Movimento dei Focolari
Collaborare insieme per il bene dell’umanità

Collaborare insieme per il bene dell’umanità

Firmato un accordo di partnership tra la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. Obiettivo: continuare a lavorare insieme per sconfiggere la fame nel mondo entro il 2030.

©FAO/Giulio Napolitano.

Un accordo che rafforza una collaborazione già in atto, un documento che conferma il comune impegno per far sparire la fame e la povertà dal nostro pianeta. E’ questo il senso dell’accordo di partnership firmato il 19 dicembre scorso a Roma tra la FAO, la più grande agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura, e New Humanity, la ONG internazionale del Movimento di Focolari. L’accordo è indirizzato alla promozione, in particolare con le nuove generazioni, di azioni, attività, iniziative per realizzare il progetto Fame Zero, secondo degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile. “Grazie per il lavoro che avete già svolto con noi come New Humanity collaborando per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG), per Fame Zero e per il futuro del pianeta e del mondo”. Con queste parole la Dott.ssa Yasmina Bouziane, Direttrice dell’Ufficio per la Comunicazione Istituzionale della FAO, ha accolto nella sede della FAO di Roma il dott. Marco Desalvo, Presidente della ONG New Humanity insieme ad una piccola delegazione di giovani dei Focolari. “Sappiamo che abbiamo solo altri 10 anni per raggiungere gli Obiettivi. Ciò che voi fate con i giovani di ogni estrazione è estremamente importante, perché i giovani sono l’innovazione, il cambiamento, sono quelli che si aspettano le informazioni, senza di esse non possiamo arrivare alle azioni concrete che vogliamo fare”. “Quello che firmiamo oggi – ha aggiunto – è un’altra conferma che è solo in partnership che possiamo andare avanti. Già apprezziamo molto ciò che il Movimento dei Focolari e New Humanity hanno fatto con le proprie iniziative, quindi, insieme, penso che possiamo sicuramente andare avanti e sostenere veramente i Paesi e l’intero pianeta per raggiungere gli Obiettivi dell’Agenda 2030” . “Grazie. Anche per noi, questa firma significa molto – ha detto Marco Desalvo parlando dell’accordo – Penso alle migliaia di giovani che stanno già lavorando per il progetto Fame Zero. Ma questo è anche un nuovo impegno per noi. Pensavo ieri che Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari ha iniziato andando verso coloro che avevano fame, a Trento, pensando di risolvere il problema sociale della città. Ora siamo in tutto il mondo e vogliamo continuare e raggiungere l’obiettivo”. La collaborazione tra la FAO e New Humanity è già iniziata da qualche tempo. Raccogliendo l’invito della FAO ai ragazzi e giovani ad impegnarsi in particolare per Fame Zero, molte sono state le iniziative alle quali si è dato vita. Un gruppo di ragazzi di 11 Paesi ha elaborato la “Carta d’Impegno” (http://www.teens4unity.org/cosa-facciamo/famezero/) dei Ragazzi per l’Unità verso Fame Zero. Ogni anno in maggio, la “Settimana Mondo Unito” e la staffetta mondiale “Run4Unity” sono dedicate anche alla sensibilizzazione e azione sul fronte Fame Zero. La rivista bimestrale Teens ha una rubrica dedicata a queste tematiche Fame Zero (https://www.cittanuova.it/riviste/9772499790212/).- Nel giugno 2018 sono state accolte nella sede FAO di Roma 630 giovani ragazze (dai 9 ai 14 anni) del Movimento dei Focolari (https://www.focolare.org/news/2018/06/26/prime-cittadine-famezero/). A fronte del loro impegno per questo obiettivo è stato consegnato a ciascuna un passaporto e sono divenute “le prime cittadine Fame Zero”. Recentemente è stato realizzato un libro (http://new-humanity.org/it/pdf/italiano/diritto-allo-sviluppo/214-new-humanity-e-fao-libro-generazione-fame-zero-ragazzi-in-cammino-verso-un-mondo-senza-fame/file.html), frutto della collaborazione tra FAO e New Humanity per i ragazzi (12-14 anni) dal titolo “Generazione #FameZero. Ragazzi in cammino verso un mondo senza fame”. In esso si propone, partendo da testimonianza vere, un nuovo stile di vita che possa concorrere a realizzare un mondo unito e, quindi, vincere anche la fame e la povertà. Una copia è stata consegnata anche alla Dott.ssa Bouziane “Custodirò questo libro, grazie!”. Ha continuato affermando che, come giovani e ragazzi, devono valutare insieme quali sono le priorità sulle quali si vogliono impegnare. Di esse, hanno spiegato i giovani presenti, si parlerà anche nei prossimi incontri internazionali di formazione per le nuove generazioni a Trento ad inizio 2020 e nei Cantieri dei Ragazzi per l’unità in Kenya e Costa d’Avorio. “Il nostro impegno – ha concluso la Dott.ssa Bouziane – è lavorare con voi sulle vostre priorità per poter raggiungere Fame Zero, perché la nostra priorità è raggiungere Fame Zero con voi, insieme”.

