Movimento dei Focolari
Taiwan: “La nostra Africa”, solidarietà con le vittime di ebola

Taiwan: “La nostra Africa”, solidarietà con le vittime di ebola

20150116-03«A Taiwan la questione dell’epidemia di ebola non ha fatto notizia, tranne quando sembrava che il pericolo potesse estendersi oltre i confini africani. Per la maggior parte della gente è un problema lontano che non ha niente a che fare con loro. Ma noi, Giovani per un Mondo Unito (GMU) – sia quelli di Taiwan che alcuni studenti di altri Paesi che studiano qui il cinese – sentivamo diversamente, perché ciascuno di noi a questo mondo è parte della stessa famiglia umana. Grazie ad un amico che ha vissuto in Sierra Leone ci siamo potuti mettere in contatto con John, un Giovane per un Mondo Unito proprio della Sierra Leone. Ci ha raccontato della terribile situazione che vivono, la carenza di cibo, i prezzi crescenti, le tante persone che hanno perso la vita e un governo che non ha risorse sufficienti per aiutare, ma anche degli sforzi che sia lui che altri fanno per assistere le persone in necessità. Così, abbiamo deciso di entrare in azione, e abbiamo organizzato una vendita di dolci. Anche se era una piccola cosa, ci sentivamo felici perché alla fine non eravamo più passivi di fronte ad una sofferenza così grande. Il tempo speso insieme a cucinare ci ha anche aiutato a rafforzare la nostra amicizia e ci ha dato un rinnovato impulso nel promuovere la pace e l’unità nella nostra vita quotidiana. Ci sono stati anche momenti di dubbio, se fossimo riusciti o meno a vendere tutti i dolci che avevamo fatto, ma abbiamo deciso di andare avanti, fiduciosi che se avessimo fatto tutto per amore degli altri, allora tutto avrebbe funzionato. Il giorno della vendita è stato fantastico perché abbiamo venduto tutto e alcune persone hanno donato dei soldi extra, così abbiamo guadagnato molto più del previsto. E, ancora più importante, molte persone si sono coscientizzate alla terribile sofferenza che l’ebola sta causando, e hanno visto come i Giovani per un Mondo Unito cercano di vivere per l’intera famiglia umana. 20150116-02Tre ragazzi africani, che passavano per caso, ci hanno ringraziato per quanto facevamo per la “loro”Africa. Uno di noi ha risposto: “non la vostra Africa, ma la nostra Africa”, che riassumeva lo spirito di tutta l’iniziativa. Due impressioni dai nostri amici: “Quando ho sentito dell’epidemia di ebola – dice Chung Hao – non sapevo come aiutarli, e questo evento di solidarietà, anche se è un piccolo contributo, mi ha fatto sentire che quando i giovani sono uniti, sono davvero una potenza, non solo nell’aiuto concreto”. E Xin Ci: “La vendita di dolci è stata un’occasione importante per dare un contributo a quanti stanno soffrendo a causa dell’ebola. Quando arrivando ho visto i tavoli ricoperti di bei dolci invitanti, ero commosso al pensiero di quanto sforzo le persone avevano messo nel realizzarli. Ho sempre desiderato fare qualcosa per questo mondo, e questi piccoli gesti, fatti con l’infinito amore di ciascuno, possono essere comunicati in ogni angolo del mondo”. L’esperienza è poi continuata – scrive Brian da Taiwan – con una successiva vendita che ha coinvolto gli studenti della Fu Jen University. Oltre alla causa molto importante, queste azioni ci hanno ridato energia e portato un forte senso di cosa significa costruire un mondo unito». (altro…)

Living the Gap

Living the Gap

Gap_004This second edition of Living in the Gap is prompted by the Church’s celebration throughout 2015 of a Year for Consecrated Life to mark both the 50th anniversary of the Second Vatican Council and the 50th anniversary of Perfectae Caritatis, “The Decree on the Adaptation and Renewal of Religious Life.” The book wishes to raise awareness of the importance of the vocation to the consecrated life in the life of Church and to help religious in their efforts towards the new evangelization.

The challenge before religious today and before all those called to evangelical counsels of chastity, poverty, and obedience is to do their best to narrow the gap between vision and reality. The question they should be asking themselves is not whether the gap between vision and reality exists in their lives, but whether it is getting larger or smaller.

