L’ultimo viaggio di Papa Francesco in Asia e Oceania è stato finora il più lontano, il più lungo e probabilmente il più impegnativo dal punto di vista fisico che il Papa abbia mai intrapreso. Che significato ha questa visita per le comunità locali? Lo abbiamo chiesto a Paul Segarra, focolarino della comunità indonesiana.
Paul, che significato ha avuto la visita del Papa nel tuo Paese?
“Questo gesto eroico del Papa è per me un’immagine dell’amore di Dio che non conosce limiti e raggiunge i suoi figli più lontani, che non sono certo i meno apprezzati ai suoi occhi – racconta – Il Santo Padre si è preso il tempo di guardarli con amore, di meravigliarsi delle loro doti, di condividere le loro sofferenze e i loro desideri di giustizia e pace, per poi incoraggiarli ad affrontare insieme le loro sfide e a superare i loro limiti. Ma non ha solo pronunciato parole che hanno ispirato e incoraggiato. Ha anche dimostrato, con l’esempio, la forza nella fede, l’apertura alla fraternità e la vicinanza nella compassione che invita i suoi ascoltatori ad acquisire. Lo ha fatto attraverso le sue scelte programmate e i suoi gesti spontanei, ha agito e vissuto con il cuore”.
“Con la rapida diffusione della notizia del suo arrivo – racconta ancora Paul Segarra – molti sono stati anche i commenti, su varie piattaforme social, sul mezzo di trasporto da lui scelto: una sobria berlina bianca, in cui ha preferito sedersi accanto al suo autista invece di occupare il solito sedile posteriore presidenziale. Immagino perché voleva conversare con il suo autista faccia a faccia. Vedendo questo suo gesto, mi sono reso conto con rammarico che avrei potuto fare lo stesso con l’autista che mi ha portato al mio alloggio a Giacarta la sera stessa. In seguito, però, i miei viaggi sono diventati innegabilmente più piacevoli, perché ho preso l’abitudine di conoscere i miei autisti attraverso una conversazione amichevole”.
Paul, come la comunità locale dei Focolari ha vissuto questo evento?
“Alcuni membri delle comunità dei Focolari di Jakarta e Yogyakarta hanno avuto il privilegio di partecipare ad alcuni eventi che hanno visto la presenza del Papa. Nella cattedrale di Jakarta (dedicata a Nostra Signora dell’Assunzione) il Santo Padre ha riconosciuto il lavoro dei catechisti, definendoli “ponti del cuore che uniscono tutte le isole”. Ci siamo commossi quando ha richiamato la nostra attenzione su una statua della Vergine Maria, e l’ha indicata come modello di fede che accoglie tutti, anche se veglia e protegge il popolo di Dio come Madre della Compassione”.
Papa Francesco e l’Imam Umar hanno firmato una Dichiarazione congiunta. Che futuro vedete per i cristiani e i musulmani insieme dopo questa firma?
“Tomy, uno dei nostri fotografi che ha coperto la visita del Papa alla Moschea di Istiqal e ha sopportato lunghe ore di attesa sotto il caldo della città, era visibilmente commosso quando il Santo Padre è finalmente arrivato e li ha salutati dalla sua auto. Assumendo una posizione discreta appena fuori dall’ingresso del tunnel sotterraneo e pedonale che collega fisicamente la Grande Moschea alla Cattedrale dall’altra parte della strada, è riuscito a catturare il momento in cui Papa Francesco e l’Alto Imam Umar hanno firmato la Dichiarazione di Fraternità davanti a una piccola folla di vescovi, imam e altre personalità religiose e diceva che aveva grandi speranze che questa visita possa creare una vera armonia tra tutte le persone di fede. E cos’è la fede, se non vedere, agire e vivere con il cuore?”
Chiara Lubich ne ebbe un’intuizione nel 1977, quando ricevette a Londra il Premio Templeton per il progresso della religione. Da allora la diffusione mondiale dello spirito dei Focolari ha contribuito ad aprire un dialogo con tutte le principali religioni del mondo. Una strada che neppure Chiara aveva immaginato all’inizio, ma che Dio le ha indicato, le ha svelato nel tempo, attraverso eventi, circostanze, quale strada per raggiungere l’unità. In questo breve stralcio, Chiara, rispondendo a una domanda sul rapporto con le altre religioni, rivela il segreto per costruire la vera fratellanza universale: il cercare ciò che ci unisce nella diversità. La domanda posta a Chiara è letta da Giuseppe Maria Zanghì, uno dei primi focolarini. (Da una risposta di Chiara Lubich all’incontro degli amici musulmani, Castel Gandolfo, 3 novembre 2002)
Giuseppe Maria Zanghì: La domanda è questa: “Vorrei chiedere – o vorremmo chiedere -: come si è trovata, come ti sei trovata tu, Chiara, con il rapporto con le altre religioni, e cosa senti dentro di te?”
Chiara Lubich: Con il rapporto con gli altri fedeli di altre religioni io mi sono sempre trovata benissimo! Perché anche se sono diverse c’è tanto in comune, abbiamo tanto in comune, e questo ci unisce; la diversità invece ci attrae, ci incuriosisce. Per cui, per due motivi sono contenta: perché vengo a conoscere altre cose, mi inculturo nella cultura dell’altro, ma anche perché trovo fratelli uguali, perché crediamo in tante cose uguali. La più importante – ve l’ho già detta l’altra volta – è la famosa “regola d’oro”, è questa frase: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Questa frase è presente in tutte le più importanti religioni, nelle loro scritture, nei loro libri sacri. E’ anche nel Vangelo per i cristiani. Questa frase vuol dire – non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te -: tratta bene i tuoi fratelli, abbi tanta stima dei tuoi fratelli, ama i tuoi fratelli. E allora quando loro scoprono questa frase nella loro Scrittura, io scopro la stessa frase nella mia Scrittura, io amo, loro amano, ecco che ci amiamo, e questa è la base per iniziare la fratellanza universale, la prima cosa, la “regola d’oro”. La seconda domanda: “Che cosa senti dentro di te quando incontri un fratello di un’altra religione o una sorella?”. Sento un grande desiderio subito di fraternizzare, di fare unità, di trovarmi in un rapporto fraterno. […]
Il tema dell’ascolto e della pratica è un tema fondamentale sul quale insiste l’autore del versetto di questo mese. La lettera, infatti, continua: «Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla» (Gc 1,25). Ed è proprio questo impegno di conoscere le Sue parole e di viverle che ci rende liberi e ci dà gioia.
Si potrebbe dire che il versetto biblico di questo mese è di per sé il motivo stesso della pratica della Parola di Vita che si è diffusa in tutto il mondo. Una volta a settimana, e poi una volta al mese, Chiara Lubich sceglieva una frase compiuta della Scrittura e la commentava. Ci si incontrava, si condividevano i frutti di quanto essa aveva operato attraverso le esperienze di vita, si andava creando una comunità unita che mostrava in germe i risvolti sociali di cui era capace.
«Pur nella sua semplicità, l’iniziativa ha offerto un notevole contributo alla riscoperta della Parola di Dio nel mondo cristiano del Novecento»[1], trasmettendo un “metodo” per vivere il Vangelo e metterne in comune gli effetti.
«Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori illudendo voi stessi».
La lettera di Giacomo riprende quanto Gesù ha annunciato per far vivere e sperimentare la realtà del Regno dei cieli fra di noi: dichiara beato chi ascolta la sua parola e l’osserva; riconosce come madre e fratelli suoi coloro che la ascoltano e la mettono in pratica; la paragona al seme che, se cade sul terreno buono, cioè su coloro che la ascoltano con cuore integro e buono e la custodiscono, questi producono frutto con la loro perseveranza.
«In ogni sua Parola Gesù esprime tutto il suo amore per noi — scrive Chiara Lubich. Incarniamola, facciamola nostra, sperimentiamo quale potenza di vita sprigiona, se vissuta, in noi e attorno a noi. Innamoriamoci del Vangelo fino al punto da lasciarci trasformare in esso e traboccarlo sugli altri. […] Toccheremo con mano la libertà da noi stessi, dai nostri limiti, dalle nostre schiavitù,
non solo, ma vedremo esplodere la rivoluzione d’amore che Gesù, libero di vivere in noi, provocherà nel tessuto sociale in cui siamo immersi»[2].
«Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori illudendo voi stessi».
Come mettere in pratica la parola? Guardiamoci intorno e facciamo di tutto per metterci al servizio di quanti sono in necessità con piccoli o grandi gesti di cura vicendevole, trasformando le strutture ingiuste della società, contrastando la violenza, favorendo gesti di pace e di riconciliazione, crescendo nella sensibilità e nelle azioni a favore del nostro pianeta.
Un’autentica rivoluzione irrompe così nella nostra vita e in quella della comunità in cui viviamo, nell’ambiente di lavoro in cui operiamo.
L’amore si manifesta nelle azioni sociali e politiche che cercano di costruire un mondo migliore. Dall’impegno di una piccola comunità dei Focolari verso le persone più fragili, nasce in Perù un Centro per gli anziani intitolato alla fondatrice del Movimento, aperto a Lámud, una città nell’Amazzonia peruviana, a 2.330 metri sopra il livello del mare.
«Il Centro è stato inaugurato in piena crisi pandemica e ospita 50 persone anziane e sole. La casa, l’arredamento, le stoviglie e anche il cibo sono arrivati in dono dalla comunità vicina. È stata una scommessa, non esente da difficoltà e ostacoli, ma a marzo 2022 il Centro ha celebrato il suo primo anniversario, aprendo le porte alla città, con una festa, dove anche le autorità politiche hanno partecipato. I due giorni di celebrazioni hanno arruolato nuovi volontari, adulti e bambini, che vogliono prendersi cura dei nonni soli, allargando la loro famiglia»[3].
A cura di Patrizia Mazzola e del team della Parola di vita
[1] C. Lubich, Parole di Vita, Introduzione, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 9
[2] Lubich, Parole di Vita, Introduzione, a cura di Fabio Ciardi, (Opere di Chiara Lubich 5), Città Nuova, Roma 2017, p. 790
L’IDEA DEL MESE,sulla base di testi della Parola di Vita, è nata in Uruguay nell’ambito del dialogo fra persone di diverse convinzioni religiose e non religiose, il cui motto è “costruire il dialogo”. Lo scopo di questa pubblicazione è contribuire a promuovere l’ideale della fraternità universale. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 Paesi.
Probabilmente avremo sperimentato anche noi quanto sia difficile trasformare in azione quello che in certi momenti sentiamo fortemente nel profondo del cuore e nell’interiorità della coscienza. Un aiuto può essere quello di vivere insieme un pensiero che guidi le giornate, sapendo che non si è da soli e che si fa parte di una rete mondiale. Con questo intento è nata in Uruguay, da alcune persone appassionate di dialogo e dell’ideale dell’Unità, l’Idea del Mese.
Intorno a queste intuizioni sono cresciuti gruppi di riflessione e condivisione di esperienze e, ormai, l’appuntamento mensile è atteso in tutto il mondo. Potrebbe diventare solo un’abitudine? Un generico buon proposito da divulgare come tanti altri su gruppi virtuali online? Certamente questo è il rischio più grande per iniziative di questo genere. Non accontentiamoci di parole vuote e di luoghi comuni ripetuti. Gli inglesi hanno il proverbio: “le azioni parlano più forte delle parole”. Nei Paesi Bassi, il detto: “le chiacchiere non riempiono i buchi”. Queste espressioni non nascono per caso. C’è una parola che mette al sicuro da questo rischio: la parola è “coerenza”.
Nel libro The Book Of Joy, il Dalai Lama e Desmond Tutu[1]nel loro dialogo evidenziano alcuni punti che possono aiutarci a vivere coerentemente. Innanzitutto: ascoltiamo la nostra coscienza. Ognuno personalmente valuti quali sono i desideri del proprio cuore che sicuramente hanno a che fare con quei valori umani che danno un senso di felicità. Quindi farsi la domanda: quello che voglio davvero è qualcosa solo per me o anche per gli altri? al servizio di pochi o di molti? per ora o per il futuro? A questo punto: dichiarare l’intenzione per questo giorno, con impegni concreti, anche piccoli: “oggi voglio salutare tutti; oggi sarò meno giudicante; oggi più paziente…”
Ma dove trovare il coraggio di fare ciò che dice la coscienza? Bisogna discutere con persone sagge, mettersi alla prova disposti a non aver sempre ragione. Quando la decisione è matura, partire insieme. Prendersi regolarmente del tempo per ricalibrare, rinnovare, rafforzare gli obiettivi e non lasciare che delusioni, scarsa collaborazione, abitudini li offuschino o li oscurino.
È stata questa la testimonianza di un indimenticabile uomo di dialogo – Piero Taiti – quando ha conosciuto l’esperienza del Movimento dei Focolari. I viaggi nella cittadella di Fontem in Africa, il rapporto personale con i “focolarini”, persone che sentiva di stimare perché vivevano prima di parlare e lavoravano con mente aperta fianco a fianco a chi come lui non si riconosceva nella stessa fede religiosa, furono un punto di incontro di valori autenticamente e profondamente umani trovato poi personalmente nell’amicizia con Chiara Lubich. Fino alla fine, come padre di famiglia, sposo, medico, politico e amico fidato di tanti che ne riconoscevano la caratura morale, Piero ha vissuto e trasmesso con i fatti la forza di questo incontro autentico.
Non parole, ma azioni. Questo dà energia a una persona. Questo rende felici dentro. Così facendo, si rende un servizio al prossimo.
[1]The Book of Joy: Lasting Happiness in a Changing World, Tenzin Gyatso, the 14th Dalai Lama, and Archbishop Desmond Tutu with Douglas Abram published in 2016 by Cornerstone Publishers
L’IDEA DEL MESE,sulla base di testi della Parola di Vita, è nata in Uruguay nell’ambito del dialogo fra persone di diverse convinzioni religiose e non religiose, il cui motto è “costruire il dialogo”. Lo scopo di questa pubblicazione è contribuire a promuovere l’ideale della fraternità universale. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 Paesi.
La famiglia ecumenica di tutto il mondo si unisce per ascoltare e prendersi cura della nostra casa comune. Come di consueto il 1° settembre inizia il Tempo del Creato, un periodo di preghiera e riflessione associato ad azioni concrete per la cura del Pianeta Terra. Evento che si concluderà il 4 ottobre con la festa di San Francesco d’Assisi, patrono dell’ecologia amato da molte confessioni cristiane. Il Movimento dei Focolari aderisce all’iniziativa. Dalla Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani di gennaio scorso ad oggi abbiamo vissuto la fase di “Preparazione” per il Tempo del Creato, fondamentale per creare legami e relazioni, rinnovando la gioia di incontrarsi e coltivando i doni della comunione e della pace come Popolo di Dio insieme alla nostra casa comune.
