«Di fronte ai drammatici avvenimenti accaduti a Parigi ieri sera, che si aggiungono a quelli recenti in tante altre aree del mondo, siamo in lutto, insieme a quanti sono stati colpiti negli affetti e a quanti credono possibile l’unità della famiglia umana. Nello sgomento e nella ferma condanna di simili atti contro la vita umana, emerge forte anche una domanda: abbiamo fatto ogni passo e intrapreso ogni azione possibile per costruire quelle condizioni necessarie, tra cui il favorire più parità, più uguaglianza, più solidarietà, più comunione dei beni, per cui violenza e azione terroristiche perdono possibilità di agire? Di fronte a un disegno che appare perverso, è evidente che non c’è una sola risposta. Ma è anche evidente che neppure la reazione incontrollata alla violenza farà indietreggiare coloro che vogliono annientare le forze vive dei popoli e la loro aspirazione a convivere in pace. La convinzione che il mondo può camminare verso l’unità, e superare lo scontro e la violenza delle armi, resta viva nell’animo e nell’azione di quanti hanno a cuore l’amore per ogni uomo e il futuro della famiglia umana e vogliono realizzarla mediante l’azione della politica, gli strumenti dell’economia, le regole del diritto. Il Movimento dei Focolari, mentre piange con chi piange, continua a credere nella via del dialogo, dell’accoglienza e del rispetto dell’altro, chiunque esso sia e di qualunque provenienza, credo religioso e appartenenza etnica. Per questo, assieme a quanti nelle diverse responsabilità si adoperano anche con un rischio personale per la pace, i Focolari rinnovano il proprio impegno ad intensificare e moltiplicare atti e gesti di riconciliazione, spazi di dialogo e comunione, occasioni di incontro e condivisione a tutti i livelli e a tutte le latitudini, per raccogliere il grido dell’umanità e trasformarlo in nuova speranza». (altro…)
V° Convegno ecclesiale nazionale di Firenze (9-13 novembre), Foto: Cristian Gennari/Siciliani
Il convegno di Firenze si è concluso. “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: come leggere il significato profondo di questo evento per la chiesa italiana? «Ci sarebbero tante letture, però penso che sia un momento decisivo e storico per la chiesa italiana. Prima di tutto per il forte messaggio che papa Francesco ha consegnato ai 2000 delegati, presente tutta la Conferenza Episcopale. L’evento accade nel cuore del pontificato, in un momento dove le riforme si fanno pressanti e concrete. Avendo come specchio la riforma che vuole Francesco, la Chiesa italiana è inesorabilmente spinta a riformare se stessa. Il discorso del Papa è soprattutto un richiamo alla conversione, a tutti i livelli: conversione delle persone, delle comunità, delle strutture…». Quali i passaggi centrali delle parole di Francesco? «La figura che il Papa ci ha presentato è l’Ecce Homo: Cristo che spoglia se stesso, che non si affida ai procedimenti né all’organizzazione, che non pretende di occupare spazi di potere, ma che si fa carico dei dolori dell’umanità. È Gesù nella sua vera essenza, nella sua missione come inviato del Padre per la salvezza di tutti gli uomini. Questa è la prima cosa. Poi, il Papa invita la chiesa italiana ad essere più evangelica, più come la vuole lo Spirito nell’oggi della storia. Solo una Chiesa, come ha detto lui, che riesce ad essere umile, disinteressata, che si riflette nelle beatitudini, può assomigliare a questo Maestro, a questo Ecce Homo, può presentarsi come amore per la società.
Papa Francesco a Firenze: Pranzo alla mensa dei poveri. Foto: Ansa
D’altra parte il Papa radicalizza l’umanesimo cristiano sulla base del superamento dei due rischi da lui indicati. Il rischio del pelagianesimo, cioè la tentazione di voler fare tutto noi, di affidarci alle nostre capacità, ai nostri strumenti, al potere, anche alla capacità di programmare. E il rischio dello gnosticismo che vuol dire rischio della disincarnazione, della “non-incarnazione” proprio. Cioè presentare un Gesù che non si tocca con le mani, che non si afferra. Attualizzazione dell’umanesimo cristiano, significa che esso deve partire da Gesù, deve essere centrato in Lui, non nelle nostre forze. Deve essere incarnato, non può rimanere nei documenti, nei proclami e neanche nelle opere d’arte, bellissime, come le abbiamo viste qui a Firenze. L’umanesimo cristiano deve essere incarnato nella vita della gente». Il 50% dei partecipanti, laici, indica una forza della chiesa che si vuole mettere in gioco. Quali novità nei lavori di gruppo? «Una delle novità di Firenze è la metodologia. Una giornata e mezza dedicata ai lavori di gruppo, ha reso possibile una maggiore partecipazione, dove ognuno ha potuto donare se stesso. Ma, se su 2000 partecipanti, la metà è ancora clero, non è ancora sufficiente. Perché la società, la chiesa italiana non è così. Ci sono donne, sì, ma poche ancora. Giovani, sì, ma pochi ancora. Speriamo che si vada avanti in questa linea, verso una rappresentatività maggiore». Un’impressione a caldo, dopo aver partecipato a tutto il Convegno? «Un clima bellissimo, di apertura, cordialità nel senso profondo, dove si vive mescolati con tutti. I vescovi pranzano con tutti: nei gruppi sono uno in più, così i sacerdoti. Questo già di per sé crea molta famiglia e quindi c’è entusiasmo, c’è gioia, c’è tanta condivisione, comunione, un desiderio profondo di ascolto e questo dà molta speranza». Sul convegno di Firenze leggi anche:Attualizzare l’umanesimo cristianoFrancesco inizia da Prato“Mi piace una chiesa italiana inquieta”Ripartire dalla Fortezza da BassoFrancesco, il profeta di una chiesa povera e dei poveriA Firenze non si parte da zeroUn Dio che si svuota(altro…)
Quella serata con gli amici «Ho degli amici molto cari, per la maggior parte agnostici, ai quali non avevo mai esplicitamente parlato della mia vita spirituale. Questo mi aveva sempre lasciato un certo senso di incompletezza. Una sera passeggiavamo. Passando davanti ad una chiesa, ho sentito forte il desiderio di entrare un momento a salutare Gesù. Essendo in compagnia con altri mi sembrava fuori luogo, però ho voluto seguire questo impulso. Durante la breve sosta in chiesa, mi è venuto da dire a Gesù: «Stai con me, perché io sono con te». Poco dopo, a cena, ho sentito di dovermi “scoprire” davanti agli amici, ma non sapevo da dove iniziare! Ad un certo punto è nato spontaneo da parte loro affrontare l’argomento fede. È stato un momento di condivisione bellissimo. Loro mi hanno espresso le proprie perplessità, e dalla mia bocca sono uscite parole che nemmeno io mi aspettavo. E tutto ciò nel rispetto reciproco! Mai sarebbe potuta accadere una cosa del genere se non ci fosse stato come base questo rapporto profondo fra noi». G. – ItaliaDelicatezza “Sono infermiera nel reparto di radiologia. Nel corridoio alcuni pazienti attendono nel loro lettino. Una di loro, con le braccia fasciate, è rimasta scoperta. La saluto e con delicatezza la copro con il lenzuolo. Passano gli anni. Un giorno, alla presentazione di un libro, si avvicina a me una signora molto elegante: «La ringrazio per come quel giorno lei ha rispettato la mia dignità». Quasi non la riconosco. Continua: «È quando si soffre che si ha più bisogno di essere rispettati come uomini. Grazie perché il suo servizio non l’ha resa insensibile»”. E.M. – UngheriaL’abbraccio «Seduto alla scrivania del Centro Caritas presso cui lavoro, sto ascoltando un rifugiato che nell’aspetto e nel vestito denuncia un passato di sofferenza. È disperato perché, da tempo senza lavoro, tra pochi giorni subirà lo sfratto da dove alloggia per non aver pagato l’affitto. Gli chiedo, come faccio con tanti come lui, se ha degli amici qui in città, che possano dargli aiuto. Inaspettata la sua reazione: scoppia in singhiozzi convulsi ripetendo: «Sono solo, solo! Non ho nessuno!». Rimango senza parole, schiacciato da un senso di impotenza. Poi, d’impulso, mi alzo e vado ad abbracciarlo. Pian piano si calma. Si alza anche lui, con tono di voce pacato dichiara: «Ora so che non sono più solo» e fa per andarsene, come se quel semplice gesto fraterno fosse bastato a ridargli speranza. A questo punto sono io a trattenerlo per indicargli come procurarsi dei vestiti, fruire della mensa Caritas e anche di un letto presso il nostro dormitorio. Quando ci separiamo è ormai del tutto sereno».S. Italia(altro…)
Valletta Summit (11-12 novembre 2015): Rappresentanti dell’EU e dell’Africa alla vertige sulla migrazione.