Available from New City Press (NY)

Haiti, per non dimenticare

Haiti, per non dimenticare

haitiUna tragedia «che ha lasciato dietro di sé morte, distruzione e anche disperazione» dove «tanto è stato realizzato per ricostruire il Paese» ma dove «molto lavoro resta ancora da fare». Lo ha ricordato papa Francesco ai partecipanti all’incontro promosso nel 5° anniversario del terremoto ad Haiti, avvenuto il 12 gennaio 2010. Pur vivendo in un contesto molto povero, anche la comunità del Movimento dei Focolari presente a Savanette (Mont-Organisé nel Nord Est), da subito si è messa a disposizione per accogliere ed aiutare gli sfollati che arrivavano da Port-au-Prince, la capitale, che aveva subito devastazioni inimmaginabili. Da parte della locale associazione PACNE (Action Contre la Pauvreté du Nord-Est) è nata l’idea di realizzare un centro dove poter ospitare gli sfollati, e così con il contributo di moltissime comunità in varie parti del mondo, e con l’assistenza delle associazioni AFN (Azione per Famiglie Nuove) e AMU (Azione Mondo Unito), è stato realizzato il centro comunitario “Maison de la Providence” che ha dato opportunità di lavoro ed ospitalità a famiglie di sfollati. Oggi accoglie persone anziane ed indigenti che non hanno chi le possa accudire. Nel complesso, questo centro, nei primi due anni di attività, ha sostenuto circa 500 persone.

Foto: Dieu Nalio Chery/AP

A Port-au-Prince sono due i progetti realizzati dall’AMU in stretta collaborazione con i Missionari Scalabriniani, segno di quella «comunione ecclesiale» che ha caratterizzato la ricostruzione ad Haiti, in cui tanti organismi, ecclesiali e non, si sono impegnati. Il primo, relativo ad un piano di urbanizzazione per famiglie rimaste senza casa, riguardava la creazione di una nuova linea elettrica per il rifornimento in due villaggi. 41 famiglie hanno avuto così accesso all’energia e molte altre hanno avuto la possibilità di collegarsi alla linea elettrica. Inoltre, nel supporto al completamento della costruzione del villaggio “Montebelluna-Bassano” composto da 27 unità abitative a favore di 135 persone, il contributo dell’AMU ha permesso la realizzazione del sistema idrico e fognario del villaggio, e la dotazione delle singole abitazioni del sistema elettrico. È stata potenziata la linea elettrica di un polo produttivo, con un generatore più potente. In questo modo le diverse piccole imprese presenti (una produzione di blocchi, una carpenteria, una panetteria, un pastificio, una cucina industriale ed un allevamento avicolo) hanno potuto aumentare la propria produzione. Infine l’AMU ha sostenuto l’avvio di un allevamento avicolo – che dà lavoro a 10 persone – attraverso la costruzione di un serbatoio indispensabile per l’approvvigionamento idrico dei 3.000 animali e le attività di macellazione. Un centro comunitario – scuola, un centro di aggregazione ed una grande area sportiva – è il secondo progetto al quale l’AMU ha dato un contributo. Attraverso l’AMU, il Movimento dei Focolari ha anche sostenuto altre attività sociali a favore della popolazione di Haiti: a Carice (sempre nel Nord Est) per diversi anni è stata assunta un’infermiera professionale presso la piccola clinica delle Suore di Maria Immacolata, nell’attesa che una delle religiose completasse la propria specializzazione e poi prendesse servizio presso la clinica, una delle poche strutture sanitarie a servizio della popolazione locale. Infine, con PACNE e con il contributo specifico dei Giovani per un Mondo Unito, è stato avviato un programma di borse di studio per una decina di giovani haitiani affinché potessero svolgere i loro studi universitari, alcuni in Haiti e altri nella vicina Repubblica Dominicana, acquistando così buone competenze professionali da mettere a disposizione del proprio Paese. Info: www.amu-it.eu (altro…)