Tema del 2024
Il tema di quest’anno è Sperare e agire con la Creazione. Dove nasce questo tema? Nella lettera dell’apostolo Paolo ai Romani, l’immagine biblica raffigura la Terra come una Madre, che geme come durante il parto (Rm 8:22). San Francesco d’Assisi lo aveva capito quando nel suo Cantico delle Creature si riferiva alla Terra come a nostra sorella e nostra madre.
Purtroppo i tempi in cui viviamo dimostrano che non ci rapportiamo alla Terra come a un dono del nostro Creatore, piuttosto come una risorsa da utilizzare.
Può esserci ancora una speranza?
Certo, deve esserci, insieme ad un’aspettativa per un futuro migliore. Sperare nel contesto biblico non significa restare fermi e silenziosi, ma piuttosto gemere, piangere e lottare attivamente per una nuova vita in mezzo alle difficoltà. Proprio come durante il parto – riprendendo la raffigurazione dell’apostolo Paolo -, attraversiamo un periodo di dolore intenso ma sta nascendo una nuova vita.
La speranza è un dono di Dio. Solo attraverso la speranza possiamo realizzare in pienezza il dono della libertà, che insieme alla responsabilità ci consentono di rendere il mondo un posto migliore. Solo quando collaboriamo con il Creato possono nascere le primizie della speranza.
Sperare e agire
La speranza è fiducia che la nostra azione abbia un senso, anche se i risultati di questa azione non si vedono immediatamente. Sappiamo quanto sia urgente un’azione coraggiosa per contenere la crisi climatica ed ecologica, e sappiamo anche che la conversione ecologica è un processo lento poiché gli esseri umani sono ostinati a cambiare le loro menti, i loro cuori e il loro modo di vivere. A volte non sappiamo come dovrebbero essere le nostre azioni. C’è molto che possiamo imparare da altre culture e paesi su come sperare e agire insieme al Creato.
Quest’anno il 1° settembre è una domenica, siamo tutti invitati a celebrare l’inizio del Tempo del Creato nei nostri rispettivi Paesi e comunità.
È una tensione continua perché la nostra natura ama se stessa.
Spesso la cronaca registra sciagure, terremoti, cicloni che fanno vittime, feriti, senza casa. Ma una cosa è esser uno di loro e un’altra cosa è esser noi.
E anche se la provvidenza ci offre qualcosa per correre in loro soccorso, noi non siamo mai i danneggiati.
Domani potrà esser l’inverso: io su un letto (se mi è dato un letto!) di morte e gli altri fuori al sole a godersi, come possono, la vita.
Tutto quanto Cristo ci ha comandato supera la natura.
Ma anche il dono che egli ci ha fatto, quello menzionato alla samaritana, è di natura non umana. Così che l’aggancio col dolore del fratello, con la gioia e con le preoccupazioni dell’altro, è possibile perché abbiamo in noi la carità che è di natura divina.
Con questo amore, e cioè quello cristiano, il fratello può esser veramente confortato e domani io da lui.
E in tal modo è possibile vivere, ché altrimenti la vita umana sarebbe assai dura, difficile, anzi alle volte parrebbe impossibile.
(Da Diario 1964-1980, Chiara Lubich, Città Nuova, 2023)
L’edizione del Diario di Chiara Lubich è stata curata da Fabio Ciardi. Vi invitiamo a vedere l’intervista da noi realizzata al momento della presentazione.
Nei primi giorni di agosto a Trento, in Italia, si è svolta la scuola Foco, un congresso del Movimento dei Focolari per i e le Gen3, la generazione adolescenziale del Movimento.
Hanno partecipato in 350 – dai 14 ai 17 anni insieme agli assistenti dai 18 anni in su –, provenienti da 19 nazioni con 12 lingue diverse. Poco più di una settimana per approfondire temi adolescenziali, vivere in profondità il rapporto con Dio, scoprire come l’Ideale dell’unità e della fratellanza universale è possibile viverlo e costruirlo giorno dopo giorno nonostante la minaccia di guerre in varie parti del mondo. Inoltre si è svolto il festival dei popoli dove ogni nazione poteva rappresentarsi attraverso canti, balli, vestiti, foto, cibo locale. Un modo per conoscere la cultura dell’altro e costruire un pezzetto di mondo più unito e fraterno.
Ecco alcune testimonianze.
Sofia, Italia: “Ho deciso di partecipare alla scuola Foco per avere un rapporto più intimo con Gesù. Da questa scuola ho imparato il modo di amare sempre le persone che mi stanno accanto. Riesco ad affrontare meglio momenti di difficoltà e di dolore sentendomi più vicina a Gesù”.
Veronika, Croazia: “Ho vissuto uno spirito unito che sgorga dal desiderio di pace e di comunità, che si basa sulla preghiera e sul dialogo con Dio. Dopo aver ascoltato le testimonianze sulla violazione della pace, sulla lotta per mantenere la pace in sé stessi, in famiglia, nel proprio Paese, in me si è risvegliato il desiderio di fare di tutto per mantenerla in questi luoghi”.
Naomi, India: “Ho frequentato la Scuola Foco per migliorare la mia relazione con Dio. Al termine ciò che mi sono portata a casa è stato il modo in cui posso trarre conforto durante i momenti di difficoltà o di dolore, pensando a Gesù abbandonato in Croce. Ma ho scoperto anche il potere della riconciliazione attraverso la confessione. Cercherò di usare sempre tutta me stessa per propagare il Vangelo e rendere la mia città un luogo d’amore”.
Tomás Portogallo: “Durante il Festival dei Popoli, sono stato orgoglioso di mostrare il nostro Paese e allo stesso tempo conoscere le culture di altri Paesi. Dopo questa scuola, mi manca tutto quello che ho vissuto lì, ma voglio anche vivere ogni giorno quello che ho imparato lì”.
Emanuel, Croazia: “Alla scuola Foco mi è piaciuta la festa dei Popoli. Abbiamo potuto conoscere culture diverse e piatti tradizionali. Lì ho conosciuto tanti amici e provato varie specialità. Rivivrei volentieri questa esperienza altre 100 volte”.
Gloria, Brasile: “Ho sentito dei cambiamenti nel mio rapporto con Dio. All’inizio non riuscivo a connettermi con Lui e a sentirlo nelle persone, ma so che dopo tutte le esperienze ascoltate e le riflessioni vissute, posso facilmente sentirlo in ogni situazione. Inoltre, ho imparato ad aiutare le persone che non mi piacciono, ad aiutare le persone con problemi e a identificare Dio in ognuno”.
Sarahi, Messico: “Ho capito che, pur vivendo in Paesi diversi e persino in continenti molto lontani, l’Ideale dell’unità può essere sempre vissuto. È stata un’esperienza molto bella soprattutto conoscere la cultura di altri Paesi, il cibo, i loro vestiti, alcune parole e tradizioni. Quello che ho portato via dalla scuola è che prima di tutto ho smesso di avere paura della confessione e questo ha fatto crescere la mia fede in Dio. La messa quotidiana mi ha aiutato molto, spero di continuare ad andarci ogni domenica di mia spontanea volontà”.
Sebastian, Croazia: “Mi è piaciuto quando abbiamo rappresentato i nostri Paesi alla festa dei popoli: ognuno mostrava qualche tradizione del proprio Paese. Era molto divertente quando la sera giocavamo a calcio e ci si conosceva così. Il momento preferito è stata la festa finale in cui abbiamo cantato e ci siamo divertiti. La mia vita è cambiata dopo la scuola, ora cerco di vivere il Vangelo amando le persone intorno a me”.
Silvia, Italia: “Dopo la scuola la mia vita si è stravolta e ho iniziato a vedere il mondo con occhi diversi. È stata l’esperienza più significativa della mia vita e mi ha fatto venire voglia di riuscire ad assomigliare a quello che Chiara Lubich ha sempre voluto dai Gen”.
Anna, Italia: “Consiglio vivamente ai Gen che non hanno ancora frequentato una Scuola Foco di farlo! Vi divertirete un sacco, posso garantire”.
Jakov, Croazia: “Alla scuola Foco ho capito l’importanza dell’unità. Quando sono arrivato, tutti erano accoglienti, sembrava di essere un’unica famiglia. Raramente ho provato questa sensazione prima, forse mai. Inoltre, ho capito come amare e vuol bene tutti, indipendentemente da chi sono e dal loro background. Mi piacerebbe vivere altri incontri di questo tipo, è stata un’esperienza indimenticabile”!
Julia, Brasile: “Mi porto a casa l’amore incommensurabile di Gesù per me e per tutti, così come la speranza e la sensazione di volere che un mondo unito diventi realtà. Vedere che Gesù ama ognuno di noi e poter sentire il suo amore alla Scuola Foco è stata una delle esperienze più belle che ho fatto e la porterò sicuramente con me. Ho ritrovato la speranza e la fede. Ora la sfida sarà portare l’amore e l’unità che ho sentito a scuola nel “mondo reale”, a casa, a scuola, con i miei amici. Ma sono i ricordi e l’amore per ciò che ho imparato in quell’esperienza che mi spingono a non arrendermi e a lottare per un mondo unito”!
Maria Teresa, Italia: “Ho partecipato alla Scuola Foco poiché sentivo il desiderio di voler conoscere di più le origini del movimento dei Focolari. Da questa Scuola porto a casa la speranza di un futuro migliore per la nostra generazione. La mia vita è migliorata perché ho capito che devo guardarla in un’altra prospettiva, fare di ogni ostacolo una pedana di lancio! Essendo molto insicura, ho sempre paura a suonare il violino in pubblico. Quando infatti mi è stato proposto di suonare alla scuola ero un po’ turbata. Poi un giorno si è parlato di come ognuno di noi possa donare agli altri un suo talento o una propria qualità, che Chiara Lubich chiama “perla”. Allora ho deciso di donare la mia perla agli altri e mentre suonavo con un’altra Gen, un gruppo di ragazzi e ragazze si è avvicinato per accompagnarci con il canto, donandoci supporto. Ho vissuto il passo del Vangelo di Luca (Lc 6,38) “Date e vi sarà dato”.
Elena, Italia: “Al termine di questa scuola, mi porto a casa ciò che ho capito durante una giornata dedicata a Gesù nel suo dolore, abbandonato in Croce. Mi ha colpito profondamente anche perché, grazie alle testimonianze dei Gen, sono riuscita a capire come superare un dolore grazie all’amore”.
Tomás, Portogallo: “Ho portato a casa la scoperta di Gesù abbandonato, il potere della preghiera, oltre ad essermi confessato. Porterò l’amore di Dio ovunque io vada, ho rafforzato la mia fede, ho imparato molto da questa scuola”.
Trieste è una città situata nel nord-est Italia, al confine con la Slovenia. Storicamente rappresenta un crocevia di culture, lingue, religioni. E oggi è uno dei primi punti d’approdo in Europa per i migranti che transitano per la rotta balcanica. Persone con un bagaglio di sofferenze, guerre, persecuzioni.
A Trieste la comunità del Movimento dei Focolari, in sinergia con altre istituzioni, si adopera per dare una prima accoglienza ai migranti.
“Il problema più grande è la percezione del problema stesso – racconta Claudia, della comunità locale -. Non si tratta infatti di un’emergenza, un’invasione ingestibile come spesso viene raccontata ma di un fenomeno strutturale che è la realtà di questo nostro presente storico. Un flusso continuo di persone in arrivo che, se opportunamente accolte e ridistribuite, possono persino diventare risorsa per la nostra città e per il nostro Paese. Se il fenomeno migratorio non viene capito e affrontato con gli strumenti opportuni, è destinato a generare diffidenza, paura, insofferenza, rifiuto”.
Nell’autunno dello scorso anno, in previsione dell’emergenza freddo, il Vescovo di Trieste Mons. Enrico Trevisi ha espresso la volontà di aprire un dormitorio come risposta concreta per l’accoglienza ai migranti. Un gruppetto di persone dei Focolari hanno risposto all’appello del Vescovo offrendosi come volontari assieme ad altre associazioni cattoliche e a singoli cittadini. “Per noi non si tratta solo di un mero servizio caritatevole – spiega Claudia -, ma l’occasione di incontrare in ogni prossimo un fratello, una sorella da amare anche nelle piccole cose: un sorriso nell’offrire il pasto, lo scambio di qualche parola. Spesso questi fratelli ci raccontano pezzi della loro storia, i loro dolori, le loro speranze, ci mostrano le foto dei figli, ma anche si scherza e si condivide il tempo in serenità. Alcuni di noi, inoltre, hanno seguito più da vicino alcuni migranti sia nel caso di un ricovero ospedaliero sia nell’affiancamento per la redazione del curriculum mirato alla ricerca di un lavoro”.
Sandra della comunità dei Focolari aggiunge: “Troviamo il tempo per conoscere i migranti, le loro storie, i loro bisogni. Stanno nascendo piccole e grandi esperienze che ci hanno visto coinvolti nell’aiutare anche fuori dal turno del dormitorio, e queste ci stimolano tantissimo a continuare. I turni ci hanno permesso di donarci con gli altri volontari e scoprire che tanti di loro pur non frequentando associazioni o parrocchie hanno risposto all’appello del Vescovo”.
“Pian piano crescono i rapporti, un segno di unità anche per la Chiesa locale – aggiunge Claudia -. Questa esperienza, unita alla recente Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, alla presenza di Papa Francesco, porterà grande linfa a questa nostra città di frontiera”.
“A Trieste ho conosciuto i migliori volontari, quelli che non si limitano a distribuire cibo – racconta un’ospite del dormitorio diocesano -. Soddisfare la fame dei bisognosi e curare le ferite dei malati sono compiti nobili perché sono i più urgenti e necessari. Esistono però altri bisogni estremamente importanti per l’essere umano, la salute delle sue emozioni, sintomi dello stato della sua anima. Non è una questione individuale o minore, è ciò che fa la differenza tra le azioni che hanno un impatto momentaneo e quelle che persistono e permeano l’intera società”. “I migliori volontari – continua – lo fanno perché sono consapevoli che i bisognosi non sono depositari della carità, siamo persone con una storia che vale la pena ascoltare. Sanno che ogni migrante porta dentro di sé un lutto per le radici perdute, allo stesso tempo una speranza che colpisce contro i muri il sistema e una lotta incessante per la sopravvivenza”. “I migliori volontari – conclude – si commuovono di fronte a questa umanità adolescente e sono incoraggiati ad ascoltare le nostre storie, senza fermarsi davanti alle barriere linguistiche: insegnano l’italiano, imparano lo spagnolo, usano la tecnologia, rinunciano al loro tempo personale, investono la loro energia nel bene comune, sognano una comunità in cui tutti possiamo offrire il meglio di noi stessi”.