Stefania Tanesini

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Un evento quasi scandaloso

Un evento quasi scandaloso

Auguri di Natale di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari Natale è per tutti noi che lo festeggiamo ogni anno un momento tanto atteso, pieno di emozioni, di gioia, di rapporti. Ma in mezzo all’atmosfera natalizia così gioiosa e allegra spesso dimentichiamo che alla base di questa festa c’è un evento misterioso, direi quasi scandaloso: lo scandalo di un Dio che si abbassa e diventa uomo, dell’Onnipotente che diventa un bambino debole, dell’Illimitato che entra nei limiti della carne umana. E Dio non lo fa soltanto per solidarietà, per essere vicino a noi e condividere la nostra esistenza. Lui entra nella condizione umana per dimostrarci con la nostra lingua, con i nostri gesti, con le nostre emozioni la sua stessa vita: quella di un Dio; una vita capace di ricomporre fratture, risanare ferite, ricostruire rapporti. Lo ha fatto 2000 anni fa e lo vuole fare anche oggi. Fra un mese, il 22 gennaio, ricorre il centenario della nascita di Chiara Lubich, la fondatrice del nostro Movimento dei Focolari. E in questa occasione non posso non ricordare il nucleo del suo messaggio, della sua spiritualità dell’unità: la scoperta che Gesù può nascere anche oggi, laddove due o più si vogliono bene “con quell’amore di servizio, di comprensione, di partecipazione ai dolori, ai pesi, alle ansie e alle gioie dei nostri fratelli, con quell’amore che tutto copre, che tutto perdona, tipico del cristianesimo” . Da qui la proposta di fare dei nostri rapporti umani il presepe, la culla, che accoglie Gesù in mezzo a noi, che vuole ricomporre il nostro mondo, oggi così frammentato. Il mio augurio per questo Natale è che sia per tutti una festa di profonda gioia, nell’impegno ad allenarci ogni giorno per attirare, con l’amore reciproco, la presenza di Gesù fra noi, permettendogli così di trasformare il mondo. (altro…)

Scomparso il Gran Maestro Ajahn Thong

Figura di primo piano del buddismo theravada thailandese, il Venerabile Phra Phrom Mongkol, vi si è spento il 12 dicembre scorso a 97 anni. Altissima l’esperienza di dialogo buddhista-cristiano tra lui e Chiara Lubich. A metà degli anni Novanta, grazie a Phramaha Thongratana, monaco che aveva avuto l’occasione di incontrare Giovanni Paolo II e di conoscere il Movimento dei Focolari e Chiara Lubich, il Gran Maestro aveva trascorso un periodo nella cittadella di Loppiano, insieme al suo giovane seguace, noto in ambito cattolico anche con il nome di Luce Ardente. Dopo i primi incontri che questi aveva avuto con la fondatrice dei Focolari, era nato il desiderio di un dialogo fra buddismo e cristianesimo in Thailandia, che, nelle parole del monaco doveva essere realizzato «dolcemente, con una carità squisita, con tanto amore ed occupandocene con il cuore». A questo aggiungeva una considerazione fondamentale per il dialogo: «Questi due termini – buddhismo e cristianesimo – sono soltanto due parole […] il bene, l’amore, è ciò che unisce tutti gli uomini di qualsiasi razza, religione, lingua e fa sì che tutti possano ritrovarsi e convivere insieme». Da qui, il suo impegno, deciso e, per certi versi, sorprendente: «Finchè avrò respiro, finchè avrò vita, cercherò di costruire rapporti veri e belli con tutti nel mondo». La Lubich confermava questi sentimenti con un invito che è anche profezia: «Continuiamo a preparare la strada vivendo secondo la Luce che abbiamo ricevuto e tanti ci seguiranno». Con questa preparazione l’anziano e venerabile monaco era giunto nella cittadella di Loppiano dove aveva soggiornato presso il Centro di spiritualità chiamato Claritas, che accoglie regolarmente religiosi di diverse congregazioni che desiderano vivere una esperienza di comunione di carismi. Due monaci theravada insieme a francescani, salesiani, gesuiti, domenicani ed altri: una vera profezia. Il Ven. Phra Phrom Mongkol era rimasto profondamente toccato dall’accoglienza ricevuta e, incontrando la Lubich, aveva commentato: «Il fatto che tu hai invitato dei monaci buddhisti a venire qui in mezzo al tuo popolo, è una cosa bellissima». Tutto questo non era semplicemente formalità e gentilezza, aspetti sia pure tipici della cultura thai. Si trattava dei primi passi di una profonda esperienza spirituale, di cui i due monaci erano ben consapevoli. Chiara Lubich aveva confermato la sua attesa di quel primo incontro con un atteggiamento di ascolto volto a imparare, piuttosto che a insegnare: «io sono contenta di questa visita anche per imparare qualcosa di bello. Qual è il cuore del vostro insegnamento?» Da qui, era iniziato un percorso imprevedibile. Agli inizi del 1997, infatti, la leader cattolica era stata invitata in Thailandia da queste personalità del monachesimo buddhista e non si trattava solo di una visita di cortesia. Chiara fu invitata a rivolgere la sua parola di testimonianza cristiana a diversi gruppi di monaci, monache e laici buddhisti sia a Bangkok che, soprattutto, a Chiang Mai. Proprio qui, presso il Wat Rampoeng Temple, il Gran Maestro la introdusse con parole sorprendenti: «Tutti voi, miei seguaci, vi domandate perché la mamma che è una donna è stata invitata. Vorrei che voi monaci e seminaristi, dimenticaste questa domanda e non pensaste che lei è una donna. Chi è saggio ed è in grado di indicare la strada giusta per la nostra vita, che sia donna o uomo, merita rispetto. E’ come quando siamo al buio: se c’è qualcuno che viene a portarci una lampada per guidarci gli siamo grati, e non ci importa se quella persona che è venuta a portarci la luce per farci camminare sulla strada giusta è una donna o un uomo, un bambino o un adulto». In queste poche parole sembra condensarsi la grande sapienza di quest’uomo capace, insieme ad altri, di camminare sulla via del dialogo senza timore, trascinando altri in questa esperienza profetica. La stessa Lubich, toccata da questa apertura e sensibilità, aveva colto una presenza superiore in questo rapporto e si era rivolta al Gran Maestro con parole che sembrano una profezia «Continuiamo a preparare la strada vivendo secondo la Luce che abbiamo ricevuto e tanti ci seguiranno». E così è stato. Da venticinque anni questa esperienza di dialogo continua e si sviluppa. Anche nella morte qualcosa sembra accomunare questo vegliardo monaco della millenaria tradizione theravada con la donna cattolica fondatrice di un movimento ecclesiale recente. Il 7 dicembre, infatti, a Trento si sono aperti i festeggiamenti per il centenario della nascita della Lubich, tra questi un evento interreligioso il 7 giugno 2020. Il Ven. Gran Maestro aveva espresso il desiderio di essere presente per quella occasione. Un’amicizia destinata ora a continuare nell’eterno.

