Movimento dei Focolari

Convegno “Alterità e cultura di Pace”

L’Associazione Rete Progetto Pace e l’Associazione b-net, il 10 dicembre in occasione della Giornata internazionale per i Diritti Umani ha organizzato un convegno a Treviso. Tra i partecipanti anche Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania. Questo il link per le informazioni http://www.reteprogettopace.it/news/convegno-alterita-e-cultura-di-pace-13a-edizione Questo il link al video dell’intero evento http://www.reteprogettopace.it/news/convegno-medioriente-oggi-streaming

Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

Enzo Fondi, un racconto

EnzoFondi_a«Quando mi capitò tra le mani, negli ultimi anni di liceo, “L’uomo questo sconosciuto” di Alexis Carrel, vi trovai una forte ispirazione per il mio futuro. Mi appassionò alle scienze medico-biologiche, con la sua intuizione del rapporto psicosomatico, dell’inter-azione cioè tra corpo e anima nella salute e nella malattia. Ma c’era la guerra e ci fu lo sbarco ad Anzio (Italia), a pochi chilometri di distanza da dove viveva la mia famiglia, catapultandomi nell’esperienza traumatica dei bombardamenti a tappeto, della distruzione della casa. Roma fu allora un porto sicuro in cui approdammo con la mia famiglia e i pochi beni che si erano potuti salvare. Qui la vita ricominciò e potetti iscrivermi alla facoltà di medicina. Oltre ai miei studi che proseguivano con buoni risultati, partecipavo all’azione dei cattolici in campo universitario. Mi convincevo sempre di più che i valori più schiettamente evangelici, quali la carità, la giustizia, la fede che si esprime in opere, dovevano radicarsi più a fondo nelle coscienze, per evitare quella dicotomia mortale tra rapporto con Dio e rapporto con gli uomini che finisce col rendere invisibile e ininfluente la presenza dei cristiani nel mondo. Così, senza saperlo, ero alla ricerca, in un clima interiore di attesa, di vaga insoddisfazione, che mi stava predisponendo alla novità. Era questo lo stato d’animo in cui, durante il 5° anno di medicina, nel febbraio del 1949, fui invitato ad una riunione. EnzoFondi con ChiaraLubichLì conobbi Chiara Lubich e fu lei, che presentata da un religioso, raccontò la sua esperienza spirituale e quella del primo gruppo sorto attorno a lei. E, non saprei dire per quale alchimia, quella storia ascoltata da Chiara, divenne anche la mia storia. Non si trattava di idee, che avevano bisogno di spiegazioni. Quella era la semplice, esposizione di fatti accaduti, straordinari, eppure “normali”, come da sempre ciascuno spera che siano gli avvenimenti, quando Dio interviene nella storia degli uomini. Si trattava di accettare o no quel racconto. Ma se uno lo accettava, non c’era altra strada per saperne di più che seguire quella giovane donna che – lo si vedeva – era quella stessa esperienza viva, impersonava in modo genuino quell’annuncio che portava. Così, alla fine dell’incontro, volli passare ancora qualche minuto con Chiara, accompagnandola per un tratto. Da quel giorno non persi più i contatti con le prime focolarine, approdate a Roma da qualche mese. […] Ma non sarebbe completo questo mio racconto se non dicessi quale sia stata, in questi anni, l’arma segreta che fa vincere le battaglie contro se stessi, e fa superare quella radicale incapacità di amare, di cui tutti siamo afflitti. Era la scoperta del più grande dolore di Gesù nei piccoli e grandi dolori dell’umanità. Spesso Chiara ce ne parlava, perché era un aiuto indispensabile, specie per chi tentava i primi passi nella costruzione dell’unità. Tutti conosciamo quello spesso cono d’ombra che si forma dietro la nostra natura, con tutti i suoi ripiegamenti ed egoismi. Ma, fatto Suo una volta per sempre da Gesù, tutto questo ha acquistato il Suo volto e la Sua voce, per dirci che “la notte non ha più oscurità” ed ogni piaga si può curare, perché Lui l’ha amata e l’ha guarita. In questi anni ho provato molte volte il peso di situazioni dolorose. Eppure, quando credendo all’Amore, mi sono gettato fra le Sue braccia, al di là del dolore ho trovato una pace, una gioia più pura e più profonda». (altro…)

Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

Per un anno insieme

Agenda della famiglia_Un’agenda per tutti coloro che hanno a cuore la preziosa realtà della famiglia. Ricca di esperienze, storie vere, scritti, citazioni e pensieri di personaggi di culture e tradizioni diverse da tutto il mondo, iniziative di solidarietà e… un pratico schema mensile per il bilancio familiare. Un’agenda frutto della vita di tante famiglie, che accompagna giorno per giorno, per attingere dalla famiglia l’energia e la forza “di quell’amore tipico che può sempre rinascere, dove ci si sa aprire ai bisogni dell’umanità…”. (Chiara Lubich). L’AGENDA DELLA FAMIGLIA SOSTIENE I PROGETTI DI SOSTEGNO A DISTANZA DI FAMIGLIE NUOVE Città Nuova ed.
Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

Vangelo vissuto: c’è sempre qualcosa da dare

20141215-01Qualcosa da fare Quando a noi giovani è giunta notizia che fuori città, nel deserto, c’era una colonia di 1000 persone colpite dalla lebbra, siamo andati a vedere la situazione ed abbiamo scoperto che lì mancava tutto, persino l’assistenza medica. Dopo aver preso accordi con la Caritas, da allora siamo un gruppo formato da cristiani e musulmani che si reca lì nei giorni liberi dal lavoro. Per essere di aiuto concreto, due studenti di medicina si sono aggiornati sui metodi di cura della lebbra. Altri si son dati da fare con altri servizi, come dipingere le abitazioni. Un altro, giornalista, ha scritto articoli su vari giornali e riviste in modo da informare e sensibilizzare al problema quante più persone possibile. Soprattutto ci siamo accorti che questi malati hanno bisogno di qualcuno che li ascolti: questo per loro è ancora più importante delle medicine. L’esperienza ci sta facendo capire che ciascuno può sempre fare e dare qualcosa a vantaggio degli altri. S. H. – Egitto Il carrello 20141215-02Già diverse volte quel povero aveva bussato alla nostra porta per chiedere dei soldi. Ho sempre pensato che è meglio insegnare a pescare piuttosto che regalare il pesce, per cui mi sono messo a costruirgli un piccolo carrello per vendere dei dolci e del caffè. Con un tavolino metallico che avevamo in casa ho fatto la vetrina e con il ricavato della vendita di carta ho comprato le rotelle. Insomma è risultato un bel carrello. Poi siamo andati a Bogotà, nella zona frequentata da questo povero, per consegnarglielo. Era meravigliato, così felice che ha chiesto di farsi una foto con noi. Si è messo a lavorare subito ed ora ha una vita più dignitosa. O. M. – Colombia 20141215-03Ho trovato un amico! Stavo andando in auto dal medico. Pioveva e avevo fretta. Avevo appena superato un uomo che sul margine della strada camminava a fatica quando ci ho ripensato e, innestata la retro marcia, l’ho invitato a salire. Stava recandosi anche lui dal medico… il mio stesso medico! Appena l’ha saputo ha esclamato: «Oggi ho trovato un angelo!». In effetti mi chiamo proprio Angelo e quando lui l’ha saputo, si è fatto una bella risata. Usciti dal medico, ho riaccompagnato Antonio (questo il suo nome) prima a fare un po’ di spesa, poi a casa sua, dove mi ha presentato la moglie Antonietta. Insieme al racconto di un pezzo della loro storia, mi hanno offerto un bicchierino di liquore e biscotti fatti da lei. Ai saluti, ci siamo scambiati i numeri di telefono e ripromessi di incontrarci ancora. Antonio: «Oggi ho trovato un amico». E Antonietta, sopraggiunta con 12 uova fresche: «Sono ancora calde, appena prese dalle nostre galline». Sembrava che il tempo si fosse fermato. Veramente c’è più gioia nel dare che nel ricevere! Angelo D. N. – Italia (altro…)

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Igino Giordani. «L’atteso»