La sede di Pedrinhas (SP, Brasile) della Fazenda da Esperança accoglie giovani e adulti che stanno affrontando fasi diverse del recupero dalla tossicodipendenza e da varie forme di dipendenza e disagio sociale. Non poteva esserci posto migliore per ospitare il convegno di UNIRedes, la piattaforma di ONG, progetti sociali, umanitari e di agenzie culturali che si ispirano alla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich in America Latina. Erano presenti 140 persone di 37 delle 74 organizzazioni partners di UNIRedes, attive in 12 paesi di America Latina e Caraibi.
Scopo del convegno era presentare il lavoro di questi anni a Margaret Karram e Jesús Morán presenti all’incontro; definire i prossimi passi comuni a tutte le organizzazioni partner e rinsaldare il legame con il Movimento dei Focolari per poter condividere, anche oltre il continente Latino-americano, l’esperienza maturata.
UNIRedes: una rete di reti
Maria Celeste Mancuso, argentina, co-responsabile internazionale del Movimento Umanità Nuova, spiega che UNIRedes non è solo un super progetto solidaristico: “È anche uno spazio che genera una riflessione culturale per individuare le categorie antropologiche ed epistemologiche necessarie per generare una nuova cultura della cura della persona e delle società latino-americane”. È per questo motivo che anche le agenzie culturali ispirate al carisma dell’unità come l’Istituto Universitario Sophia (Loppiano, Italia), la sua sede locale, Sophia America Latina e Caraibi (ALC) e il Centro Universitario ASCES UNITA di Caruaru (PE) ne fanno parte a pieno titolo.
Virginia Osorio, uruguayana, una delle iniziatrici del progetto, ne spiega le origini: “I continui cambiamenti politici ed economici dei nostri Paesi rendevano le nostre organizzazioni sempre più fragili e isolate. Con UNIRedes abbiamo ritrovato un luogo in cui rafforzarci a vicenda e condividere sofferenze e speranze. L’ultimo nostro progetto è stato per il Genfest: centinaia di giovani hanno fatto volontariato presso molte delle nostre organizzazioni, vivendo sulla propria pelle esperienze di fraternità e vicinanza ai più poveri”.
La radice comune: “morire per la propria gente”
La prima radice di UNIRedes non si fonda su analisi geopolitiche o economiche: bisogna tornare all’inizio degli anni ’70 quando anche i Gen, i giovani dei Focolari, come molti dei loro coetanei in tanti paesi, volevano cambiare il mondo e portare uguaglianza, giustizia, dignità.
Chiara Lubich, che li incontrava frequentemente, aveva supportato e confermato la necessità di fare una rivoluzione sociale pacifica, specialmente in America Latina, continente che vedeva identificato con questa speciale vocazione. Diceva ai giovani dei Focolari che: “Ognuno deve sentire che dobbiamo morire sì per l’umanità, ma bisogna che troviamo il nostro Gesù Abbandonato locale per morire per la nostra gente”[1].
“È così che molti sono andati nelle periferie delle città, nelle favelas, ovunque la povertà toglieva dignità alle persone” – racconta Gilvan David, brasiliano, del gruppo latino-americano di articolazione di UNIRedes. “Sono nate le prime NGO e nel frattempo tentavamo di strutturarci, ma non bastava: ‘Voi venite da noi – ci dicevano i poveri – però poi andate via e ci lasciate soli’. Per rispondere a questo grido abbiamo iniziato ad operare in rete con le politiche pubbliche locali e nello stesso periodo, anche diversi sacerdoti che vivevano la spiritualità dell’unità hanno fondato progetti sociali: Frei Hans con la Fazenda da Esperança, padre Renato Chiera con la Casa do Menor e altri”.
Un’ “unica” America Latina
“Poi sono nati i primi gruppi di organizzazioni – continua Gilvan David – ‘Sumá Fraternidad’, che raccoglieva i progetti di alcuni paesi di lingua spagnola; l’associazione civile ‘Promocion Integral de la Persona’ (PIP) in Messico e le organizzazioni sociali brasiliane continuavano a crescere, trovando la propria identità e spazio di servizio. Non sono stati anni facili, ma abbiamo cominciato vari percorsi in diversi territori della America Latina per sostenerne l’impegno sociale che poi sono confluiti in UNIRedes. Ci siamo riuniti diverse volte, ma l’incontro fondativo è stato nel 2014, presenti anche Emmaus Maria Voce e Giancarlo Faletti, allora Presidente e Co-presidente del Movimento dei Focolari. Emmaus in quell’occasione disse: ‘Voi date al Movimento una nuova visibilità̀, un nuovo senso alla sua azione, siete una testimonianza per chi vi guarda da fuori; date visibilità completa al Carisma attraverso azioni concrete’. Direi che è stato allora che ci siamo riconosciuti come realtà unica per tutta l’America Latina: ci siamo ritrovati abbracciati dal Carisma dell’unità”.
Sono stati molti e di sostanza i contributi che hanno costruito questo convegno, insieme alla presentazione delle diverse organizzazioni partner.
Juan Esteban Belderrain: dalla disuguaglianza alla speranza
Il politologo argentino Juan Esteban Balderrain ha analizzato la piaga della disuguaglianza di cui l’America Latina detiene il primato mondiale. “Si tratta di costruire una visione di questo continente che parta dalla speranza e questo è possibile perché, se guardiamo alla radice più profonda del problema della disuguaglianza, troviamo la perdita del riferimento a quel Dio che è amore e che ci aiuta a capire che siamo fratelli e sorelle gli uni degli altri e con la natura, che è anche espressione del suo Amore. Riferendosi al XX secolo, Paolo VI disse che quello era un tempo benedetto poiché esigeva da tutti la santità. Penso che queste parole valgano anche per il nostro”.
Padre Vilson Groh: la “mistica degli occhi aperti”
Da oltre 40 anni Padre Vilson vive nel “morro”, una favela di Florianopolis (Santa Catarina, Brasile), portando avanti progetti sociali soprattutto per i giovani. Ha parlato della “mistica degli occhi aperti”: “Dobbiamo portare le nostre organizzazioni nelle cantine oscure delle nostre periferie; essere lì una speranza. Il Genfest ha portato la prospettiva dell’“insieme”, che papa Francesco promuove. Questo richiede un cammino paziente, resiliente; domanda di essere saldi nella ricerca del bene comune. L’unità è superiore al conflitto, dice sempre il papa, e l’unità è pluralità. Portiamo la diversità dentro le nostre organizzazioni: il carisma dell’unità è una porta affinché Cristo piagato apra spazi”.
Vera Araujo: America Latina costruttrice di fraternità
L’intervento della sociologa brasiliana si è concentrato su una visione positiva che sa riconoscere il patrimonio culturale e umano latino-americano e lo offre in dono al mondo.
“UNIRedes ha origine nel carisma di Chiara Lubich e può trasformarsi in un’incredibile opportunità anche per il resto del mondo: l’unità vista non solo come valore religioso, ma anche come forza capace di comporre efficacemente la famiglia umana, realizzando un’interazione tra la molteplicità delle persone, preservando le distinzioni nel contesto delle realtà sociali. Qui il carisma dell’unità offre una soluzione non facile, ma un senso, un significato, una Persona: Cristo Abbandonato sulla croce.
“E, per bene amare, – dice Chiara – non vedere nelle difficoltà e storture e sofferenze del mondo solo mali sociali cui portare rimedio, ma scorgere in esse il volto di Cristo, che non disdegna di nascondersi sotto ogni miseria umana” [2]
Susana Nuin Núñez: il cammino dei popoli e dei movimenti sociali
La sociologa uruguayana ha descritto il cammino e la ricchezza sociale, politica, economica dei popoli del continente e di alcuni movimenti sociali. “Queste reti con le loro più svariate fisionomie, con i loro sviluppi nelle pratiche sociali o nel mondo accademico, agiscono in modo complementare, generando un indiscutibile tessuto socio-culturale dal multiforme carattere comunitario di cui l’America Latina è portatrice”. Sottolinea poi la peculiarità di UNIRedes che da oltre dieci anni è un soggetto sociale che cura, rivoluziona, trasforma e influisce a partire dal Vangelo e dalla parola dell’unità.
Margaret Karram e Jesús Morán: UNIRedes è parte del Movimento dei Focolari
“Chi vuole vivere il Vangelo in questa regione è sempre in crisi perché vede disuguaglianze costantemente” – evidenzia Jesús. “L’unità non può non assumere questa realtà. Come facciamo l’unità in questo continente, senza tener presente gli scartati dalla società? Quello che voi fate come UNIRedes deve informare tutto il Movimento in questa regione; non è credibile il suo lavoro per l’unità se non avviene anche attraverso le opere sociali. Certo, non saremo noi a risolvere i problemi sociali. L’unica cosa che possiamo fare è far sì che la gente si converta all’amore. Se tocchiamo i cuori, qualcuno coglierà lo spirito e nella libertà capirà come vivere il Vangelo”.
Margaret incoraggia UNIRedes ad andare avanti: “Ora bisogna capire come far arrivare a tutti nel mondo la vostra vita e il vostro esempio. Citando una conversazione di Chiara Lubich del 1956, ha ribadito che nel suo impegno sociale il Movimento non deve dimenticare che la chiave per la soluzione dei problemi che il Carisma dell’unità offre sta nella novità della reciprocità più che nella giustizia. Promuove la condivisione, il mettere in comune tra tutti quel poco o tanto di cui si dispone per creare un Bene Comune maggiore che, oltre a risolvere i problemi sociali, produce quella realizzazione umana e spirituale che accade solo nella comunione tra tutti. Infine Margaret lancia una proposta: “Aggiungere un nuovo articolo nella vostra Carta dei principi e degli impegni: un patto solenne di fraternità da proporre a chi vuol far parte di UNIRedes: siamo qui per testimoniare l’amore reciproco e solo se avremo questo amore, il mondo crederà”.
“UNIRedes ci parla di speranza” – conclude M. Celeste Mancuso. “È una proposta trasversale e sinodale di rete organizzativa che può ispirare modelli simili per quelle periferie esistenziali di altre parti del nostro vasto mondo. Così si potrà pensare di costruire reti globali di fraternità che promuovano il bene comune”.
Stefania Tanesini
[1] Chiara Lubich alla “Scuola Gen”, Rocca di Papa (Roma, Italia), 15 maggio 1977
[2] Chiara Lubich, Para uma civilização da unidade. Discurso proferido no Congresso “Uma cultura de paz para a unidade dos povos”, Castelgandolfo, (Roma) 11-12 de junho de 1988
Un giorno una persona che collabora con il nostro centro aveva ricevuto in dono un paio di scarpe sportive nuove n. 43. Ma a chi sarebbero potute servire? Quello stesso giorno veniamo a sapere che un ragazzo di 14 anni che conosciamo aveva proprio bisogno di quelle scarpe e di quel numero! Lui è il figlio di un’amica che in quel periodo era in ospedale. Anche l’altra figlia quel giorno era venuta nel nostro centro ed avevamo saputo che necessitavano di vestiti e medicine. Ci aveva fatto sapere che le sarebbe stato utile un telefonino per stare in contatto con la mamma in ospedale. E…noi ne avevamo ricevuto uno alcuni giorni prima! Fa impressione vedere come c’è sempre “Qualcuno” che ci fornisce giusto quelle cose ad hoc che poi possiamo donare!
Un letto in due minuti
Eravamo ai saluti finali di una domenica trascorsa “in famiglia” (si fa per dire perché attorniati da centinaia di persone) con attività per raccogliere fondi per i nostri giovani. Un amico venezuelano tra i primi conosciuti anni fa, mi aveva presentato un giovane di 18 anni: Jesús. Mi aveva già raccontato qualcosa di quanto vissuto da quando aveva lasciato il Venezuela a 16 anni, da solo! Due anni di avventure sufficienti per fare un film d’azione, con tanti momenti di sospensione. Da quindici giorni era in Perù. Parlando con lui scopro che dorme su un materassino per terra! Diligentemente aveva programmato col primo stipendio (aveva infatti trovato subito lavoro in Perù) di risolvere il problema documenti e poi pensare al letto. In quel momento non avevo soluzioni, ma ci siamo ripromessi di rimanere in contatto. Poco dopo averlo salutato incontro una nostra collaboratrice che, senza sapere nulla delle esigenze di Jesus, mi chiede: “Allora, con quel letto cosa facciamo?”. “Ma come? Lo hai ancora?” domando sorpreso. “Sì!” mi dice. Richiamo subito Jesús che stava lasciando il Centro. Ci ha raggiunto immediatamente e, alla notizia che già c’era il letto per lui, fortissima è stata la luce che ho visto nei suoi occhi. Non erano passati due minuti da quando gli avevo detto che avrei cercato di trovare una soluzione!
Ecografie gratis
Molti dei migranti che arrivano nel nostro centro hanno bisogno di cure mediche e, a volte, anche di accertamenti diagnostici. E’ di qualche tempo fa un’altra benedizione dal Cielo: un centro medico vicino a noi ci ha offerto la possibilità di realizzare ecografie gratis. Vogliono dare questa possibilità a coloro che non hanno come pagare questi esami. Davvero un regalo per tanti dei nostri pazienti.
Il Condominio Espiritual Uirapuru (CEU) è una realtà nata a Fortaleza (Brasile) alcuni anni fa, la scelta dell’unità tra carismi è alla base della vita comunitaria. Sono 23 le realtà che qui convivono e collaborano per il recupero, la protezione e la valorizzazione della dignità umana.
In questo incrocio di Paesi dove confluiscono i fiumi Iguaçu e Paranà, c’è la frontiera più trafficata dell’America Latina; l’area è caratterizzata da una grande diversità culturale e dalla presenza secolare dei popoli indigeni, come il grande popolo Guaraní. Il turismo è la maggior risorsa economica di questa regione in cui la gente arriva soprattutto per visitare le Cascate dell’Iguaçu che sono le più estese al mondo, con una larghezza di 7.65 Km e sono considerate una delle sette meraviglie naturali del pianeta.
