vera. Ci state? Ogni uomo che vuole raggiungere un traguardo, deve sottomettersi a fatiche, a sacrifici, a sforzi. Il nostro traguardo è Gesù. Per seguirlo occorre il dolore amato. Ciao Gen, con tutto l’augurio perché sappiate essere degni di Lui». Pubblicato nella Rivista “Gen”, ottobre – novembre 1979 Fonte: www.centrochiaralubich.org(altro…)
6 settimane di preparazione, 34 attori protagonisti, e 250 spettatori. 36mila rupie raccolte, l’equivalente di ca. 500 €, non male se si pensa che la cifra consentirà a ca. 10 ragazzi della città di partecipare al programma di 5 giorni che si svolgerà a Mumbai. Il Movimento dei Focolari èpresente in India dal 1980. Oggi ci sono centri a Mumbai, Bangalore, Goa e New Delhi che promuovono varie attività: Mariapoli, incontri mensili per adulti, famiglie, e giovani. In diverse città –Vasai, Pune, Panjim, Margao, Vasco, Trichy – sono attivi gruppi di persone che aderiscono allo spirito dei Focolari. Quest’anno c’è una grande meta davanti: la Settimana Mondo Unito (SMU), appuntamento annuale dei Giovani per un Mondo Unito con l’obiettivo di rendere visibili i tanti passi che in varie parti del mondo si compiono nel cammino verso la fraternità.La SMU 2015 passa dall’India. Come l’anno scorso in Africa, attorno al concetto di Ubuntu, stavolta è il subcontinente culla di un’enorme varietà etnica e religiosa ad ospitare l’evento centrale della settimana a Mumbai, dal 27 aprile al 1° maggio, e la conclusione a Coimbatore, nel Tamil Nadu (sud dell’India), il 4 maggio. Già nel 2009 Coimbatore aveva ospitato il “Supercongresso Gen3”, con adolescenti da tutto il mondo, e con la collaborazione col movimento gandhiano Shanti Ashram. Si può immaginare il carico di lavoro per la preparazione di tutti i particolari. Per questo tutta la comunità dei Focolari sul posto ha deciso di rimboccarsi le maniche e sostenere i giovani nell’iniziativa. Una prima realizzazione è stata proprio il musical “Il ruscello nella foresta”, andato in scena il 22 febbraio scorso. Una storia scritta a partire dal messaggio di unità che i Gen4 (i bambini del Movimento dei Focolari) portano anche nelle loro canzoni. Ore di prove, con l’entusiasmo e l’impegno dei bambini, e con qualche inconveniente: il giorno prima del musical due di loro si sono ammalati con febbre alta e gli autori hanno dovuto cambiare il testo! «I miei figli sono strafelici! – spiega una mamma – Hanno fatto nuove amicizie e mi dicono che già hanno nostalgia delle prove. Gli mancano più che gli amici di scuola, perché, mi dicono, c’era una tale gioia di incontrarsi, diversa da quando incontrano i compagni di classe». «Anche se i bambini hanno talento, per cantare o ballare – racconta un’altra mamma – è bellissimo vedere questi talenti usati per una cosa così bella, con dei valori». भारत की ओर से आप सभी को बधाई (Bharat ki ora se aap sabhi ko badhai)A tutti un grandissimo saluto dall’India! https://vimeo.com/122305928 (altro…)
This book written by Silvina Chemen, a Rabbi, and Francisco Canzani, a Christian, outlines the challenges and opportunities of genuine interreligious dialogue. It shows that it is possible to educate in the art of dialogue without losing our identity. It requires the commitment to listening, which implies also knowing how to be silent. About the author Silvina Chemen and Francisco Canzani
Silvina Chemen has a degree in Hebrew language from the Hebrew college, Michlelet Shazar, a second degree in social communication from Buenos Aires University and was ordained as a rabbi in 2006 at the rabbinical school for Latin America, Seminario Rabinico. She serves as Rabbi at the Congregation Beth El in Buenos Aires, Argentina.
Francisco Canzani has a doctorate in Law and Social Sciences from the University of the Republic of Uruguay. He completed theological studies at the Institute Mystici Corporis (EoC Italy). Since 2004 he is the head of the Department of Ecumenism at the Theology Faculty of the Republic of Uruguay Monsignor Mariano Soler. Francisco is a consecrated member of the Focolare Movement.