20130812-01La meraviglia della Redenzione si inizia con la nascita del Redentore: il re del creato che non trova una stanza per venire al mondo, così come poi non troverà una pietra per posare il capo. Fu il vero uomo. E la sua presentazione all’umanità, per cui era venuto, avviene sotto le forme d’un bambino, che giace in una mangiatoia. Anche i romani attendevano il Salvatore del mondo sotto le sembianze d’un ragazzo, che avrebbe iniziato un nuovo ciclo di secoli. E anche i greci, e anche i persiani. I giudei poi l’aspettavano nella luce delle profezie, fer­mando su di Lui venturo le speranze messianiche d’una rinascita del passato con un capovolgimento di cose. E il capovolgimento fu già configurato da quella na­scita proletaria, che poneva il Figlio di Dio al rango delle vittime delle guerre e delle inondazioni, tra i senza tetto e i senza denaro, sullo strato inferiore della mise­ria universale, così come sarebbe morto sul patibolo della maggiore ignominia. Una presentazione sbalorditiva del divino: nimbi di angeli sopra e crocchi di pastori sotto. Ma più sbalorditivo fu il canto intonato dentro la notte rotta di fulgori dagli spiriti angelici sopra quella nascita singolare: – Gloria a Dio in cielo; pace agli uomini in terra. Quel che è la gloria per Iddio – suonava in sostanza il messaggio – è la pace per gli uomini. La pace di Dio è la sua gloria. La gloria degli uomini è la loro pace. Il nesso è vitale, e già da solo investe il rapporto di valori divini e umani incluso nell’Incarnazione, dove la natura divina e la natura umana si uniscono in un’unica persona, fatta perciò legame e tramite dell’infinito nel finito, dell’eterno nel transeunte, della gloria nella pace. Tale nesso porta che non si può separare la gloria di Dio dalla pace degli uomini. Se c’è l’una c’è l’altra; se non c’è quella, manca pure questa. Ma come grande e denso di conseguenze è questo primo annunzio evangelico, che preannunzia l’effetto in­dividuale e sociale dell’amore, legge costitutiva dell’ordine nuovo, addotto da quel Bambino proletario! L’ef­fetto è la pace. E se c’è la pace, vuol dire che agisce, nello spirito di ciascuno e nei rapporti con tutti, quel lume divino che è la carità; vuol dire che gli uomini si sentono fratelli perché sentono la presenza dell’unico Padre. La gloria più grande che gli uomini possono rendere a Dio nel più alto dei cieli è di assicurare, con la buona volontà, la pace degli esseri razionali nel più basso dei pianeti, l’aiuola che ci fa tanto feroci. Per la pace la nostra vita della terra si divinizza. Se invece di perder tempo a odiare, si guadagna vita nell’a­mare, si ottiene di ospitare in sé Dio, che così dimora nella sua essenza, – la sua aria: – l’amore. Dio – in­segnano i mistici – non dimora che nella pace. Ecco come, per la presenza di Cristo, una stalla di­viene un empireo; e anche una capanna può divenire una chiesa. E può divenirlo ogni casa; e anche ogni ufficio; e persino un Parlamento. (Igino Giordani, Parole di vita, SEI, Torino, 1954, pp. 21-23) (altro…)

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The Sun that Daily Rises

sun_that_daily_risesThe excerpts on the Eucharist from Chiara Lubich’s writings that are collected here reflect the deep union with God that she experienced both as an individual and as a living member of the Body of Christ which is the Church. Available from New City Press (NY). Orders and enquiries

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India. Udisha è molto di più

20141212-01«Non un semplice doposcuola, o una mera opportunità di lavoro. Udisha è molto di più, un vero e proprio punto di riferimento per i bambini, le famiglie e l’intera comunità». Lo scrive Susanna Svaluto Moreolo, giovane volontaria italiana, la prima dall’Italia a prestare servizio presso questo progetto del Movimento dei Focolari a Goregaon, uno degli slum di Mumbai, 400mila abitanti, a 40 minuti di treno dal centro città. Udisha, in urdu “Il raggio di sole che porta una nuova alba” coinvolge ogni anno oltre 100 bambini, ragazzi e giovani (dai 4 ai 22 anni) e molte madri: sono 60 quelle inserite nei progetti di microcredito. È un progetto nato sulla base della spiritualità dell’unità, secondo la convinzione di Chiara Lubich che nel Vangelo vissuto è insita la più grande forza di trasformazione sociale. Concretamente, si tratta di attività di doposcuola, counseling, terapia occupazionale per i bambini e ragazzi; si contribuisce al pagamento delle tasse scolastiche; produzione e vendita di borse per l’attività di microcredito; giornate di convivialità e incontri organizzati con i genitori, e supporto economico per le famiglie. «Ciò che più mi ha colpito – continua Susanna, studentessa – è la consapevolezza, soprattutto da parte dei ragazzi, dell’opportunità che il progetto offre loro come studenti e come persone e, conseguentemente, il loro impegno e la loro attiva partecipazione al progetto stesso. I ragazzi trovano in Udisha una vera e propria seconda casa, delle persone con cui confidarsi e sul cui aiuto sanno di poter contare. Molto importante, sotto questo punto di vista, è la presenza di un counselor che fornisce un supporto psicoeducativo ai ragazzi e ai genitori». 20141212-02I volontari svolgono la loro vita quotidiana a Udisha, e l’impressione è che il progetto ricopra «un ruolo centrale per coloro che ne fanno parte. Lo si coglie da come i bambini lavorano in gruppo tra loro e da come i più grandi sono responsabili verso i più piccoli, dalle madri che vengono a Udisha almeno tre volte al giorno per accompagnare i bambini, portare loro il pranzo e riprenderli, per poi tornare nuovamente per lavorare al progetto delle borse che le coinvolge direttamente. Significativo è anche il fatto che tra le insegnanti del doposcuola ci siano anche delle ragazze che in passato sono state destinatarie del progetto e che continuano a farne parte come volontarie». Un’esperienza in cui ciascuno può mettere al servizio degli altri ciò che sa fare meglio, nel caso di Susanna ad esempio, la danza: «Ho avuto modo di insegnare danza sia ai ragazzi che alle mamme, preparando con loro un’esibizione in occasione della festa dell’indipendenza. Questo mi ha coinvolto particolarmente, perché mi ha permesso di confrontarmi con delle donne, che hanno aderito con entusiasmo all’attività, facendomi comprendere l’importanza di creare degli spazi di svago, che consentano loro di dedicarsi del tempo e di evadere un po’ dalla routine quotidiana». Un’impressione prima di lasciare il subcontinente indiano? «Credo che l’esperienza a Udisha rappresenti una bellissima opportunità perché permette di vivere appieno la realtà indiana: l’ospitalità, la dignità, il cibo, l’aspetto religioso e il rispetto reciproco per le diverse religioni e culture, i rituali, i weekend passati con una famiglia indù e in generale con le famiglie di Udisha… rispetto alle paure che avevo prima di partire tutti questi aspetti hanno fatto sì che quelle paure venissero dimenticate». (altro…)

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Ragazzi per l’Unità, passione per il futuro

20141211-a Osservare, coinvolgere, pensare. Ma anche: agire, valutare, celebrare. Sono 6 azioni che riassumono i passi per elaborare un progetto sul territorio che coinvolga un’intera comunità a partire dai ragazzi. Come? Stimolando uno sguardo diverso nel proprio percorso quotidiano, ad esempio da casa propria a scuola, raccontando situazioni, fatti che segnalino un problema specifico. Da lì, la pianificazione di un intervento che rispetti gli indicatori “pro sociali” e di fraternità, intendendo per “pro sociali” quei comportamenti che, senza aspettarsi niente in cambio, favoriscono gli altri secondo i loro bisogni, aumentando la possibilità di generare una reciprocità positiva. 20141211-01Questo è solo uno dei progetti e delle azioni in campo nel grande panorama dei Ragazzi per l’Unità: c’è Run4Unity, Super Soccer, il Cantiere Uomo Mondo, Coloriamo la Città, i Progetti-dare di Schoolmates e altro ancora in elaborazione, possibile grazie anche ad una rete di animatori, giovani e adulti. Nei giorni scorsi si sono radunati a Castel Gandolfo (27-30 novembre), un centinaio, provenienti in maggioranza dall’Italia, con rappresentanti da Francia, Belgio, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Slovenia, Ungheria e con un po’ di chilometri in più da Guatemala, Paraguay e India. Ad unirli, la passione di formare le nuove generazioni, lavorando insieme. Non lesinano tempo ed energie, nella convinzione che «senza una adeguata opera di formazione, è illusorio pensare di poter realizzare un progetto serio e duraturo a servizio di una nuova umanità». Lo aveva detto papa Francesco, all’udienza generale col Movimento dei Focolari, nel consegnare la parola “fare scuola”. «Chiara Lubich aveva a suo tempo coniato un’espressione che rimane di grande attualità: oggi – diceva – occorre formare “uomini-mondo”, uomini e donne con l’anima, il cuore, la mente di Gesù e per questo capaci di riconoscere e di interpretare i bisogni, le preoccupazioni e le speranze che albergano nel cuore di ogni uomo». Ma per formare, bisogna formarsi: è per questo che ampio spazio è stato dato ad approfondire il pensiero di Chiara Lubich sull’educazione, e ad un approccio psico-pedagogico mirato a promuovere “Life Skills” (competenze per la vita) nel gruppo di adolescenti. Oltre all’educazione “tra pari”, di cui un adolescente ha necessario bisogno, rimane fondamentale il ruolo dell’animatore, un adulto che dà fiducia, che lascia spazio per la creatività, la libera iniziativa, la possibilità di sperimentare se stessi, di mettersi alla prova. 20141211-02Ed è con questo sguardo che prendono vita anche le nuove iniziative, come Up2Me-Project, un progetto di educazione all’affettività e sessualità nell’età evolutiva, portato avanti in sinergia tra l’equipe dei Ragazzi per l’Unità e Famiglie Nuove, che si rivolge a preadolescenti e adolescenti. Il paradigma di riferimento è la persona-relazione, nella visione antropologica che scaturisce dal carisma dell’unità, cioè la persona nel suo essere in relazione con l’altro, nella capacità di amare ed essere amati, di donare e di accogliere. L’invito poi a cogliere i “segni dei tempi” nella rivoluzione digitale, e a immergersi in questa cultura senza ingenuità, viene da Jesús Morán in un momento di dialogo con gli animatori. E Maria Voce, nel rilanciare, a 30 anni dalla nascita del vasto movimento giovanile dei Focolari, il percorso dei Ragazzi per l’Unità invita ad «una maggiore attenzione alla povertà e alla sobrietà di vita» camminando insieme ai ragazzi per uscire dal rischio costante del consumismo che, per l’ultimo modello di smartphone, ti fa perdere magari di vista le grandi povertà materiali. (altro…)