Nel suo messaggio di benvenuto, Tamara Cardoso André, Presidente del Centro per i Diritti Umani e la Memoria Popolare di Foz do Iguaçu (CDHMP-FI) spiega che in questo luogo si vuol dare un significato diverso ai confini nazionali: “Vogliamo che la nostra triplice frontiera diventi sempre più un luogo di integrazione, una terra che tutti sentano propria, come la intendono i popoli originari che non conoscono barriere”.
Foz do Iguaçu, ultima tappa
È qui che si conclude il viaggio di Margaret Karram e Jesús Morán – presidente e co-presidente del Movimento dei Focolari – in Brasile. Lo hanno percorso da Nord a Sud: dall’Amazzonia brasiliana, passando per Fortaleza, Aparecida, la Mariapoli Ginetta a Vargem Grande Paulista, la Fazenda da Esperança a Pedrinhas e Guaratinguetà (SP), fino a Foz do Iguaçu. Qui la famiglia “allargata” della comunità tri-nazionale dei Focolari celebra la sua giovane storia e racconta il contributo di unità che offre a questo luogo: l’abbraccio di tre popoli che la spiritualità dell’unità riunisce in uno, superando i confini nazionali, pur mantenendo ciascuno la propria spiccata identità culturale. Per l’occasione sono presenti anche il Card. Adalberto Martinez, arcivescovo di Asuncion (Paraguay), il vescovo del luogo Mons. Sérgio de Deus Borges, Mons. Mario Spaki, vescovo di Paranavaí e Mons. Anuar Battisti, vescovo emerito di Maringá. È presente anche un gruppo della comunità islamica di Foz con cui ci sono da tempo rapporti di amicizia fraterna.
Popoli con radici comuni
Arami Ojeda Aveiro, studentessa di Mediazione Culturale presso l’Università Federale di Integrazione Latino-americana (UNILA) illustra il cammino storico di questi popoli e le gravi ferite che si sono accumulate lungo i secoli. Il conflitto tra Paraguay da una parte, e Argentina, Brasile e Uruguay dall’altra (1864-1870) è stato uno dei più sanguinosi dell’America del Sud in termini di vite umane, con conseguenze sociali e politiche per tutta la regione. D’altra parte, sono molti anche i fattori culturali in comune, come la musica, la gastronomia, le tradizioni popolari derivanti dalla stessa radice culturale indigena, come la Yerba Mate Guaranì, bevanda tipica dei tre popoli.
La cultura Guaranì è una delle più ricche e rappresentative dell’America del sud; è una testimonianza viva della resilienza e della capacità di adattamento di un popolo che ha saputo conservare la sua identità nei secoli con una cosmogonia unica, dove la connessione con la natura e il rispetto delle tradizioni sono fondamentali e possono essere una grande ricchezza per tutta l’umanità.
“Per questo – conclude Arami Ojeda Aveiro – la regione della tripla frontiera non rappresenta solo un confine geografico, ma uno spazio multiculturale e di cooperazione che rafforza tutta l’area”.
La comunità “tri-nazionale” dei Focolari
Tra tutte le comunità dei Focolari nel mondo, questa presenta un carattere unico: “Sarebbe impossibile sentirci una sola famiglia se guardassimo solo alle nostre storie nazionali” – racconta una giovane argentina. Monica, paraguaiana, una delle pioniere della comunità insieme a Fatima Langbeck, brasiliana, racconta che tutto è iniziato con una sua preghiera quotidiana: “‘Signore, aprici il cammino perché possiamo stabilire una presenza più solida del Focolare e che il Tuo carisma dell’unità fiorisca tra di noi’. Dal 2013 siamo un’unica comunità e vogliamo scrivere un’altra storia per questa terra, che testimoni che la fraternità è più forte di pregiudizi e ferite secolari. Ci unisce la parola dell’unità di Chiara Lubich, quando ha detto che la vera socialità supera l’integrazione, perché è amore reciproco in atto, come annunciato nel Vangelo. Le nostre peculiarità e differenze ci fanno più attenti gli uni agli altri e le ferite delle nostre storie nazionali ci hanno insegnato a perdonarci”.
I contributi artistici dicono la vitalità e l’attualità delle radici culturali dei popoli che abitano questa zona. Ci sono i canti della comunità argentina arrivata dal “litoral”, dalla costa; poi “El Sapukai”, la ritmatissima danza paraguaiana che si balla con (fino a) tre bottiglie sul capo; la rappresentanza del popolo Guaranì intona un canto nella propria lingua che loda la “grande madre”, la foresta, che va protetta, produce buoni frutti e dà vita a tutte le creature.
Don Valdir Antônio Riboldi, sacerdote della diocesi di Foz, che ha conosciuto i Focolari nel 1976 continua il racconto per iscritto: “I Focolari di Curitiba in Brasile e di Asuncion in Paraguay hanno iniziato a promuovere eventi che coinvolgevano persone delle tre nazioni vicine, un’esperienza che chiamavamo ‘Focolare tri-nazionale’. Anche la vita ecclesiale qui si muove sulla linea della comunione, promuovendo iniziative congiunte tra le diverse diocesi”.
È chiaro che la vita di questa regione e della comunità dei Focolari locale non parla solo all’America Latina, ma al mondo intero. E dice che è possibile camminare insieme, essendo diversi: è la spiritualità dell’unità che entra in contatto con la parte più profonda dell’identità di persone e popoli, facendo fiorire la comune umanità e fratellanza.
La parola a Margaret Karram e Jesús Morán
“Mi sono sentita abbracciata non da uno, ma da tre popoli – ha detto Margaret Karram. Per tutta la vita ho sognato di vivere in un mondo senza frontiere. Qui mi è sembrato di veder realizzato questo mio desiderio profondo, per questo mi sento parte di voi. Siete la conferma che solo l’amore toglie ogni ostacolo ed elimina le frontiere”.
“Ho vissuto in America Latina 27 anni – ha continuato Jesús Morán – ma non sono mai venuto in questa zona. Avete vissuto tanti dolori: il popolo Guaranì è stato espropriato delle sue terre e disperso. Quel che state facendo oggi è importante anche se piccolo: non possiamo riscrivere la storia, ma possiamo andare avanti e sanare le ferite, accogliendo il grido di Gesù abbandonato. Le ferite si sanano creando relazioni interregionali anche con i popoli originali perché di fatto sono gli unici realmente ‘tri-nazionali’. Anche loro hanno ricevuto la luce di Cristo; non dimentichiamo l’opera di evangelizzazione e promozione umana che i Gesuiti hanno fatto in questa regione con “las Reduciones” dal ‘600 al ‘700. Oggi siamo collegati a questa storia, a tutto quello che la Chiesa fa e sappiamo che l’unità è la risposta in questo mondo che necessita di un’anima e di braccia per fare una vera globalizzazione all’altezza della dignità umana”.
Alla fine, riprendendo la parola, Margaret condivide quanto vissuto in questo mese: “Questo viaggio ha aumentato in me la fede, la speranza e la carità. In Amazzonia, ai confini del mondo, la ‘fede’ è emersa potente: ho incontrato persone che credono fortemente che tutto è possibile, anche le cose più difficili. Loro sognano e realizzano! Vorrei avere anche solo un pizzico della loro fede, come dice il Vangelo: “Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: «Spostati da qui a là», ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” (Mt 17,20). Da lì mi porto questa fede che sposta le montagne e il coraggio di sognare cose grandi. Poi, la parola del Genfest non può che essere ‘speranza’: abbiamo vissuto questa esperienza insieme: tutto il Movimento era impegnato con i giovani e per i giovani. È stato anche un evento ecumenico e interreligioso che ha dato molta speranza.
E per ultima la ‘carità’, che oggi ho visto qui tra voi e che abbiamo toccato con mano nelle molte organizzazioni sociali con cui siamo venuti a contatto in questo mese: la Fazenda da Esperança; i tanti movimenti e nuove comunità ecclesiali con cui ci siamo incontrati a Fortaleza; l’incontro di UniRedes che raccoglie tutte le organizzazioni sociali e le agenzie culturali dell’America Latina che si ispirano al carisma dell’unità (di cui scriveremo a parte). Tutto questo dice ‘carità’, perché ogni realtà sociale nasce dall’amore al prossimo, dal voler dare la vita per la propria gente.
Da questa frontiera parte una speranza per tutte le comunità dei Focolari nel mondo e anche oltre. Nel dicembre scorso avevo suggerito il progetto “Mediterraneo della fraternità”, dove raccogliere tutte le azioni già in corso e quelle che emergeranno, per costruire la pace in quella regione che tanto soffre per la guerra. Anche da qui potrebbe partire un progetto di “fraternità per l’America Latina” che può essere allargato a tutti i suoi Paesi, lo affidiamo a Maria!”.
Un lungo viaggio per celebrare i 70 anni dalla creazione del Consiglio Generale dei Cristiani di Hong Kong, dove poco più del 10 % dei 7 milioni e mezzo di abitanti si professa cristiano..
Una delegazione composta da 24 persone di diverse tradizioni cristiane: cattolica, anglicana, luterana, metodista e pentecostale, hanno intrapreso un pellegrinaggio ecumenico facendo tappa in Germania, Svizzera e Italia, visitando città come Wittenberg, Augusta, Ottmaring, Ginevra, Trento e infine Roma per rivedere il passato senza pregiudizio e stabilire un nuovo rapporto fra tutti i membri. “Un’opportunità per conoscere meglio la Chiesa altrui. C’era tanta condivisione, tanto amore reciproco e ci siamo sentiti fratelli e sorelle in Cristo, sua unica Chiesa!”, afferma Theresa Kung.
Accolti nella cittadella ecumenica di Ottmaring (Germania), al Centro Mariapoli “Chiara Lubich” di Trento (Italia) e al Centro Internazionale del Movimento dei Focolari a Rocca di Papa (Italia), il gruppo ha avuto modo di conoscere il carisma dell’unità che anima i Focolari e apprezzare il lavoro di dialogo tra varie Chiese che si svolge da anni nell’ambito del Movimento, un “dialogo della vita” che significa, come ebbe a dire il Rev. Hoi Hung Lin of Tsung Tsin Mission: “Rispettare le differenze di valori degli altri, dare priorità al dialogo e cercare sempre di stabilire relazioni fraterne tra le persone, tra i gruppi etnici e nelle diverse situazioni culturali”.
A Roma, il gruppo è stato ricevuto presso il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani in un incontro di scambio sul lavoro svolto a livello mondiale.
Come ultimo appuntamento, il 22 maggio 2024 sono stati ricevuti da Papa Francesco in udienza privata. Dopo i saluti e le presentazioni del Cardinale Stephen Chow SJ, Vescovo cattolico di Hong Kong, e del Rev.do Ray Wong, Presidente del Consiglio Cristiano di Hong Kong, il Santo Padre si è rivolto ai presenti sottolineando l’importanza di “lavorare insieme, perché tutti crediamo in Gesù Cristo; pregare insieme, pregare per l’unità”. Il Papa ha inoltre ricordato l’amicizia cristiana che deriva dal Battesimo comune. “Abbiamo lo stesso Battesimo e questo ci fa cristiani. Nemici, ne abbiamo tanti fuori. Siamo amici! Nemici, fuori; qui, amici”[1].
In questi giorni ho visto alla televisione delle giovanissime atlete, per la maggior parte dei paesi dell’Est, che si esibivano in meravigliosi esercizi di ginnastica artistica. Erano magnifiche nei loro ripetuti salti mortali, negli avvitamenti, in ogni mossa. Quale perfezione! Quanta armonia e quanta grazia! Possedevano perfettamente il loro fisico, tanto che gli esercizi più difficili parevano naturali. Sono le prime del mondo.
Più volte, mentre le ammiravo, avvertivo dentro di me un pressante invito (forse dello Spirito Santo). Era come se Qualcuno mi dicesse: Anche tu, anche voi, dovete diventare campioni del mondo. Campioni in che cosa? Nell’amare Dio. Ma sai quanto allenamento è occorso a queste ragazze? Lo sai che, giorno dopo giorno, per ore e ore, ripetono gli stessi esercizi, senza arrendersi mai? Anche tu, anche voi, dovete fare altrettanto. Quando? Nell’attimo presente. Sempre, senza fermarsi mai. E mi nasceva in cuore un grandissimo desiderio di lavorare, momento per momento, per arrivare alla perfezione.
Carissimi, dice san Francesco di Sales che non c’è indole così buona che a forza di ripetuti atti viziosi non possa acquistare il vizio. E allora, si può pensare che non vi è indole così cattiva che a forza di atti virtuosi non possa acquistare la virtù. E quindi: coraggio! Se ci alleniamo, diverremo campioni del mondo nell’amare Dio.
(…)
Quale la Parola detta da Dio al nostro Movimento? Lo sappiamo: Unità. E allora, dobbiamo diventare campioni d’unità con Dio, con la sua volontà nell’attimo presente, e di unità col prossimo, con ogni prossimo che incontriamo durante la giornata.
Alleniamoci senza perdere minuti preziosi. Ci attende, non la medaglia d’oro, ma il Paradiso.
Il cambiamento fa sempre paura, soprattutto quando le esperienze che abbiamo vissuto sono state forti e gratificanti. Lo viviamo in tutte le fasi della vita, nei percorsi di studio e lavorativi, in tutte le realtà politiche, sociali e organizzative, in particolare laddove viviamo ruoli di responsabilità che non vogliamo perdere.
Vorremmo che certe esperienze non finissero mai. Ma questo è un inganno. Rimanere nelle “esperienze vere e belle” non ci fa vivere la vita, perché la vita stessa è cambiamento ed è questa la dinamica che la rende affascinante anche quando è doloroso.