La cosiddetta “Regola d’oro” che il Vangelo propone, “Fai agli altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (Mt 7,12), è presente anche nell’Islam e nelle altre religioni, e quando viene messa alla base di ogni rapporto, genera – come è successo in queste terre – quell’amore che suscita un fecondo “dialogo della vita” con ogni persona che si incontra. Un dialogo intessuto di piccoli gesti, di attenzione all’altro, di rispetto, di ascolto. È stato quest’amore concreto al fratello che ha contributo alla formazione di alcune comunità dei Focolari in Marocco, nella quale l’amore e il rispetto prevalgono sulle differenze di cultura, tradizioni e religione. Di seguito, alcuni stralci del Journal de bord (diario di viaggio), scritto da due focolarini in visita a queste comunità, tra la fine di gennaio inizio febbraio 2015. «Ci troviamo a Fez, città imperiale molto fiera della sua tradizione altamente spirituale. Numerosi studenti provenienti dall’Africa sub sahariana vengono per fare gli studi superiori. Frequentano volentieri la parrocchia francofona ed il parroco, don Matteo, ci ha chiesto di fare la catechesi sui sacramenti ad una ventina di giovani; un’occasione per vivere insieme uno scambio profondo e gradevole. Il gruppo della Parola di vita della parrocchia ha riunito una trentina di studenti di medicina, chimica, informatica, più altri cinque arrivati da Rabat.A cena siamo dalle piccole sorelle di Foucauld. Lucile racconta come cerca di vivere la Parola nell’ospedale pubblico dove lavora. Arriviamo a Tangeri per trovare una quindicina di persone, musulmani e cristiani, che vivono la spiritualità dell’unità. Alla sera ci fermiamo con una coppia che ci considera come fratelli di sangue. Lui è stato trasferito per lavoro a 24 ore di strada, ma questo allontanamento dalla moglie è diventato un’occasione per riscoprire il positivo dell’uno e dell’altra. Colazione da Mohamed. Sua moglie desidera approfondire la spiritualità dell’unità. Ci racconta che il custode del palazzo dove lavora non le rivolgeva il saluto da quando si era rifiutata di portargli l’olio della padrona di casa spagnola, approfittando della sua assenza, come lui pretendeva. Quando poi ha ricevuto un litro d’olio dalla mamma, l’ha offerto al custode, spiegando che questa volta era suo, perciò poteva disporne come meglio credeva. L’uomo, un po’ spiazzato, l’ha ringraziata, scusandosi. La riconciliazione è stata fatta. Un bel pomeriggio con il gruppo delle famiglie della comunità: Ahmed ci invita a restare da lui. Trascorriamo la serata con la sua famiglia. Per cena ci offrono un piatto tipico. Visita alla piccola scuola di periferia fondata da Fawzia. Il quartiere è pieno di bambini che giocano sulla strade fangose e caotiche. Le case sorgono dappertutto come funghi. Felice, ci racconta che due bambini hanno chiesto di iscriversi da lei, nonostante da tempo un vicino si fosse messo all’entrata della sua scuola per convincere i genitori a iscrivere i bambini da un’altra parte. Fawzia, dopo aver chiesto spiegazioni, ha continuato ad amare e a fare bene il suo lavoro con ottimi risultati nel rendimento scolastico. Sei giorni dopo, grazie alla buona fama che la scuola si è guadagnata nel quartiere, ecco altre tre nuove iscrizioni! Viaggio a Casablanca a trovare Susana e alla sera con Mohammed e Nadedj ad un ristorante giapponese. Parliamo di Loppiano, della recente Mariapoli in Algeria, degli incontri avuti in questi giorni. Domani si rientra, in Algeria e Italia rispettivamente, con la gioia di aver costruito e rinforzato tanti rapporti di unità, arricchiti dall’incontro con questa gente impegnata a vivere, nel loro quotidiano, per un mondo più unito». Claude e Ivano (Marocco, Gennaio/Febbraio 2015) (altro…)
SOR sta per School for Oriental Religions (Scuola per le religioni orientali). «È stata una delle idee tipiche della genialità del carisma di Chiara Lubich» scrive Roberto Catalano, co-responsabile del Centro per il Dialogo Interreligioso del Movimento dei Focolari, nel suo blog. Giunta quasi al termine del suo primo viaggio in Asia nel gennaio del 1982, la fondatrice dei Focolari lanciò un’idea che pareva un sogno. Si trattava di avviare, nella cittadella delle Filippine, Tagaytay, punto di riferimento per i Focolari in Asia, corsi di formazione che permettessero ai cattolici di aprirsi, adeguatamente preparati, al dialogo con fedeli di altre religioni. Chiara Lubich arrivava dal Giappone dove aveva avuto l’occasione, su invito