Roberto Catalano (Co-responsabile Dialogo Interreligioso Movimento dei Focolari)

 A colloquio con il Gran Maestro Ajahn Thong, un servizio del Collegamento CH del 13 febbraio 2016 https://vimeo.com/155437353 (altro…)

In Uruguay si scommette per la pace

In Uruguay si scommette per la pace

Il Centro “Nueva Vida” dei Focolari da 15 anni porta avanti un’importante azione sociale di sostegno ai più giovani e alle loro famiglie in un quartiere della periferia di Montevideo (Uruguay). A colloquio con Luis Mayobre, direttore del centro. “Il motore di ‘Nueva Vida’ sono i giovani e questa azione sociale ci interpella e ci stimola a non perdere di vista ciò che è importante, ovvero l’amore reciproco, che vorremmo fosse l’unica legge del nostro centro”. Esordisce così Luis Mayobre, presidente del centro sin quasi dagli inizi, nel 2004, quando l’arcivescovo di Montevideo chiede ai Focolari di continuare a gestire un’opera sociale avviata da una religiosa in un quartiere di periferia della capitale uruguaiana. Nasce così “Nueva Vida”, i cui obiettivi sono inscritti nel nome stesso: aprire alla speranza di un nuovo inizio quanti varcano le porte del centro. Il centro fa parte dell’associazione CO.DE.SO (Comunione per lo sviluppo sociale istituita dai Focolari) e collabora con l’INAU, l’istituto del bambino e dell’adolescente, organismo pubblico che gestisce le politiche per l’infanzia e l’adolescenza in Uruguay. “Il 2018 è stato segnato da un clima di violenza nel ‘Barrio Borro’ – racconta Mayobre –. Sono stati mesi di angoscia. A causa dello scontro tra due famiglie di narcotrafficanti rivali, chiunque rischiava la vita. La gente, insieme agli educatori e al personale di Nueva Vida, hanno affrontato con coraggio le continue sparatorie che scoppiavano di giorno e di notte. Abbiamo dovuto raddoppiare la nostra presenza al centro perché le famiglie ce lo chiedevano; tante sono state derubate e le loro povere abitazioni occupate dai narcotrafficanti”. Come vi siete mossi in un clima così ostile? “Ci siamo rivolti al Ministro dell’Interno, ma siccome la risposta tardava ad arrivare, abbiamo dovuto accogliere e proteggere alcune famiglie che, poi, abbiamo derivato ai servizi statali che ha dato loro delle nuove abitazioni. Una di queste famiglie – due dei loro figli partecipano alle attività del centro giovanile – era stata minacciata a morte. La nostra coordinatrice ha contattato un’altra figlia, il cui aiuto non era scontato poiché aveva un rapporto problematico con i genitori. Il tutto si è risolto nel migliore dei modi, perché lei ha messo a disposizione parte di un terreno di sua proprietà per la costruzione di una nuova casa più degna e sicura. Ricordo anche un caso di violenza famigliare di cui il nostro team è venuto a conoscenza, che ha portato all’intervento delle autorità per salvaguardare i bambini e la madre. Nonostante le minacce e gli insulti ricevuti, siamo andati avanti, consentendo alla famiglia di ritrovare pace e sicurezza”. Chi si rivolge al Centro e che servizi offrite? “Portiamo avanti tre progetti: il CAIF, il Club Bambini e il Centro Giovanile. In questo clima di violenza ci siamo riproposti di essere costruttori di pace, di speranza e, soprattutto, gioia, per vincere l’odio e la paura. L’ambiente favorevole che si è creato ha permesso a 48 bambini tra i 2 e i 3 anni e a 60 più piccoli – da 0 a 2 anni – di partecipare a vari workshop con le proprie madri. Abbiamo organizzato anche escursioni didattiche per creare spazi di bellezza e armonia. Un’esperienza positiva alla quale hanno partecipato anche famiglie cosiddette “rivali”, i cui rapporti sono migliorati notevolmente. Nel Club Bambini ci prendiamo cura anche di 62 bambini in età scolare (dai 6 agli 11 anni). Siamo impegnati nella lotta contro l’abbandono scolastico e lavoriamo per garantire a tutti l’avanzamento alle classi superiori. Ora solo il 5% dei bambini abbandona la scuola a fronte del 36% nel 2004. Abbiamo incentivato i workshop di arte, musica, ricreazione, per sensibilizzare i piccoli a sviluppare i valori culturali della convivenza, dell’attenzione all’altro e per apprendere la ‘cultura del dare’. Abbiamo lavorato per escludere la violenza dagli stili di comportamento. Inoltre le lezioni di nuoto e le uscite favoriscono l’apprendimento della cura del corpo e dell’igiene. Nel Centro Giovanile accogliamo 52 ragazzi e giovani tra i 12 e i 18 anni. Quest’anno circa il 95% partecipa alle attività che svolgiamo al di fuori degli orari scolastici, una meta che ci siamo proposti sin dall’inizio. Tra di loro 6 frequentano il liceo; un grande successo dato che nel quartiere la media non supera i primi anni di scuola. Inoltre organizziamo dei workshop complementari alla loro formazione come lavorazione dei tessuti, falegnameria e comunicazione. Tutti sono portati avanti in modo volontario da persone dei Focolari”. In quale rapporto è il centro con le associazioni che lavorano in zona? “Con gli anni si è costruita una rete con tutte le istituzioni che lavorano nel Borro, con le quali collaboriamo e ci aiutiamo. Partecipiamo anche alla vita della parrocchia della zona, ‘Nostra Signora di Guadalupe’. Il parroco e un altro sacerdote ci visitano una volta la settimana. Spesso arrivano anche volontari di altri Paesi, come è successo quest’anno con Elisa Ranzi e Matteo Allione, italiani, che hanno lasciato un segno profondo. Ringraziamo sempre chi ci aiuta. La loro collaborazione è molto importante per sostenere parte delle attività che portiamo avanti. Ogni aiuto, pur piccolo che sia, è prezioso”.