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Giustizia, un esercizio continuo

20141210-01«Lavoro nell’ambito della giustizia penale nella provincia di Santa Fe, da vent’anni. Il mio lavoro non è un buon biglietto da visita, nell’Argentina di oggi, ferita nei rapporti e dove istituzioni e funzionari vengono fatti oggetto di continui sospetti, con o senza ragione. La spiritualità dell’unità, fin dalla mia prima esperienza nei Focolari con i gen, ha dato senso alla mia presenza in questo ambito, dove vengono più in evidenza il delitto, la violenza, il non-amore, che non “l’amore, che è la pienezza della legge”, come dice San Paolo. In questi anni di continue sfide, ho cercato di orientare formazione professionale, etica, carriera, rapporti sociali al servizio delle persone e, certi passi difficoltosi fatti in questa direzione, hanno segnato un momento decisivo nel mio percorso. Quando, con mia moglie, decidemmo di adottare un bambino, non abbiamo voluto approfittare della conoscenza di persone che avrebbero potuto aiutarci a completare le pratiche di adozione più velocemente, sopravanzando altre coppie di sposi, che magari vivevano in solitudine il dolore della sospensione. Finalmente fummo chiamati: la funzionaria di turno, che mi conosceva, rimase molto sorpresa del nostro atteggiamento durato anni di attesa. Con l’arrivo della nostra figlia, adottata, abbiamo avuto conferma che i piani di Dio sono perfetti e si realizzano se solo facciamo la Sua volontà. Una volta ho dovuto occuparmi di un processo in cui l’imputato era pronto a farsi giustizia da sé, se non avesse ottenuto un verdetto favorevole. Intanto, continuavo a ricevere preoccupanti comunicazioni anonime riguardanti la pericolosità dell’imputato e i suoi stretti legami col potere locale. Nonostante tutto, sono rimasto fedele alle esigenze giuridiche del processo e più di una volta ho dovuto avvertire seriamente l’imputato circa gli obblighi da tenere sul piano processuale. Alla fine il verdetto non lo ha favorito, ma con il suo avvocato si è costruito un rapporto di fiducia che perdura anche oggi. Finito il mio lavoro in questa causa, questa persona è venuta a salutarmi: voleva confidarmi di riconoscere le sue attitudini violente, e che, in talune situazioni, in cui avvertiva la spinta ad essere violento, affidava al figlio la soluzione di problematiche per lui irrisolvibili. Siccome i processi sono documentati per iscritto, le diverse pratiche producono montagne di carta che ne rendono difficile la consultazione, e così spesso, gli imputati e i loro familiari, ne soffrono impotenti. Ed è in queste circostanze che creare spazi di condivisione, permette di evidenziare la dignità di ciascuno, primo passo verso la speranza di una vita migliore. A volte, il solo fatto di ascoltare una persona con la mente e col cuore, può darci una luce che va al di là della prassi processuale dell’interrogatorio formale di un detenuto, per far sì che l’imputato possa confidare il suo dramma, e che a sua volta il funzionario di giustizia possa avere una conoscenza adeguata dei fatti per prendere una decisione veramente umana. Questo mi è successo molte volte, come quando decisi una visita psichiatrica per un detenuto che avevo ascoltato profondamente. C’era, infatti, il pericolo che il detenuto tentasse il suicidio e questa scelta determinò un riequilibrio della situazione. Voi lo sapete meglio di me: sempre e in ogni luogo quello che fa la differenza è l’amore, anche nell’esercizio della giustizia». (M.M. – Argentina) (altro…)

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Sposarsi, perché?

2014FidanzatiSarà la persona giusta? Serve essere sposati o basta la voglia di vivere insieme? La precarietà rende possibile un programma a lungo termine? Perché sposarsi fa paura? Chi ha intenzione di costruire un futuro in due oggi si trova a dover affrontare scelte, difficoltà, dubbi. Un percorso di crescita e il confronto con altre coppie può aiutare per vivere con responsabilità la propria scelta. Sono molti i giovani che sentono l’esigenza di una preparazione. Ines una ragazza spagnola, lavora nel campo della moda, anche se da poco è stata licenziata; si sposerà con Alejandro, commercialista, il prossimo luglio. Sono di Madrid, ha saputo del corso da altri che ne avevano fatto esperienza: “Investire sul nostro futuro, vale più di tutto, di una vacanza, di una festa di nozze, di una macchina nuova.  Per cui abbiamo fatto il possibile per esserci”Una coppia del Brasile per partecipare, visto il costo elevato del viaggio, lo ha chiesto come regalo anticipato di nozze. Sono giorni di riflessione profonda e di confronto su varie tematiche attraverso testimonianze, relazioni di esperti, laboratori che riguardano la vita di coppia e di famiglia, dall’economia al lavoro, la sobrietà, la comunicazione, l’affettività e la genitorialità. “Tali spunti ci formano come futura famiglia  – continua Ines – e ci aiutano a conoscerci di più tra noi. Veramente “questo” è quello che vogliamo?” Oltre 200 fidanzati si sono incontrati a Castelgandolfo (20-23 Novembre 2014), con traduzione simultanea in dieci lingue, durante il corso annuale di Famiglie Nuove, che porta avanti la formazione dei fidanzati anche a livello locale e regionale. “Siamo coppie provenienti da luoghi geografici lontani, diverse culturalmente, – dice Ines – eppure tutti abbiamo le stesse domande ed esigenze perché l’amore è uno solo”. 2014Fidanzati2La cultura moderna centrata sul benessere personale, non incoraggia il matrimonio che implica un legame preso davanti alla società e richiede impegno e anche qualche rinuncia. Però la rete sociale e familiare dà solidità alla relazione e nella condivisione tra famiglie, ciascun nucleo è risorsa per gli altri. “Il riconoscimento legale per me è importante”, dice Adolfo che sta insieme ad Antonella da dieci anni, convivono da cinque; ad Aprile si sposeranno con un rito misto, perché lui non è credente e lei è cattolica. “Mi chiedevo se questa differenza di convinzioni avrebbe comportato dei problemi tra noi, ma poi imparando ad accoglierci, la diversità dell’altro si è rivelata di stimolo”. Lo scorso anno poi io mi sono ammalata, – continua lei – ho subito un intervento, la chemio. Questa prova ha fortificato il rapporto tra noi e ci ha indirizzati verso il passo del matrimonio”. “Dal punto di vista economico, per noi la situazione è incerta perché ho un contratto come impiegata fino a febbraio, poi non si sa, – spiega Ana di Belgrado, – mentre Alexander, il suo ragazzo, suona il violino in un’orchestra. “Abbiamo capito però che si possono cercare piccole soluzioni economiche e vedere cosa serve veramente. L’importante è non rimanere fermi”. Dalla Serbia, sono arrivate insieme a loro anche altre 3 coppie, tutte miste, uno dei due è cattolico e l’altro ortodosso. Il nostro desiderio è capire come vivere al meglio la differenza tra noi perché sia una ricchezza e non un ostacolo. Soprattutto vorremmo puntare ad avere una base forte. Da noi la maggior parte delle famiglie sono fragili, perché i giovani si sposano in fretta, senza preparazione”. Il “per sempre può anche spaventare – dice una delle famiglie dello staff organizzatore del Convegno – “ma esso non è sinonimo di perfezione. La perfezione  consiste piuttosto in questo ricominciare sempre ogni qualvolta c’è una battuta d’arresto o una difficoltà nella relazione”. “Un matrimonio non è riuscito solo se dura, ma è importante la sua qualità. Stare insieme e sapersi amare per sempre è la sfida degli sposi cristiani” aveva detto Papa Francesco ai fidanzati in occasione della festa di San Valentino 2014”. Possiamo rispondere a tale sfida, cercando di migliorare noi stessi e rinnovando il rapporto attraverso gesti d’amore. “Nel matrimonio gli sposi non si donano qualcosa, ma se stessi in un continuo gioco di unità e distinzione  – così Chiara Lubich a Lucerna nel 1999  – e in questa dinamica è racchiuso il loro futuro, un futuro che li conduce oltre loro stessi, in particolare attraverso la generazione di nuove vite e da questa comunione più ampia la famiglia diventa generatrice di socialità”. (altro…)