Lo ha spiegato bene Cicely Saunders, fondatrice del primo hospice moderno, donna straordinaria che come infermiera, assistente sociale e medico ha “inventato” un nuovo modo di assistere le persone nei momenti più difficili. Il tempo delle esperienze vere, secondo lei è un tempo fatto di profondità più che di durata. “Le ore dei rapporti veri sembrano passare in un attimo, mentre le giornate noiose sembrano non passare mai. Ma a distanza di anni, le ore autentiche restano impresse per sempre, le giornate inutili svaniscono in un nulla”. (1)
Questi momenti veri – anche quando vissuti nel dolore e nel buio- possono trasformarsi, forse con stupore ed emozione, in occasioni di pace profonda e di luce. Questi passaggi, soprattutto quando accompagnati dal rapporto autentico con gli altri, ci possono aiutare e dare la forza di affrontare le difficoltà, le prove, le sofferenze e le fatiche che incontriamo nel cammino. Ci incoraggiano a ripartire senza paura affrontando con audacia ciò che ci aspetta, andando incontro all’altro e accogliendo i dolori dell’umanità intorno a noi, mettendoci a nostra volta in gioco con il desiderio di portare dove manca quella luce e pace che noi stessi abbiamo sperimentato.
Diceva Dietrich Bonhoeffer: “tempo perduto sarebbe un tempo non vissuto in cui avessimo non amato. (2)
Cosa succede quando queste esperienze vere pare che spariscono e non ci sono più? Forse questo toglie valore all’esperienza e alle radici? Assolutamente no! Il valore della memoria è il fondamento stesso del progresso umano. Inoltre come dice il filosofo George Santayana “Chi non ricorda il passato è condannato a ripeterlo”.
C’è stato prima di noi chi ha speso la vita per la nostra libertà e la nostra felicità. Dobbiamo saper ritornare alle esperienze che hanno fondato la nostra vita personale e dei nostri gruppi di appartenenza per avere la forza di ricominciare sempre, anche nei momenti di dubbio, fragilità e stanchezza.
Cicely Saunders. Premio Templeton 1981
Dietrich Bonhoeffer. “Resistenza e resa” lettere e altri scritti dal carcere
Foto di Sasin Tipchai – Pixabay
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L’IDEA DEL MESE è attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali. www. dialogue4unity.focolare.org1
Gesù è in cammino con i suoi discepoli verso Gerusalemme. All’annuncio che là dovrà soffrire, morire e resuscitare, Pietro si ribella, facendosi eco dello sgomento e dell’incomprensione generale. Il maestro allora lo prende con sé, insieme a Giacomo e Giovanni, sale su “un alto monte”, e lì appare ai tre in una luce nuova e straordinaria: il suo volto “brilla come il sole” e con lui conversano Mosè ed il profeta Elia. Il Padre stesso fa sentire la sua voce da una nube luminosa e li invita ad ascoltare Gesù, il suo Figlio prediletto. Di fronte a questa sorprendente esperienza, Pietro non vorrebbe più andare via, ed esclama:
«Signore, è bello per noi stare qui».
Gesù ha invitato i suoi amici più stretti a vivere un’esperienza indimenticabile, affinché la custodiscano sempre dentro di loro.
Anche noi abbiamo forse sperimentato con stupore ed emozione la presenza e l’azione di Dio nella nostra vita, in momenti di gioia, pace e luce che avremmo desiderato non finissero mai. Sono momenti che sperimentiamo spesso con o grazie ad altri. L’amore reciproco, infatti, attira la presenza di Dio, perché, come ha promesso Gesù: «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro»(Mt 18, 20). Talvolta, in questi momenti di intimità, Lui ci fa vedere noi stessi e leggere gli avvenimenti attraverso il suo sguardo.
Queste esperienze ci sono date per avere la forza di affrontare le difficoltà, le prove e le fatiche che incontriamo nel cammino avendo nel cuore la certezza di essere stati guardati da Dio, che ci ha chiamati a far parte della storia della salvezza.
Una volta discesi dal monte, infatti, i discepoli andranno insieme a Gerusalemme, dove li aspetta una folla piena di speranza ma anche insidie, contrasti, avversione e sofferenze. Là «saranno dispersi e inviati ai confini della terra per essere testimoni della nostra dimora definitiva, il Regno» di Dio (1).
Potranno cominciare a costruire già quaggiù la Sua casa tra gli uomini perché sono stati “a casa” con Gesù sulla montagna.
«Signore, è bello per noi stare qui».
«Alzatevi e non temete» (Mt 17,7), è l’invito di Gesù al termine di questa straordinaria esperienza. Lo rivolge anche a noi. Come i suoi discepoli e amici, possiamo affrontare con coraggio ciò che ci aspetta.
Fu così anche per Chiara Lubich. Dopo un periodo di vacanze talmente ricco di luce da essere definito “il paradiso del 1949” per la percezione della presenza di Dio nella piccola comunità con la quale stava trascorrendo un tempo di riposo e per una straordinaria contemplazione dei misteri della fede, anche lei non avrebbe desiderato tornare alla vita di tutti i giorni. Lo fece con nuovo slancio perché comprese che proprio per quell’esperienza di illuminazione doveva “scendere dal monte” e mettersi all’opera come strumento di Gesù nella realizzazione del suo Regno, immettendo il suo amore e la sua luce proprio dove mancavano, anche affrontando fatiche e sofferenze.
«Signore, è bello per noi stare qui».
Quando invece la luce ci viene a mancare, riportiamo al cuore e alla mente i momenti in cui il Signore ci ha illuminato. E se non abbiamo fatto l’esperienza della sua vicinanza, cerchiamola. Occorrerà fare lo sforzo di “salire sul monte” per andarGli incontro nei prossimi, per adorarlo nelle nostre chiese, e anche per contemplarlo nella bellezza della natura.
Perché per noi, Lui c’è sempre: basta che camminiamo con Lui e, facendo silenzio, ci mettiamo umilmente in ascolto, come Pietro, Giovanni e Giacomo (2).
A cura di Silvano Malini e del team della Parola di vita
L’IDEA DEL MESEè attualmente prodotta dal “Centro del Dialogo con persone di convinzioni non religiose” del Movimento dei Focolari. Si tratta di un’iniziativa nata nel 2014 in Uruguay per condividere con gli amici non credenti i valori della Parola di Vita, cioè la frase della Scrittura che i membri del Movimento si impegnano a mettere in atto nella vita quotidiana. Attualmente L’IDEA DEL MESE viene tradotta in 12 lingue e distribuita in più di 25 paesi, con adattamenti del testo alle diverse sensibilità culturali.
“Il carisma dell’unità di Chiara Lubich è una di queste grazie per il nostro tempo, che sperimenta un cambiamento di portata epocale e invoca una riforma spirituale”.[1]
Sulla pagina web della “Mariapoli Ginetta”, la più sviluppata delle tre cittadelle dei Focolari in Brasile, il racconto della sua storia inizia con questa frase di Papa Francesco che evidenzia molto bene ciò che ha caratterizzato gli ultimi anni di questo luogo: un cammino verso un cambiamento organizzativo per testimoniare meglio la fraternità vissuta nel quotidiano e per rispondere alle necessità e alle domande delle persone che visitano la cittadella e dell’ambiente in cui è inserita.
Tutto ciò si è concretizzato con l’avvio di un processo di attualizzazione e di una gestione più partecipata e meno centralizzata delle diverse realtà che la compongono. Oggi ognuna ha un suo consiglio o comitato di gestione, composto da persone della Mariapoli e da professionisti del settore e che lavorano in sinergia anche con il consiglio della cittadella. “Corresponsabilità” è una parola chiave della Mariapoli Ginetta, assieme a uno sguardo verso il futuro e alla ricerca continua per attualizzare la mission della cittadella: “accogliere, formare, testimoniare e irradiare”.
Nel 2022 la cittadella ha festeggiato 50 anni di vita e da quel primo gruppo di focolarine in una casupola senza luce, ne gas, oggi conta un totale di 454 abitanti che vivono sul suo terreno e nei dintorni.
Negli anni sono passate decine di migliaia di persone: moltissimi giovani che hanno trascorso un periodo o alcuni anni per imparare a vivere la fraternità nel quotidiano, o per intraprendere la strada di consacrazione a Dio nel Movimento dei Focolari, poi famiglie, sacerdoti, religiosi e visitatori occasionali.
La Mariapoli Ginetta è parte della municipalità di Vargem Grande Paulista che dista appena un’ora dalla trafficatissima megalopoli di San Paolo e il cambio di scena quando si arriva è totale: molto verde, case, nessun grattacielo, parchi e aree gioco per i bambini; la vivibilità di un piccolo centro, rispetto ad una metropoli è il valore aggiunto di questo luogo. “Ci siamo trasferiti 6 anni fa da San Paolo” – racconta una giovanissima coppia con tre bambini. Sono una delle quattordici famiglie che negli ultimi anni si sono spostate da diverse città per crescere i propri figli “in un luogo in cui imparano a trattare gli altri con amore, dove c’è spazio per vivere una vita a misura d’uomo”. Questo, insieme alla scuola dei giovani che sta per iniziare la sua ottava edizione, sono segni di una rinnovata vitalità sociale della cittadella.
Corresponsabilità e gestione partecipata
“Oggi nella cittadella ci sono molti degli elementi che compongono una convivenza urbana” – spiegano Iris Perguer e Ronaldo Marques corresponsabili della Mariapoli Ginetta. “Ci sono abitazioni, un centro città rappresentato dalla struttura del Centro Mariapoli e dalla chiesa di Gesù Eucaristia, l’Editrice Cidade Nova, un centro audiovisivi, ambulatori medici, atelier vari, la rinomata panetteria e caffetteria “Espiga Dourada”, i progetti sociali al servizio della popolazione più svantaggiata, il “Polo Spartaco”, un’area commerciale e produttiva dove le aziende operano secondo i principi di Economia di Comunione, la sezione brasiliana dell’Istituto Universitario “Sophia ALC” (America Latina e Caraibi)”.
“Questa nuova modalità di gestione partecipata che state attuando – ha commentato Margaret Karram – è un’opportunità straordinaria di apertura della cittadella ad altri che vogliono contribuire a costruirla, a formarsi e fare un’esperienza di unità. Devo dirvi che dopo aver partecipato al Genfest mi è nata in cuore una grande speranza; ho avuto la forte impressione che in questi giorni Dio abbia bussato nuovamente alla porta del Brasile e chiede di rispondere e sostenere quanto è nato nei giovani. Anche questa cittadella, insieme alla Mariapoli Gloria e alla Mariapoli Santa Maria, ha ora una nuova possibilità e responsabilità di capire come rispondere; di offrire una testimonianza di vita evangelica vissuta in una comunità sociale”.
La seconda generazione del Polo Spartaco
Mariza Preto racconta che anche il Polo imprenditoriale ha intrapreso un coraggioso cammino di sviluppo e apertura.
“Nel 2016 un debito accumulato negli anni a causa di mancati pagamenti indicava chiaramente che la sostenibilità economica del Polo era a rischio. Gli imprenditori erano demotivati, preoccupati perché all’orizzonte non si vedeva nessuno interessato ad iniziare una nuova attività al Polo. Sono stati anni difficili, in cui si sono tentate molte strade, compresa quella di costruire relazioni con gli imprenditori della regione che ha portato alla nascita di eventi comuni e momenti di confronto e incontro. Ma la svolta è avvenuta nel 2019 quando durante una fiera espositiva che abbiamo organizzato al Polo, la maggior parte degli espositori erano esterni alla nostra realtà. In quel periodo “Espri”, la società di gestione del polo aveva molti capannoni vacanti e una crescente fragilità finanziaria. È stato allora che il consiglio del Polo ha deliberato di ammettere imprese e imprenditori che non conoscevano l’Economia di Comunione ma che volevano agire secondo i suoi principi. Così che è avvenuta la “rinascita” del Polo: ogni azienda che desidera oggi entrare al Polo si sottopone ad un processo di conoscenza della vita aziendale che qui viviamo e aderisce alle linee di gestione di un’impresa di Economia di Comunione”.
A 30 anni dalla sua fondazione, oggi il Polo Spartaco si compone di 9 edifici, vi hanno sede 10 aziende per un totale di 90 dipendenti.
“Qui l’economia di comunione è viva – ha detto Jésus Morán. Oltre all’aspetto carismatico, qui si vede quello produttivo che funziona ed è in atto il ricambio generazionale degli imprenditori. Tutto questo ci dice che siamo entrati in una nuova fase in cui la profezia di Chiara Lubich è viva. Ringraziamo tutti i pionieri, quelli che hanno iniziato e ci hanno creduto e hanno permesso che arrivassimo fino qui”.
SMFocolari
È attraverso la SMF, “Sociedade Movimento dos Focolari” che la cittadella si impegna in diverse opere sociali sul territorio. La SMF promuove il rafforzamento della comunità e l’accesso ai diritti e alle garanzie di protezione, soprattutto per i bambini, i giovani e le donne in situazioni di vulnerabilità sociale. Le tre Opere Sociali in cui lavorano gli abitanti della Mariapoli Ginetta operano nel campo della prevenzione per giovani in condizione di vulnerabilità, realizzano percorsi di accompagnamento per le loro famiglie e accolgono persone senza fissa dimora. Questa è una goccia nel mare della necessità di dignità, lavoro e giustizia di tanta gente e come ha spiegato Sérgio Previdi, vicepresidente di SMF “E’ solo un tassello del progetto culturale basato sulla fraternità che vogliamo sviluppare sul territorio e nella nostra città”.
Stefania Tanesini
[1] Messaggio del Santo Padre Francesco per l’apertura del convegno internazionale “Un carisma al servizio della Chiesa e dell’umanità” in occasione del centenario della nascita della serva di Dio Chiara Lubich
Video in italiano. Attivare i sottotitoli per le altre lingue
Tutta l’esperienza del Genfest – dalla “Fase 1” fino alla “Fase 3” – è la testimonianza tangibile che voi giovani credete e anzi, state già lavorando, per costruire un mondo unito. Questi sono stati per tutti noi giorni di grazie straordinarie, abbiamo messo in pratica la “cura” in vari modi: nella Fase 1, attraverso il servizio ai poveri, agli emarginati, a chi più soffre e lo abbiamo fatto vivendo la reciprocità, quella comunione tipica del carisma del Movimento dei Focolari; nella Fase 2, nella condivisione di vita, esperienze, ricchezze culturali; e poi, nella Fase 3, abbiamo sperimentato la straordinaria generatività delle communities, che sono anche uno spazio intergenerazionale di formazione e progetti.
Qualcuno mi ha raccontato della creatività che ogni “community” ha sviluppato e degli interessanti workshops di cui avete appena raccontato.
“Dal Genfest mi porto a casa la mia community – ha detto uno di voi – è qualcosa di concreto che continua. Una possibilità per vivere l’esperienza del Genfest nel quotidiano”.