[:es]Pueblo de Dios en camino

[:es]Pueblo de Dios en camino

image007Contenido: Este libro recoge las catequesis del papa Francisco sobre la Iglesia pronunciadas entre el 18 de junio y el 3 de diciembre de 2014. Hablar de la Iglesia es hablar de nuestra familia, dice. Y en verdad este papa tiene una capacidad especial para tratar temas complejos con la mayor profundidad y a la vez del modo más sencillo y atrayente. Francisco conversa directamente con su auditorio, repite alguna frase con la gente para ayudar a interiorizar el mensaje, manda tareas para casa, sazona su enseñanza con recuerdos personales y ejemplos de la vida corriente. Así se va dibujando en el alma el rostro de esta Iglesia que todos amamos, que yo amo: una gran familia donde aprendemos a vivir como discípulos de Jesús, siempre en camino bajo la guía del Espíritu Santo, el cual impulsa a la Iglesia derribando las defensas que nos impiden abrir un diálogo con los demás. Añadimos en apéndice las principales intervenciones del Papa en sus viajes apostólicos a Corea, a Albania y a Turquía, que subrayan la apertura de la Iglesia de hoy y el papel destacado de los laicos en su vocación misionera. Un material idóneo para la meditación y la formación cristiana de jóvenes y adultos, laicos y consagrados… Un pequeño gran tratado sobre la Iglesia, de lectura profundamente espiritual y amena, fácil de entender y que impulsa a vivir. Sobre el autor Francisco, primer papa latinoamericano, nació en Buenos Aires en el año 1936. Jorge Mario Bergoglio, jesuita, fue ordenado obispo el 27 de junio de 1992 y años más tarde, fue nombrado (1998) Arzobispo de Buenos Aires. Juan Pablo II lo creó Cardenal con el título de San Roberto Bellarmino en el año 2001. Participó en el cónclave que eligió como sumo pontífice a Benedicto XVI y en el último Cónclave, salió elegido como sucesor, tomando para sí el emblemático nombre de Francisco. Editorial Ciudad Nueva (Madrid) Otros títulos de este autor » 100 días » La fe de la Iglesia » Los sacramentos y los dones del Espíritu

Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Pace: non più schiavi, ma fratelli

Francesco_immigranti_a«Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità, è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile. Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù» scrive papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale della Pace, che si celebra il 1° gennaio, festa della famiglia. E mentre scrive pensa a «tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori». E pensa anche «alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane». Mohamed viene dal Mali ed è passato attraverso un naufragio in mare e una vita di povertà e sofferenze. Oggi, ha tanta voglia di ringraziare. A raccontarlo è Flavia Cerino, avvocato, dalle pagine di Città Nuova. «Poco più che quindicenne, Mohamed decide di partire: un lungo viaggio nel deserto, la Libia (prigioni e sfruttamento) e poi finalmente l’Italia. Mare Nostrum lo salva dal naufragio ma appena è a terra scattano le manette: i compagni di viaggio lo indicano tra gli scafisti, ma lui davvero non c’entra. In effetti aveva distribuito qualcosa da mangiare e da bere sulla barca, ma se non lo avesse fatto gli scafisti, quelli veri, minacciavano di buttarlo in mezzo alle onde. Siccome è un ragazzo non va in una prigione vera e propria. L’attesa dell’udienza che dovrà confermare l’arresto è in uno spazio triste e angusto nel palazzo del Tribunale della grande città, ma molte persone si curano di lui: i poliziotti sono gentili e le assistenti sociali si interessano della sua vita, della salute, della famiglia. Da mesi nessuno lo considerava con tanta attenzione. Di solito riceveva ordini, non domande. E poi un poliziotto parla francese e lui può spiegare bene come sono andate le cose». L’udienza per la conferma dell’arresto si conclude bene: non andrà in prigione, ma in una comunità. «Non sarà libero, ma senza dubbio è meglio del carcere. Il posto è bello, in una piccola città assolata ancora più a sud. Mohamed si fa apprezzare e amare: disponibile ai lavoretti domestici, pronto ad imparare parole nuove di italiano, ama il calcio ma anche il silenzio e la solitudine. A distanza di molti mesi arriva il momento di presentarsi dinanzi al Tribunale: significa ritornare sul passato, sulle cose brutte vissute e da dimenticare. Nonostante il tempo i ricordi sono tutti lì, anche quelli belli. Così finita l’udienza ha una sola richiesta: tornare all’ultimo piano, in quelle stanzette anguste, per dire solo “grazie” a quel poliziotto che parla il francese e a quelle signore tanto gentili: non le dimenticherà mai. Purtroppo nessuno di quelli che lui ha conosciuto è in servizio. Ma quel “grazie” sarà riferito dai colleghi, evento più unico che raro». «Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?”» – conclude papa Francesco. «La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani». (altro…)