Stefania Tanesini

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Chiara Lubich e don Oreste Benzi. Le sorprese dello Spirito

Nel novembre 2019 la chiusura della fase diocesana delle cause di beatificazione di Chiara Lubich e di don Oreste Benzi fondatori rispettivamente di un Movimento e di una nuova Comunità ecclesiale. È nel fermento del ’68, fenomeno rivoluzionario del XX secolo che interessa Paesi a varie latitudini, che nascono, suscitate da carismi, tante nuove Comunità ecclesiali. Fondate da laici irrompono nella vita di giovani donne e di giovani uomini, immediatamente mettono radici, coinvolgono e si diffondono nella società. Anch’esse portano una rivoluzione, ma evangelica, la preghiera allo Spirito Santo dei Padri che avevano partecipato al Concilio Ecumenico Vaticano II, conclusosi nel 1965, si palesava senza farsi attendere. Già agli albori del ‘900 germogliano nuove realtà carismatiche nella Chiesa. Verso la metà del secolo, quindi vent’anni prima del Concilio, sorge il Movimento dei Focolari e porta con sé delle novità: l’ispirazione è “consegnata” ad una giovane trentina laica, Chiara Lubich. Nata nel 1920, è contraddistinta da una fede generosa e realizza il suo sogno di donarsi a Dio all’alba del 7 dicembre 1943, a fare da sfondo la seconda guerra mondiale. La predilezione per i poveri, la vita comunitaria sostanziata da una spiritualità collettiva, che poggia sulla Parola di Dio, è il luogo dove si incarna il carisma dell’unità che a breve si aprirà al mondo. Don Oreste Benzi nasce nel 1927 a San Clemente, paesino dell’entroterra riminese. Ordinato sacerdote a 24 anni, si dedica agli adolescenti. Fare “un incontro simpatico con Cristo”, sarà il leitmotiv della sua vita. Con gli adolescenti trascorre i periodi estivi nella Casa Madonna delle Vette di Canazei, lì, nel 1968, nascerà l’Associazione Papa Giovanni XXIII, che fa proprio l’impegno di amare il più povero tra i poveri in stretto rapporto con Cristo perché: “solo chi sa stare in ginocchio può stare in piedi accanto ai poveri”. Compie opere ritenute irrealizzabili: dalla condivisione quotidiana con gli emarginati al contrasto della tratta degli esseri umani. Chiara e don Benzi due persone diverse: una donna e un uomo, una laica e un sacerdote, una donna di montagna e un uomo di collina vicino al mare, entrambi fondatori di opere generate da un carisma, luce che si inserisce nella storia. Realtà inedite nella Chiesa, ripropongono l’annuncio antico e nuovo di Gesù, coinvolgendo chi vi aderisce in un cammino rinnovato di fede e di umanità. La testimonianza adamantina del Vangelo, non si ferma ai fondatori, ma si allarga ai membri. È anche grazie a Movimenti e nuove Comunità che alla fine del secondo millennio, e a seguire, la santità di popolo avanza, inserendosi nella quotidianità. Chiara conia il simpatico slogan delle sei S, per seguire Gesù: “Sarò santo se sono santo subito.” Varie, nei Focolari, le cause di beatificazione in corso. Don Benzi, quando nel 2004 arriva il Decreto ecclesiale di riconoscimento definitivo della sua Associazione, afferma: “Un dono inestimabile” perché, “i fratelli e le sorelle membri della Comunità (…) possono vivere gioiosi e sereni nella certezza assoluta che la vocazione della Comunità è via sicura per santificarsi (…).” Nell’Associazione Papa Giovanni XXIII è avviata la causa di beatificazione della Serva di Dio Sandra Sabattini. È del 2 ottobre scorso la notizia che Sandra sarà proclama beata nel 2020. Tra le ultime telefonate di don Oreste quella del 31 ottobre 2007 al Centro internazionale del Movimento dei Focolari, la sua voce mite ha urgenza di informare Chiara dell’iniziativa che l’Associazione sta organizzando e se lei intende sostenerla. Purtroppo non farà in tempo a sapere la risposta positiva di Chiara: la notte seguente, tra l’uno e il due novembre, lascerà questa terra. Nel 2008, il 14 marzo, anche Chiara ritornerà alla casa del Padre. Oggi, questo mese di novembre, sembra il simbolo dei loro due percorsi, distinti ma vicini.