del rev. Nikkyo Niwano, fondatore della Rissho Kosei-kai, movimento di rinnovamento buddhista giapponese, di parlare della sua esperienza cristiana a migliaia di buddhisti. L’impatto era stato forte non solo nei buddhisti che ascoltavano una donna cattolica parlare nell’Aula Sacra di fronte alla grande statua del Buddha, ma per Chiara stessa. All’arrivo nelle Filippine, nazione cristiana dell’Asia, aveva intuito la necessità di lanciare il Movimento dei Focolari, particolarmente quello di quel continente, a dialogare con buddhisti, musulmani e indù. Ma aveva colto anche la necessità di prepararsi adeguatamente per un compito impegnativo che non doveva andare a scapito delle identità religiose di ciascuno. Dopo aver confidato il suo sogno ad alcuni dei dirigenti del Movimento, una persona aveva offerto una casa che poteva ospitare professori e piccoli corsi. È così che è nata la SOR che, nel corso di questi tre decenni, ha svolto week-end di formazione a cristiani dell’Asia su argomenti che riguardano le varie religioni. A partire dal 2009, poi, con il diffondersi di tensioni religiose e del fondamentalismo, si è pensato di affrontare temi specifici, trasversali: Dio nelle tradizioni asiatiche, il comandamento dell’amore, il ruolo delle Sacre Scritture e, quest’anno, il posto ed il significato della sofferenza. Dal 26 febbraio al 1° marzo la Cittadella Pace (Tagaytay) ha così ospitato circa 300 persone provenienti per la maggior parte dalle Filippine, ma con delegazioni anche da Pakistan, India, Myanmar, Thailandia, Vietnam, Hong Kong, Taiwan, Indonesia, Giappone e Corea. Sono quasi tutti cattolici, ma tre buddhisti membri attivi dei Focolari hanno voluto essere presenti, provenienti da Giappone e Thailandia. L’argomento: Il senso della sofferenza nelle religioni asiatiche: induismo, buddhismo, islam e cristianesimo.L’obiettivo: mettere in evidenza il valore e il significato che le rispettive tradizioni danno al dolore in generale, quello fisico, come quello spirituale e psichico o quello provocato dai disastri naturali. I relatori erano esperti dei vari settori, presenti anche tre vescovi (Roberto Mallari, di S. José Nueva Ecija nelle Filippine, Brenan Leahy, di Limerick in Irlanda, e Felix Anthony Machado di Vasai in India) e un professore americano esperto di buddhismo (Donald Mitchell della Purdue University) collegato via skype. La scuola ha, poi, offerto l’occasione di condividere esperienze di dialogo in Paesi dove i cristiani sono una sparuta minoranza, come India, Thailandia, Giappone, Taiwan. «Sono venuti per imparare a dialogare con le altre religioni, ma quello che hanno riscoperto è stato il cristianesimo nella sua dimensione più profonda e, allo stesso tempo, aperto a tutti coloro che si incontrano a qualsiasi credo appartengano» conclude Catalano. Chiara ha capito la necessità di formare cristiani al dialogo in un continente che vive in un caleidoscopio di fedi. Un dialogo che non relativizza né appiattisce, dove ognuno deve essere se stesso ed incontrando l’altro riscoprire le sue radici. (altro…)
L’America Latina è fatta di unità e di diversità e ciò che la rende forte è il suo percorso verso l’integrazione. È un disegno, senza dubbio, non ancora raggiunto con una comune-unità di sentimenti, emozioni, legami di fraternità, tutti basati su una storia condivisa. È questa la visione profetica che Chiara Lubich ha intuito su questa regione del mondo ed è verso questa visione che faticosamente camminiamo. Le democrazie in America Latina, anche se si sono poco a poco consolidate grazie ai processi di democratizzazione post-dittatoriali e di integrazione regionale, non hanno seguito, in quanto a qualità, una linea di miglioramento progressivo. L’America Latina deve affrontare un futuro incerto e complesso. La crescita economica degli ultimi anni, non è riuscita a sradicare completamente la povertà, né ha intaccato la disuguaglianza sociale e l’insicurezza. Ed è qui che si fa evidente lo stretto legame tra la politica e l’idea di fraternità. L’idea di fraternità, soprattutto nella testimonianza e nelle parole di Chiara Lubich, ha a che fare con due elementi centrali della politica. Il primo è l’idea di politica come progetto collettivo dell’America Latina che vada oltre le nostre individualità, che implica un gesto di comunione, un atto di fraternità, perché consiste nel riconoscimento dell’altro, nel rispetto della diversità. Ed è il dialogo lo strumento principale per la sua costruzione.