Gennaio 2015

Gesù lascia la regione della Giudea diretto in Galilea. La strada lo porta ad attraversare la Samaria. A metà giornata, sotto il sole, stanco del cammino, si siede al pozzo che il patriarca Giacobbe aveva costruito 1700 anni prima. Ha sete, ma non ha un secchio per attingere l’acqua. Il pozzo è profondo, 35 metri, come si può vedere anche ai nostri giorni. I discepoli sono andati in paese a comprare qualcosa da mangiare. Gesù è rimasto solo. Arriva una donna con una brocca e lui, con semplicità, le domanda da bere. E’ una richiesta che va contro le usanze del tempo: un uomo non si rivolge direttamente a una donna, soprattutto se è una sconosciuta. Inoltre tra Giudei e Samaritani vi sono divisioni e pregiudizi religiosi: Gesù è giudeo e la donna una samaritana. Il dissidio, e persino l’odio, tra i due popoli ha radici profonde, di origini storiche, politiche. Vi è un ulteriore steccato tra lui e lei, di tipo morale: la samaritana ha avuto più uomini e vive in situazione irregolare. Forse è per questo che non viene ad attingere acqua con le altre donne al mattino o alla sera, ma in un’ora insolita come quella, a mezzogiorno: per evitare i loro commenti. Gesù non si lascia condizionare da nessun tipo di barriera e apre il dialogo con la straniera. Vuole entrare nel suo cuore e le chiede: “Dammi da bere” Ha in serbo un dono per lei, il dono di un’acqua viva. «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me», lo sentiremo gridare più tardi nel tempio di Gerusalemme (7,37). L’acqua è essenziale per ogni tipo di vita e appare tanto più preziosa in ambienti aridi come nella Palestina. Quella che Gesù vuole donare è un’acqua “viva”, a simboleggiare la rivelazione di un Dio che è Padre ed è amore, lo Spirito Santo, la vita divina che egli è venuto a portare. Tutto quanto egli dona è vivo e per la vita: lui stesso è il pane “vivo” (cf 6,51ss), è la Parola che dà la vita (cf 5,25), è semplicemente la Vita (cf 11, 25-26). Sulla croce, ci dirà ancora Giovanni che ne era testimone, quando uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia, « subito ne uscì sangue e acqua» (19,34): è il dono estremo e totale di sé. Ma Gesù non impone. Non la rimprovera neppure per la sua convivenza irregolare. Lui che tutto può dare, chiede, perché realmente ha bisogno del dono di lei: “Dammi da bere” Chiede perché è stanco, ha sete. Lui, il Signore della vita, si fa mendicante, senza nascondere la sua reale umanità. Chiede anche perché sa che se l’altra dona, ella potrà aprirsi più facilmente ed essere pronta ad accogliere a sua volta. Da questa richiesta inizia un colloquio fatto di argomentazioni, fraintendimenti, approfondimenti al termine del quale Gesù può rivelare la propria identità. Il dialogo ha fatto crollare le barriere di difesa e ha portato alla scoperta della verità, l’acqua che egli è venuto a portare. La donna lascia ciò che in quel momento ha di più prezioso, la sua brocca, perché ha trovato ben altra ricchezza, e corre in città per iniziare a sua volta un dialogo con i vicini. Anche lei non impone, ma narra l’accaduto, comunica la propria esperienza e pone l’interrogativo sulla persona incontrata, che le ha chiesto: “Dammi da bere” In questa pagina di Vangelo mi pare di cogliere un insegnamento per il dialogo ecumenico di cui ogni anno, in questo mese, ci viene ricordata l’urgenza. La “Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani” ci fa prendere coscienza della divisione scandalosa tra le Chiese che continua da troppi anni e ci invita ad accelerare i tempi di una comunione profonda che superi ogni barriera, così come Gesù ha superato le fratture tra Giudei e Samaritani. Quella tra cristiani è soltanto una delle tante disunità che ci lacerano negli ambiti più vari, fatte di malintesi, dissidi in famiglia o nel condominio, tensioni sul lavoro, rancori verso gli immigrati. Le barriere che spesso ci dividono possono essere di tipo sociale, politico, religioso, o semplicemente frutto di diverse abitudini culturali che non sappiamo accettare. Sono quelle che scatenano i conflitti tra nazioni ed etnie, ma anche l’ostilità nel nostro quartiere. Non potremmo, come Gesù, aprirci all’altro, superando diversità e pregiudizi? Perché non ascoltare, al di là dei modi con cui può essere formulata, la richiesta di comprensione, di aiuto, di un po’ di attenzione? Anche in chi è di parte avversa o di altra estrazione culturale, religiosa, sociale, si nasconde un Gesù che si rivolge a noi e ci chiede: “Dammi da bere” Viene spontaneo ricordare un’altra parola simile di Gesù, pronunciata sulla croce, sempre testimoniata dal Vangelo di Giovanni: «Ho sete» (19,28). E’ la necessità primordiale, espressione di ogni altra necessità. In ogni persona bisognosa, disoccupata, sola, straniera, sia pure di un altro credo o convinzione religiosa, sia pure ostile, possiamo riconoscere Gesù che ci dice: “Ho sete” e che ci chiede: “Dammi da bere”. Basta offrire un bicchiere d’acqua, dice il Vangelo, per averne una ricompensa (cf Mt 10,42), per avviare quel dialogo che ricompone la fraternità. Anche noi, a nostra volta, possiamo esprimere le nostre necessità, senza vergognarci di “avere sete” e chiedere a nostra volta: “Dammi da bere”. Potrà così iniziare un dialogo sincero e una comunione concreta, senza paura della diversità, del rischio della condivisione del nostro pensiero e dell’accoglienza di quello dell’altro. Facendo leva soprattutto sulle potenzialità di chi abbiamo di fronte, sui suoi valori presenti anche se nascosti, come ha fatto Gesù che ha saputo riconoscere nella donna qualcosa che lui non poteva fare, attingere acqua. Fabio Ciardi (altro…)

Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Parola di Vita, una novità continua

Padre_FabioCiardiI commenti alla Parola di Vita del 2015 saranno affidati a Fabio Ciardi, oblato di Maria Immacolata. Come mai? Lo leggiamo su Città Nuova del 25 novembre, dove è lui stesso a rispondere: «Forse perché ho vissuto accanto a Chiara Lubich per tanti anni, lavorando con lei soprattutto nel campo della teologia spirituale. Già negli ultimi tempi, quando era ammalata, ho potuto aiutarla nella preparazione dei commenti alla Parola di Vita. Spero che la mia prolungata presenza nella Scuola Abba – l’équipe che studia i “testi fondatori” del carisma dell’unità – mi abbia consentito di assimilare un po’ della sua sapienza e esprimerla anche in questi nuovi commenti». Generazioni di cristiani hanno vissuto la Parola di Dio. Quale la novità introdotta da Chiara Lubich? Si domanda nell’intervista. «Abitualmente ci si ferma a meditare o pregare la Parola. Qui si chiede di metterla in pratica, di trasformarla in vita, come ammonisce san Giacomo: “Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori” (Gc 1,22). L’ascolto autentico, quello del cuore e non solo dell’udito, equivale all’assimilazione e interiorizzazione della Parola, in modo da informare di essa tutta l’esistenza cristiana. Chiara ha inoltre portato l’attenzione sulla dimensione sociale della Parola di Dio: deve poter generare una comunità cristiana. A questo aiuta la “comunione sulla Parola di Vita”, ossia la comunicazione, tra quanti la vivono, degli effetti che essa produce, in modo da aiutarsi a scoprirne tutte le potenzialità». «Prima di essere noi a vivere la Parola, a ben guardare, è la Parola che fa vivere noi», continua. «Il destino della Parola, ha scritto Chiara, è quello di “esser ‘mangiata’ per dare vita a Cristo in noi e a Cristo fra noi”. Raccontando l’esperienza vissuta agli inizi del Movimento, affermava: “Ci si nutriva di essa tutti gli istanti della nostra vita. Ecco: come il corpo respira per vivere, così l’anima per vivere viveva la Parola”». Nell’intervista a Città Nuova, padre Ciardi ribadisce: «Nel solco della tradizione aperta da Chiara, siamo chiamati a continuare, proprio come lei faceva, ad interpellare la Scrittura perché essa ha sempre nuove risposte a situazioni sempre diverse». E ancora: «I suoi commenti rimangono un tesoro prezioso a cui continueremo ad attingere, saranno sempre oggetto di meditazione e fonte di ispirazione». E conclude: «Sono consapevole che la mia  è soltanto una piccola introduzione alla lettura della Parola di Vita. È poi questa che rimane nel lettore, non il commento, e questa porta frutto».   Fonte: Città Nuova, 25 novembre 2014 (altro…)

Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Lucio Dal Soglio, il suo Natale

LucioDalSoglio“Te ne sei andato in silenzio, quasi furtivamente e senza disturbare. Forse desideravi arrivare in tempo per celebrare il tuo Natale definitivo lassù, quello alla Vita …”, scrive uno dei focolarini che ha vissuto con lui negli ultimi anni a Rocca di Papa. Nato il 22 febbraio del 1927, conosce l’Ideale dell’unità a Pisa nel ‘52, mentre frequenta la Facoltà di medicina. Dopo alcuni anni in Italia (Roma, Pescara, Torino), ecco la grande svolta: l’Africa. Siamo ai primi di ottobre del ‘62, quando Chiara Lubich e don Foresi chiedono a lui e Nicasio Triolo, altro medico focolarino: “Siete pronti a partire per l’Africa?”. L’11 febbraio del ‘63 approdano in Camerun assieme a Danilo Gioacchin, veterinario e veneto come Lucio. La vita li è un quotidiano interrogarsi sulla realtà circondante, in un atteggiamento di onesto e disarmato rispetto per una cultura finora completamente estranea e per le sue genti. Stupore, incertezze, scoperte e percezione acuta dei limiti di fronte al mistero, ma soprattutto apertura incondizionata ai piani di quel Dio che trasformerà il tutto in uno stupendo “canto d’amore” che scorre parallelamente alla fondazione del Movimento e all’irradiazione dell’Ideale dell’unità nel continente africano. Questo periodo così particolare Lucio lo vivrà in stretto rapporto con Chiara Lubich che si recherà in Camerun nel ’65, ‘66 e nel ‘69. Più tardi Chiara andrà in Kenya nel ‘92 e ancora a Fontem (Camerum, dove nel frattempo è sorta la prima cittadella dei Focolari in Africa), per l’ultima volta nel 2000. Lucio ne è felicissimo quando costata che “nel giro di 35 anni il sogno di Chiara è diventato realtà, che Dio c’è, che l’amore è vero e che l’amore scambievole è il segreto della felicità; e questo perché la Madonna ci ha abbracciato tutti in una sola famiglia”.