Lina Ciampi

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Vangelo vissuto: un’attesa piena di vita

Ogni piccolo gesto d’amore, ogni gentilezza, ogni sorriso donato trasforma la nostra esistenza in una continua e feconda attesa. Coro di bambini In preparazione alle feste natalizie siamo andati in un ospedale con un bel gruppo di bambini per allietare Gesù presente nei piccoli ricoverati con i nostri canti. Non ci è stato consentito di accedere al loro reparto, ma abbiamo ricevuto il permesso di esibirci nella sala d’entrata dell’ospedale. Era sorprendente assistere alla metamorfosi dei visitatori: entravano magari con un viso serio e, appena visti i piccoli cantare, accennavano un sorriso. In diversi poi sono tornati ad ascoltare assieme ai pazienti che erano venuti a trovare. Altri malati che non aspettavano visite si sono fatti portare nella grande hall per assistere alla performance e tanti si sono uniti al coro. Anche il personale dell’ospedale ha gioito per questa insolita atmosfera. La direzione dell’ospedale ci ha già invitati per l’anno prossimo, promettendo di farci entrare anche nel reparto riservato ai bambini. (N.L. – Olanda) In cucina Cuoco nella cucina di un asilo, non mi risparmiavo nel mio lavoro. Un giorno, mentre ascoltavo un’inserviente raccontare che per lei ogni bambino era un tesoro da proteggere, mi sono reso conto che non pensavo affatto a mettere amore in tutto quanto facevo. Ora invece, considerare che ogni pasto era nutrimento di persone che un giorno avrebbero avuto il mondo in mano, diventava un vero incentivo alla fantasia. Nei piatti ho cominciato a mettere qualche ornamento imprevedibile, a sistemare il cibo in modo sempre nuovo. La gioia e la sorpresa dei bambini mi hanno confermato che non si sa cosa può nascere da un semplice gesto d’amore. (K.J. – Corea) L’incidente Il lavoro al centro di recupero per tossicodipendenti s’era fatto alienante. Presa dal vortice delle cose da fare, avvertivo sempre più un senso di vuoto e Dio sempre più lontano. Una sera in cui pioveva a dirotto l’auto che mi riportava a casa sbandò, urtò contro un muro e andò a finire nella corsia opposta. Quando arrivai al pronto soccorso, la vista di un crocifisso appeso al muro mi diede coraggio. Mentre i medici si occupavano di me, provavo una pace sottile, come da tempo non sentivo più. Per fortuna, a parte ferite e contusioni di poco conto, non c’era niente di grave, per cui quasi subito venni dimessa. Per settimane accanto al letto dov’ero immobile ci fu un viavai di persone, tra telefonate e regali. Toccanti le visite ripetute dei miei tossicodipendenti: “Tu ce l’hai fatta perché fai del bene”. Anche i miei colleghi di lavoro mi furono molto vicini: evidentemente si era costruito con loro un legame solido. Grazie a quel riposo forzato, ritrovai anche il gusto della preghiera e credetti di capire perché Dio non mi aveva presa con sé quella volta. (Lucia – Italia) Stoviglie da lavare Dopo una festa in parrocchia organizzata per dare un pasto caldo ai barboni, mi son trovato in mezzo a un disordine di rifiuti e di pentole e stoviglie da lavare. In cucina il parroco stava già rigovernando,felice della serata. Colpito da una sua frase, “Tutto è preghiera”, gli ho chiesto: “Anche lavare i piatti?”. E lui: “Il tesoro più grande è arrivare a capire che tutto ha valore immenso perché dietro quella pentola c’è un prossimo che ha bisogno di me”. Da quel momento il mio pesante lavoro di muratore, i figli da accompagnare all’asilo, il lampadario da riparare … tutto è divenuto occasione per me di sublimare l’azione e farla diventare sacra. (G.F. – ltalia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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Le migrazioni dalla sponda sud del Mediterraneo/2 parte