Cristina Calvo
Il secondo elemento è la prospettiva a medio termine. L’idea di lavorare per azioni di cui forse non se ne vedrà mai il frutto, è il più grande gesto di grandezza della politica. Chiara Lubich ha dato vita, non solo in America Latina ma in tutto il mondo, a numerose iniziative in quattro ambiti: lo Stato, le organizzazioni sociali, il settore privato e quello della conoscenza. L’accesso ai diritti fondamentali, all’educazione e al lavoro, sono stati e devono tornare ad essere le colonne portanti della costruzione di un’identità nazionale. Le istituzioni vanno recuperate non come edifici, ma come ambiti in cui si garantiscono i diritti delle persone e si rende operativo l’esercizio di quegli stessi diritti, affinché si possano realmente esercitare e non rimanere una questione di declamazioni retoriche. Il contributo di Chiara Lubich ha messo in evidenza anche la dimensione etica della politica che ha a che fare con la trasparenza e legata direttamente all’idea della fraternità: l’etica ci permette di indignarci allo stesso modo davanti alla corruzione e davanti alla povertà e alla diseguaglianza. Siamo certi che l’America Latina, dal punto di vista della politica, deve recuperare un modello e un progetto di sviluppo economico produttivo basato sull’inclusione sociale, che garantisca l’accesso ai diritti umani nella loro integralità e generi e sostenga condizioni di vita degne. Abbiamo bisogno di recuperare una leadership affidabile, prevedibile, esemplare. Soprattutto sottolineiamo l’idea dell’esemplarità che non disciplina né con il denaro né comprando le volontà, ma che lo fa invece con la propria condotta. Un’esemplarità che non può essere solo individuale, deve altresì costruire leadership collettive, partecipative. Non esiste un progetto di sviluppo che non definisca come prioritaria la soluzione della condizione dei settori maggiormente vulnerabili, dei settori più poveri. Bisogna anche recuperare l’idea della fraternità come valore legato alle priorità dell’agenda pubblica. È imperativo recuperare una politica di convinzioni. Questo implica accettare la diversità. In Argentina e nel resto dell’America Latina abbiamo bisogno di recuperare la fiducia e innanzitutto una cultura di valori, di valori etici incarnati nella prassi e nel pensiero politico. E qui ritroviamo i principi e la testimonianza di vita per cui stiamo oggi celebrando Chiara Lubich. Per l’America Latina, Chiara coniuga carisma, sapere, leadership, azione e destino. In quel destino, in quell’impegno, ci siamo noi. Di Margarita Stolbizer (1) e Cristina Calvo (2) (1) Avvocato argentina, deputato nazionale, presidente del Partito Generazione per l’Incontro Nazionale – GEN e candidata del centro-sinistra alla Presidenza 2015 della Repubblica Argentina. (2) Economista argentina, dirigente del Partito Generazione per l’Incontro Nazionale – GEN) (altro…)
Esiste “una politica che ne valga la pena”, in un momento storico che vede la politica in piena crisi, spesso identificata col potere corrotto o con interessi particolari? Se ne è discusso nel pomeriggio del 12 marzo, nell’ambito del primo dei numerosi eventi mondiali in occasione del 7° anniversario di (1920-2008). «La sua fede semplice e forte – afferma nel suo messaggioSergio Mattarella, presidente della Repubblica italiana –, unita ad una straordinaria capacità di leggere la modernità accettandone le sfide, ispira la vita di migliaia di persone in tutto il mondo, esortando costantemente istituzioni nazionali e internazionali a promuovere i valori della fraternità e del rispetto reciproco a favore del dialogo nella famiglia, nella comunità, tra i popoli». Per il presidente del SenatoPietro Grasso, Chiara Lubich ha elevato «la fraternità universale a “paradigma politico” capace di superare le differenze», e può essere considerata «soprattutto per le nuove generazioni, una grande maestra» che continua ad essere «un importante punto di riferimento, non solo per il mondo cristiano ma per tutti coloro che sono al servizio della pace e della solidarietà». Per Chiara impegnarsi in politica significava rispondere ad una vocazione: «L’amore