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Da sinistra: Lucio Dal Soglio, Georges Mani, Dominic Nyukilim, Teresina Tumuhairwe, Benedict Murac Manjo, Marilen Holzhauser, d. Adolfo Raggio, Nicolette Manka Ndingsa.

Lucio non amava parlare di se, non si metteva mai in mostra, non appariva. Ma per quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, Lucio è stato un “grande Baobab” – come alcuni amici africani hanno scritto in questi giorni. Moltissimi gli echi arrivati dall’Africa: “Non saremo mai abbastanza grati a lui per quanto ha fatto per l’Opera di Maria qui in Africa!!!”. “Il suo amore per l’uomo era infinito, perché per lui ogni uomo era Cristo, colui che Lucio amava senza inganni …”. “Lo ricordiamo sopratutto dalla sua radicalità e sincerità nel vivere il Vangelo, un fratello maggiore, un amico vero che ci ha sempre accompagnato in questo ‘santo viaggio’ della vita”. “Immagino ‘Maria Africana’ con le braccia spalancate per accogliere questo suo figlio prediletto assieme a tanti altri che hanno vissuto, sofferto, lavorato e amato senza misura per portare l’Ideale dell’unità in terre d’Africa. Non è un momento di tristezza questo, ma di ringraziamento profondo a Dio per il dono di aver percorso un tratto del nostro santo viaggio con Lucio che ci è stato padre, fratello maggiore e amico.” La parola del Vangelo che Chiara Lubich gli aveva indicato come faro per la sua vita, era: “E lasciate le novantanove, andò in cerca della pecorella smarrita” (Mt. 18,12). “Preghiamo per lui – scrive ai membri dei Focolari Maria Voce – e chiediamo a lui di aiutare l’intera Opera di Maria a compiere il disegno di Dio, perché tutti siano uno”. Leggi anche: Presi dal Mistero (altro…)

[:fr]Pour un Noël de Paix

Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Per un Natale di pace

Chiara_it Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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[:pt]Votos de um Natal de paz

Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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[:de]Für ein Weihnachten des Friedens

Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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[:es]Por una Navidad de Paz

Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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[:en]A Christmas of Peace

  Perché l’umanità continui a vivere dobbiamo avere il coraggio di “inventare la pace”. Ci siamo di certo chiesti: da dove nasce la radicalità della terribile scelta dei kamikaze? Noi dovremmo essere capaci di dare la nostra vita per il grande ideale dell’amore per Dio e per i fratelli. Amore possibile a tutti perché l’amore fraterno è nel dna di ogni uomo. Fiorirebbe ovunque quella fraternità che Gesù ha portato sulla terra facendosi fratello nostro e facendoci fratelli. Forse la provvidenza divina si serve di situazioni di distruzione per suscitare soprassalti morali inattesi ed energie insospettabili per costruire ex-novo la pace e “ridare fiato” all’umanità. Chiara Lubich (Tratto dall’ Editoriale del n° 24/2003 di Città Nuova)


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[:en]May 2015 be the Year of our “Yes”

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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[:es]Que sea el Año del Sí

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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[:zh]全年都說『願意』

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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[:fr]Que cette année soit l’Année du Oui

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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[:pt]Que seja o Ano do Sim!