Nei giorni scorsi (11-12 novembre) Malta ha ospitato il vertice internazionale, chiamato Valletta Summit, sulla migrazione promosso dal Consiglio Europeo, in cui i 28 Paesi UE si sono incontrati con 35 Paesi africani e rappresentanti dell’Onu. Lo scopo, si legge nel sito del Consiglio, era quello di “affrontare le cause profonde della questione adoperandosi per contribuire alla creazione di pace, stabilità e sviluppo economico, migliorare il lavoro di promozione e organizzazione dei canali di migrazione legale, rafforzare la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, in particolare dei gruppi vulnerabili, contrastare in maniera più efficace lo sfruttamento e il traffico di migranti, collaborare più strettamente per migliorare la cooperazione in materia di rimpatrio e riammissione”. Intanto, però, sono i maltesi stessi a muoversi per far fronte al problema, intervenendo anche nell’accoglienza dei rifugiati. Una volontaria del Movimento dei Focolari, Anna Caruana Colombo, ha raccontato alla rivista “New City” di come insieme ad altri compagni abbia coinvolto una trentina di persone in un percorso che li ha portati prima ad informarsi sulla condizioni e necessità dei migranti – grazie al servizio per i rifugiati dei Gesuiti – e poi a visitare i centri di accoglienza “aperti”, dove trovano alloggio coloro che già hanno ottenuto lo status di rifugiati. In uno di questi hanno tenuto corsi di inglese, dato informazioni utili su Malta, e semplicemente passato del tempo con i migranti; mentre in un altro, che ospitava anche famiglie, si sono presi cura anche dei bambini, e procurato materiali di prima necessità utili ai più piccoli. Più tardi, quando sono arrivati i permessi necessari, i volontari sono entrati anche nei centri “chiusi”, racconta Anna: «I rifugiati erano in stanze con letti a castello, anche dodici per stanza, e non c’era spazio per tutti. All’inizio erano spaventati, ma vedendo che volevamo solo essere loro amici hanno superato la diffidenza. Dalle lezioni di inglese si è così passati anche alla condivisione di momenti di gioia, tra la musica e la danza, tanto che le guardie hanno ammesso di non averli mai visti così felici». Anche i giovani del Movimento dei Focolari si sono attivati su questo fronte, invitando i migranti ad iniziative rivolte ai ragazzi come Run4Unity, alla Mariapoli – un raduno di più giorni dei Focolari, amici e simpatizzanti. «Il nostro progetto sta gradualmente guadagnando visibilità – ha concluso Anna – tanto che siamo stati invitati dalla diocesi a condividere l’esperienza con gli altri Movimenti ecclesiali». (altro…)
[:de]Auch die inhaltliche Ausrichtung wurde überarbeitet und bietet jetzt interessierten Usern einen guten ersten Einblick in Leben und Initiativen der Fokolar-Bewegung. Vor allem aber lässt die neue Seite Menschen zu Wort kommen, die sich an der Spiritualität der Fokolare orientieren. Ganz neu etwa: „Ich bin dabei, weil…“ – Freunde der Fokolare fassen in wenigen Sätzen zusammen, warum sie sich in der geistlichen Gemeinschaft engagieren. „Die Seite hat etwas von einem Springbrunnen“, schreibt eine der ersten Besucherinnen. „Die Startseite wirkt zunächst sehr ruhig, aufgeräumt… Und wenn man dann etwas anklickt, springt einem sehr lebendiges Leben, Vielfalt, “Buntheit“ entgegen“. Kommen Sie uns gern mal besuchen! www.fokolar-bewegung.de[:]
Ambiente e Diritti: un tema di grande attualità, a pochi mesi dalla Laudato Si’, l’enciclica di Papa Francesco sull’ambiente, e alla vigilia della COP 21, la Conferenza ONU a Parigi sui cambiamenti climatici. Come nasce l’idea? «È un progetto al quale stiamo lavorando da due anni, che cade in un momento estremamente favorevole per l’attenzione all’ambiente. Il Congresso, dal titolo “Ambiente e “diritti” tra responsabilità e partecipazione”, nasce dall’esperienza condivisa con un magistrato impegnato da anni in processi da cui emergono le tragiche conseguenze e i gravi danni dovuti all’uso irresponsabile delle risorse naturali. Conoscendo come la rete di Comunione e Diritto è estesa in tutto il mondo, ha colto in essa la possibilità di far conoscere e condividere difficoltà e problemi anche dei Paesi più lontani e dimenticati. Dal confronto è nata l’idea di fare qualcosa, che potesse essere una risposta positiva globale». Dal programma emerge un forte coinvolgimento dei giovani. Che percorso avete seguito? «Si tratta del risultato di un confronto avvenuto durante il Seminario internazionale a Castel Gandolfo, in Italia (marzo 2014) tra 40 studiosi e studenti dell’Europa, Africa e Brasile e dalla Summer school ad Abrigada, in Portogallo (luglio 2014) tra giovani europei e africani. Questi ultimi hanno approfondito il tema dell’ambiente nella prospettiva della responsabilità e partecipazione e si sono impegnati a continuare la ricerca sino al Congresso, in programma per il 13-15 novembre prossimi». I partecipanti arrivano da 4 Continenti, rappresentano 21 Paesi. Una prospettiva internazionale dunque, dalla quale guardare le legislazioni vigenti in materia ambientale, con quali obiettivi? «Vorremmo mettere in luce il concetto di relazionalità che è costitutiva della persona. Il nostro essere con gli altri, in una relazione di cura e di attenzione, esige responsabilità nei nostri rapporti sia con l’altro che con la natura. Se vissuti così, questi rapporti ci permettono di cogliere anche le relazioni di Amore che sottostanno al Creato. Un altro obiettivo è quello di rafforzare il concetto di partecipazione nell’attività legislativa. Durante il congresso si valuterà, anche una proposta di legge popolare che va in questa direzione. La proposta parte da una legge regionale siciliana relativa al territorio di Pachino che ha evidenziato il contrasto tra la “procedura legislativa” e il “potere partecipativo”. In pratica assume un ruolo fondamentale la comunicazione con i soggetti interessati, in modo che essi possano valutare le proposte legislative e regolamentari in corso». «Inoltre, vogliamo dare voce a Paesi diversi e distanti tra loro, spesso dimenticati o alla ribalta per situazioni drammatiche, come ad esempio la Repubblica Centrafricana. Si parlerà non solo attraverso un approccio teorico, ma con storie e testimonianze: conduzione di inchieste sui danni all’ambiente per illeciti, “alt” ai poteri forti negli apparati statali, il problema della deforestazione e desertificazione nell’Africa sub sahariana…». È anche un convegno con un approccio interdisciplinare. Tra i partecipanti ad esempio, EcoOne, è una rete di studiosi in campo ambientale ed ecologico che esprime da anni l’attenzione dei Focolari per l’ambiente… «Studiosi di ecologia, fisica ambientale, ma anche economisti, pedagogisti, politologi, architetti, saranno presenti insieme a noi. Con loro, in particolare nella tavola rotonda della domenica mattina, la riflessione si sposterà sulla prospettiva di una visione unitaria che possa ricomporre i due termini: uomo e natura. Nell’ultima sessione interverrà la presidente dei Focolari Maria Voce, avvocato, che tra l’altro è stata tra gli iniziatori di Comunione e Diritto, la rete di studiosi, studenti e operatori del diritto, nata nel 2001 da un’intuizione di Chiara Lubich. CeD, in sintesi, promuove e affianca le più varie iniziative per elaborare e diffondere una nuova cultura fondata sulla relazionalità quale categoria giuridica, ma anche chiave dei rapporti tra operatori del diritto». Comunicato stampa(altro…)
L’inasprirsi nella Repubblica Centrafricana deigravi disordini politico-militari non fa cambiare programma a Papa Francesco che da autentico messaggero di pace, nell’omelia di Ognissanti annuncia che il 29 novembre si porterà in quel martoriato Paese. Lì da oltre tre anni si sta consumando uno dei tanti focolai di guerra che punteggiano il pianeta, ai quali neppure la Comunità Internazionale sembra dare peso. Guerre fratricide, guerre dimenticate. Tutto ha inizio nel 2012 con l’occupazione di vaste zone del Paese da parte di gruppi di ribelli, con distruzioni non solo di sedi istituzionali ma anche di tutto ciò che di cristiano incontrano: un fattore nuovo per la Repubblica Centrafricana, prevalentemente cristiana, con una minoranza di musulmani e persone di religioni tradizionali che coabitano pacificamente. Profanazione di chiese, saccheggio delle opere sociali, scuole, ospedali, dispensari, negozi e case di cristiani, portano ad un’altissima emergenza alimentare e sanitaria. Su una popolazione di 5 milioni di abitanti, 820.000 debbono lasciare le proprie case. Non si può più costruire, mandare i figli a scuola, non si può più coltivare. Anche quel terreno comunitario, che una decina d’anni orsono una Fondazione italiana aveva comprato per le famiglie dei Focolari, rimane forzatamente incolto. Un pezzo di terra recintato, un pozzo, la casetta del custode e, di anno in anno, le risorse per acquistare le sementi. Un progetto che consentiva di sfamare le famiglie e anche di ricavare qualcosa vendendo alcuni prodotti, che ora non ci sono più. Rimane attivo il progetto AFN (www.afnonlus.org) di sostegno a distanza per bambini e adolescenti, ma le sottoscrizioni sono solo 89, una goccia nel mare. Nel 2013 Petula e Patrick Moulo, tre figli e due adottati, accolgono nella loro casa di Bangui 34 persone, condividendo quanto hanno. Anche se è tutto limitato – cibo, spazio, coperte – sopperisce l’amore, facendo tutti insieme l’esperienza del “Meglio un pezzo di pane secco nella pace, che l’abbondanza di carne nella discordia” (Prov. 17,1). Fra essi c’è anche una donna musulmana con i suoi piccoli figli. Anche le altre famiglie dei Focolari aprono casa e cuore. La gente cerca di mantenere un atteggiamento pacifico, di non resistenza, con la speranza di attenuare la repressione. Non è così. Quando sembra tutto risolto – la cosiddetta ‘liberazione’ del dicembre 2013 – la guerriglia si riaccende, lasciando una scia di devastazione. Tanti corpi rimangono insepolti. Dopo due mesi si vedono ancora le salme di persone torturate e uccise scendere nel corso dei fiumi. Ci si rifugia nei campi, al freddo e senza mangiare. In ogni famiglia c’è qualcuno rimasto ucciso. Una guerra nascosta, subdola, che in tre anni fa più di 5.000 vittime, sconvolgendo l’intera popolazione con fame, malattie, insicurezza, stipendi a singhiozzo. All’inizio 2015 si apre un periodo di tregua, ma i recenti fatti di sangue del 26 settembre e del 29 ottobre riaccendono il terrore: morti, feriti, case bruciate. In una notte tutti i campi profughi che via via si stavano svuotando si riempiono di nuovo. Nel ‘campo’ dei Focolari dormono (all’aperto) 96 adulti, mentre i loro bambini dormono ammassati nella casetta di Irene e Innocent, i custodi del progetto. La comunità dei Focolari mette insieme il poco che ha: vestiti, cibo, coperte, da condividere con chi tra loro ha perso tutto, portando aiuto anche agli sfollati che si trovano nei vari campi di accoglienza. La popolazione è allo strenuo. Papa Francesco fra poco sarà lì con loro, “per manifestare la vicinanza orante di tutta la Chiesa (…) ed esortare tutti i centroafricani ad essere sempre più testimoni di misericordia e di riconciliazione…”. Ad accompagnarlo saranno le preghiere di tutti noi, insieme ad auspicabili, doverosi, gesti concreti di solidarietà. (altro…)
From 21-25 October 2015, at the Mariapolis Centre in Castel Gandolfo (Rome), a workshop dedicated to the second phase of the Cayrus* International Youth Project, entitled “Launching Peace”, brought together 60 members from eight countries who belong to associations aimed at highlighting the use of arts to promote awareness and to inspire creative activism in peace building. The meeting started off with participants sharing their impressions from the previous conference held in Cairo, Egypt, during April-May this year. This was followed by a presentation of the European Union programs by Marco De Salvo, and the idea was launched to work together on a project. After working in groups, some very interesting proposals emerged. One which attracted everyone was using the culture of food as a tool towards fraternity and promoting peace. The idea is to bring together young people from all participating associations and to share foods from their cultures. During the experience, which will last for five days, the young people will also deepen the theme on how to be builders of peace in their respective nations. One very interesting initiative which is worth mentioning concerns a Palestinian couple, Milad William and Manar Whab. Together they run an NGO called VisionCenterfor Culture and Arts (VCCA), a non-profit and non-political organization which aims to promote music, arts, and drama as communication for peace and understanding, in order to serve the four villages Al-Azaria, Abu Dees, Al-Sawahra, and AL-sheikh Sa’ed.