Vi siete sentiti protagonisti nella costruzione di queste “community” e volete continuare a “generare” idee e progetti. Mi ha dato gioia sapere che qualcuno di voi ha detto di aver riscoperto il senso della sua professione e che ora vuole viverla all’insegna del mondo unito.
Abbiamo questi giorni camminato insieme, con uno stile che papa Francesco definirebbe “sinodale” e non solo tra voi giovani, ma anche con gli adulti; con persone di altri movimenti e comunità; con persone di diverse Chiese e religioni e persone che non si riconoscono in un credo religioso. Questa rete ha arricchito moltissimo il Genfest!
È stata molto bella anche la presenza fra noi di alcuni vescovi che hanno vissuto il Genfest in mezzo a noi.
Ora il Genfest non finisce! Ma continua proprio nelle “United World Communities” dove resteremo connessi sia globalmente che localmente.
Sono sicura che quando arriverete nei vostri Paesi e nelle vostre città capirete in che, in cosa vorrete impegnarvi, in base ai vostri interessi e ai vostri studi o le vostre professioni: in economia, in dialogo interculturale, nella pace, nella salute, nella politica ecc…
In questi giorni avete fatto l’esperienza di vivere “community” in “unity”, in unità; una realtà che continuerà: sarà questa la vostra palestra in cui imparerete e vi allenerete a vivere la fraternità.
Quando io avevo la vostra età mi ha colpito moltissimo un invito che Chiara ha fatto a tutti noi, e lei diceva così:
“Se saremo uno, molti saranno uno e il mondo potrà un giorno vivere l’unità. E allora? Costituire dappertutto cellule di unità” (1) – forse Chiara se fosse viva oggi avrebbe forse chiamato queste cellule di unità “United world communities” – Lei ci invitava a concentrare in questo tutti i nostri sforzi.
Per questo vorrei chiedervi ora una cosa importante: per favore, per favore non perdete questa occasione, questa occasione unica che abbiamo vissuto qua: Dio ha bussato al cuore di ciascuno di noi e adesso chiama tutti ad essere protagonisti e portatori di unità nei diversi ambiti in cui vi siete impegnati.
Ieri qualcuno mi ha fermato mentre stavo uscendo e mi ha detto: devo dirti una cosa. Una di voi che è qui in sala e mi ha detto: devo dirti una cosa importante, per favore voglio dirti una cosa importante. Ha detto che era la prima volta che partecipava ad un Genfest e che lei non conosceva il Movimento dei Focolari e mi ha detto: io voglio dire a te, dovete fare di più perché questo movimento non è conosciuto tanto, bisogna fare di più ma non come avete fatto finora. Dovete fare di più perché questo Movimento, questa idea della fraternità deve essere conosciuta da molti più giovani. Allora io ho chiesto a lei se lei ci poteva aiutare e lei si è impegnata. Ma adesso spero che tutti noi ci impegniamo a fare questo.
Certo, come avete anche sentito prima, non sarà tutto facile e non possiamo davvero illuderci che le difficoltà non arrivano… ma in questo Genfest voi stessi avete annunciato: “un Dio diverso, abbandonato sulla croce” voi avete detto “abbandonato sulla croce tutto divino e tutto umano, che fa domande senza risposte” è per questo che è un Dio vicino a tutti noi. Sarà abbracciando ogni dolore, nostro o degli altri, che troveremo la forza di continuare in questo cammino.
Allora andiamo avanti insieme con una nuova speranza, convinti più che mai che ormai una strada è stata tracciata.
E come uno scrittore cinese Yutang Lin, dice una cosa molto bella: “La speranza è come una strada nei campi: non c’è stata mai una strada, ma quando molte persone vi camminano, la strada prende forma”. Io penso che questa strada in questo Genfest ha preso forma. Allora camminiamo e ci sarà questa strada difronte a noi.
Allora saluto tutti, auguro buona continuazione a chi farà il post-Genfest e buon viaggio a chi torna a casa!
Ciao a tutti!
Margaret Karram
(1) Chiara Lubich, Conversazioni in collegamento telefonico, Città Nuova, 2019, p. 64.
Su 112 ettari di terra, 23 organizzazioni – comunità cattoliche e istituti – hanno scelto di vivere un’esperienza di comunione tra carismi. Da 24 anni, questa esperienza che si svolge a Fortaleza (Brasile) è conosciuta come Condominio Espiritual Uirapuru (CEU), acronimo che significa “cielo” in portoghese.
Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente del Movimento di Focolari, in queste settimane in viaggio in Brasile per incontrare le comunità dei Focolari, hanno fato tappa anche Fortaleza. Qui hanno potuto partecipare a vari incontri con diverse realtà carismatiche della Chiesa. Al CEU hanno incontrato leader di altre comunità, tra i quali Nelson Giovanelli e Fra Hans della Fazenda da Esperança, Moysés Azevedo della Comunità Shalom e Daniela Martucci di Nuovi Orizzonti.
Attraverso le organizzazioni che lo compongono, il CEU realizza diverse azioni di supporto e protezione della persona umana, dall’infanzia vulnerabile e ferita da abusi e sfruttamento sessuale fino a giovani e adulti che vivono in strada o soffrono a causa di dipendenze. L’unione dei carismi presenti è espressione dell’amore che rende possibile lo sviluppo di attività di recupero e valorizzazione della dignità umana, particolarmente per coloro che sono più bisognosi.
“Il CEU è la realizzazione del sogno che Chiara Lubich ha promesso a Papa Giovanni Paolo II nel 1998, di lavorare per l’unità dei Movimenti e delle nuove comunità” ricorda Nelson Giovanelli, fondatore della Fazenda da Esperança e neo-eletto presidente del condominio. Il carisma dell’unità, diffuso da Chiara Lubich, ispira il compimento della missione per le diverse comunità presenti. Jesús Morán aggiunge: “Se c’è un luogo in cui si può comprendere l’esperienza della Chiesa è qui al CEU. Questa è la Chiesa, tanti carismi, piccoli o grandi, ma tutti camminano insieme per la realizzazione del Regno di Dio”.
Gli abitanti del CEU sono 230, tra cui bambini e adolescenti, giovani e adulti in fase di recupero e più di 500 volontari. Lo scorso fine settimana, la comunità Obra Lumen ha organizzato l’incontro “Com Deus Tem Jeito” (Con Dio c’è una via), che ha recuperato 250 tossicodipendenti dalla strada e li ha inviati a un trattamento terapeutico in varie comunità partner, come la Fazenda da Esperança. Lo spazio è anche il palcoscenico di attività culturali che consentono la risocializzazione attraverso l’arte, come il Festival Halleluya della Comunità Shalom, che riunisce ogni anno più di 400.000 persone.
In questi giorni, sempre in Brasile, è in corso il Genfest, manifestazione dei Giovani del Movimento dei Focolari. “Insieme per Prendersi Cura” è il motto di questa edzione che avrà un evento internazionale in Brasile ed oltre 40 Genfest locali in vari Paesi del mondo. Ognuno inizierà con una prima fase nella quale i giovani faranno esperienze di volontariato e solidarietà in varie organizzazioni sociali. Tra di esse anche il CEU. Qui tra il 12 e il 18 luglio, un gruppo di 60 giovani, partecipanti al GenFest, hanno potuto conoscere le diverse comunità e svolgere varie attività. “Tutte queste comunità già svolgono lavoro di cura con persone marginalizzate e in situazione di vulnerabilità. La nostra proposta era di unirci a loro, come un legame di unità. Più ci donavamo, ci aprivamo agli altri, più scoprivamo la nostra essenza”, racconta Pedro Ícaro, partecipante del GenFest che ha vissuto al CEU per 4 mesi con giovani di diversi Paesi.
“Quando questa comunione dei carismi infiamma il cuore dei nostri giovani, essi sono capaci di trasformare il mondo. Questo è lo scopo di questi eventi che facciamo al CEU, come il GenFest” racconta Moysés Azevedo, fondatore della Comunità Shalom.
“Start Here and Now”, ovvero “Inizia qui e ora” è l’ultimo singolo della band internazionale Gen Verde. Un inno di unione, forza, coraggio e gioia che vede la partecipazione di due gruppi musicali giovanili: Banda Unità (Brasile) e AsOne (Italia). “Tutti, con le nostre diversità, siamo invitati ad andare oltre le frontiere per costruire un mondo dove la cura, l’amore, la giustizia e l’inclusione siano la risposta al dolore, all’orrore delle guerre e delle divisioni” spiega la band.
Cosa c’è dietro il brano?
“La nuova canzone è di per sé un’esperienza ‘oltre i confini’ per il modo in cui è stata prodotta – continua la band -. Le voci sono state incise in tre diverse parti del mondo e anche il video è stato girato in tre luoghi diversi: Loppiano e Verona (Italia) e Recife (Brasile)”.
Il progetto include la partecipazione di due gruppi musicali giovanili che condividono i valori del Gen Verde. Banda Unità è un complesso musicale brasiliano ed AsOne è una band di Verona, in Italia. Anche questi stessi gruppi vogliono condividere, attraverso la musica, i valori della pace, del dialogo e della fratellanza universale.
“Start Here and Now” ha un mix intergenerazionale e interculturale – continua il Gen Verde -. Questo singolo spicca per il ritmo molto coinvolgente e un testo potente, cantato in diverse lingue, per far emergere il processo creativo ispirato all’interculturalità e all’impegno per la fraternità universale che si sottolinea nell’evento internazionale Genfest”.
Il Gen Verde ha suonato questo brano per la prima volta ad Aparecida in Brasile insieme ai complessi musicali Banda Unità e AsOne il 20 luglio 2024 durante il Genfest, l’evento globale dei giovani del Movimento dei Focolari. Questa edizione ha avuto come titolo: “Juntos para Cuidar – Together to Care – Insieme per prenderci cura”.
La terza fase di Genfest 2024, svoltasi ad Aparecida (Brasile), ha incluso laboratori organizzati dalle cosiddette United World Communities, luoghi di incontro in cui i giovani possono condividere i loro talenti e le loro passioni. Queste communities offrono l’opportunità di scoprire persone di talento, forme concrete di impegno e di avviare azioni e progetti finalizzati alla costruzione di un mondo più unito, che mirano a rispondere alle sfide locali e globali del mondo di oggi; ad attivare processi di cambiamento personale e collettivo; a far crescere la fratellanza e la reciprocità in tutte le dimensioni della vita umana. Una caratteristica importante di queste communities è che sono il frutto del lavoro tra persone di diverse generazioni.
Proseguendo le esperienze delle precedenti fasi del Genfest, in questa terza fase i giovani hanno potuto partecipare a laboratori in diversi ambiti, la cui metodologia era basata sulla fraternità e sul dialogo, come una prova per progetti e azioni che ora possono essere sviluppati nella sfera “glocale” (progetti locali con una prospettiva globale). Le attività si sono svolte nei settori dell’economia e del lavoro, dell’interculturalità e del dialogo, della spiritualità e dei diritti umani, della salute e dell’ecologia, dell’arte e dell’impegno sociale, dell’istruzione e della ricerca, della comunicazione e dei media, della cittadinanza attiva e della politica. Le équipe responsabili della gestione dei laboratori erano composte da giovani e professionisti che hanno lavorato intensamente per mesi per organizzare queste attività.
D’ora in poi, le Comunità avranno un metodo di lavoro che consiste in tre fasi: Imparare, Agire e Condividere. La prima (Imparare) è un’esplorazione e un’analisi approfondita dei temi e delle questioni più attuali in ogni community, con l’obiettivo di identificare problemi e presentare soluzioni. La fase successiva (Agire) consiste nella realizzazione di azioni con un impatto principalmente locale, ma con una prospettiva globale. Infine, nella terza fase (Condividere), si propone alla comunità di promuovere spazi di scambio e dialogo continuo tra le iniziative, con l’obiettivo di rafforzare la rete di collaborazione globale. È stata creata un’applicazione – la WebApp United World Communities, – che è uno strumento per la condivisione di idee, esperienze e notizie, oltre che per la promozione di progetti di collaborazione.
“Dio ha visitato il cuore di tutti”
Al termine della terza fase del Genfest, le Communities hanno presentato in modo creativo le loro impressioni e alcuni dei risultati delle attività svolte nei giorni precedenti. Da questo lavoro è nato il documento “The United World Community: One Family, One Common Home”, che sarà il contributo dei partecipanti del Genfest 2024 al “Summit of the Future” delle Nazioni Unite del prossimo settembre. Secondo i giovani che hanno presentato il testo, esso non è un documento conclusivo, ma vuole essere un “programma di vita e di lavoro” per le varie United World Communities, oltre che una testimonianza da presentare al “Summit of the Future”.
“Con le nostre communities non vogliamo fare richieste, formulare slogan o lamentarci con i leader politici”, hanno detto i giovani. “Cerchiamo invece di dare un nome ai nostri sogni comuni, sogni di un mondo unito. Sogni personali e comunitari, che ci guideranno nelle attività che svolgeremo nei prossimi anni”. E hanno concluso: “Speriamo che vivendoli, ‘insieme’ e passo dopo passo, diventino segni di speranza per altri”.
Alla conclusione del Genfest 2024 sono intervenuti anche Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente del Movimento dei Focolari. Jesús Morán ha affermato che, sebbene l’esperienza della cura sia stata la più vissuta nella storia dell’umanità, non quella sulla quale più si è riflettuto.
Questa situazione ha iniziato a cambiare, come ha dimostrato il Genfest, nel quale è emersa la cura come una risposta al bisogno di dignità umana. In questo senso, ha concluso, è importante che i giovani rimangano connessi a questa rete globale di comunità generative. Margaret Karram, da parte sua, ha detto di aver visto nel corso dell’esperienza del Genfest che i giovani hanno dato una testimonianza tangibile della loro fede e che sono già in azione per costruire un mondo unito. Per quanto riguarda in particolare la Fase 3, ha sottolineato la ricchezza di questa esperienza per la sua creatività, l’impronta intergenerazionale e interculturale e il fatto che, attraverso le communities, c’è la possibilità concreta di vivere la stessa esperienza del Genfest nella propria vita quotidiana. La Karram ha invitato i giovani a sentirsi protagonisti di queste comunità, il cui fondamento è l’unità. “Vi prego di non perdere questa opportunità unica che stiamo vivendo qui: Dio ha visitato il cuore di ognuno di noi e ora chiama tutti a essere protagonisti e portatori di unità nei vari ambiti in cui sono coinvolti”, ha concluso.