degli amori», la definiva. Una chiamata, cioè, la cui risposta «è anzitutto un atto di fraternità: si agisce per qualcosa di pubblico, che riguarda gli altri, volendo il loro bene come fosse il proprio». A tal fine, ha affermato la presidente dei Focolari, Maria Voce, nel saluto di apertura del convegno “Chiara Lubich: l’unità e la politica”, «è indispensabile partire proprio dall’unità, la sola a poter dare giusta rilevanza alla libertà e all’uguaglianza». «Unità e fraternità – continua – secondo il pensiero e l’azione di Chiara Lubich si affacciano appena sulla scena politica, ma non sono piccole le esperienze positive che ‐ come sinteticamente accennate nel video e come anche i giovani ci hanno mostrato ‐ si vanno realizzando in varie parti del mondo e ci incoraggiano a diffonderle e moltiplicarle per quanto arduo e audace possa essere». Cosa significa vivere la fraternità universale in un ambiente tanto delicato? L’ha testimoniato Iole Mucciconi, che riveste un ruolo dirigenziale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri: «Tutte le mattine è importante impegnarsi a fare bene il proprio lavoro fino in fondo; ho sempre presente i consigli di Chiara Lubich per vivere la fraternità: puntare all’onestà della vita, alla purezza dei costumi, al distacco dal denaro e alla condivisione di gioie e dolori con i fratelli». Il problema della corruzione che, purtroppo, pervade lo Stato, è molto sentito anche da Raffaele Scamardì, assessore ai lavori pubblici nel XII municipio di Roma, in un momento in cui i magistrati e le forze dell’ordine stanno cercando di smantellare la rete di malaffare che ha intrappolato Roma Capitale. «Eppure, una politica per gli altri è possibile: aggiustando una strada rotta, ascoltando i cittadini e il loro bisogno di legalità e lavorando con una trasparenza che tenga lontana la corruzione».
La mattina, la stessa aula, aveva visto 300 giovani dei Focolari a colloquio con la presidente della Camera, Laura Boldrini, che li ha invitati ad agire ed influenzare le decisioni della politica.
IL VOLUME Questo libretto è realizzato per accompagnare tutti i bambini che si apprestano a vivere per la prima volta l’esperienza della riconciliazione. Racconta la storia di una amicizia profonda e personale tra Dio e i suoi figli, di un amore così potente che, attraverso la grazia del perdono, va oltre ogni nostro limite e fragilità umana. Un viaggio raccontato attraverso disegni, storie tratte dal Vangelo ed esperienze di amore concreto di altri bambini di tutto il mondo. In questa ottica, il momento della confessione rappresenta un’opportunità, un’occasione intima e speciale per dialogare con Dio e rinsaldare questa amicizia unica al mondo. L’esperienza della riconciliazione ci dona la pace e l’entusiasmo necessari per ricominciare ad amare chi ci è più vicino per essere testimoni dell’amore di Dio nel mondo. L’AUTORE Mario Iasevoli, laureato in psicologia dello sviluppo e dell’educazione e dottore di ricerca in Scienze Mediche, Cliniche e Sperimentali. Consulente per progetti di formazione e prevenzione nell’infanzia. Ha già collaborato con Città Nuova alla riedizione dei Quaderni Attivi di Sussidio ai primi due cicli del Catechismo Ufficiale CEI ed attualmente è membro della redazione del giornalino BIG – bambini in gamba. Da studioso del fine vita in ambito bioetico ha collaborato, inoltre, alla realizzazione di alcuni libri della collana Bordeline e autore di diverse pubblicazioni scientifiche. LA COLLANA La collana FORMAZIONE CRISTIANA E LITURGIA presenta testi di approfondimento e strumenti per la catechesi, per la preghiera e le celebrazioni liturgiche, che accompagnano il credente nella vita personale e comunitaria. DATI TECNICI f.to 21×24 pp. 32 prezzo: € 3,00