James Mwania
* The Cayrus Project is co-financed by the European Union in the contest of the Erasmus+ program which offers opportunities for cooperation across the education, training, youth and sport sectors.
Neppure lei sa come ci sia riuscita. Sta di fatto che Émerence, da sola, gestisce una rivendita di bibite alcoliche e zuccherate a Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo. Gli affari vanno bene. Entrate, uscite, ricavo, guadagno. Émerence prende così tanta dimestichezza con questi termini da vedere la sua attività crescere di giorno in giorno, nella assoluta trasparenza con fornitori e clienti. E col fisco. Ad ispirare le sue mosse è il progetto Economia di Comunione (EdC), dal quale apprende che prima del profitto viene la persona e che la sua attenzione di imprenditrice deve essere centrata non sui soldi ma sui poveri. Decide di investire gli utili a favore di questi ultimi e apre prima uno e poi un altro punto-ristoro dove anche i poveri – che spesso non dispongono di cucina né di stoviglie – possono acquistare a poco prezzo del cibo pronto. Un business questo che certamente non va ad incrementare il suo capitale, anzi. Ma come tutti gli imprenditori che aderiscono al progetto EdC, anche Émerence sa di poter contare su un socio ‘nascosto’ che è la divina Provvidenza. In quattro anni, senza averli cercati o richiesti, le sono arrivati due congelatori (usati ma di valore), due stabilizzatori per l’elettricità, 52 sedie e 14 tavolini. Oltre ad uno stock di bibite. Le sue dipendenti sono per lo più ragazze a rischio o mamme sole, alle quali dà piena fiducia mettendole al corrente dell’andamento dei conti aziendali e anche degli straordinari interventi del suo socio ‘segreto’. “Una volta – racconta Émerence – avevo dato dei vestiti e qualche cosa da mangiare ad una ragazza madre. La sua salute mentale, allora, non era buona, ma poi pareva ne stesse uscendo. Mi ha chiesto di lavorare e l’ho assunta”. Émerence le dà fiducia, le insegna il lavoro e dopo due anni non solo questa ragazza ritrova pienamente il suo equilibrio, ma riesce a mettersi in proprio. Lo stesso fanno anche altre quattro ragazze le quali, diventate a loro volta piccole commercianti di cibo pronto, continuano a rimanere in contatto con Émerence quale loro consigliera permanente. L’altra donna di cui merita parlare è Albertine, anche lei di Kinshasa, madre di sei figli. Albertine è educatrice nella scuola materna del progetto Petite Flamme, un centro sociale ad opera dei Focolari finanziato dal sostegno a distanza di AFN (www.afnonlus.org). “Da diversi anni – confida Albertine – mio marito ha lasciato la casa senza motivo e tuttora non sappiamo dove sia”. Non è difficile immaginare quanto sia problematico per una donna sola portare avanti una famiglia di sei figli. Come secondo lavoro Albertine decide di vendere scarpe che compera grazie ad un prestito del centro sociale dove insegna. “Il prezzo delle scarpe che vendo non è esagerato ed è per questo che Dio mi benedice!”, asserisce convinta Albertine, che con gli introiti di questa attività riesce a pagare affitto e bollette. Così i figli possono continuare gli studi, due dei quali frequentano già l’università. “Ogni giorno rinnovo la mia scelta di Dio e Lui mi dà la forza per andare avanti – racconta Albertine -. Cerco di promuovere intorno a me i valori umani e sociali contenuti nel Vangelo. È in questo modo che potremo trasformare la società”. E se Albertine con il suo micro commercio di scarpe riesce a far vivere dignitosamente i suoi sei figli, recentemente Emérence ha visto registrata la sua attività fra due grandi marchi di fornitori di bibite della Repubblica Democratica del Congo (Bralima e Bracongo). Tutto fa pensare che il socio ‘nascosto’ sia più attivo che mai. (altro…)
«Sulla via Gocciadoro, Chiara mi indicava le stelle. Non ricordo le sue parole. Pensandoci bene, mi par di capire che era l’ansia di uscir fuori dal nostro piccolo mondo per spaziare in un mondo più vasto». Così Giosi Guella annota i suoi primi incontri con Chiara Lubich nella primavera del 1944 a Trento. La via Gocciadoro dove Chiara abitava con la sua famiglia prima del bombardamento del 13 maggio 1944, che la rese inagibile, e l’omonimo bosco (ora parco cittadino) che allora lambiva il capoluogo trentino, resta tra i luoghi simbolo del Movimento dei Focolari nella sua città d’origine. Di qui il titolo del racconto della sua vita accanto alla fondatrice dei Focolari, che con lei ha condiviso i vari momenti di luce e di prova che hanno accompagnato la nascita e lo sviluppo di questa nuova realtà nella Chiesa. Tra il primo gruppo che si unì a Chiara Lubich, Giosi Guella spiccava per la sua essenzialità, schiettezza, concretezza. Già nell’autunno del 1944, aveva condiviso con Chiara il piccolo appartamento in piazza Cappuccini 2, a Trento. Iniziava in tal modo a prendere forma la prima cellula di quello che sarebbe stato il Movimento dei Focolari. Dovunque ha vissuto, Giosi ha accolto e sollevato sofferenze, offerto consigli accorti, aiutato a trovare casa, lavoro, fiducia. Ha dato così impulso al consolidamento di tante comunità dei Focolari, facendo sì che fra tutti fossero condivisi dolori e gioie, conquiste e sconfitte, offerte inaspettate di risorse che andavano a ripianare richieste impellenti di aiuto. Tutto contribuiva al “capitale di Dio” che si andava formando, composto di beni, ma anche di bisogni, di cui fin da allora fu amministratrice oculata e allo stesso tempo generosa. Con la sua attenzione costante verso gli ultimi, le fu congeniale organizzare, a partire dal 1948, la comunione dei beni del primo gruppo trentino: si tratta di quella pratica, poi diffusa nel Movimento dei Focolari in tutto il mondo, che si ispira alla vita della prima comunità cristiana, dove si mettevano in comune i propri beni, affinché non ci fosse nessun indigente. In seguito, man mano si diffondeva il Movimento in vari paesi e si rendevano necessarie azioni sociali di vario tipo, continuò a seguirne lo sviluppo. Ebbe poi modo di accompagnare i primi passi del progetto per un’“Economia di Comunione”, lanciato da Chiara Lubich in Brasile nel 1991. A vent’anni dalla sua morte, viene pubblicata una sua biografia, certamente non esaustiva, attingendo dai suoi pochi scritti e discorsi registrati. Infatti, lei non amava tanto scrivere, preferiva “agire”. Sono dunque tanto più preziose quelle pagine, di una straordinaria franchezza e disarmante semplicità. Mi sono affidata perciò a quegli scritti, sul crinale tra cronaca e storia, lasciando a lei la parola per quanto mi è stato possibile. E quando il racconto si interrompeva, ho potuto raccogliere alcune interviste di quanti hanno condiviso con lei tanti tratti del cammino di un’Opera di Dio che, “scritta in cielo”, man mano si andava dispiegando in terra lungo vie misteriose e ancora inesplorate. Le loro testimonianze mi hanno permesso di tratteggiare alcuni passaggi di questa semplice, “troppo semplice” vita, eppure fortemente intrecciata con quella dei Focolari, alla cui costruzione Giosi ha dato tutta se stessa con il proprio inconfondibile timbro. Caterina Ruggiu Lungo la via Gocciadoro, Città Nuova editrice(altro…)