Il fenomeno delle migrazioni forzate verso l’Europa resta uno dei temi irrisolti del dibattito tra i paesi UE. Troppo divisi da interessi particolari per individuare una politica comune, ispirata a principi di solidarietà e sostenibilità. Ne abbiamo parlato con Pasquale Ferrara, ambasciatore italiano in Algeria. Secondo l’UNHCR*, dal 1 gennaio al 21 ottobre 2019 sono sbarcati via mare sulle coste Europee di Italia, Malta, Cipro, Spagna e Grecia 75.522 migranti. A questi si aggiungono i 16.322 arrivati via terra in Grecia e Spagna per un totale di 91.844 persone, di cui 9.270 in Italia, 2.738 a Malta, 1.183 a Cipro, 25.191 in Spagna, 53.462 in Grecia. Dati che seguono un trend in calo e archiviano la fase d’emergenza, ma non bastano all’Europa per avviare un dialogo allargato e costruttivo sul tema: la prospettiva della creazione di un sistema europeo di gestione dei flussi resta assai remota, e in generale il confronto a livello istituzionale non tiene conto della prospettiva dei paesi africani. Ad Algeri abbiamo raggiunto l’Ambasciatore italiano, Pasquale Ferrara: (2° PARTE) Si dice da tempo che è necessario strutturare una collaborazione con i paesi del Nord Africa, ma anche con quelli di transito. Buoni propositi ma pochi fatti concreti…. Per passare ai fatti concreti bisogna prendere atto della realtà, del fatto che i paesi africani, soprattutto quelli del Nord, che consideriamo paesi di transito sono essi stessi paesi di destinazione dell’emigrazione. L’Egitto ospita oltre 200 mila rifugiati sul proprio territorio, mentre in tutta Europa nel 2018 sono arrivate poco più di 120 mila persone. Le poche centinaia di migranti irregolari che arrivano dall’Algeria sono tutti algerini, non subsahariani che transitano dall’Algeria, perché spesso questi migranti restano qui. Inoltre questi paesi non accettano programmi tendenti a creare “hotspot” (centri di raccolta) per i migranti subsahariani. Qui non funziona il modello della Turchia, alla quale l’Unione Europea ha dato 6 miliardi di euro per gestire campi dove ospitare oltre 4 milioni di profughi siriani e non solo. Con la Turchia l’operazione funzionò perché c’era la guerra in Siria e per gli interessi strategici della Turchia. In Africa i fenomeni sono molto diversi bisogna trovare altri modi. Quali potrebbero essere le forme di collaborazione? Non servono collaborazioni asimmetriche ma partenariati alla pari. Dobbiamo considerare che non siamo solo noi europei ad avere il problema migratorio, e dunque è necessario rispettare questi paesi con le loro esigenze interne, anche in fatto di migrazione. Solo poi si può cercare insieme di gestire il fenomeno. Per esempio esistono già accordi di cooperazione fra l’Italia e l’Algeria che risalgono al 2000 ed al 2009 e che funzionano bene. Cosa prevedono? La gestione congiunta del fenomeno migratorio in termini di lotta allo sfruttamento e alla tratta di esseri umani, alla criminalità trans-nazionale che utilizza il fenomeno per finanziarsi, al pericolo di infiltrazioni terroristiche. Vi sono anche disposizioni per il rimpatrio concordato, ordinato e dignitoso dei migranti irregolari. Si parla del fatto che i paesi occidentali debbano sostenere quelli africani per creare condizioni di vita migliori, tali da scoraggiare le partenze. Quanto è praticabile questa strada? Nelle condizioni attuali dell’economia e della cultura politica internazionale lo vedo poco praticabile e tutto sommato poco efficace. In primo luogo, parliamo già di un miliardo di africani: nessun “piano Marshall” europeo o mondiale potrebbe affrontare tali dimensioni demografiche. Tra l’altro l’Africa è molto diversificata, ci sono paesi in condizioni di sviluppo avanzate: il Ghana ha un tasso di innovazione tecnologica superiore a vari paesi sviluppati; l’Angola è un paese ricchissimo di risorse che sta tentando di riorganizzare la sua struttura economica in modo più partecipativo. Abbiamo dei leader, come il neo premio Nobel per la pace, il Primo Ministro dell’Etiopia, Abiy Ahmed Ali, che ha 42 anni e guarda alle nuove generazioni. Ha già fatto piantare 350 milioni di alberi in un programma di riforestazione mondiale chiamato “Trillion Tree Campaign”. L’Uganda vive una fase di forte sviluppo. Il problema piuttosto sono le disparità economiche, drammatiche e ingiuste, e qui l’Occidente può intervenire aiutando a migliorare la governance di questi paesi, perché sia più inclusiva e partecipata. Ma ricordiamoci che sono gli stessi problemi di polarizzazione socio-economica che abbiamo in Europa: purtroppo, non possiamo dare molte lezioni in questo campo. Nelle riflessioni sul fenomeno migratorio a livello istituzionale in primo piano c’è la dimensione economica, mentre viene trascurata quella umana. Cosa significa mettere l’uomo al centro del problema migratorio? Dietro ogni migrante c’è una storia, una famiglia, un percorso accidentato, la fatica di procurarsi il denaro e forse debiti con organizzazioni criminali. Certamente non possiamo ammettere l’immigrazione irregolare perché tutto deve svolgersi nel rispetto delle leggi, ma dare valore alla dimensione umana significa tenere conto di questo passato e non vedere in queste persone dei numeri che arrivano a bordo di barconi o via terra. Mi ha profondamente colpito la storia di quel ragazzo di 14 anni, proveniente dal Mali, trovato in fondo al mare con una pagella cucita dentro il giubbotto, con ottimi voti. Quella è una storia che ci lascia senza parole. E dietro c’è una tragedia familiare, umana, un tessuto sociale lacerato. Consiglio il bel libro di Cristina Cattaneo, “Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo”. Non dimentichiamo però anche le storie della nostra Marina militare – in particolare quella della comandante Catia Pellegrino – che ha salvato migliaia di naufraghi. Persone, volti, eventi reali. * https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean (leggi la 1° parte dell’intervista)