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Francesco e Gerusalemme

2014FrancescoeGerusalemme_CN«…il “segno” di Francesco, così compiutamente, pazientemente e saggiamente ricostruito, descritto e contestualizzato in questo scritto di Paolo Lòriga, appare molto più che un messaggio di speranza; è piuttosto un appello “proattivo”, un’irruzione, ma in punta di piedi, una voce orante e ragionante dal deserto più che una voce che grida nel deserto, e che interpreta il disagio profondo dell’umanità periferica proprio nel cuore di un conflitto così centrale e così lacerante come quello mediorientale». Dalla prefazione di Pasquale Ferrara, diplomatico, Segretario generale dell’Istituto Universitario Europeo Nel suo primo viaggio internazionale, papa Francesco sceglie strategicamente Gerusalemme, quale emblema delle convivenze senza pace e senza speranza. L’intento è chiaro: proiettare la sua visione del mondo sul drammatico scenario politico mediorientale e arricchire la sua azione di leader mondiale con un accentuato respiro interreligioso. Le grandi prospettive aperte da papa Francesco nei suoi tre giorni in Terra Santa hanno trovato un immediato e clamoroso effetto nei Giardini Vaticani, cornice dell’incontro con Peres e Abbas. L’Autore ha atteso nella Città Santa il pellegrino di Roma, ha seguito i suoi incontri, ha raccolto le prime, autorevoli valutazioni locali dopo il rientro del papa in Vaticano. Alla luce di un’osservazione diretta, torna a rivisitare parole e gesti di Francesco per capire se Gerusalemme ha segnato la grande svolta del suo pontificato o se, invece, ha visto più semplicemente lanciare una sfida irrealistica anche per gli stessi cristiani della Terra Santa.

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[:es]Meditaciones para el Adviento

19597Pierre Talec invita precisamente a tomar conciencia de esta verdad, con breves meditaciones sobre el Evangelio de cada día durante las cuatro semanas del Adviento: son pequeñas «homilías concentradas» en tres minutos y difundidas por Radio Notre-Dame. Con un lenguaje incisivo, muy alejado de tópicos y sazonado con un toque poético original, las reflexiones del autor han estimulado a numerosos oyentes sobre el sentido de ser cristianos ante los desafíos de la modernidad. Un libro que prosigue y completa las Meditaciones para la Cuaresma del mismo autor, publicadas recientemente por Ciudad Nueva. Han dicho de él ¿Cuántas veces hemos celebrado la Navidad? ¿Cuántas veces nos hemos preparado para la venida del Señor? Seguramente son muchas. Sin embargo, no podemos conformarnos con lo que hicimos antaño sino que, una vez más, hemos de disponernos para el encuentro con el Hijo de Dios, que viene a visitarnos. Mientras revisaba este libro me venía a la cabeza una idea. Hay varias maneras de esperar. A veces lo hacemos por obligación, porque hemos de recibir a alguien y no queda otra posibilidad; otras con amor encendido ya que anhelamos mucho ese encuentro. Hay varias formas más, pero se me ocurre otra, que es cuando te llaman a formar parte de un comité de recepción porque llega alguien importante. Entonces nos gusta formar parte de ese grupo privilegiado que podrá dar la bienvenida al personaje esperado. Dios nos ha elegido para que formemos parte de ese grupo que ha de recibirlo. No sólo nosotros esperamos a Dios, sino que Él espera que nosotros estemos para recibirlo. Ello supone prepararse interiormente. No siempre tenemos a la mano una manera sencilla de hacerlo. Las meditaciones del P. Pierre Talec nos ofrecen una esplendida oportunidad. Originalmente fueron transmitidas por radio y ahora se nos ofrecen en papel. Su lenguaje, en ocasiones poético, y siempre sencillo y claro, favorecen la interiorización. Medita él para que meditemos nosotros. El librito nos invita a un Adviento intenso, pero que es como la lluvia fina que empapa la tierra. Todas las meditaciones son breves y hay una para cada día de las cuatro semanas que anteceden a la Navidad. La meditación gira siempre en torno al Evangelio del día, pero sin olvidar la tensión que nos conduce a Belén. Las meditaciones buscan despertar en nosotros el deseo de vivir más intensamente la fe. Es decir, ayudan a provocar el nacimiento de Dios en nuestro interior. Caminando al paso de la Palabra de Dios avanzamos hacia una humilde cueva, al tiempo que el Señor va preparando su pesebre en nuestro interior. Es lo bueno de la meditación: pensamos que todo lo decimos nosotros, pero es Él quien nos va formando interiormente desde su silencio. Libro aconsejable para que el Adviento no pase desapercibido y recuperemos el sentido de este tiempo de espera y esperanza.

David Amado

Sobre el autor Pierre Talec ha sido capellán de los jóvenes universitarios del Barrio Latino de París y director de la Pastoral sacramental. Autor y presentador de programas religiosos de éxito en radio y tv, ha enseñado teología en Francia y en Quebec. Ha publicado obras de teología y de espiritualidad, entre ellas «Las cosas de la fe», un best-seller traducido en varias lenguas. En 1994 obtuvo el Premio de los Libreros de Francia por «La Sérénité». Editorial Ciudad Nueva, Madrid

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Il conflitto generativo

ConflittoGenerativo_CN2014Il conflitto non è guerra, suggerimenti operativi per una pratica efficace e evolutiva del conflitto nella vita, nel lavoro, nella nostra esperienza sociale. Il conflitto caratterizza e costituisce la relazione con sè, con gli altri coinvolge il nostro mondo interno, gli interessi, i nostri valori e le nostre culture, la conoscenza di noi stessi e del mondo. I livelli a cui si può esprimere,quindi, sono quello intrapsichico, le relazioni con gli altri, i gruppi in cui siamo coinvolti, le istituzioni e le organizzazioni, la nostra vita pubblica e collettiva. L’Autore propone, in modo accessibile e documentato, le principali riflessioni che possono aiutare a comprendere che il conflitto non è la guerra, ma indica le vie del dialogo e del confronto generativi. Molto spazio è dato ai suggerimenti operativi per una pratica efficace e evolutiva del conflitto nella vita, nel lavoro, nella nostra esperienza sociale e nel cercare di cambiare idea e comportamenti, in ogni campo e, in particolare, nel divenire parte del tutto nei sistemi viventi a cui, di fatto, apparteniamo.