«Non si è mai parlato di diritti del lavoro come ai tempi nostri; e non si è mai fatto tanto abuso dei lavoratori come in questi tempi. Essi hanno fornito le masse per i raduni e le cataste per le stragi, e la carne per le rappresaglie; sono stati rastrellati per strada… I sopravvissuti sono rimasti spesso senza casa e senza famiglia. E pure oggi bisogna riprendersi, rivincere la morte: fare come Pietro pescatore che dice al Maestro: “Ci siamo affaticati tutta la notte, non abbiamo pescato niente; pure, sopra la tua parola, calerò la rete”. Sopra la parola di Gesù, con speranza, dopo la notte di rovine e di sangue, bisogna ricominciare. E il Padre premierà la nostra fiducia. Noi siamo impegnati tutti, lavoratori del braccio e dell’ingegno, a una grande impresa: ritirare su l’edificio sociale e politico sfasciato, con coraggio e senso di responsabilità, senza tentennamenti… Non ci voltiamo indietro e non paventiamo. Dietro le nostre spalle sono gli sfruttatori dell’uomo, i tiranni che hanno arse le case e inceppato la libertà, i semidei che scatenano la guerra: sono i carnefici e i becchini. E noi avanziamo, sia pure con la croce sulle spalle, verso la Redenzione, che vuol dire libertà: libertà da ogni male, e quindi anche dal bisogno e dalla paura». (Igino Giordani, «Fides», giugno 1951) «Si svaluta il lavoro dissociandone il valore economico dal valore spirituale. Quando Dio si mescolò agli uomini, lo fece da lavoratore fra lavoratori. Per trent’anni compì anche lui opere manuali, del cui frutto aiutò la cerchia dei familiari e dei vicini: poi per tre anni compì opere spirituali, del cui frutto beneficò l’umanità intera, di tutti i tempi. Il lavorare è connaturato con l’uomo e necessario alla sua vita, come il respirare, come il mangiare. Tenere l’uomo ozioso equivale a obbligare gli uccelli a non volare. Con l’avvento del Redentore, – un lavoratore manuale che era Dio – furono rivalorizzati divinamente lavoro e fatica e trasfigurati in mezzi ordinari di santificazione. Uno che lavora secondo la legge di Dio, sopportando la fatica per amore di Lui, si santifica; l’opera spesa ai campi, all’officina, all’ufficio, in chiesa gli vale, se fatta come Dio vuole, al pari di una preghiera. E anche il salario è duplice. Si è pagati per il valore economico prodotto con le mani e con l’ingegno, sul piano umano; e si è pagati per i meriti di pazienza, ascesi e distacco, acquistati sul piano divino. Uno mentre costruisce una cosa, se sopporta la fatica facendone materia di redenzione, costruisce anche un tratto del suo destino eterno. Il figliol prodigo inizia la riabilitazione quando si mette a lavorare, così come aveva iniziato la degradazione quando s’era messo ad oziare. Lo sfruttamento vero del lavoro e quindi del lavoratore avviene in forza della pretesa materialistica di negare la partecipazione dello spirito all’opera delle mani o dell’intelligenza: di divaricare il divino dall’umano, lo spirito dal corpo, la morale dall’economia, il Padre nostro che è nei cieli dal pane nostro che ci serve quotidianamente in terra. L’uomo non vive di solo pane per lo stomaco: abbisogna anche d’un nutrimento per l’anima. Respinger l’uomo contro la sola istanza economica è come volerlo sfamare da una metà per affamarlo dall’altra. L’uomo-Dio ha visto e vede sempre il divino e l’umano. Non uno solo dei due, ma tutti e due. E allora poiché i pescatori suoi ospiti non hanno pescato niente durante tutta la notte di fatica e poiché per lui vale la norma “chi non lavora non mangi”, li invita, dovendo pur mangiare, essi e le loro famiglie, a ricominciare l’opera: a gittare di nuovo le reti nelle acque del lago. E quelli nel Suo nome ricominciano. Dio invita di continuo a non scoraggiarsi, a non disperare, ma a riprendere il lavoro, sempre, in nome Suo. Al pari della persona umana, la società ha bisogno di entrambi i lavori, perché possa respirare con entrambi i polmoni, e vivere sana e libera. Se no, agonizza, poiché patisce o della fame corporale o della fame spirituale: senza dire che l’una fame trae con sè anche l’altra. Se non c’è il Padre in cielo, viene a scarseggiare anche il pane in terra; perché in mancanza di Lui, i lavoratori non si sentono più fratelli – e allora si combattono e derubano- ; – come è successo e succede contro tanti nostri emigranti che da altri lavoratori sono osteggiati e respinti». (Igino Giordani «La Via», 1952) (altro…)
Nel cinquantesimo anniversario del Documento Conciliare “Nostra Aetate”, Jerusalemexpo2015 valorizzerà, mostrandolo, un meraviglioso caleidoscopio di quotidiano impegno a rinsaldare la fraternità, incrementare il dialogo e superare ogni sorta di divisione. Famosi artisti oltre che i talenti più diversi hanno aderito alla chiamata di comporre insieme, il prossimo 12 novembre, la suddetta expo. Un evento che vuole evidenziare che a Gerusalemme, nonostante la ricorrente violenza, c’è un forte desiderio di unità che si esprime in iniziative genuine e fraterne. L’evento sarà trasmesso in streaming.Website:http://www.jerusalemexpo2015.com/Facebook:https://www.facebook.com/NostraAetateJerusalem/(altro…)
L’evento si articola in un Congresso (30 Giugno-1 Luglio 2016) e in una manifestazione pubblica all’aperto il giorno seguente (2 Luglio 2016) con la quale si vuole dare un segno forte di speranza. Attraverso vari interventi, testimonianze, canti, preghiere si desidera testimoniare che l’unità è possibile, che la riconciliazione è la porta per l’unità nella diversità – come si è sperimentato da oltre 15 anni nell’insieme di Comunità e Movimenti di varie Chiese. L’unità è possibile. Vivendo il Vangelo di Gesù Cristo si possono superare le divisioni tra persone, tra popolazioni e partiti, tra culture e anche tra le Chiese e confessioni cristiane.