“La ‘Rete Fagotto Permanente’ vuol essere un’iniziativa concreta e immediata rivolta a molte persone in difficoltà dovuta alla situazione di crisi economica in cui viviamo”. Inizia così il testo che illustra il progetto che dal maggio scorso ha dato il via all’iniziativa. Il termine fagotto, che ricorda la raccolta di poche, povere cose in un fazzoletto ed è quindi sinonimo di povertà, ha assunto per Chiara Lubich e il primo nucleo dei nascenti Focolari, a metà degli anni ’40, il significato di condivisione, dono e ridistribuzione dei beni materiali. È nata così una prassi che consiste nel privarsi liberamente del sovrappiù e talvolta di quanto si crede necessario, per condividerlo e farne dono a chi è in necessità. Sono queste le radici del fagotto che ha trovato casa presso il Polo Lionello Bonfanti, nei pressi di Loppiano, divenuto luogo d’incontro tra chi ha da condividere beni e chi ha necessità. «Sono già passate circa 3.000 persone – raccontano Roberta Menichetti e Araceli Bigoni, del team che coordina l’iniziativa -, soprattutto famiglie che risiedono nel territorio. Ad oggi sono migliaia i capi di abbigliamento, per l’arredamento della casa, libri, piccoli utensili, giochi, servizi immateriali quali tempo, talenti e disponibilità, che sono arrivati e ripartiti con i nuovi proprietari». «Non è un caso che ad ospitare l’iniziativa sia il Polo Lionello Bonfanti – ribadisce Eva Gullo, presidente della EdiC spa, società che gestisce il Polo -, essendo questo spazio ‘casa’ di tutti i componenti dell’Economia di Comunione esso ha fra le sue motivazioni quella di diffondere “la cultura del dare”, ovvero la possibilità di contribuire al benessere sociale a partire da se stessi». Sono molte le storie di generosità nate attorno a questa iniziativa. Come quella della famiglia alloggiata presso i locali parrocchiali di una cittadina dei dintorni, che, avendo ricevuto la possibilità di trasferirsi in una piccola abitazione, ha trovato al fagotto i mobili per arredare la casa. La rete di amici ha organizzato anche il trasporto e il montaggio dei mobili a costo zero. Voci come “provvidenza” e “fiducia” sono elementi insostituibili di quest’esperienza: come quel pomeriggio in cui, appena partito dal fagotto un lettino da neonato, è arrivata una richiesta per lo stesso genere di articolo. Neppure mezz’ora dopo è arrivato un altro lettino! Il progetto fagotto ha vinto il bando “Intraprendere nel sociale”, attivato dalla Fondazione Cattolica Assicurazioni per la sezione “Nuove povertà” che elargisce fondi ad enti che si occupano di progetti di aiuto agli indigenti. I fondi verranno utilizzati per un allestimento più funzionale dei locali. Dalla pratica della condivisione e del dono sono nate anche serate di approfondimento su tematiche come consumo, beni relazionali e fiducia, con esperti qualificati, oltre a percorsi di formazione, sugli stili economici che mettono al centro l’uomo e la sua dignità. All’entrata del locale, poi, si trova la “cassetta dei contributi” a disposizione di chi voglia lasciare qualche euro in cambio di ciò che ha trovato. Il contenuto della cassetta ha permesso di coprire le spese di assicurazione dei locali e, a volte, anche le prime necessità di qualcuno. Fonte: Loppiano online(altro…)
La tragedia dei profughi siriani in Libano e Giordania irrompe in una delle sale della Camera dei deputati attraverso le parole di Lara e George: schiette, semplici, fiduciose, come lo si è a vent’anni. La guerra che dilania la vicina Siria ha i colori del dramma di chi perde figli, casa, amici e al contempo si colora degli atti di fede e di eroismo di chi cerca e crede nel perdono anche tra religioni e non solo tra uomini. Abraham invece ha con se il bagaglio di un Paese dilaniato dal narcotraffico e dai signori della morte: il Messico. Lui stesso si è visto puntare una pistola alla testa dalla polizia perché scambiato per spacciatore, al posto di uno vero che gli stava a fianco e che la miseria aveva spinto su questa strada. La celebrazione del settimo anniversario di Chiara Lubich ha i connotati dell’impegno e delle azioni nei luoghi di frontiera, vissuti politicamente dai giovani dei Focolari, che in oltre trecento si sono dati appuntamento a Roma, nei luoghi del governo del Paese per mostrare azioni di dialogo, di solidarietà, di pace che toccano l’Italia e trasversalmente il pianeta. La presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini, interpellata sul ruolo della politica nel sanare i conflitti e nel tutelare i