Semi di Economia di Comunione a Taiwan

Semi di Economia di Comunione a Taiwan

Holy Love James Liao camp 06 crop rid«Nelle acque del Sun Moon Lake si specchiano le verdi montagne della regionecentro-occidentale di Taiwan, la grande e bella isola del Mar Cinese che i navigatori portoghesi chiamarono giustamente Formosa. La sua fama porta qui ogni anno milioni di turisti, anche dalla Cina continentale. I ripidi pendii sono ricoperti di una vegetazione lussureggiante in mezzo alla quale riesco a riconoscere ciuffi di bambù alti forse 15 metri. James Liao, sulla quarantina, asciutto come molti suoi connazionali, ci aspetta all’imbocco di un piccolo molo per farci accomodare sulla poppa della Holy Love, una motonave recentemente ricostruita e  di cui va giustamente orgoglioso: è l’unica di tutto il lago ad essere accessibile alle carrozzine per invalidi. “La speciale porta di accesso, la rampa, gli speciali ganci per ancorare le carrozzine durante la navigazione sono costati parecchio, e anche per questo all’inizio la cosa non è stata capita. Ma bisognava farlo, se è vero che questa iniziativa è nata per superare tutte le discriminazioni. In questo modo già 200 invalidi hanno potuto raggiungere il nostro camp”. Holy Love camp 02Un’altra discriminazione che James ha voluto contrastare  è quella nei confronti della minoranza di aborigeni che abita questi luoghi: i cinque posti di lavoro creati nel camp sono per loro. Il camp si trova in una piccola radura pianeggiante in fondo una deliziosa insenatura, praticamente inaccessibile via terra. La foresta che la contorna e il canto degli uccelli creano un evidente contrasto con la sponda opposta del lago, occupata da case, strade, negozi e da un enorme grattacielo, mentre i migliori punti panoramici sono presidiati da vistosi alberghi a cinque stelle. Al centro della radura c’è una semplice casa di legno, che consente di alloggiare una trentina di giovani in due camerate, e a fianco una struttura all’aperto che funge da cucina. Tutto attorno, dal lato monte, sono stati collocati dei bianchi gazebo appuntiti che offrono riparo, a seconda dei casi, dal sole o dalla pioggia; un angolo è occupato da raggiere di cassette di plastica nere sovrapposte in modo da far sì che quelle più in alto, riempite di humus, si trovino all’altezza delle mani di una persona seduta: tutto studiato per consentire anche agli invalidi la “green therapy”. Le piantine ben allineate che spuntano dalle cassette confermano che la terapia è stata recentemente praticata. Holy Love green therapy 05 ridIn riva al lago, vicino al moletto, sono disposte in buon ordine una ventina di leggerissime canoe in metallo. “È titanio, recuperato 30 anni fa dalle carcasse degli aerei della seconda guerra mondiale dal fondatore del camp, Padre Richard, un americano del Wisconsin che ha lasciato tutto per dedicarsi a noi taiwanesi, cominciando dai più deboli. Prima di me era lui il responsabile degli Special Need Centers (centri per soggetti svantaggiati) della diocesi di Taichung, e aveva pensato a questo luogo per dare loro l’opportunità di fare esperienze formative da cui altrimenti sarebbero stati esclusi. Non lo ho mai conosciuto, ma recentemente ho avuto una gran gioia quando ho scoperto dei vecchi documenti in cui parlava proprio di un battello accessibile ai disabili”. La figura di Padre Richard ha giocato un ruolo anche nella scelta di fede di James, seguita dalla decisione di lasciare un posto in banca ben pagato per andare a fare studi di didattica per gli svantaggiati e poi lavorare per loro. Ogni parola di James trasmette entusiasmo per tutto ciò che è rispetto perl’ambientecura dello spirito,accoglienzaattenzione agli altri. Davvero affascinante! Però questa è anche un’impresa, quindi chiedo notizie  sulla gestione economica. “Un grande orgoglio per noi è che già adesso siamo in attivo, grazie al ricavo dalle escursioni e dalle attività sportive che offriamo anche al grande pubblico (giù in città abbiamo altre due persone che lavorano per noi, a contatto con le agenzie turistiche). E così, anziché essere la diocesi a sostenerci, come avveniva in passato, ora siamo noi che le versiamo dei profitti, più precisamente il 30% di quelli che otteniamo. Un altro 30% va ai Centers for Social Needs, 30% li reinvestiamo nell’impresa e l’ultimo 10% va ai lavoratori, secondo uno schema che abbiamo adattato da quella dell’Economia di Comunione, di cui vogliamo seguire i principi.” E perché la cosa sia chiara, sta scritta con caratteri ben visibili nel cartellone affisso all’ingresso del battello, che introduce i passeggeri alla logica di Holy Love».   Fonte: Edc online (altro…)

Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

Vangelo vissuto: Congo, una visita a sorpresa

201411Panie-1«Domenica 22 novembre. È pomeriggio. Suona il campanello al focolare di Kinshasa. Davanti alla porta si ferma una macchina imponente – scrive Edi -. Vediamo uscire una signora impegnata in uno dei partiti politici più importanti del governo congolese. La donna scende accompagnata dalla sua guardia del corpo e porta con sé un grande pacco. Gioiamo al vedere che si tratta di Georgine, ex-deputata, tuttora impegnata in politica e che ora si occupa di mamme indigenti. L’abbiamo conosciuta da poco. Il pacco pesante che porta in mano è pieno di panie congolesi, un tessuto tipico dal quale si cuciono i vestiti tradizionali sia per donna che per uomo. “Ho voluto venire a trovarvi – ci dice –, perché ho saputo che avete perso una valigia… Ecco, con questi panie potrete rifarvi nuovi vestiti”. La donna condivide delle panie di alto valore, corrispondenti almeno a due salari mensili, sufficienti per noi e per altri. Alcuni giorni fa una di noi, ritornando da un convegno a Roma, aveva perso il bagaglio a mano all’interno dell’aereo. La valigia conteneva non solo i suoi vestiti, ma anche la “comunione di beni” che aveva raccolto in Italia per i poveri; un fatto che ci aveva procurato tanto dolore. Rimaniamo quindi sbalordite e in Focolare si scatena una danza spontanea intorno alla signora! Ma come mai questo gesto di una persona che solo da poco ci conosce?». 201411Panie-2Era successo questo: andando a Messa la mattina, la signora aveva notato che una di loro, anziché togliere la polvere solo dal suo banco, spolverava anche gli altri senza che nessuno glielo chiedesse. Si era incuriosita e aveva voluto conoscere la vita di queste giovani rimanendo impressionata. «Dopo aver danzato intorno a lei, per ringraziarla – scrivono – Georgine ci spiega il motivo del suo gesto: “Volevo rendere grazie al nostro Dio per voi e condividere la gioia che ho in cuore perché ci siete! Colui che avete seguito non dimentica le sue figlie. In questo mondo di tenebre dove regnano le forze del male, voi vivete come agnelli in mezzo ai lupi. Non è facile vivere in mezzo al mondo ed essere donate a Lui. Ma abbiate coraggio, siete luce per il mondo”. Siamo, allora, andate insieme nella nostra piccola cappella per ringraziare il Signore». Dal Focolare di Kinshasa (altro…)

Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

“La fratellanza universale: necessità per l’Europa”

Riproponiamo un pensiero di Chiara Lubich sull’Europa,  tratto dal suo intervento al primo appuntamento di “Insieme per l’Europa” nel maggio 2004. Erano riunite 10.000 persone nella città tedesca di Stoccarda, e oltre 100.000 erano collegate in eventi contemporanei in varie capitali europee. L’evento era stato promosso da oltre 150 movimenti e comunità ecclesiali di varie chiese, di tutto il continente europeo.  «La fratellanza universale è stata anche il programma di persone non ispirate da motivi religiosi. Il progetto stesso della Rivoluzione francese aveva per motto: “Libertà, uguaglianza, fraternità”. Ma, se poi numerosi Paesi, nel costruire regimi democratici, sono riusciti a realizzare, almeno in parte, la libertà e l’uguaglianza, non è stato certo così per la fraternità, più annunciata che vissuta. Chi invece ha proclamato la fraternità universale, e ci ha dato il modo di realizzarla, è stato Gesù. Egli, rivelandoci la paternità di Dio, ha abbattuto le mura che separano gli “uguali” dai “diversi”, gli amici dai nemici, e ha sciolto ciascun uomo dalle mille forme di subordinazione e di schiavitù, da ogni rapporto ingiusto, compiendo, in tal modo, un’autentica rivoluzione, esistenziale, culturale e politica. (…) Lo strumento che Gesù ci ha offerto per realizzare questa fraternità universale è l’amore: un amore grande, un amore nuovo, diverso da quello che abitualmente conosciamo. Egli infatti – Gesù – ha trapiantato in terra il modo di amare del Cielo. Questo amore esige che si ami tutti, non solo quindi i parenti e gli amici; domanda che si ami il simpatico e l’antipatico, il compaesano e lo straniero, l’europeo e l’immigrato, quello della propria Chiesa e quello di un’altra, della propria religione e di una diversa. Domanda oggi ai Paesi dell’Europa occidentale di amare quelli dell’Europa centrale e orientale – e viceversa -, e a tutti di aprirsi a quelli degli altri continenti secondo la visione dei fondatori dell’Europa unita. Quest’amore chiede che si ami anche il nemico e che lo si perdoni qualora ci avesse fatto del male. Dopo le guerre che hanno insanguinato il nostro continente, tanti europei sono stati modelli di amore al nemico e di riconciliazione (…). Quello di cui parlo è, dunque, un amore che non fa distinzione e prende in considerazione coloro che stanno fisicamente accanto a noi, ma anche quelli di cui parliamo o si parla, coloro ai quali è destinato il lavoro che ci occupa giorno per giorno, coloro di cui veniamo a conoscere qualche notizia sul giornale o alla televisione. Perché così ama Dio Padre, che manda sole e pioggia su tutti i suoi figli: sui buoni, sui cattivi, sui giusti e sugli ingiusti (cf Mt 5,45). (…). L’amore portato da Gesù non è poi un amore platonico, sentimentale, a parole, è un amore concreto, esige che si scenda ai fatti, e ciò è possibile se ci facciamo “tutto a tutti”: ammalato con chi è ammalato; gioiosi con chi è nella gioia; preoccupati, privi di sicurezza, affamati, poveri con gli altri. E, sentendo in noi ciò che essi provano, agire di conseguenza. Quante forme di povertà conosce oggi l’Europa! Pensiamo, a mo’ d’esempio, all’emarginazione dei disabili e degli ammalati di Aids, al traffico delle donne costrette a prostituirsi, ai barboni, alle ragazze madri… Pensiamo ancora a chi rincorre i falsi idoli dell’edonismo, del consumismo, della sete di potere e del materialismo. Gesù in ognuno di loro aspetta il nostro amore concreto e fattivo! Egli ritiene fatto a sé qualsiasi cosa si faccia di bene o di male agli altri. Quando ha parlato del giudizio finale ha detto che ripeterà ai buoni e ai cattivi: “L’hai fatto a me; l’hai fatto a me” (cf Mt 25,40). Quando poi questo amore è vissuto da più persone, esso diventa reciproco ed è quello che Gesù sottolinea più di tutto: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato” (Gv 13, 34); è il comandamento che egli dice suo e “nuovo”. A questo amore reciproco non sono chiamati solo i singoli, ma anche i gruppi, i Movimenti, le città, le regioni e gli Stati. I tempi attuali domandano, infatti, ai discepoli di Gesù di acquistare una coscienza “sociale” del cristianesimo. E’ più che mai urgente e necessario che si ami la patria altrui come la propria: la Polonia come l’Ungheria, il Regno Unito come la Spagna, la Repubblica Ceca come la Slovacchia… L’amore portato da Gesù è indispensabile all’Europa perché essa diventi una famiglia di nazioni: la “casa comune europea”». Chiara Lubich, Stoccarda 8 maggio 2004 (altro…)