I «7 Sì» riassumono l’impegno per l’Europa delle Comunità e dei Movimenti cristiani di Insieme per l’Europa 2016
«Il 22 agosto 1944, ho perso l’unica mia sorella nella tragedia navale di Tsushima maru», la nave passeggeri affondata da un sommergibile americano, in cui morirono oltre 1400 civili, tra cui oltre 700 bambini. «Mia madre, fino alla morte a 96 anni, ha continuato a soffrire e a ripetere: “La guerra me l’ha mangiata”». A raccontare la sua storia, dal profondo del cuore, è la signora Toshiko Tsuhako. La sua città, sull’isola Okinawa, è stata teatro tra aprile e giugno del 1945 dell’unica battaglia via terra combattuta in Giappone: 150mila morti. «Avevo ancora l’età di una bambina innocente quando mi sono trovata immersa nella tragica esperienza della guerra a contatto con le dolorose ferite che essa causa al corpo e agli animi delle persone. A 12 anni è arrivata la fine della guerra. Mia madre era di costituzione fragile ed essendo rimasta figlia unica mi sono dedicata con tutte le mie forze a cercare di sostenerla e di alleviare le sue afflizioni. A 16 anni ho incontrato la fede cristiana ed ho ricevuto la grazia del battesimo». Già adulta viene a contatto con la spiritualità dei Focolari: «Sono rimasta molto sorpresa nel sentire che la fondatrice Chiara Lubich durante la II Guerra Mondiale ha capito che Dio ci ama immensamente e che siamo tutti fratelli e sorelle che aspirano a un mondo unito, perché questa realtà coincideva con il grande sogno che portavo in me da quando ero ragazza». «Anche se sapevo che tutto ciò che succede è nelle mani di Dio, innumerevoli volte mi chiedevo: “perché ci sono ancora le guerre dolorose e crudeli?”, mentre io continuavo a sognare sempre una “Famiglia globale” dove le persone vivono la gratitudine vicendevole e la comunione». «Per costruire un mondo vero di pace penso che Dio abbia bisogno della collaborazione degli uomini. Occorre coltivare cuori che amino anche il proprio Paese, ma più di ogni altra cosa, anime sensibili che si donino al bene delle persone, che sappiano amare». «In questa ricorrenza della fine della guerra – testimonia Toshiko – rinnovo la mia fiducia in Dio e il mio impegno a proseguire il cammino nella costruzione della pace». (altro…)
Vivemos num mundo em que as relações humanas não são mais condicionadas pelos limites geográficos, em que as informações em poucos segundos giram o mundo pelas redes sociais. Tudo isso, ao lado das tensões que há no mundo, revela o longo caminho para uma convivência pacífica e harmoniosa de homens e mulheres. As palavras unidade e relações fraternas têm sido repetidas por líderes e membros de Igrejas cristãs e de outras religiões. Nos documentos do Concílio Vaticano II, a Igreja Católica se define como “instrumento de unidade dos homens com Deus e entre si” (LG 1). Nos anos 1940, Chiara Lubich foi marcada pela oração de Jesus, no capítulo 17 do Evangelho de João: “ut omnes unum sint…” [que todos sejam um], a unidade. A seleção de textos contida neste livro, em parte inéditos, apresenta a compreensão de Chiara e sua vivência inspirada nesse pedido de Jesus a Seu Pai. A unidade é um dom divino, fruto de um empenho mútuo em viver o mandamento de Jesus: “Como eu vos amei, amai-vos também uns aos outros” (Jo 13,34). Organizadores: Donato Falmi [1949-] é editor, graduado em Letras e em Teologia pela Pontifícia Universidade Lateranense (Roma). Florence Gillet [1943-] é doutora em teologia. Atualmente trabalha no Centro Chiara Lubich, Rocca di Papa, Itália. Para mais informações: (11) 4158-8893 comunicacao@cidadenova.org.br Editora Cidade Nova
Il 28 ottobre del 1965, i Padri del Concilio, ormai avviati verso la conclusione della storica assise mondiale dei vescovi della Chiesa cattolica, promulgavano Nostra Aetate, il documento di gran lunga più breve fra quelli emersi dai lavori conciliari. È trascorso mezzo secolo da quel giorno e la portata di quelle brevi pagine si è rivelata profetica se si pensa che la Chiesa cattolica veniva da secoli di convinzione pressoché adamantina che ‘fuori della Chiesa non c’è salvezza’ – il famoso adagio latino extra ecclesiam nulla salus. Benedetto XVI, nel febbraio del 2013, pochi giorni dopo aver annunciato il suo ‘ritiro’, riflettendo sul Concilio, al termine dell’anno che celebrava il cinquantesimo del suo inizio, definiva questo documento, insieme a Gaudium et Spes e a quello sulla libertà religiosa, come «una trilogia molto importante, la cui importanza si è mostrata solo nel corso dei decenni». In effetti Nostra Aetate ha aperto l’orizzonte del mondo cristiano verso gli altri in quanto ‘altri’, ma la sua gestazione, all’interno dei procedimenti conciliari, era stata tutt’altro che facile. Nata da un suggerimento personale a Giovanni XXIII da parte dello storico ebreo francese Jules Isaac, lo schema iniziale era stato affidato dal Papa al card. Bea. Si pensava ad un documento che contribuisse a scongiurare il ripetersi di tragedie come la Shoà ma, dopo lunghe e complesse discussioni, il Concilio arrivò a quelle poche pagine che si rivolgevano a tutte le religioni del mondo. In effetti, attraverso un laborioso e non facile percorso, il documento si apre a tutte le maggiori fedi religiose, con un accento, senza dubbio, particolare nei confronti dell’ebraismo e dell’islam. Nostra Aetate sottolinea come gli ebrei debbano essere presentati in positivo: «non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura». Soprattutto, si esclude la responsabilità collettiva di Israele nella morte di Gesù. Cambia così radicalmente la prospettiva cristiana e cattolica vecchia di secoli, potremmo dire di quasi due millenni. Allo stesso tempo emerge un grande rispetto anche nei confronti dell’Islam. «La Chiesa guarda anche con stima i musulmani – dichiara il documento – e, «se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Come accennato, è chiaro anche il riconoscimento di tradizioni come induismo e buddhismo senza dimenticare le religioni tradizionali. Infatti, vi si afferma che “la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni”. Quelle che spesso nel corso della storia non erano state riconosciute come religioni erano ora valorizzate dalla tradizione cattolica che riconosceva la presenza di verità e santità anche nelle loro tradizioni. In questi giorni una grande varietà di eventi vengono celebrati in diverse parti del mondo per riflettere sul valore di Nostra Aetate e sulle conseguenze che essa ha significato nell’incontro fra uomini e donne di diverse tradizioni religiose. Fra tutti, particolarmente significativo è stato quello tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana ed organizzato dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Per tre giorni, dal 26 al 28 ottobre, circa 400 persone di diverse provenienze sia geografiche che culturali e religiose, hanno vissuto e riflettuto insieme su quanto avvenuto in questi cinquant’anni. Erano presenti rappresentanti di tutte le maggiori religioni del mondo (ebrei, musulmani, indù, giainisti, buddhisti, sikhs, e rappresentanti della Tenri-kyo e delle religioni tradizionali africane). Si è riflettuto su argomenti di grande rilevanza oggi: violenza e impegno per la pace, la sfida della libertà religiosa, educazione e trasmissione dei valori. Il convegno, aperto dal card. Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e dal card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, si è concluso con una ricca ed articolata riflessione su ‘Educare alla pace’ da parte del card. Pietro Parolin, Segretario di Stato. I partecipanti hanno, poi, preso parte all’Udienza in Piazza S. Pietro dove Papa Francesco ha dedicato la sua catechesi proprio a Nostra Aetate proponendo una road-map per il futuro del dialogo, incoraggiando a lavorare insieme per i poveri, per la giustizia e per l’ambiente, senza dimenticare la pace. Al convegno hanno partecipato Rita Mousalem e Roberto Catalano, co-direttori del Centro del Dialogo Interreligioso del Movimento dei Focolari, che hanno portato ai presenti il saluto di Maria Voce e del Movimento e brevemente tracciato i tratti salienti del dialogo dei Focolari, assicurando l’impegno dei membri a continuare a lavorare per l’incontro e l’amicizia fra uomini e donne di diverse fedi. Roberto Catalano(altro…)