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Che sia l’Anno del Sì

Emmaus_it «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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[:de]2015: Ein Jahr des Ja

Che sia l’Anno del Sì «Il mio augurio di un Natale ricco di doni e di gioia, soprattutto di doni dal Cielo. Con la gratitudine nell’anima per l’anno che si conclude, vorrei che il 2015 sia “l’anno del Sì!”. Che significa: di fronte ad ogni situazione dire un sì gioioso, pieno. Un sì ripetuto infinite volte: sì a Dio che ci chiede qualche cosa di non previsto, sì a quel prossimo che ha bisogno del nostro amore concreto, sì ad un dolore inatteso, sì a Gesù che ci aspetta nell’umanità per essere accolto, trasformando il dolore in gioia, in vita e risurrezione. Sì sempre. Che questo anno si alzi da tutti noi un “coro di sì” per fare sorridere il mondo con quella gioia che Gesù ci dona. Tanti auguri a tutti!». Maria Voce (Emmaus)


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Sierra Leone: accanto ai malati di Ebola

http://vimeo.com/114439048 La grave epidemia dell’Ebola si è diffusa in particolare in Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone, con gravi perdite tra la popolazione locale, come ampiamente diffuso dai mezzi di comunicazione. L’AMU, ong legata al Movimento dei Focolari, è impegnata nella lotta al virus in vari modi. Chiediamo a Stefano Comazzi, uno dei responsabili, di parlarcene. «In realtà la situazione sembra essere ben più drammatica di quanto generalmente viene comunicato, con l’epidemia tuttora fuori controllo. Tutto questo ha un impatto molto grave sulla vita di milioni di persone, a causa della restrizione dei viaggi, riduzione del commercio con la conseguente scarsezza dei generi alimentari, impedimenti allo studio ed alle attività lavorative… Senza parlare dei lutti nelle famiglie colpite, dove spesso vengono a mancare le forze per il sostentamento dei membri più deboli». L’epidemia in numeri? «Ad oggi – afferma Stefano –, un conteggio preciso non risulta possibile perché molti casi sfuggono alle statistiche, ed anche perché l’epidemia è arrivata dalle zone rurali fino alle grandi città, dove l’alta densità della popolazione e la miseria delle condizioni di vita, favoriscono in grande misura la diffusione del contagio». Dramma nel dramma. Come si sa, «tra i primi a pagare in prima persona ci sono proprio gli operatori sanitari che, nel prodigarsi per contenere l’infezione, ne sono stati a loro volta colpiti, spesso con esiti letali, impoverendo quindi le strutture sanitarie, che già prima erano molto limitate nelle loro risorse; ed oggi spesso si trovano incapaci di affrontare questa calamità. Inoltre, anche la povertà dei mezzi e la mancanza di adeguati equipaggiamenti e materiale sanitario, hanno portato alla decisione di chiudere molte strutture sanitarie che, anziché essere una barriera alla diffusione dell’epidemia, ne erano diventati paradossalmente un motivo di incremento». Sierra Leone. Una simile sorte è toccata anche all’ospedale diocesano cattolico di Makeni “Holy Spirit” in Sierra Leone, località dove lavora da anni padre Carlo  Di Sopra, saveriano, pioniere della spiritualità dell’unità nel Paese africano e della viva comunità dei Focolari. Padre Carlo, con gli altri religiosi della sua congregazione e con tutta la diocesi di Makeni, è impegnato per fare riprendere piena operatività all’ospedale. «Al momento – racconta – la nostra struttura arriva ad offrire solo un limitato servizio ambulatoriale. Stiamo, però, adoperandoci per fare degli urgenti lavori di ristrutturazione che lo rendano adatto alle nuove sfide, in particolare con l’acquisto e l’installazione in ambienti rinnovati di un apposito laboratorio medico specializzato per la lotta alle malattie infettive. Con la speranza che presto l’emergenza dell’Ebola abbia termine, tale laboratorio potrà comunque continuare a servire la popolazione locale nella prevenzione e cura di numerose altre malattie infettive che si riscontrano localmente (AIDS, epatite C, malaria, ecc.)». Progetto. Questa azione si inserisce in un più ampio progetto coordinato dalla Caritas e con il sostegno di altre associazioni in un progetto integrato di assistenza attivo, oltre che in Sierra Leone, anche in Guinea Conakry e Liberia. I giovani sono in prima linea. «Ci sono altre attività di aiuto concreto ed immediato sostenute dalla comunità del Movimento dei Focolari, per i malati ed i loro famigliari – conclude Stefano Comazzi –. In particolare per coloro che si trovano in quarantena e che riceveranno sostegno con i contributi raccolti per questa emergenza». Per dare il proprio contributo si può utilizzare il conto corrente seguente, presso Banca Popolare Etica – Filiale di Roma codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D intestato a Associazione Azione per un Mondo Unito Onlus Causale: Emergenza Ebola (altro…)

Argentina: Gen 3 e Scout, un incontro speciale

Betlemme, la casa del pane

Novena di Natale“Casa del pane”: è il significato del nome Betlemme. Prendendo spunto dal nome Betlemme, l’Autore ha impostato la novena di Natale, un cammino di preparazione, individuale e comunitario, alla venuta di Gesù, come il racconto in 9 tappe della vita di un chicco di grano: viene seminato nella buona terra; lasciato “riposare” al buio durante il freddo dell’inverno; risvegliarsi al calore del sole e germogliare; trasformarsi in una spiga matura; viene raccolto e macinato; impastato e cotto per essere il pane che Gesù nell’Ultima Cena benedice e spezza per i suoi. Così è la parabola della vita di ogni cristiano: diventare, attraverso un susseguirsi di dolori e difficoltà inspiegabili ma necessari, un altro Gesù. Seguendo passo dopo passo la parabola di un chicco di grano, l’Autore traccia un cammino di preparazione, individuale e comunitario, alla venuta di Gesù.