Dicembre 2014

In questo periodo di Avvento, il tempo che ci prepara al Natale, si ripropone la figura di Giovanni il Battista. Era stato mandato da Dio a preparare le strade per la venuta del Messia. A quanti accorrevano da lui, domandava un profondo cambiamento di vita: “Fate opere degne della conversione” (Lc 3,8). E a chi gli chiedeva: “Cosa dobbiamo fare?” (Lc 3,10) rispondeva: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” Perché dare all’altro del mio? Creato da Dio, come me, l’altro è mio fratello, mia sorella; dunque è parte di me. “Non posso ferirti senza farmi del male” , diceva Gandhi. Siamo stati creati in dono l’uno per l’altro, a immagine di Dio che è Amore. Abbiamo iscritto nel nostro sangue la legge divina dell’amore. Gesù, venendo in mezzo a noi, ce lo ha rivelato con chiarezza quando ci ha dato il suo comandamento nuovo: “Amatevi l’un l’altro come io ho amato voi” (cf Gv 13,34). E’ la “legge del Cielo”, la vita della Santissima Trinità portata in terra, il cuore del Vangelo. Come in Cielo il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono nella comunione piena, al punto da essere una cosa sola (cf Gv 17,11), così in terra noi siamo noi stessi nella misura in cui viviamo la reciprocità dell’amore. E come il Figlio dice al Padre: “Tutte le cose mie sono tue e tutte le cose tue sono mie” (Gv 17,10), così anche tra noi l’amore si attua in pienezza là dove si condividono non solo i beni spirituali, ma anche quelli materiali. I bisogni di un nostro prossimo sono i bisogni di tutti. A qualcuno manca il lavoro? Manca a me. C’è chi ha la mamma ammalata? L’aiuto come fosse la mia. Altri hanno fame? E’ come se io avessi fame e cerco di procurar loro il cibo come farei per me stesso. E’ l’esperienza dei primi cristiani di Gerusalemme: “Avevano un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era tra loro comune” (At 4,32). Comunione dei beni che, pur non obbligatoria, tra loro era tuttavia vissuta intensamente. Non si trattava, come spiegherà l’apostolo Paolo, di mettere in ristrettezze qualcuno per sollevare altri, “ma di fare uguaglianza” (2 Cor 8,13). San Basilio di Cesarea dice: “All’affamato appartiene il pane che metti in serbo; all’uomo nudo il mantello che conservi nei tuoi bauli; agli indigenti il denaro che tieni nascosto.” E sant’Agostino: “Ciò che è superfluo per i ricchi appartiene ai poveri.” “Anche i poveri hanno di che aiutarsi gli uni gli altri: uno può prestare le sue gambe allo zoppo, l’altro gli occhi al cieco per guidarlo; un altro ancora può visitare i malati.” “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” Anche oggi possiamo vivere come i primi cristiani. Il Vangelo non è un’utopia. Lo dimostrano, ad esempio, i nuovi Movimenti ecclesiali che lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa per far rivivere, con freschezza, la radicalità evangelica dei primi cristiani e per rispondere alle grandi sfide della società odierna, dove sono così forti le ingiustizie e le povertà. Ricordo gli inizi del Movimento dei Focolari, allorché il nuovo carisma ci infondeva in cuore un amore tutto particolare per i poveri. Quando li incontravamo per strada prendevamo nota del loro indirizzo su un bloc-notes per poi andare a trovarli e soccorrerli; erano Gesù: “L’avete fatto a me” (Mt 25,40). Dopo averli visitati nei loro tuguri, li si invitava a pranzo nelle nostre case. Per loro erano la più bella tovaglia, le posate migliori, il cibo più scelto. Al nostro tavolo, nel primo focolare, sedevano a mensa una focolarina e un povero, una focolarina e un povero… A un dato punto ci sembrò che il Signore chiedesse proprio a noi di diventare povere per servire i poveri e tutti. Allora, in una stanza del primo focolare ognuna mise lì al centro quello che pensava di avere in più: un paletot, un paio di guanti, un cappello, anche una pelliccia… E oggi, per dare ai poveri, abbiamo aziende che danno lavoro e i loro utili da distribuire! Ma c’è sempre tanto da fare ancora per “i poveri”. “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto” Abbiamo tante ricchezze da mettere in comune, anche se può non sembrare. Abbiamo sensibilità da affinare, conoscenze da apprendere per poter aiutare concretamente, per trovare il modo di vivere la fraternità. Abbiamo affetto nel cuore da dare, cordialità da esternare, gioia da comunicare. Abbiamo tempo da mettere a disposizione, preghiere, ricchezze interiori da mettere in comune a voce o per iscritto; ma abbiamo a volte anche cose, borse, penne, libri, soldi, case, automezzi da mettere a disposizione… Magari accumuliamo tante cose pensando che un giorno potranno esserci utili e intanto c’è lì accanto chi ne ha urgente bisogno. Come ogni pianta assorbe dal terreno solo l’acqua che le è necessaria, così anche noi cerchiamo di avere solo quello che occorre. E meglio se ogni tanto ci accorgiamo che manca qualcosa; meglio essere un po’ poveri che un po’ ricchi. “Se tutti ci accontentassimo del necessario diceva san Basilio , e dessimo il superfluo al bisognoso, non ci sarebbe più né il ricco né il povero.” Proviamo, iniziamo a vivere così. Certamente Gesù non mancherà di farci arrivare il centuplo; avremo la possibilità di continuare a dare. Alla fine ci dirà che quanto abbiamo dato, a chiunque fosse, l’abbiamo dato a Lui.

Chiara Lubich

Pubblicata su Città Nuova 2003/22, p.7.   (altro…)

Buddhisti e cristiani, sentieri per il nostro tempo

Argentina: Festa dei Giovani 2014 “raddoppia la pazzia”