Connettere i sogni, diffondere una nuova cultura: un titolo programmatico quello scelto per la Scuola interamericana di Economia di Comunione che si è svolta dal 26 al 31 ottobre nella Mariapoli Ginetta (San Paolo – Brasile), il luogo che, nel 1991, ha visto nascere dall’ispirazione di Chiara Lubich, il progetto EdC. 60 giovani partecipanti provenienti da Paraguay, Argentina, Messico, Guatemala, Cuba, Colombia, Bolivia e Brasile, hanno dato la loro decisa adesione ad avventurarsi nel mondo dell’imprenditoria secondo i principi innovativi presentati dalla fondatrice dei Focolari alla nascita del progetto. A sostegno della realizzazione di sogni e progetti, gli imprenditori presenti hanno dichiarato la loro piena disponibilità ad accompagnare con la propria esperienza questo cammino certo non facile che i giovani intendono intraprendere. La proposta è stata accolta con entusiasmo. Già a conclusione della scuola, ogni studente ha ricevuto dal proprio partner il certificato di partecipazione. È nata così una nuova esperienza di comunione che è stata chiamata “Operazione uno per uno”. Non solo. Maria Clézia Pinto, responsabile dei progetti dell’Anpecom (associazione che coordina le varie iniziative per un’Economia di Comunione in Brasile) ha annunciato l’avvio di un Programma di sostegno economico rivolto a piccole imprese che operano in situazioni di vulnerabilità sociale, offrono prodotti di alimentazione o servizi a favore dell’educazione, salute e abitazioni e ad iniziative tese allo sviluppo umano e sociale a favore delle classi di reddito medio-basso, basso e a quelle più indigenti. Si tratta di un programma ispirato ad iniziative già in atto in altre aree del mondo che offrono finanziamento e benefici vincolati all’adesione alle linee generali dell’EdC. Nell’invito, chi ha lavorato alla preparazione della scuola aveva scritto rivolgendosi ai coetanei: “Non ci arrendiamo di fronte alle disuguaglianze e ingiustizie sociali”, lanciando una sfida: “E se questa trasformazione cominciasse dal prendere coscienza di che cosa sono povertà, economia, lavoro, relazioni interpersonali”? È stato su questi e altri temi di grande attualità, che si sono svolte tavole rotonde, incontri di gruppo, dove protagonisti erano proprio i giovani, insieme ad esperti ed imprenditori di anni di esperienza. Anouk Grevin, della Commissione Internazionale dell’EdC, nel suo intervento conclusivo, ha confidato che, sin dalla fase preparatoria, viva era l’aspettativa che la Scuola fosse come un laboratorio che potesse aprire nuove strade per l’EdC non solo in America Latina, ma nel mondo. (altro…)
Unity offers the reader the opportunity to develop a deeper appreciation of the communal aspect of Christian life, and the implications of a communitarian spirituality for the Church and humanity. Available also as an eBook For more information see New City Press (NY)
La questione operaia e il cristianesimo è l’opera più famosa nella storia del pensiero sociale della Chiesa. A scriverla non fu un docente universitario, né un capopopolo proveniente dalle masse lavoratrici, ma l’arcivescovo di Magonza, Wilhelm Emmanuel von Ketteler. La scrisse nel 1864, cioè qualche anno prima che Marx pubblicasse Il capitale. Molte delle tesi contenute in La questione operaia e il cristianesimo confluirono nella Rerum novarum di Leone XIII. Dunque l’opera di Ketteler anticipa tutto e tutti: è prima di Marx, precorre la Rerum novarum, inaugura il filone moderno della dottrina sociale della Chiesa. Come spesso accade, queste pietre miliari del cristianesimo – quando non sono dimenticate – sono più citate che lette. Nel caso di Ketteler, tale risultato è stato favorito dal fatto che l’unica traduzione in italiano di questo volume risale al lontano 1870, e che tale libro è oggi introvabile anche presso le biblioteche! Finalmente ora ne abbiamo una nuova edizione, con una nuova traduzione a cura del Centro Studi Igino Giordani. Non poteva che essere tale Centro Studi a condurre questa operazione impegnativa. Giordani fu tra i grandi divulgatori di Ketteler. Nella prima metà del Ventesimo secolo, egli presentava il pensiero del vescovo di Magonza per spiegare il punto di vista del cristianesimo sulla realtà politica ed economica del suo tempo, soprattutto nei confronti con il socialismo e il liberalismo. La questione operaia e il cristianesimo, infatti, presenta con ordine e precisione la posizione cristiana attorno ai temi della proprietà privata, del lavoro e dello sfruttamento. Pone al centro del discorso la dignità della persona, contro lo sfaldamento sociale preteso dal liberalismo individualista, e l’idolatria dello Stato voluto dal socialismo. In tal senso, l’insegnamento di Ketteler è attualissimo in tempi, come quelli di oggi, in cui di fronte alla globalizzazione si vorrebbe la rottura dei legami comunitari e/o l’assorbimento di ogni cosa nel grande minestrone della mondialità. A cura del Centro Studi Igino Giordaniwww.iginogiordani.info
Sull’autobus Sul bus 45 che prendo tutti i giorni per andare a lavoro sale un uomo visibilmente di cattivo umore. La gente che se n’è accorta gli fa spazio e si allontana. Io però rimango dove sono e lo aiuto a sistemare i sacchetti di plastica che ha in mano. La mia giornata sembra diventare più luminosa. Un altro giorno, sullo stesso bus, ecco ancora quell’uomo. Appena mi vede, viene subito a salutarmi. E questo continua ad accadere. Basta veramente poco perché l’altro, qualsiasi prossimo che incontro nella mia giornata, si senta accolto e amato. E. M. – UngheriaTatuaggi In treno, sono seduta accanto a una ragazza e a un ragazzo coperti di tatuaggi dal carattere satanico. La mia propensione a cercare il positivo negli altri mi fa pensare che i due avranno un motivo per esibire certi simboli. Dopo qualche esitazione, mi faccio coraggio e chiedo loro il senso di quei tatuaggi. I loro occhi si accendono. Si alternano nel rispondermi, ma con la stessa dolcezza: «Le siamo grati per questa domanda. In genere la gente ci giudica e nel migliore dei casi finge di non vederci. Non siamo come appare, vogliamo solo dare uno schiaffo a questa società paralizzata e senza midollo spinale». M. I. – FranciaUna carrozzina per Jamal Era una domenica pomeriggio. Jamal, un operaio marocchino di mia conoscenza, mi aveva portato delle mele. Parlando con lui, sono venuta a sapere che verso dicembre gli sarebbe nato un figlio. Però non avevano nulla del necessario per questa creatura; soprattutto sarebbe servita una carrozzina. Dopo averlo ascoltato attentamente, mi è venuta un’idea: «Perché non chiediamo noi due insieme aiuto a Dio? Lui è uno per tutti, puoi chiamarlo con un altro nome, ma è sempre Dio. Lui saprà come farci arrivare la carrozzina». A Jamal è piaciuta la proposta. Eravamo nel cortile, all’aperto; abbiamo alzato gli occhi al cielo e abbiamo pregato così: «Signore Dio, abbiamo bisogno di una carrozzina. Pensaci tu». Eravamo un giovane musulmano e una donna cattolica: due fedi diverse, eppure uniti nel chiedere. Dio ha accolto la nostra preghiera: già il giovedì successivo è arrivata in dono la carrozzina richiesta. V. M. – Italia(altro…)
«Chi sono i santi? Non inarrivabili figure superumane di una cristianità che intende sconfortare, abbattere noi mediocri, non vette somme, inaccessibili al punto che, per persone come noi, è meglio restarne ai piedi e ‘arrangiarsi’ nella pianura. I santi sono i piccoli, i veramente piccoli. Quelli che Gesù proclama beati nel Discorso della Montagna, i poveri e gli afflitti, i miti e coloro che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi e i puri di cuore, gli operatori di pace e i perseguitati per causa della giustizia. Uomini che mettono se stessi e il proprio destino nelle mani di Dio – e così la mano di Dio è libera di fare del loro destino qualcosa che sia di benedizione al mondo. Vivono presso Dio e ci vivono per noi – e noi possiamo vivere con loro. Il loro esempio è passato che ci trascina, la loro vita presso Dio è presente che ci accoglie in una comunione a cui la morte non può porre limiti, la loro beatitudine è futuro che ci invita e ci infonde coraggio». Klaus Hemmerle, La luce dentro le cose, Città Nuova Editrice, 1998, pag. 339 (altro…)
È nello spirito di un fecondo lavoro ecumenico che si è svolto nella cittadina tedesca di Zwochau lo scorso 12 settembre, un incontro a cui hanno partecipato circa 80 cristiani di diverse denominazioni. Già nella sua visita a Zwochau nel 2013 la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, aveva espresso il desiderio di conoscere meglio Martin Lutero e i fedeli luterani; e più di recente, dallo scambio di lettere del maggio scorso tra il cardinale Marx – presidente della conferenza episcopale della chiesa cattolica in Germania – e il vescovo Bedford Strohm – responsabile del consiglio della chiesa evangelica in Germania -, era stata avanzata la proposta di portare avanti iniziative congiunte in vista dei 500 anni dalla Riforma di cui si farà memoria nel 2017. Due i filoni di riflessione pensati per la giornata. Il primo, guidato dal teologo luterano Florian Zobel, ha avuto al centro la figura di Lutero e la sua vita, evidenziandone anche diversi aspetti poco noti e concludendo con le parole di Papa Benedetto XVI, secondo cui “Per Lutero la teologia non era una questione accademica, ma la lotta interiore con se stesso. […] La domanda: Qual è la posizione di Dio nei miei confronti, come mi trovo io davanti a Dio? […] Penso che questo sia il primo appello che dovremmo sentire nell’incontro con Martin Lutero”. Il secondo, tenuto dal teologo cattolico e ricercatore su Lutero Hubertus Blaumeiser, è stato incentrato sulla spiritualità del monaco riformatore e, in particolare, sulla “teologia della croce” e il significato di “Riforma” che ne consegue: “Non solamente una trasformazione, un cambiamento o miglioramento secondo i propri piani personali – ha affermato –, ma un nuovo inizio, partendo dalle radici. Vale a dire il ritorno alla Scrittura, […] cioè al vangelo della grazia di Dio e alla nuova scelta di una vita con e per Cristo Crocifisso”. Nel pomeriggio si è poi tenuta una tavola rotonda moderata da Hermann Schweers, con il pastore luterano Axel Meissner di Schkeuditz e con il vescovo emerito Joachim Reinelt di Dresda: numerosi e sentiti sono stati gli interventi del pubblico, toccando temi quali l’importanza del lavoro ecumenico in una società non credente e il significato di Riforma oggi. La giornata si è poi conclusa con una celebrazione ecumenica.