A cura di Claudia Di Lorenzi

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Il racconto di un decennio di luce

Il racconto di un decennio di luce

Inaugurata la mostra “Chiara Lubich Città Mondo” a Tonadico di Primiero “Chiara non è comprensibile senza situarla nel contesto in cui è vissuta”. Con queste parole, Jesús Morán, co-presidente del Movimento dei Focolari la domenica, 8 dicembre, ha concluso gli interventi della cerimonia di inaugurazione della mostra intitolata a Chiara Lubich aperta a Palazzo Scopoli a Tonadico di Primiero ad un giorno di distanza da quella di Trento. “Chiara durante la guerra si è spesa per la sua città, Trento, ma è a Primiero, nel ’49, che Dio le ha dato la chiave di comprensione di quanto era chiamata a compiere. Chiara ha trovato qui, fra le montagne, la luce, ma occorre andare a Trento ed in ogni città per capire quali sono le conseguenze del suo carisma.” Ecco il legame profondo fra le due mostre, dove quella di Tonadico non è un’appendice di quella di Trento, ma il racconto di un decennio di luce. La gratitudine della valle del Primiero è stata espressa con toni diversi dall’assessore alla cultura Francesca Franceschi (“Primiero rappresenta l’origine, il ritiro dove Chiara ha trovato risposte alle sue domande”), dal vicesindaco Paolo Secco (“Il nostro compito non è solo quello di mantenere viva la memoria, ma di essere una comunità che risponde alle ispirazioni ideali che hanno mosso Chiara”), dal presidente della Comunità del Primiero, Roberto Pradel (“Chiara si è spesa per costruire relazioni fra le persone: che il seme che ha gettato porti frutti”). Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha illustrato il significato più profondo delle due mostre: “Per la prima volta la nostra Fondazione realizza una mostra dedicata ad una persona: lo abbiamo fatto perché Chiara è una figura con cui il Trentino, e non solo, deve fare i conti. Il Trentino, che può rivendicarne la nascita, deve scoprire la dimensione di forte attaccamento alle tradizioni vivo in Chiara, frutto di relazioni, ma senza fermarsi ad esse per aprirsi al mondo al fine di non risultare sterile. Chi meglio di Chiara Lubich ci può garantire questa capacità di relazioni di cui il mondo oggi ha bisogno?” Alba Sgariglia, corresponsabile del Centro Chiara Lubich, ha espresso la gratitudine di tutto il Movimento alla Fondazione: “Abbiamo lavorato in tandem per questa tappa storica. Da qui, da queste montagne, Chiara si è proiettata verso l’umanità intera: questa la missione che lei qui ha compreso”. Annamaria Rossi e Giuliano Ruzzier, curatori della mostra con Maurizio Gentilini, ne hanno sottolineato le caratteristiche: grandi immagini, citazioni e brevi didascalie scorrono a fianco di Palazzo Scopoli, proprio di fronte a quella baita in cui Chiara ed alcune delle sue prime compagne andarono a riposare nell’estate del 1949. Al piano terra del palazzo, che conserva stacchi degli affreschi della cappella di San Vittore, si trovano alcuni scritti e ricordi fondamentali di quell’estate e video delle prime Mariapoli, le vacanze estive, che fino al 1959, di anno in anno, si arricchirono di persone di diverse vocazioni, culture e provenienze. Significativa la testimonianza delle “cittadelle” del Movimento nel mondo, Mariapoli permanenti, in cui oggi come nell’esperienza del Primiero, si sperimenta e si testimonia un’unità possibile.

Paolo Crepaz

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Schönstatt e i Focolari: un’amicizia che cresce