fiesta-de-los-jovenes-4Ogni anno a settembre nella cittadella Lia, in Argentina, si svolge la Festa dei Giovani; questa volta ha avuto come titolo: “Viviamo questa pazzia” e si è svolta presentando uno spettacolo in cui, in mezzo ad una festa di carnevale, si mostra come tante persone, indossando maschere, perdono così la loro identità, diventando parte di una moltitudine disordinata e senza volto. Lo spettacolo ha mostrato, con workshop, teatro, esperienze, musica e coreografie, l’importanza della scelta di uno stile di vita controcorrente, basato sull’amore evangelico. La giornata è stata così bella e coinvolgente che ha contagiato i 120 partecipanti di Mendoza, città ai piedi delle Ande argentine, che hanno lasciato la cittadella Lia con nel cuore il desiderio di fare ripetere la Festa dei Giovani nella loro città. Per trasformare questo sogno in realtà c’è stato bisogno, però, di molto lavoro: basti solo pensare che si dovevano far arrivare a Mendoza i quasi 100 giovani attori che avevano dato vita allo spettacolo alla Cittadella Lia, con un viaggio di più di 900 chilometri, ed ospitarli per tre giorni. fiesta-de-los-jovenes-22Il 10 novembre è stato il primo show davanti a 500 persone, tra cui diverse classi di scuole, ma anche giovani delle periferie della città. «Vediamo molti problemi nel nostro mondo – esordiscono i giovani attori dal palco –, e qualcuno aspetta che siano gli altri a cercare soluzioni. Qui siamo 90 giovani di 20 Paesi che hanno deciso di non aspettare più. Vogliamo essere i protagonisti di questo cambiamento, e abbiamo scoperto la ricetta: lavorare per costruire l’unità della famiglia umana». Il giorno dopo, il secondo spettacolo, in un Centro Congressi a 40 km da Mendoza. Anche questo tutto esaurito, con le 500 poltroncine piene e gente in piedi e con alcuni ragazzi che erano arrivati appositamente da una scuola distante ben 250 km. I giovani che hanno assistito allo spettacolo sono rimasti positivamente sorpresi nel vedere il centinaio di coetanei provenienti da 20 nazioni diverse che, con una grande qualità artistica, hanno presentato loro un modo di vivere del tutto diverso da quello imposto dalla società attuale. In entrambi gli spettacoli la proposta di uno stile di vita basato sull’amore che diventa servizio concreto agli altri, è stata accolta e tutti sono ripartiti con il cuore pieno di gioia. fiesta-de-los-jovenes-9Ma anche per gli stessi “attori”, cioè i ragazzi che trascorrono un periodo della loro vita nella cittadella Lia, questa trasferta è stata importante in quanto ha dimostrato che vivere la “pazzia dell’amore” è possibile se ognuno si propone di fare la propria parte, senza guardare ciò che è stato né ciò che sarà, ma solo puntando al presente, sfruttandolo bene. Uno tra i tanti messaggi ricevuti a caldo per WhatsApp: «TUTTO È STATO BELLISSIMO! È stato vivere davvero il titolo della giornata: “Viviamo questa pazzia”, perché questi 3 giorni sono stati indimenticabili. Anche le mie amiche che sono venute sono rimaste entusiaste ed emozionatissime! Per me è stato speciale anche poter conoscere meglio i giovani venuti dalla Cittadella Lia. Continuiamo a vivere insieme questa pazzia!». Leggi anche: Argentina, mille giovani per una pazzia (altro…)

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Nuove piste per i Movimenti ecclesiali

20141123Francesco-MariaVoce«Un’impressione a caldo su quanto vissuto in questi giorni? Mi sembra che sia stato un incontro di vera e profonda comunione. E questo veniva tanto più in evidenza se pensiamo da dove siamo partiti, perché dal ’98 – quando Papa san Giovanni Paolo II sul sagrato di San Pietro ha dovuto quasi chiedere ai Movimenti di mettersi d’accordo fra di loro, di volersi bene, di conoscersi, di stimarsi, di collaborare – siamo arrivati al punto che adesso veramente non si avvertiva più a quale Movimento si appartenesse, tanta era la fraternità che c’era fra tutti. Era bellissimo vedere i Movimenti nati da poco che cercavano i Movimenti più anziani non per farsi controllare, ma per chiedere il loro aiuto, il loro pensiero, anche il loro giudizio sulle loro opere, per vedere insieme come portare avanti le cose. E i Movimenti più anziani cercavano i Movimenti più giovani, gli ultimi nati, non tanto per vedere se funzionavano, se andavano bene, ecc., ma per gioire che era nata una nuova vita. Quindi era tutto un gioire dei frutti gli uni degli altri, sperimentare questo essere una cosa sola nella Chiesa. Mi è sembrato veramente un passo importantissimo, una vera comunione, una vera fraternità, dove si era tutti fratelli, più grandi, più piccoli ma tutti fratelli. Per cui quando poi insieme siamo andati dal Papa, lui ha colto questo aspetto e ce lo ha anche espresso nel suo discorso; si sentiva in lui la gioia di aver potuto partecipare, di aver potuto sperimentare questa comunione che c’era stata fra di noi. In fondo era questo il dono che volevamo portargli: questa comunione, e lui l’ha sottolineato fortemente nel suo discorso, invitandoci a portarla avanti e definendo proprio la comunione come il sigillo dello Spirito Santo. Quindi è stata una conferma e un incoraggiamento forte ad andare avanti in questa direzione. Poi il Papa è tornato sul discorso dell’uscire, del non fermarsi nel proprio recinto, un’idea fondante che c’è in tutti i suoi discorsi. Allora mi sono domandata cosa vorrà significare questo per noi come Movimenti, questo passo nuovo che dobbiamo scoprire come fare? Certamente sempre di più questa comunione con la Chiesa; però, proprio perché siamo arrivati a questa unità profonda fra i Movimenti, forse Dio ci chiede adesso di aprirci di più in uscita verso i Movimenti che appartengono ad altre Chiese, non cattoliche, perché anche lì ci sono esperienze molto forti di persone che vivono come noi il Vangelo e che testimoniano questa vita. Conoscere anche loro, aprirsi di più potrebbe contribuire ad una comunione più ampia e, perché no?, anche ad avvicinare il momento dell’unità di tutti i cristiani. Questa potrebbe essere una pista, forse, da aprire ancora. E un’altra cosa che vorrei sottolineare è questa: l’uscita verso un’unità più vitale fra “pastore” e “gregge”, per quanto possibile. C’erano, infatti, tanti pastori, vescovi, sacerdoti presenti, sia appartenenti ai Movimenti, sia no. Mi sembra che l’uscita che Dio ci chiede ora è di fare una comunione ancora più profonda fra laici e clero, sia col clero che appartiene ai Movimenti, che quindi è già profondamente unito al proprio Movimento, ma forse ancora non con questa comunione orizzontale del clero di tutti i Movimenti; sia anche per cercare le forme più adatte, per cui non si debba separare la parte ecclesiastica dalla parte laica nei vari Movimenti e neanche nell’insieme». (altro…)

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Jesús Morán: È l’ora della fedeltà creativa

JesusMoran-01Jesús Morán, filosofo e teologo spagnolo, è stato eletto nuovo copresidente del Movimento dei Focolari nell’Assemblea generale 2014, che si è svolta nello scorso mese di settembre. A colloquio con lui: «Ho conosciuto l’ideale dell’unità – esordisce – quando avevo appena finito gli studi del liceo classico e mi preparavo ad entrare nella facoltà di filosofia dell’Università Autonoma di Madrid. Erano tempi di grande agitazione politico-sociale in Spagna. Il desiderio di cambiamento era molto pressante. La società e in particolare i giovani reclamavano libertà e democrazia. Se avevo scelto la carriera di filosofia era perché i religiosi del liceo dove avevo studiato ci avevano inculcato un cristianesimo impegnato nella trasformazione sociale. L’incontro con la spiritualità di Chiara Lubich è stato come trovare la figura di ciò che volevo essere. Questa spiritualità, oltre a cambiare la società, poteva cambiare me stesso e questo era ciò che in fondo desideravo di più. Ho trovato nella libertà di amare la risposta a tutte le mie esigenze». «Ho vissuto in America Latina la maggior parte della mia vita – continua Jesús Morán –. Sono arrivato in Cile a 23 anni e sono partito dal Messico che ne avevo 50. Lì ho vissuto le prime esperienze lavorative e ho toccato con mano la storia di popoli millenari con i loro contrasti, le loro immense ricchezze culturali e i loro drammi identitari. Dall’America Latina ho appreso il valore incommensurabile della vita, della natura e dei rapporti interpersonali. È stata una scuola di socialità. Quel continente mi ha dato il senso del pensiero organico, della cultura che si fa prassi quotidiana e storia, della religiosità che tocca le fibre più intime del cuore». L’esperienza degli ultimi anni al Centro del Movimento, confessa, l’ha arricchito di uno sguardo più universale, nonché di un’intensa maturazione umana e spirituale. «Nella mia vita, particolarmente luminosi sono stati alcuni momenti vissuti con Chiara Lubich nei quali ho sentito la sua maternità nei miei confronti». Sono trascorsi poco più di due mesi dalla sua elezione a copresidente e ci confida di star vivendo «una fortissima e allo stesso tempo semplicissima esperienza di Dio. Mai come in questo tempo mi sono sentito così profondamente amato da tante persone. Di questo sono infinitamente grato a Dio». Alla domanda se a suo parere sia successo qualcosa di nuovo con l’Assemblea 2014, risponde: «L’Opera di Maria vive un momento cruciale per il suo futuro. Si tratta di verificare quanto questa prima generazione ha capito veramente il dono carismatico che Dio ha fatto alla Chiesa e all’umanità con Chiara Lubich. Da questo dipende che l’incarnazione del carisma sia all’altezza di esso. È un momento di forte e nuova autocoscienza che deve portare come frutto una radicalità di vita pari ai primi tempi del Movimento, anche se diversa. È il momento della “fedeltà creativa”. Tanto più fedeli quanto più creativi, e viceversa, tanto più creativi quanto più fedeli. Ovviamente, questo vuol dire attualizzazione del carisma su tutti i fronti, nuovo slancio apostolico, dilatazione della capacità di dialogo a 360 gradi. Mi sembra che l’Assemblea, col suo documento programmatico e col tocco finale del messaggio di Papa Francesco, si sia orientata in questo senso». Riguardo al suo pensiero su possibili contrapposizioni tra formazione spirituale e formazione culturale: «In Chiara non c’è mai stata contrapposizione fra vita e pensiero. Lei, infatti, sente di riprendere i libri subito dopo un’esperienza mistica. Questo per me è molto significativo. Chiara è la fondatrice della Scuola Abba e dell’Istituto universitario Sophia. Come tutti i grandi fondatori, lei era pienamente cosciente che un carisma che non si fa cultura non ha futuro». Domandiamo, infine, su cosa chieda per lui e per il Movimento: «Un dono che chiedo tutti i giorni è quello del discernimento e la docilità allo Spirito, senza paura». A cura di Aurora Nicosia (altro…)