Il Pastore Jens-Martin Kruse. Foto: Harald Krille
Anche in Italia, comunque, il cammino ecumenico non è certo fermo: papa Francesco visiterà la Chiesa di Cristo – “casa” dei luterani di Roma – il prossimo 15 novembre, accolto dal pastore Jens-Martin Kruse, che in un’intervista all’agenzia Sir ha definito il papa: “Il nostro vescovo. Non in senso giuridico ma in senso simbolico. Noi luterani di Roma abbiamo sempre avuto un rapporto molto vicino con i Papi. Anche in questo momento, molto difficile per il mondo, secondo me il Papa è il portavoce dei cristiani”.(altro…)
Può lo sport contribuire a realizzare un mondo più unito? Può essere campo di azione e strumento di unità fra le persone e fra i popoli? Sono alcune delle domande che hanno innescato l’esperienza dei fondatori di Sportmeet, partendo dalla condivisione della comune passione per lo sport. «Non avendo la pretesa di avere la verità in tasca, ci siamo messi a cercare le persone, le esperienze del mondo sportivo che ci potessero aiutare in questo lavoro, da cui in questi anni sono emersi, in sintesi, tre elementi che tratteggiano l’identità di Sportmeet: l’alta considerazione dello sport come fenomeno significativo della società; la capacità e l’obiettivo di riunire le più diverse categorie di persone interessate allo sport; la sfida di coniugare teoria e pratica in un contesto che tiene tendenzialmente separati coloro che studiano e coloro che praticano lo sport». Questi alcuni stralci dell’intervento con cui Paolo Cipolli, presidente di Sportmeet for a United World ha aperto il settimo convegno organizzato dalla rete di Sportmeet a Krizevci (Croazia). Guardare, cioè, lo sport in dialogo con la cultura contemporanea, nella convinzione che può dare un suo contributo specifico, stimolante e positivo alla cultura, alla costruzione di cittadinanza attiva e responsabile. Un centinaio di partecipanti – presidi, insegnanti di scienze motorie, pedagogisti, atleti, responsabili di club sportivi, arbitri, educatori, studenti universitari, giornalisti sportivi quasi tutti di convinzioni non religiose – provenienti da varie regioni della Croazia e della Serbia, si sono dati appuntamento, dal 2 al 4 ottobre, presso la cittadella “Mariapoli Faro”, in Croazia. Presenti le istituzioni, regionali e locali che hanno patrocinato e finanziato il Convegno, la TV nazionale, la radio locale e l’atleta Branko Zorko, mezzofondista, tre volte campione olimpionico mondiale nella corsa dei 1500 metri, nativo del posto e da tempo in contatto con Sportmeet. Il tema “Tempo libero come risorsa per le giovani generazioni”, ha evidenziato i grandi cambiamenti ed i rischi derivanti dall’uso massiccio di internet e dalla diffusione delle nuove tecnologie, come ha sottolineato con chiarezza ed appassionata preoccupazione Mirna Andrijašević della Facoltà di Scienze Motorie di Zagabria. Alexandar Ivanosky della Facoltà privata di Sport e Salute di Belgrado (Serbia), ha sottolineato l’importanza della presenza degli adulti, chiamati alla sfida di ricercare con i ragazzi un approccio creativo – spesso soli davanti ai potenti stimoli della tecnologia e dei social network -. Milan Čapalija, psichiatra e Majda Fajdetić, pedagogista del Ministero dell’Istruzione di Zagabria, hanno messo in luce metodologie diverse di promozione di un’ azione pedagogica che possa rivalutare il contributo del gioco e dello sport. Diversi laboratori con esperienze di interazione pratica si sono conclusi con un momento di gioco insieme ai ragazzi della scuola media nella graziosa piazza centrale della città. Un banco di prova ed al tempo stesso un occasione per fare esperienza della caratteristica di Sportmeet: il dialogo come risorsa ed opportunità imprescindibile per promuovere una nuova cultura dello sport. A testimoniare il clima di stima e di fiducia cresciuto in questi anni, Alexandar Ivanosky (Serbia) metteva in luce le capacità dello sport croato di eccellere nei giochi di squadra e chiedeva una interazione ancora più stretta per condividere lo spirito di fraternità che anima questo gruppo nei Balcani e non solo. In finale si è annunciata la prossima Summer School 2016 che si svolgerà, dal 14 al 17 luglio, nella stessa città di Krizevci.(altro…)
In occasione del cinquantesimo anniversario della Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, si svolgerà a Roma il Congresso mondiale “Educare Oggi e Domani. Una passione che si rinnova”, promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica. Al Congresso parteciperanno quanti sono coinvolti nella missione educativa nelle scuole e università cattoliche di tutto il mondo. Con uno sguardo globale, si intende riflettere sul contributo che la comunità cristiana può offrire in contesti multiculturali e multireligiosi in rapido cambiamento. L’attuale emergenza educativa e sociale richiede un rinnovamento di proposte formative capaci di trasformare la realtà, alla portata e alle esigenze dei bambini, ragazzi e giovani. Si prevedono relazioni, testimonianze e tavole rotonde con esperti internazionali. Il Convegno è strutturato in tre sessioni:
la sessione inaugurale (18 Novembre, nell’Aula Paolo VI, Città del Vaticano)
la sessione centrale, divisa nelle sotto-sezioni: “Scuola e Università” (19-20 Novembre, al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo) e Congresso OIEC (presso l’Auditorium di Via della Conciliazione – Roma)
la sessione conclusiva (21 Novembre, nell’Aula Paolo VI, Città del Vaticano) con la partecipazione e l’intervento di Papa Francesco.
Nella sessione conclusiva, davanti al Santo Padre, sarà presentata la proposta pedagogica dell’Apprendimento Servizio, approccio che attinge dalla Pedagogia di Comunione di Chiara Lubich alcuni suoi fondamenti filosofici e metodologici, come uno dei percorsi formativi collaudati che la Congregazione per l’Educazione Cattolica consiglierà alle istituzioni educative di tutto il mondo. (altro…)
«Tra un mese riceverò a Costantinopoli i vescovi amici del Movimento»: è lo stesso Patriarca Ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I ad annunciare alla stampa il prossimo Convegno di Vescovi di Varie Chiese amici dei Focolari che si svolgerà a Istanbul dal 25 al 30 novembre prossimi. L’occasione dell’annuncio è un’intervista rilasciata subito dopo il conferimento del dottorato honoris causa in Cultura dell’unità il 26 ottobre scorso a Loppiano, da parte dell’Istituto Universitario Sophia. «Avremo una riunione a Halki – continua – nella scuola di teologia e lì avremo l’occasione di ricordare tutti insieme Chiara Lubich e pregare per il riposo della sua anima e per esprimere le nostre esperienze e la nostra volontà di lavorare per l’unità delle Chiese. Noi, come chiesa di Costantinopoli, siamo felici, siamo pronti ad accoglierli, a scambiare le nostre esperienze e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente». (altro…)
Il Convegno ecclesiale di Firenze, come i precedenti, vuole ritmare una stagione nuova di vita e di missione della Chiesa in Italia. I 2500 delegati di tutte le diocesi della Penisola e i rappresentanti dei Movimenti e delle Associazioni Laicali rifletteranno sulle 5 vie proposte dalla Evangeli Gaudium, come percorsi per una Chiesa in uscita. Più che le prolusioni ed i discorsi che avevano caratterizzato i precedenti convegni l’evento sarà scandito da meditazioni, confronti, dialoghi e preghiera che martedì 10 vedrà giungere a Firenze papa Francescoper incontrare i partecipanti del Convegno e celebrare la Messa allo stadio comunale. Il Papa di prima mattina si recherà invece a Prato, significativa porta d’ingresso al Convegno di Firenze, segnale forte che indica come nel cuore del pontefice sia prioritaria, anche rispetto ai lavori di un convegno ecclesiale, l’urgenza dell’incontro con le persone che abitano le periferie, in questo caso la comunità cinese della “città delle stoffe”. A rappresentare ufficialmente il Movimento dei Focolari saranno presenti tra i convegnisti il copresidente Jesús Morán, e i delegati dei Focolari in Italia Rosalba Poli e Andrea Goller, oltre ad alcune decine di membri del Movimento nominati da Diocesi o da Uffici Pastorali Regionali. Ripercorriamo la Traccia di preparazione al convegno attraverso una sintesi dell’intervento di Maria Voce, presidente del Movimento dei Focolari ad una delle tappe di preparazione verso il Convegno, il 15/16 maggio scorso. «La “Traccia per il cammino verso il 5° Convegno Ecclesiale Nazionale” ci propone cinque vie, le stesse suggerite da Papa Francesco nella Evangelii Gaudium, declinate attraverso cinque verbi che ci indicano la direzione da intraprendere: uscire, annunciare, abitare, educare, trasfigurare. Sono verbi che tratteggiano uno stile, implicano una conversione e chiedono delle scelte e delle prassi forti e chiare. Uscire. Il primo verbo dice lo scatto d’anima e di decisione che oggi ci è chiesto nel vivere la “nuova tappa dell’evangelizzazione” che Papa Francesco fa brillare vivida di fronte a noi come esigenza, la più radicale, per servire l’uomo là dove oggi si trova, nelle “periferie esistenziali” della nostra storia. Questo significa almeno due cose. Per prima cosa – come si legge nella “Traccia” – occorre «liberare le nostre strutture dal peso di un futuro che abbiamo già scritto». No, il futuro non possiamo né dobbiamo presumere d’averlo già scritto noi. Occorre far spazio, e sino in fondo, all’ascolto della Parola di Dio e delle parole dei nostri contemporanei, che devono risuonare come nostre nei nostri cuori. E per far questo ecco la seconda cosa, che dico con le parole di Papa Francesco nell’udienza ai partecipanti all’Assemblea Generale del Movimento, nel settembre scorso: «…dobbiamo uscire con coraggio “verso di Lui fuori dall’accampamento, portando il suo disonore” (Eb 13,13). Egli ci aspetta nelle prove e nei gemiti dei nostri fratelli, nelle piaghe della società e negli interrogativi della cultura del nostro tempo. (…) serve una spiritualità dell’uscire (…): non rimanere dentro chiusi a quattro mandate. (…) Perché la Chiesa sembra un ospedale da campo. E quando si va in un ospedale da campo, il primo lavoro è curare le ferite, non fare il dosaggio del colesterolo».Il secondo e il terzo verbo – annunciare e abitare – mi piace vederli insieme, strettamente anzi indissolubilmente congiunti. Non si può annunciare, infatti, la gioia che viene dal