Sierra Leone: accanto ai malati di Ebola

http://vimeo.com/114439048 La grave epidemia dell’Ebola si è diffusa in particolare in Guinea Conakry, Liberia e Sierra Leone, con gravi perdite tra la popolazione locale, come ampiamente diffuso dai mezzi di comunicazione. L’AMU, ong legata al Movimento dei Focolari, è impegnata nella lotta al virus in vari modi. Chiediamo a Stefano Comazzi, uno dei responsabili, di parlarcene. «In realtà la situazione sembra essere ben più drammatica di quanto generalmente viene comunicato, con l’epidemia tuttora fuori controllo. Tutto questo ha un impatto molto grave sulla vita di milioni di persone, a causa della restrizione dei viaggi, riduzione del commercio con la conseguente scarsezza dei generi alimentari, impedimenti allo studio ed alle attività lavorative… Senza parlare dei lutti nelle famiglie colpite, dove spesso vengono a mancare le forze per il sostentamento dei membri più deboli». L’epidemia in numeri? «Ad oggi – afferma Stefano –, un conteggio preciso non risulta possibile perché molti casi sfuggono alle statistiche, ed anche perché l’epidemia è arrivata dalle zone rurali fino alle grandi città, dove l’alta densità della popolazione e la miseria delle condizioni di vita, favoriscono in grande misura la diffusione del contagio». Dramma nel dramma. Come si sa, «tra i primi a pagare in prima persona ci sono proprio gli operatori sanitari che, nel prodigarsi per contenere l’infezione, ne sono stati a loro volta colpiti, spesso con esiti letali, impoverendo quindi le strutture sanitarie, che già prima erano molto limitate nelle loro risorse; ed oggi spesso si trovano incapaci di affrontare questa calamità. Inoltre, anche la povertà dei mezzi e la mancanza di adeguati equipaggiamenti e materiale sanitario, hanno portato alla decisione di chiudere molte strutture sanitarie che, anziché essere una barriera alla diffusione dell’epidemia, ne erano diventati paradossalmente un motivo di incremento». Sierra Leone. Una simile sorte è toccata anche all’ospedale diocesano cattolico di Makeni “Holy Spirit” in Sierra Leone, località dove lavora da anni padre Carlo  Di Sopra, saveriano, pioniere della spiritualità dell’unità nel Paese africano e della viva comunità dei Focolari. Padre Carlo, con gli altri religiosi della sua congregazione e con tutta la diocesi di Makeni, è impegnato per fare riprendere piena operatività all’ospedale. «Al momento – racconta – la nostra struttura arriva ad offrire solo un limitato servizio ambulatoriale. Stiamo, però, adoperandoci per fare degli urgenti lavori di ristrutturazione che lo rendano adatto alle nuove sfide, in particolare con l’acquisto e l’installazione in ambienti rinnovati di un apposito laboratorio medico specializzato per la lotta alle malattie infettive. Con la speranza che presto l’emergenza dell’Ebola abbia termine, tale laboratorio potrà comunque continuare a servire la popolazione locale nella prevenzione e cura di numerose altre malattie infettive che si riscontrano localmente (AIDS, epatite C, malaria, ecc.)». Progetto. Questa azione si inserisce in un più ampio progetto coordinato dalla Caritas e con il sostegno di altre associazioni in un progetto integrato di assistenza attivo, oltre che in Sierra Leone, anche in Guinea Conakry e Liberia. I giovani sono in prima linea. «Ci sono altre attività di aiuto concreto ed immediato sostenute dalla comunità del Movimento dei Focolari, per i malati ed i loro famigliari – conclude Stefano Comazzi –. In particolare per coloro che si trovano in quarantena e che riceveranno sostegno con i contributi raccolti per questa emergenza». Per dare il proprio contributo si può utilizzare il conto corrente seguente, presso Banca Popolare Etica – Filiale di Roma codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D intestato a Associazione Azione per un Mondo Unito Onlus Causale: Emergenza Ebola (altro…)