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Corea, il mistero della vita

geriatric_nursingCielo Lee, Young-Hee lavora come infermiera a domicilio per un ospedale a Seoul. In Corea, la percentuale dei suicidi degli anziani oltre gli 80 anni è la più alta nel mondo. «Dopo aver letto alcuni dati, ho cominciato a lavorare con grande impegno per la prevenzione, poiché il 50% dei miei pazienti sono proprio ultra 80enni!». Dopo un’esperienza negativa con una paziente fortemente depressa, Cielo Lee, decide di organizzare un corso sulla prevenzione del suicidio per 100 educatori degli anziani ed altri 30 volontari che operano nelle parrocchie. “Visitando ogni settimana circa 40 pazienti ad alto rischio suicidio, insieme ad un altro collega abbiamo valutato il loro stato d’animo secondo parametri sanitari. In base ai risultati, abbiamo deciso di andare a trovare, 2 volte la settimana, le 10 persone risultate più ad alto rischio». Il progetto “Gate-keeper”– letteralmente “guardiani”, ma anche una sorta di “guardia del corpo” – è uno dei servizi pubblici promossi dal governo di Seoul. Si effettua in ogni quartiere della capitale per prevenire i suicidi con la collaborazione delle strutture sanitarie locali. «In questo progetto – spiega Cielo Lee – formiamo anche degli anziani come gate-keeper. Insieme agli infermieri, questi coetanei vanno a visitare i pazienti dando dei consigli utili per la salute». «Col desiderio di proteggere la vita anche soltanto di una persona, al lavoro ho comunicato la mia intenzione ad una suora, capo infermiera, e in seguito 60 delle mie colleghe infermiere hanno partecipato a questo corso di prevenzione». Uno dei pazienti soffriva di una malattia grave da 10 anni: «Andando a trovarlo – racconta – prima di entrare nella sua casa, pregavo e cercavo poi di ascoltare bene quanto lui mi comunicava. Da qualche tempo questo paziente si è avvicinato alla preghiera e sta recuperando condizioni stabili». Un’amica soffriva di insonnia dopo aver perso il figlio maggiore. Riusciva a dormire solo con l’aiuto delle medicine. Ma dopo aver frequentato il corso, si è presa cura di una anziana senza famiglia che vive vicino a lei. Adesso può dormire senza le medicine ed è grata di poter aiutare altre persone. «Un giorno squilla il telefono» – racconta ancora Cielo Lee. «Era il centro di salute mentale con cui lavoro. Mi diceva che il sindaco di Seoul avrebbe dato un premio ad una persona in ogni quartiere e anche io ero stata proposta all’unanimità! Giorni dopo ho ricevuto un altro premio dal direttore dell’ospedale». Per i membri del Movimento dei Focolari a Seoul che hanno frequentato il corso è stata, come hanno scritto, «un’occasione preziosa di approfondire la conoscenza del mistero della vita e di andare verso le periferie esistenziali».   (altro…)

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A Roupa nova do arco-da-velha

A-Roupa-Nova-do-Arco-da-VelhaCapaCompleta (2)O livro

Em A Roupa nova do arco-da-velha Flávia Savary reconta, com muito humor e certa ironia, seis fábulas que literalmente saíram do arco-da-velha. A primeira tem como protagonista o coelho Abelardo, um senhor caloteiro, a segunda nos convida ao jantar de gala do esnobe rato Bonifácio que leva a pior do primo caipira. Na sequência, conheceremos as peripécias do cachorro Carlos, do burro Bernardo, do galo Ribamar e, assim por diante. Por 64 páginas, o livro garante muita diversão mostrando à garotada que, por trás da astúcia, alguns tropeços e muita malandragem, alguns comportamentos politicamente incorretos podem nos colocar numa grande confusão. Quem apresenta o livro e está presente em todas as páginas é o ratinho Sig, personagem símbolo do antigo jornal O Pasquim, criado pelo cartunista e chargista Jaguar.

Por que ler

Falar sobre certo e errado, justo e injusto para as crianças é um desafio. Neste sentido, as fábulas são as maiores aliadas para abordarmos assuntos como ética, virtudes e valores. A famosa rigidez e caretice da lição de moral, tradicional desse gênero literário, ganha ares de modernidade em A Roupa nova do arco-da-velha, que chega como uma ferramenta eficiente para ajudar pais, professores e educadores nesse árduo desafio. O livro tem texto primoroso e um humor de primeira qualidade. Afinal, a autora já ganhou mais de 80 prêmios ligados à literatura infantil. De brinde, o livro presenteia o leitor com uma singela homenagem da autora ao pai, o celebre cartunista e chargista Jaguar. A ilustração do livro é um capítulo à parte e merece olhar apurado. As imagens e a presença do ratinho Sig, com toda certeza provocarão saudades a muitos pais e avós, porque levam a assinatura de Jaguar (o pai do jornal O Pasquim). Com alguns desenhos feitos especialmente para o livro e outros que fazem parte do seu acervo desde a década de 1950, Jaguar mostra que seu traço continua impecável e contemporâneo! Aliás, faz jus ao ser chamado de ícone fundamental da história iconográfica brasileira.

Editora Cidade Nova

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Contribuisci anche tu a costruire un dado della pace a Trieste

Il dado dell'amoreNella mattinata di venerdì 21 novembre in uno dei parchi pubblici della città verrà inaugurato un grande «Dado dell’amore», sorta di «gioco pedagogico» ispirato all’arte di amare proposta daChiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, che consiste nel mettere in pratica ogni giorno la frase uscita dal lancio del dado: amare per primi, amare il nemico, e via di seguito. Accanto ad esso verrà posto un leggio che ne spiega storia, significato ed «istruzioni per l’uso». Grazie all’iniziativa della comunità triestina dei Focolari, questa «buona pratica» ideata per i bambini, ma valida anche per gli adulti verrà portata a conoscenza di tutta la città: dai piccoli che vanno a giocare ai genitori che li accompagnano, tutti potranno far ruotare questo enorme dado e cogliere la sfida. Il parco diventerà anche segno tangibile di un progetto di educazione alla pace partito in diverse scuole della città e che verrà ulteriormente esteso: oltre a lanciare il dado, viene stimolato poi in classe lo scambio e le discussione sulle esperienze vissute, che naturalmente coinvolgono anche le famiglie. Dei 2mila euro necessari per il progetto, però, ne sono stati raccolti circa 1.400: per cui il comitato promotore lancia a tutti un appello a dare il proprio contributo. Anche lo sport può servire allo scopo: domenica 16 novembre alle ore 15, nella palestra dell’associazione Bor, si terrà un torneo di pallavolo i cui proventi – offerte del pubblico e quote di iscrizione – saranno devoluti a questo scopo. L’invito a formare una squadra amatoriale o a portare quella in cui già si gioca è rivolto a tutti: come riferisce uno degli organizzatori, Andrea Franco, anche parte del personale sanitario dell’ospedale pediatrico Burlo Garofalo ha deciso di infilare le ginocchiere per un giorno. Ad ogni modo, i triestini non si sono fatti scoraggiare: parte del denaro necessario è stato anticipato e al momento in cui scriviamo il dado è in fase di installazione. All’inaugurazione parteciperanno le scuole coinvolte nel progetto, oltre ai tanti che ci hanno creduto. «La cosa significativa – sottolinea Gabriele Kucich, un altro dei promotori – è che tutto il denaro è arrivato tramite piccole donazioni volontarie: non ci ha sostenuto alcun ente né pubblico né privato, solo la generosità dei singoli, che si è espressa anche con pochi euro». Chi desiderasse contribuire, può farlo tramite questi canali: c/c postale n. 81065005 codice IBAN: IT74 D076 0103 2000 0008 1065 005 codice SWIFT/BIC: BPPIITRRXXX c/c bancario n. 120434presso Banca Popolare Etica – Filiale di Roma codice IBAN: IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434 codice SWIFT/BIC: CCRTIT2184D Intestati a: Associazione “Azione per un Mondo Unito – Onlus” Via Frascati, 342 – 00040 Rocca di Papa (Roma) Causale: Dado dell’amore a Trieste