diritti, ringrazia anzitutto per il coraggio di «accorciare le distanze tra istituzioni e cittadini e di far pace con il Palazzo, venendo ad abitarlo con questo incontro». Poi c’è l’analisi dei «virus attribuiti ai politici», tradimento del bene comune, razzismo, chiusura, demagogia che di fatto rispecchiano la società. La presidente però chiede di non cedere a chi vuole cambiare il dna del nostro popolo fatto di accoglienza e di solidarietà e sprona i giovani a mettersi «a disposizione della cosa pubblica con generosità, per influenzare le decisioni e le scelte fare così un servizio doveroso al Paese senza appiattirsi sulle contrapposizioni e sulla logica del nemico perché nei valori di Chiara Lubich c’è una visione di società e questa è politica, questo è non tirarsi fuori».Il dialogo che segue apre spaccati sulle ferite del nostro tempo: il rapporto con il mondo musulmano, le guerre e le epidemie africane, le calamità naturali del sudest asiatico. Pasquale Ferrara, a proposito del rapporto con l’Islam, con le fedi, con la diversità ribadisce che «il dialogo non è l’arma dei deboli, ma progetti di azioni comuni che non sono belle iniziative ma operazioni che sanno costruire le fondamenta dello spazio pubblico, da cui il dialogo non può non proiettarsi. Dialogo diventa pensiero e progetto di futuro in cui mettere in gioco il positivo delle proprie identità». L’economista Luigino Bruni a proposito delle enormi disparità sociali invita i giovani «a studiare molto e ad imparare bene un mestiere, per non fermarsi agli effetti della povertà o delle discriminazioni per individuare le cause e innescare il cambiamento, perché pochi e ben motivati posso davvero dare una svolta». E cita la campagna di Slotmob, partita da quattro persone e ora capace di cambiare la legge dello stato; ricorda la marcia del sale di Gandhi che portò all’indipendenza dell’India. Conclude ricordando che «la felicità più importante non è la nostra ma quella degli altri e quindi serve impegnarci con creatività a risolvere problemi e trovare i beni e mettersi insieme per fare cose nuove». Il senso comunitario dei progetti messi in atto dai giovani dei Focolari e monitorati dall’Osservatorio della fraternità previsto dallo United world project esplicita secondo Paolo Frizzi la «prospettiva antropologica e civile del carisma dell’unità capace di forgiare un’umanità nuova in grado di condividere azioni di vita a partire anche dalle differenze per costruire cose durature con l’orizzonte del mondo». Si conclude con un appello alla politica che impegna i parlamentari presenti a rispondere con i fatti alle richieste comuni dei giovani europei e non, sul commercio di armi, sull’istruzione e sulle diseguaglianze, sulla legalità, sulle crisi umanitarie del Mediterraneo e persino sul controllo democratico delle scelte politiche. “La fraternità in cammino”, titolo scelto per la manifestazione vuole passi concreti e comuni da politica e cittadini. La votazione unanime dei presenti lo ha confermato. di Maddalena Maltese fonte:Città Nuova online
Da Montecitorio al mondo: questo percorso di Igino Giordani ha inizio verso la fine degli anni Quaranta, quando Igino è arrivato a un punto della vita un po’ problematico. Il mondo lo riconosce come un grande intellettuale cristiano, un fulgido studioso dei Padri della Chiesa, uno scrittore apologeta e coerente, ma lui avverte di vivere una certa “noia dell’anima”. A risvegliare la sua fede e la sua carità è l’incontro con Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari. L’incontro fra i due fu qualcosa di straordinario e lo dicono le circostanze speciali in cui avvenne: Igino Giordani era un uomo sposato, aveva 54 anni, 4 figli già grandi. Chiara era una giovane che aveva più o meno la metà dei suoi anni e chiedeva udienza per una necessità concreta: trovare un appartamento a Roma. Giordani, già membro dell’Assemblea costituente, era anche un deputato della Democrazia cristiana, di quelli “storici”, perché fu tra i primi – già negli anni Venti – a lavorare per il neonato Partito Popolare, il partito d’ispirazione cristiana fondato dal sacerdote Luigi Sturzo. Chiara