Luís Henrique Marques
GUARDA IL VIDEO – Attivare i sottotitoli in italiano
Abbiamo appena ascoltato storie di pace espresse nelle sfumature più varie: canzoni, preghiere, esperienze, progetti concreti.
Tutto questo rafforza in noila fiducia e la speranza che è possibile essere costruttori di pace. Papa Francesco dice che bisogna essere ogni giorno “artigiani di pace”. E per fare questo occorre costanza e pazienza per poter guardare con amore tutti i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino.
Da questo Genfest abbiamo imparato che la pace inizia da me con piccoli gesti di cura per le persone, per i nostri popoli e per il creato.
Da dove possiamo incominciare allora?
L’abbiamo detto varie volte in questi giorni: abbattendo tutte le barriere che ci dividono, per vivere per la fraternità. E questo possiamo farlo:
scoprendo che la nostra comune umanità è più importante di tutte le nostre differenze;
poi essendo pronti a perdonare e a fare gesti di riconciliazione. Perché perdonare significa dire all’altro: “Tu vali molto di più delle tue azioni”.
E come abbiamo fatto nella prima fase del Genfest, continuiamo, anche quando torneremo a casa, ad essere artigiani di pace nelle nostre relazioni, facendo il primo passo verso gli altri. Sarà l’amore ad ispirarci cosa fare, da chi andare.
Perdoniamo senza aspettare che sia l’altro a chiedere perdono.
Che questo Genfest sia il momento del nostro SI’ ALLA PACE.
Non dobbiamo sentirci mai più soli: in questi giorni abbiamo visto e certamente abbiamo sperimentato la forza dell’“insieme”, Juntos.
Uniamoci a tutti quelli che vivono e lavorano per la pace. Le communities che andremo a costruire nella Fase tre sono già una via possibile.
Aprite gli occhi a visioni di pace! Parlate un linguaggio di pace! Fate gesti di pace! Perché la pratica della pace porta alla pace. La pace si rivela e si offre a coloro che realizzano, giorno dopo giorno, tutte quelle forme di pace di cui sono capaci.(*)
Aprire, parlare e agire.
Allora: non diamoci pace finché non realizzeremo la pace!
Acabamos de escuchar historias de paz expresadas en los más variados matices: canciones, oraciones, experiencias, proyectos concretos.
Todo esto refuerza en nosotros la confianza y la esperanza de que es posible ser constructores de paz. El Papa Francisco dice que tenemos que ser cada día “artesanos de la paz”. Y para esto necesitamos perseverancia y paciencia para poder mirar con amor a todos los hermanos y hermanas que encontramos en nuestro camino.
En este Genfest hemos aprendido que la paz empieza en mí con pequeños gestos de atención a las personas, a nuestros pueblos y a la creación.
¿Entonces por dónde podemos empezar?
Lo hemos dicho varias veces en estos días: derrumbando todas las barreras que nos dividen, para vivir la fraternidad. Y esto podemos hacerlo:
descubriendo que nuestra humanidad común es más importante que todas nuestras diferencias;
– después estando dispuestos a perdonar y a hacer gestos de reconciliación. Porque perdonar significa decirle al otro: “Tú vales mucho más que tus actos”.
Y como hicimos en la primera fase del Genfest, continuemos, también cuando regresemos a casa, siendo artesanos de paz en nuestras relaciones, dando el primer paso hacia los demás. Será el amor el que nos inspire qué hacer, hacia quién dirigirnos.
Perdonemos sin esperar a que sea la otra persona la que nos pida perdón.
Que este Genfest sea el momento de nuestro SÍ A LA PAZ.
No debemos sentirnos nunca más solos: en estos días hemos visto y ciertamente experimentado la fuerza de la “unión”, Juntos.
Unámonos a todos los que viven y trabajan por la paz. Las communities que construiremos en la Fase Tres ya son un posible camino a seguir.
¡Abran los ojos a visiones de paz! ¡Hablen un lenguaje de paz! ¡Hagan gestos de paz! Porque la práctica de la paz lleva a la paz. La paz se revela y se ofrece a los que la realizan, día tras día, todas esas formas de paz de las que son capaces. (*)
Abrir, hablar y actuar.
Entonces: ¡no nos demos paz hasta que no hayamos logrado la paz!
Iniziata il 19 luglio 2024 la seconda fase del Genfest 2024, l’evento ei giovani del Movimento dei Focolari, ha concluso il suo programma il 21 luglio 2024 con la celebrazione della Santa Messa nella Basilica del Santuario Nazionale di Aparecida, ad Aparecida (San Paolo), in Brasile. L’evento centrale del Genfest, che per la prima volta ha avuto la sua versione internazionale nel continente latinoamericano, ha riunito circa 4.000 partecipanti provenienti da oltre 50 Paesi e, fin dall’inizio, è stato caratterizzato da una gioia contagiosa. Inoltre, migliaia di persone in tutto il mondo hanno seguito parte del programma in streaming.
Con il tema “Insieme per prendersi cura”, i giovani riuniti al “Centro eventi Padre Vítor Coelho de Almeida” hanno promosso un intenso programma che ha unito festa, arte, creatività e testimonianza, espressione della convinzione che la costruzione della fraternità universale richieda iniziative concrete per prendersi cura della vita sul pianeta, soprattutto in termini di attenzione alle persone in diverse condizioni di vulnerabilità e alla natura, come richiesto insistentemente da Papa Francesco.
Cerimonia di apertura
All’inaugurazione i giovani sono stati accolti dall’arcivescovo di Aparecida, Mons. Orlando Brandes; dal nunzio apostolico in Brasile, Mons. Giambattista Diquattro; dal rettore del Santuario di Aparecida, padre Eduardo Catalfo e dalla presidente del Movimento dei Focolari, Margaret Karram, tra le personalità presenti. Mons. Orlando Brandes ha letto un messaggio inviato dal cardinal Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, a nome di Papa Francesco. “Sappiamo reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole” si legge nel telegramma. Nelle sue parole di saluto ai giovani, Margaret Karram ha sottolineato che “insieme, i nostri sogni si realizzeranno”. In seguito, i giovani sono stati accolti da una “festa latinoamericana” con esibizioni artistiche tipiche di diversi Paesi. È stata un’esplosione di gioia che ha coinvolto tutti.
Secondo giorno
Un momento per trovare strade o, meglio, percorsi, per un mondo unito. Così è iniziata la seconda giornata della seconda fase del Genfest 2024. Da un lato, i giovani di tutto il mondo hanno raccontato come hanno cercato di costruire relazioni di fraternità nei loro ambienti. È il caso, ad esempio, di Adelina, di Rio Grande do Sul (Brasile), che ha dovuto affrontare la tragedia causata dalle piogge che hanno colpito il suo Stato nel mese di maggio 2024, e di Joseph, della Sierra Leone, che è stato separato dalla sua famiglia da bambino e reclutato dai miliziani che combattevano le truppe governative del Paese africano con atti di violenza. I momenti artistici hanno richiamato l’attenzione su alcuni grandi temi del mondo di oggi, come l’ecologia e la cittadinanza, mentre i cosiddetti spark changer, specialisti in diverse aree, hanno offerto al pubblico alcune brevi riflessioni che potrebbero portare cambiamenti nel mondo.
Il programma di sabato prevedeva anche una “anteprima” della Fase 3 del Genfest: si sono svolti laboratori su temi diversi, sempre nell’ottica della “cura” della vita nelle sue diverse espressioni. Infine, un viaggio intorno al mondo con storie di resilienza personale o di azione sociale, ma tutte che avevano come motivazione la fraternità per “abbracciare l’umanità e avviare il cambiamento”. Hanno concluso il programma del secondo giorno sul palco del Genfest alcuni giovani provenienti da Turchia, Australia, Zimbabwe, Bolivia, Italia e Colombia che hanno raccontato come hanno affrontato o aiutato altri ad affrontare il dolore, quando esso sembra togliere il senso della vita. Le presentazioni, tuttavia, non si sono limitate alle storie personali. Sul palco è stata presentata anche un’ampia varietà di iniziative sociali, come Rimarishun, un progetto di incontro tra culture diverse in Ecuador. Dal Brasile si sono presentati anche il Progetto Amazzonia, il Quilombo Rio dos Macacos di Salvador (comunità afro discendenti) e la Casa do Menor, la cui coreografia ha ricevuto una standing ovation.
Cerimonia di chiusura
Il programma della giornata conclusiva della seconda fase di Genfest 2024 è iniziata guardando al passato per pensare al futuro. Sono stati ricordati alcuni dei progetti lanciati all’ultimo Genfest del 2018 e che hanno già iniziato a dare i loro frutti, anche in senso vero e proprio, come nel caso della piantumazione di alberi in aree soggette a degrado. Sull’esempio di quanto fato nell’ultimo Genfest di Manila (Filippine), sono stati presentati alcuni progetti da portare avanti dopo questi giorni.
Il primo progetto partirà con la terza fase del Genfest. Si tratta delle “Comunità del Mondo Unito”, che riuniranno i giovani – compresi quelli che non hanno potuto partecipare all’evento ad Aparecida – in gruppi per aree di conoscenza, dall’economia al lavoro, dalla politica alla cittadinanza. I Giovani interessati ai vari ambiti, potranno iscriversi a queste comunità in base alla loro “passione”, come hanno detto gli organizzatori.
Un importante strumento per la realizzazione di queste comunità è ilProgetto Mondo Unito. Lanciato nel 2012 al Genfest di Budapest (Ungheria), è infatti un programma per diffondere la fraternità su larga scala e riunire le azioni in questa direzione, rendendo possibile la condivisione di esperienze con tanti giovani in tutto il mondo.
Un’altra azione che nasce da questo Genfest, più immediata, è il lancio di un questionario per raccogliere le proposte dei giovani per il “Patto per il Futuro”, un manifesto che sarà presentato al Summit del Futuro, un vertice internazionale che sarà organizzato dall’ONU a settembre 2024.
La costruzione di comunità internazionali richiede il dialogo. Gran parte della sessione è stata dedicata a questo tema. La rabina Silvina Chemen e una giovane leader musulmana, Israa Safieddine, hanno raccontato come cercano di costruire il dialogo.
Quattordici giovani latinoamericani di sei Chiese cristiane hanno presentato Ikuméni, un laboratorio di buone pratiche ecumeniche e interreligiose. Queste sono tutte iniziative che hanno come scopo ultimo la costruzione della pace, il tema al quale è stata dedicata tutta l’ultima parte del programma.
L’uruguaiano Carlos Palma ha presentato il progetto Living Peace. Un video di Chiara Lubich ha ricordato come si possa costruire la pace oggi: vivendo l’amore reciproco.
I giovani partecipanti al Genfest con bandiere di tutti i Paesi hanno sfilato infine chiedendo la pace in ogni nazione. Al termine, la Presidente del Movimento dei Focolari, Margaret Karram, ha invitato tutti a essere costruttori di pace, abbattendo le barriere che dividono le persone e prendendo l’iniziativa di perdonare: “Che questo Genfest sia il momento per dire sì alla pace”, ha concluso.
In una assolata giornata di giugno 2024, oltre 400 ospiti provenienti da tutto il mondo si sono recati a Montet (Svizzera) per salutare la multicolore e internazionale comunità dei Focolari. Il centro di formazione del Movimento verrà infatti chiuso e la comunità concentrerà i propri sforzi su altri centri di formazione. Nel corso della seconda metà dell’anno 2024 la maggior parte dei residenti lascerà il piccolo paese della Svizzera francese per unirsi ad altre comunità.
I responsabili della “Mariapoli Foco”, come è chiamata questa cittadella, Maria Regina Piazza e Markus Näf hanno illustrato il percorso che ha portato a questo passo: “Per capire questa decisione, bisogna guardare al cammino che il Movimento dei Focolari ha percorso, considerando il calo delle vocazioni alla vita consacrata e le sfide della società odierna in tutto il mondo”. Si tratta di “ridistribuire le forze e ridurre le strutture per promuovere la vicinanza alle persone dove più serve”.
Markus Näf – Maria Regina PiazzaMargaret Karram – Jesús Morán – Celine RuffieuxIon Sauca
Gli ospiti presenti, provenienti dal mondo della politica, della società e delle Chiese, hanno sottolineato quanto la cittadella abbia plasmato e influenzato positivamente l’area circostante: è stata diffusa pace, senso di comunità, spirito di unità e fraternità ed è stata data una testimonianza di amore reciproco. In totale, quasi 3.800 persone hanno trascorso parte della loro vita qui nel corso di 43 anni, la maggior parte di esse erano adolescenti e giovani adulti.
In un messaggio di saluto, il Segretario Generale del Consiglio Mondiale delle Chiese di Ginevra, Rev. Prof. Dr. Jerry Pillay, ha ringraziato per le ricche esperienze ecumeniche condivise e vissute insieme durante le visite annuali degli studenti a Ginevra e ha sottolineato che “la vera eredità del Centro di Montet non è la sua struttura fisica, bensì la comunione, le relazioni e i valori evangelici promossi”.
Cédric Péclard, sindaco di lunga data di Les Montets, al cui Comune appartiene il villaggio di Montet, si è molto rammaricato per questa chiusura. Tuttavia, si è compiaciuto per il fatto che il “Dado della pace” del parco del Centro dei Focolari sia stato donato al Comune. Questa scultura interattiva incarna e trasmette valori importanti per il Movimento dei Focolari e in realtà ha origine nel villaggio: un gruppo di focolarine l’aveva creato per lavorare con i bambini durante il loro soggiorno a Montet, poi “il dado” si è diffuso in tutto il mondo. Un grande modello mobile di esso, si trova oggi in un parco giochi nel centro di Les Montets.
Dr. Vasile-Octavian Mihoc
Nel suo discorso, la Presidente dei Focolari Margaret Karram, presente a Montet insieme al Copresidente Jesús Morán, non ha nascosto quanto sia stato doloroso per la comunità internazionale chiudere questo sito. “Sentiamo molto chiaramente che dobbiamo guardare all’umanità che attende il dono della pace, dell’unità e che dobbiamo saper cogliere, anche attraverso le circostanze, il desiderio di Dio per noi e per le nostre attività e strutture”. La decisione di chiudere la cittadella dei Focolari a Montet non è stata presa a cuor leggero. “È come assistere alla potatura di un albero che ha dato tanti bei frutti per molti anni”. “Ma sappiamo che nulla accade per caso, ma la Divina Provvidenza è sempre dietro a tutto”. E ha incoraggiato tutti – ospiti e residenti – a portare l’esperienza acquisita a Montet nel mondo: “Molti di voi sarete destinati ad altre città, ad altri Paesi, ad altre comunità o ritornerete nel vostro Paese e porterete ovunque andrete la preziosa esperienza che avete vissuto qui e che, quindi, non solo continuerà, ma vi porterà una dimensione di amore ancora più grande che vi stupirà, perché sarà nuova”.