Schönstatt e i Focolari: un’amicizia che cresce

Mercoledì, 20 novembre, i responsabili di Schönstatt di diversi Paesi europei hanno visitato il Centro internazionale dei Focolari a Rocca di Papa (Roma, Italia). Mercoledì, 20 novembre, i responsabili del Movimento di Schönstatt di Austria, Repubblica Ceca, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna e Svizzera hanno visitato il Centro internazionale dei Focolari a Rocca di Papa. Il gruppo è stato accompagnato da padre Heinrich Walter, già presidente del Presidium generale di Schönstatt. “Incontrare Chiara” visitando la sua casa e pregando sulla sua tomba è stato uno degli scopi di questa visita. Un secondo obiettivo dei responsabili di Schönstatt è stato quello di entrare in dialogo con i Focolari sui cambiamenti sociali e politici in Europa, il ruolo dei Movimenti con i loro carismi e il significato della comunione tra di loro – in modo particolare di Insieme per l’Europa – nel contesto delle trasformazioni ecclesiali, politiche e culturali. La delegazione è stata accolta al Centro dei Focolari dal Copresidente, Jesús Morán e da diversi consiglieri. Per poter mettere i carismi a servizio del bene del continente nel dialogo è emersa in modo evidente la necessità di realizzare progetti culturali che siano frutto dello specifico di ciascuno ma anche della comunione tra tutti . L’incontro e il dialogo sono stati definiti da ambedue le parti cordiali, preziosi e fruttuosi. Ovviamente si è trattata solo di una tappa dell’ormai lungo cammino di comunione e di collaborazione tra Schönstatt e i Focolari che ha avuto inizio nel 1998 alla Vigilia della Pentecoste sulla Piazza San Pietro a Roma. Inoltre, da ormai 20 anni, cioè fin dall’inizio, anche Schönstatt è parte di quella rete di movimenti e comunità che compongono l‘iniziativa Insieme per l’Europa e padre Heinrich Walter è membro effettivo del comitato d’orientamento. In questi anni sono cresciute tra i Focolari e Schönstatt, ma non solo, relazioni fraterne, improntate sull’unità fra cristiani, fra varie Chiese e confessioni; unità che presuppone come importante premessa una profonda e vera riconciliazione, considerata accesso diretto all’unità pur mantenendo la necessaria diversità che l’altro arricchisce e completa. Il Movimento di Schönstatt è stato fondato da p. Josef Kentenich nel 1914 a Schönstatt, vicino a Koblenz in Germania, con un carisma pedagogico. È diffuso in modo particolare in Europa, nelle Americhe e in Africa ed è composto da una ventina di istituti secolari, leghe e movimenti autonomi.

Severin Schmid

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Vangelo vissuto: «Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà» (Mt 24,42)

Vegliare: è un invito a tenere gli occhi aperti, a riconoscere i segni della presenza di Dio nella storia, nel quotidiano ed aiutare altri che vivono nel buio a trovare la strada della vita. Un altro figlio Ero pronta ad avere altri figli dato che ne avevo già tre? A questa domanda di un amica ho risposto raccontando come ogni figlio sia un dono unico e l’esperienza della maternità non sia paragonabile a nessun’altra, perché la gioia che porta una nuova nascita è un bene di tutta la famiglia, per non parlare dell’aspetto economico che misteriosamente sembra sottolineare che ogni figlio è voluto dal Cielo. Al che l’amica mi ha confidato di essere in attesa del secondo. Col marito aveva pensato all’aborto, perché una nuova creatura avrebbe compromesso la situazione economica della famiglia. Andando via, mi diceva: “Mi sento pronta ad una nuova maternità”. (P.A. – Italia) Dare fiducia Avevamo un cugino con le “mani lunghe”: quando veniva a trovarci, piccoli oggetti sparivano dalla nostra casa per ricomparire in quella degli zii. Delicatamente la mamma segnalò loro la cosa, ma rimasero così offesi che troncarono i rapporti con noi. Da cristiani, cercammo un’occasione per riallacciarli ed essa si presentò quando il cugino, ormai adolescente, fu espulso dalla scuola, perché scoperto a rubare ai compagni. Fu allora che mio padre suggerì a quei parenti il nome di uno specialista che avrebbe potuto essere di aiuto. Pur con immenso dolore e vergogna, gli zii ammisero che il figlio era cleptomane. Mia madre propose loro di fare le vacanze insieme e a noi figli raccomandò di essere generosi con il cugino, dandogli la massima fiducia. Furono giorni belli e sereni. Anche lui era felice. L’accompagnamento psicoterapeutico, anche con medicine, giovò a tutta la famiglia. Mia zia un giorno si confidò: “Eravamo così orgogliosi della nostra famiglia che ci sentivamo superiori. Eravamo malati di superbia”. (J.G. – Spagna) Giustizia e comprensione Come magistrato in una località ad alta densità mafiosa, interrogavo da ore un detenuto che ne aveva combinate di grosse. Passata l’ora di pranzo, mi fu chiesto se desideravo mangiare. Accettai, a patto di portare qualcosa anche per il detenuto. Quel semplice gesto fu per lui un piccolo shock. Quasi non ci credeva. Un’improvvisa paura di trovarmi a tu per tu col pregiudicato in quel momento di pausa consigliava di allontanarmi. Ma ecco un altro pensiero: “No, se sto qui a voler bene a questo mio prossimo, non ho niente da temere”. L’interrogatorio proseguì con lo stesso atteggiamento nei suoi confronti: cercavo di fargli capire la gravità di quello che aveva fatto, ma senza giudicarlo, parlandogli serenamente. Tempo dopo mi giunse una sua lettera dal carcere. Qualche richiesta di commutazione della pena? No, solo un lungo sfogo col racconto delle proprie miserie e la richiesta di comprensione. Strano che la scrivesse proprio a me che avevo emesso un giudizio di condanna nei suoi confronti. Evidentemente aveva colto qualcosa d’altro. (Elena – Italia)

a cura di Stefania Tanesini (tratto da Il Vangelo del Giorno, Città Nuova, anno V, n.6,novembre-dicembre 2019)

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