era una giovane laica, e l’incontro avvenne ben prima del Concilio Vaticano II, quando normalmente non era frequente che alle signorine laiche venisse riconosciuto qualche ruolo nella Chiesa. Eppure, nonostante queste enormi differenze, l’incontro con Chiara trasformò Giordani, e da quel momento egli porterà in politica l’Ideale dell’Unità. Il suo annuncio giunse in un parlamento dove il contrasto ideologico era fortissimo. Il 16 marzo 1949 c’è in ballo il Patto Atlantico. «Giusto quando conoscevo da pochi mesi Chiara, – sono parole di Giordani – c’era una discussione sul Patto Atlantico, c’era la formazione dei due blocchi: uno che faceva capo all’America, agli Stati Uniti, uno che faceva capo alla Russia; si preparavano i preliminari per fare una nuova guerra, un massacro, la guerra definitiva. E un giorno si discuteva alla Camera nella discussione più aspra; mi ricordo: eravamo così arrabbiati quella sera nella Camera, che io temevo che qualcuno tirasse fuori una rivoltella e sparasse, tanto odio c’era tra i due gruppi.Io avevo chiesto di parlare ed ecco che prima di parlare si viene a mettere a sedere vicino a me un deputato cristiano, cattolico: Pacati, l’onorevole Pacati. Dunque mi disse: ‘Mettiamo Gesù in mezzo adesso che parli’. E io prendo la parola. Sul principio chiasso, urla, ecc.; piano piano si fa il silenzio, alla fine la Camera pareva diventata una chiesa, c’era un silenzio perfetto e io esprimevo le idee che noi impariamo nel nostro Movimento, cioè che la guerra non serve a niente, la guerra è la più grande stupidità, la guerra serve per la morte; noi non vogliamo la morte, noi vogliamo la vita e la vita sta nell’amore, nel cercare l’accordo. (…)Noi tutti quanti dobbiamo reagire, di qualsiasi parte del paese, di qualsiasi partito o fede noi siamo, perché si tratta veramente, sotto tante lacrime, sotto le brutture accumulate dalla guerra e dal fango, si tratta veramente di riscoprire il volto dell’uomo, in cui si riflette il volto di Dio». Lo stenografo parlamentare conclude il suo resoconto della discussione descrivendo gli applausi e le congratulazioni che da ogni parte dell’emiciclo giunsero all’indirizzo di Giordani. Ben presto, attorno a Igino si radunano numerosi parlamentari desiderosi di seguire l’ideale dell’unità. Ricordiamo solo qualche nome: Gaetano Ambrico, Palmiro Foresi, Tarcisio Pacati, Enrico Roselli, Angelo Salizzoni e Tommaso Sorgi, colui che diverrà il principale biografo di Giordani. Con loro, Giordani fa delle cose controcorrente, rispetto al clima dell’epoca. Per esempio, nel 1951 lavora all’«Intesa interparlamentare per la difesa della pace», insieme ad altri 40 parlamentari provenienti dal partito liberale, da quello repubblicano, socialdemocratico e democristiano. Sempre controcorrente, in pieno clima di guerra fredda, il suo pacifismo lo porta nel 1949 a promuovere con un parlamentare socialista, Calosso, la prima legge sull’obiezione di coscienza. Figurarsi le difficoltà che incontrò Giordani quando, come relatore, presentò la proposta alla Camera! Ma le sue convinzioni erano inossidabili: uccidere l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, significa commettere deicidio. «Nasce una nuova coscienza civica, – scrive Giordani – la quale abbatte le divisioni di partiti o fazioni o correnti e di privilegi di casta, di razza, di classe, e, dilatandosi, supera i confini statali. L’impulso comunitario suscitato dall’amore cristiano e spinto sino ad inserirvi Gesù, è un risveglio religioso e sociale, che, se, come noi crediamo, riesce, muta la storia dell’umanità». Certo, proclamare oggi gli ideali di amore e di comunione in politica sembra quanto mai spericolato… ma era spericolato (e forse di più) pure ai tempi di Giordani. Sì, Giordani viveva nella profezia; e pur vivendo con profondo impegno le sfide del tempo, non vi rimaneva intrappolato. La sua era una profezia forte di un Ideale immenso, quello dell’unità, sorretto da una spiritualità moderna e avvincente, che Chiara Lubich ha donato al mondo, e che Igino Giordani ha vissuto anche in politica. Alberto Lo Presti (Direttore del Centro Igino Giordani)(altro…)