Il futuro prevede la vendita della tenuta di 5 ettari. Un comitato guidato da Hugo Fasel, ex direttore della Caritas svizzera, supervisionerà la vendita e farà in modo che l’uso futuro della proprietà sia in linea con i valori del Movimento dei Focolari.
Si arriva a Juruti, nello Stato del Parà, da Santarém, dopo sette ore di motonave, il mezzo più veloce. Con fierezza, i suoi abitanti dicono che questa zona è il cuore della bassa Amazzonia brasiliana, dove l’unica “strada” di collegamento è il Rio delle Amazzoni, il “fiume-mare”, come lo chiamano i nativi. È infatti il primo fiume al mondo per portata d’acqua e il secondo per lunghezza. È lui a scandire il tempo, la vita sociale, il commercio e le relazioni tra i circa 23 milioni di abitanti di questa vastissima regione, dove vive il 55,9% della popolazione indigena brasiliana. Oltre ad essere uno degli ecosistemi più preziosi del pianeta, gli interessi politici ed economici sono causa di conflitti e violenze che continuano a moltiplicarsi quotidianamente. Qui la dirompente bellezza della natura è direttamente proporzionale ai problemi di qualità della vita e sopravvivenza.
Cura, la parola-chiave per l’Amazzonia
“Osservare e ascoltare è la prima cosa che possiamo imparare in Amazzonia” spiega Mons. Bernardo Bahlmann O.F.M., Vescovo di Óbidos, a Margaret Karram e Jesús Morán, Presidente e Copresidente dei Focolari, arrivati per conoscere e vivere alcuni giorni con le comunità dei Focolari della regione. Li accompagnano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior, co-responsabili nazionali del Movimento, insieme a Bernadette Ngabo e Ángel Bartol del Centro Internazionale del Movimento.
Il Vescovo parla della cultura differenziata di questa terra, dove caratteristiche native convivono con aspetti del mondo occidentale. La convivenza sociale presenta molte sfide: povertà, mancanza di rispetto dei diritti umani, sfruttamento della donna, distruzione del patrimonio forestale. “Tutto questo domanda di ripensare cosa significhi prendersi cura delle ricchezze di questa terra, delle sue tradizioni originarie, del creato, dell’unicità di ogni persona, per trovare, insieme, una strada nuova verso una cultura più integrata”.
Santarém, dove la Chiesa è laica
Un compito impossibile senza il coinvolgimento dei laici, spiega Mons. Ireneu Roman, Vescovo dell’Arcidiocesi di Santarém: “sono loro la vera forza della Chiesa amazzonica”. Nelle sue comunità parrocchiali i catechisti sono circa un migliaio e supportano la formazione cristiana, la liturgia della Parola e i progetti sociali. Mons. Roman domanda alla comunità dei Focolari in Amazzonia di portare il suo contributo specifico: “l’unità nelle strutture ecclesiali e nella società, perché ciò che serve di più a questa terra è ri-imparare la comunione”.
La presenza dei Focolari e il Progetto Amazzonia
La prima comunità maschile del Focolare è arrivata stabilmente a Óbidos nel 2020 su richiesta di Mons. Bahlmann e sei mesi fa si è aperta quella femminile a Juruti. Oggi in Amazzonia ci sono sette focolarini, tra cui un medico, due sacerdoti, una psicologa e un economista.
“Siamo in Amazzonia per supportare il grande lavoro missionario che la Chiesa svolge con i popoli indigeni”, spiegano Marvia Vieira e Aurélio Martins de Oliveira Júnior. “Nel 2003, una delle linee guida della Conferenza Episcopale Brasiliana era incrementare la presenza della Chiesa in questa regione amazzonica, perché la vastità del territorio e la mancanza di sacerdoti rendevano difficile un’adeguata assistenza spirituale e umana”.
Nasce così, 20 anni fa, il “Progetto Amazzonia” dove membri del Movimento dei Focolari provenienti da tutto il Brasile si recano per un periodo in luoghi scelti di comune accordo con le Diocesi, per realizzare azioni di evangelizzazione, corsi di formazione per famiglie, giovani, adolescenti e bambini, visite mediche e psicologiche, cure odontoiatriche e altro.
“Forse non riusciremo a risolvere i tanti problemi di questa gente – dice Edson Gallego, focolarino sacerdote del focolare di Óbidos e parroco – ma possiamo essere loro vicini, condividere gioie e dolori. È quello che cerchiamo di fare da quando siamo arrivati, in comunione con le diverse realtà ecclesiali della città.”
Le focolarine spiegano che non è sempre facile perdere le proprie categorie mentali: “Spesso ci illudiamo di dare risposte, ma siamo noi che usciamo arricchite da ogni incontro, dalla forte presenza di Dio che emerge ovunque: nella natura, ma soprattutto nelle persone”.
Costruire la persona e la società
A Juruti le focolarine collaborano con le realtà della Chiesa che svolgono azioni di promozione umana e sociale. Il “casulo” “Bom Pastor” è una delle 24 scuole materne della città, con una specifica linea pedagogica che forma i bambini alla consapevolezza della propria cultura e tradizioni, al senso comunitario, alla coscienza di sé e dell’altro. Una scelta importante per una formazione integrale e integrata. Mentre l’Ospedale “9 de Abril na Providência de Deus” è gestito dalla Fraternità “São Francisco de Assis na Província de Deus”. Serve la popolazione della città (51.000 abitanti circa), le località vicine e le comunità fluviali, con una particolare attenzione a chi non può permettersi di pagare le cure. Le Apostole del Sacro Cuore di Gesù, invece, animano il Centro di convivenza “Madre Clelia” dove accolgono un centinaio di giovani l’anno, creando alternative di formazione professionale e contribuendo allo sviluppo personale, in particolare dei giovani a rischio.
Anche la comunità del Focolare da anni opera in sinergia con le parrocchie e le organizzazioni ecclesiali. Incontrandola, insieme ad altre comunità venute da lontano, Margaret Karram ringrazia per la generosità, concretezza evangelica e accoglienza: “Avete rinforzato in tutti noi il senso di essere un’unica famiglia mondiale e anche se viviamo distanti, siamo uniti dallo stesso dono e missione: portare la fraternità dove viviamo e in tutto il mondo”.
Promuovere la dignità umana
Attraverso un reticolo di canali che si snodano dentro la foresta amazzonica, a un’ora di barca da Óbidos, si arriva al Mocambo Quilombo Pauxi, una comunità indigena di un migliaio di persone afro-discendenti. È seguita dalla parrocchia di Edson, che cerca di andare almeno una volta al mese per celebrare la Messa e, insieme ai focolarini, condividere, ascoltare, giocare con i bambini. La comunità è composta da circa un migliaio di persone che, pur immerse in una natura paradisiaca, vivono in condizioni particolarmente svantaggiate. Isolamento, lotta per la sopravvivenza, violenza, mancanza di pari diritti, di accesso all’istruzione e alle cure mediche di base, sono le sfide quotidiane che queste comunità fluviali affrontano. Anche qui, da due anni, la diocesi di Óbidos ha attivato il progetto “Força para as mulheres e crianças da Amazônia”. È indirizzato alle donne e all’infanzia e promuove una formazione integrale della persona in ambito spirituale, sanitario, educativo, psicologico, di sostentamento economico. Una giovane madre racconta con fierezza i suoi progressi nel corso di economia domestica: “Ho imparato molto e ho scoperto di avere capacità e idee”.
Certamente si tratta di una goccia nel grande mare delle necessità di questi popoli, “ed è vero – riflette Jesús Morán – che, da soli, noi non risolveremo mai i tanti problemi sociali. La nostra missione, anche qui in Amazzonia, è cambiare i cuori e portare l’unità nella Chiesa e nella società. Ha senso quel che facciamo se le persone orientano la loro vita al bene. È questo il cambiamento”.
Accogliere, condividere, imparare: è questa la “dinamica evangelica” che emerge, ascoltando i focolarini in Amazzonia, dove ciascuna e ciascuno si sente chiamato personalmente da Dio ad essere suo strumento per “ascoltare il grido dell’Amazzonia” (47-52) – come scrive Papa Francesco nella straordinaria esortazione post-sinodale Querida Amazonia – e per contribuire a far crescere una “cultura dell’incontro verso una ‘pluriforme armonia’” (61).
Il 16 luglio del 1949 Chiara Lubich e Igino Giordani strinsero un “Patto di unità”. Fu un’esperienza spirituale che dette inizio ad un periodo di luce e di particolare unione con Dio.
E contrassegnò dunque la vita dell’allora prima comunità dei Focolari, ma anche la storia di tutto il Movimento ed il suo impegno per un mondo più fraterno e più unito.
A settantacinque anni da quel giorno, un approfondimento su cosa ha significato allora quel Patto e che cosa può significare oggi continuare ad attuarlo.
“Pace tra i popoli, salvaguardia del pianeta, economie e politiche che mettano al centro la persona, la giustizia e la dignità: su questo lavoreremo, discuteremo e progetteremo a livello mondiale al Genfest”. A spiegarlo sono i giovani del Movimento dei Focolari che dal 12 al 24 luglio prossimi, in Brasile, chiameranno a raccolta migliaia di giovani per un evento mondiale. Lo scopo è, come dice il titolo: “Juntos para cuidar”, cioè prendersi cura insieme, a livello mondiale, delle persone e dei pezzi di umanità più sofferenti e vulnerabili, al di là delle differenze culturali, etniche e religiose.
I grandi cambiamenti in atto ci mostrano la necessità di un nuovo paradigma culturale, basato non sull’individuo, ma sulla relazione sociale che si apre su tutta l’umanità attraverso una cultura che promuova la fraternità universale; che non elimina la complessità, ma la valorizza, permettendo di comprendere più profondamente la storia dell’umanità e dei popoli.
Il Genfest 2024si snoderà in tre fasi: volontariato, un evento centrale e la creazione di community suddivise per ambiti d’interesse, di studio o professionali, per restare connessi e lavorare alla costruzione di un mondo più unito sui propri territori. Vuol essere un’esperienza immersiva dove i protagonisti e gli ideatori sono i giovani; ma il dialogo e la collaborazione intergenerazionale saranno un pilastro imprescindibile del cambiamento che si vuole proporre anche alle istituzioni internazionali. Alcuni momenti verranno trasmessi in streaming mondiale sul canale YouTube del Genfest 2024.
A conclusione, i nuovi step e i progetti nati o in atto, per costruire un mondo in pace e più unito verranno raccolti in un documento che verrà presentato al Summit of the Future (22-23 settembre 2024), promosso dalla Nazioni Unite. Conterrà progetti e proposte concrete per un mondo più giusto e fraterno, per contribuire agli obiettivi internazionali dell’Agenda ONU 2030.
Chi non potrà partecipare all’evento centrale in Brasile, potrà informarsi su quello più vicino a casa propria, perché ci saranno altri 44 Genfest locali che si svolgeranno in Corea, India, Sri Lanka, Filippine, Pakistan, Vietnam, Giordania, Egitto, Burundi, Tanzania, Angola, Zambia, Kenya, Etiopia, Sud Africa, RD Congo, Costa D’Avorio, Camerun, Burkina Faso, Perù, Bolivia, Messico, Guatemala, Argentina, Ungheria, Serbia, Cechia, Slovacchia, Germania e Italia.
Juntos para cuidar: il programma
Sperimentare – la prima settimana del Genfest (12-18 luglio 2024) propone ai partecipanti un’esperienza “immersiva” di volontariato in uno dei 40 progetti e organizzazioni che si sono resi disponibili in diversi Paesi dell’America Latina e in altre parti del mondo. Questa azione sarà realizzata in collaborazione con UNIRedes, organismo che riunisce più di 50 organizzazioni, iniziative e movimenti sociali di 12 Paesi dell’America Latina e dei Caraibi che promuovono azioni di trasformazione in vari campi (arte e cultura, ambiente, governance democratica, istruzione, lavoro, ecc.) attraverso il protagonismo di tutti gli attori coinvolti.
Celebrare – Dal 19 al 21 luglio ad Aparecida, all’arena del santuario nazionale, i giovani si riuniranno per l’evento centrale per conoscere esperienze, condividere strategie di pace e fraternità anche attraverso manifestazioni artistiche e musicali. L’evento sarà trasmesso in streaming in più di 120 Paesi. Un grande festival di idee, pensieri e iniziative che ispirerà migliaia di giovani di diverse culture, etnie e religioni a vivere per un mondo unito.
Imparare e condividere – La terza fase si svolgerà dal 21 al 24 luglio: i giovani si distribuiranno in gruppi chiamati “communities” suddivisi in otto aree d’interesse: economia e lavoro, intercultura e dialogo, spiritualità e diritti umani, salute ed ecologia, arte e impegno sociale, istruzione e ricerca, comunicazione e media, cittadinanza attiva e politica.
In questi spazi i giovani potranno imparare, confrontarsi, ideare nuove forme d’impegno condiviso per diffondere la cultura della fraternità tramite dei progetti locali con una prospettiva globale, in modo che tornando nei propri Paesi, possano impegnarsi localmente negli ambiti che li appassionano per formarsi al paradigma culturale della fraternità e della relazionalità.
Un team internazionale formato da accademici, professionisti, leader e attivisti sociali e politici – giovani e adulti – accompagnerà i partecipanti nei dibattiti e nei lavori di gruppo.
Hanno confermato la loro partecipazione, tra gli altri: Luigino Bruni, economista (Italia), Choie Funk, architetto e attivista sociale (Filippine), Jander Manauara, rapper e attivista (Brasile), Carlos Palma, coordinatore di Living Peace (Uruguay), Myrian Vasques, consigliera indigena (Brasile), Silvina Chemen, direttrice Centro per il Dialogo Interreligioso presso seminario rabbinico (Argentina), John Mundell, direttore Piattaforma di Azione Laudato Si’ del Vaticano (Stati Uniti), Nicolas Maggi Berrueta, violinista, Ambasciatore di Pace (Uruguay), Israa Safieddine, educatrice specializzata in istruzione islamica (Stati Uniti).