Verbo che si è fatto carne (cfr. Gv 1,14) e che si è calato nell’abisso di ogni grido dell’uomo abbandonato (cfr. Mc 15,34; Mt 27,46), se non abitando la carne e le grida, espresse o tacite, degli uomini e delle donne attorno a noi. Solo gesti e parole, che nascono da questa condivisione e da questa immersione, indirizzano «lo sguardo e i desideri a Dio», al Dio di Gesù, che è Misericordia e libertà. Sono venuto – dichiara Gesù – ad «annunciare il Vangelo ai poveri» (cfr. Lc 4, 18‐21). Per questo ci affascina e ci coinvolge il sogno tenace di papa Francesco: «una Chiesa povera e per i poveri».Di qui il quarto verbo: educare. Esso dice, innanzi tutto, l’urgenza di lasciarci educare, tutti, da Dio come suo Popolo lungo i sentieri impervi e interpellanti della storia. Si tratta di lasciarci forgiare, insieme, da quel nuovo paradigma di umanesimo che scaturisce dalla pasqua di Gesù, il Signore crocifisso e risorto, come convivialità del “noi” in cui «non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).E infine il quinto verbo: trasfigurare. Si legge nella “Traccia”: «il divino traspare nell’umano, e questo si trasfigura in quello». Ciò si realizza attraverso la preghiera, dove la Luce trasfigurante di Dio inonda il nostro cuore; e attraverso l’Eucaristia, dove la carne trasfigurata di Gesù si fa nostro cibo per trasformarci in Sé. Ma questa trasfigurazione deve manifestare la sua bellezza e la sua promessa nelle trame tormentate e spesso tortuose della nostra storia». Leggi anche: approfondimento sulla rivista Gen’s sul convegno di Firenze
Accogliersi l’un l’altro, dalla paura alla fiducia. È il titolo, ma anche l’augurio dell’Assemblea europea di Religioni per la Pace (RfP), l’organismo che riunisce a livello mondiale i leader religiosi per camminare insieme nella ricerca della pace e della giustizia, e di cui Maria Voce è tra i co-presidenti. In questo periodo Religions for Peace è impegnata – tra l’altro – in una campagna mondiale, il progetto Faiths for Earth (Religioni per la Terra). «Un’iniziativa importantissima» – dichiara – perché «l’umanità si trova ad affrontare una sfida a livello planetario e con pochissimo tempo disponibile. Le religioni sono chiamate a scendere in campo ancora una volta, a convincere i potenti delle nazioni ad intervenire. Vedo una provvidenziale sintonia con la lettera enciclica di papa Francesco “Laudato si’”, che ha suscitato un grande interesse mondiale». Nel suo intervento in apertura dei lavori, il 29 ottobre, la presidente dei Focolari ripercorre gli eventi recenti che hanno trasformato il volto dell’Europa. Di fronte all’«oceano di “rifugiati” e profughi senza precedenti», «fenomeno che, numericamente, supera di gran lunga i milioni di senzapatria lasciati dalla Seconda Guerra Mondiale», Maria Voce evidenzia la situazione drammatica che «provoca in noi sempre più sgomento, perplessità, disagio». Tra le cause individuate, anche i «drammatici e discutibili interventi militari che hanno sconvolto intere nazioni del Nord Africa, del Medio Oriente, dell’Africa Sub Sahariana ed altri conflitti ancora in corso. E i Paesi europei non sono certo del tutto incolpevoli di fronte a questi conflitti». Desta preoccupazione «la profonda crisi di identità del continente che impedisce di affrontare in modo coordinato ed unitario queste emergenze» e la costatazione che «spesso queste persone in fuga dalla fame e dalla guerra sono al centro di dispute, suscitano reazioni nazionalistiche» e sono «strumentalizzate per calcoli strategici». Ed ecco che entrano in causa i «credenti, appartenenti alle più varie fedi religiose, insieme a tutti gli uomini e donne di buona volontà». «Siamo indubbiamente diversi – afferma Maria Voce – ma restiamo tutti accomunati dallo stesso imperativo, sancito dalla “Regola d’Oro” disseminata e ripetuta in tutte le nostre Scritture: “Fai agli altri ciò che vorresti gli altri facciano a te”! Un riferimento etico e spirituale troppo spesso dimenticato, che Papa Francesco ha proposto come vero paradigma socio-politico nel suo discorso al Congresso degli Stati Uniti».Una Regola che «ci interpella davanti a questi drammi, invitandoci come leaders, come comunità, come individui, ad un impegno comune, concreto, costante, eroico se necessario, per venire incontro alle folle di umanità sofferente». E apre uno spiraglio sul ruolo delle religioni, perché, afferma «proprio la religione, da secoli relegata alla sfera privata della vita degli individui e delle comunità, è ritornata di moda all’interno della vita pubblica dei nostri Paesi», come «protagonista nel costruire un mondo di pace». «Questa è la straordinaria avventura che ci è dato di vivere nei nostri giorni e Religions for Peace è una piattaforma provvidenziale. Ognuno di noi ha un ruolo ben preciso nel suo vasto ingranaggio. Siamo una bellissima comunità internazionale, interculturale ed interreligiosa, resa una famiglia anche e soprattutto dal comune ideale», poggiato su alcuni cardini fondamentali: l’unità nella diversità, la reciprocità nei rapporti, l’uguaglianza nella comune dignità umana. Su questa «solida base» sarà possibile «offrire un contributo efficace per la pace e la riconciliazione in Europa, e porsi «un punto di arrivo, un traguardo, una meta, che si raggiunge dopo un lungo, e spesso faticoso, cammino. E il traguardo è: l’umanità nel disegno di Dio realizzato, cioè la fraternità universale». (altro…)
È l’ultima accorata preghiera che Gesù rivolge al Padre. Sa di chiedere la cosa che più gli sta a cuore. Dio infatti ha creato l’umanità come la sua famiglia, con la quale condividere ogni bene, la sua stessa vita divina. Cosa sognano i genitori per i figli se non che si vogliano bene, si aiutino, vivano uniti tra loro? E qual è il loro più grande dispiacere se non quello di vederli divisi per gelosie, interessi economici, fino al punto da arrivare a non parlarsi più? Anche Dio ha sognato da tutta l’eternità la propria famiglia unita nella comunione d’amore dei figli con lui e tra di loro. Il drammatico racconto delle origini ci parla del peccato e della progressiva frantumazione della famiglia umana: come leggiamo nel libro della Genesi l’uomo accusa la donna, Caino uccide il proprio fratello, Lamec si vanta della sua spropositata vendetta, Babele genera l’incomprensione e la dispersione dei popoli… Il progetto di Dio sembra fallito. Egli tuttavia non si dà per vinto e con tenacia persegue la riunificazione della propria famiglia. La storia riparte con Noè, con la scelta di Abramo, con la nascita del popolo eletto; e avanti, fino a quando decide di mandare suo figlio sulla terra affidandogli la grande missione: radunare in una sola famiglia i figli dispersi, raccogliere le pecore smarrite in un solo gregge, abbattere i muri di separazione e le inimicizie tra i popoli per creare un unico popolo nuovo (cf. Ef 2,14-16). Dio non smette di sognare l’unità, per questo Gesù gliela chiede come il dono più grande che egli può implorare per tutti noi: Ti prego, Padre, «Perché tutti siano una sola cosa». Ogni famiglia porta l’impronta dei genitori. Così quella creata da Dio. Dio è Amore non soltanto perché ama la sua creatura, ma è Amore in se stesso, nella reciprocità del dono e della comunione, da parte di ognuna delle tre divine Persone verso le altre. Quando dunque ha creato l’umanità egli l’ha plasmata a sua immagine e somiglianza e vi ha impresso la sua stessa capacità di relazione, in modo che ogni persona viva nel dono scambievole di sé. L’intera frase della preghiera di Gesù che vogliamo vivere questo mese dice infatti: «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi». Il modello della nostra unità è niente meno che l’unità esistente tra il Padre e Gesù. Sembra impossibile, tanto essa è profonda. Essa è tuttavia resa possibile da quel come, che significa anche perché: possiamo essere uniti come sono uniti il Padre e Gesù proprio perché ci coinvolgono nella loro stessa unità, ce ne fanno dono. «Perché tutti siano una sola cosa» È proprio questa l’opera di Gesù, fare di tutti noi una cosa sola, come lui lo è con il Padre, una sola famiglia, un solo popolo. Per questo si è fatto uno di noi, si è caricato delle nostre divisioni e dei nostri peccati inchiodandoli sulla croce. Egli stesso ha indicato la strada che avrebbe percorso per portarci all’unità: «Quando sarò elevato da terra attirerò tutti a me» (Gv 12, 32). Come profetizzato dal sommo sacerdote, «doveva morire (…) per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11, 52). Nel suo mistero di morte e risurrezione, ha riassunto tutto in sé (cf. Ef 1,10), ha ricreato l’unità spezzata dal peccato, ha rifatto la famiglia attorno al Padre e ci ha resi nuovamente fratelli e sorelle tra di noi. La sua missione Gesù l’ha compiuta. Adesso rimane la nostra parte, la nostra adesione, il nostro “sì” alla sua preghiera: «Perché tutti siano una sola cosa» Qual è il nostro contributo all’adempimento di questa preghiera? Innanzitutto farla nostra. Possiamo prestare labbra e cuore a Gesù perché continui a rivolgere queste parole al Padre e ripetere ogni giorno con fiducia la sua preghiera. L’unità è un dono dall’alto, da chiedere con fede, senza stancarci mai. Essa inoltre deve rimanere costantemente in cima ai nostri pensieri e desideri. Se questo è il sogno di Dio vogliamo che sia anche il nostro sogno. tanto in tanto, prima di ogni decisione, di ogni scelta, di ogni azione, potremmo domandarci: serve per costruire l’unità, è il meglio in vista dell’unità? Dovremmo infine correre là dove le disunità sono più evidenti e prenderle su di noi, come ha fatto Gesù. Possono essere attriti in famiglia o tra persone che conosciamo, tensioni che si vivono nel quartiere, disaccordi nell’ambiente dilavoro, in parrocchia, tra le Chiese. Non sfuggire i dissidi e le incomprensioni, non restare indifferenti, ma portarvi il proprio amore fatto di ascolto, di attenzione all’altro, di condivisione del dolore che nasce da quella lacerazione. E soprattutto vivere in unità con quanti sono disponibili a condividere l’ideale di Gesù e la sua preghiera, senza dare peso a malintesi o a divergenze di idee, contenti del “meno perfetto in unità che del più perfetto in disunità”, accettando con gioia le differenze, anzi considerandole una ricchezza per un’unità che non è mai riduzione a uniformità. Sì, questo a volte ci metterà in croce, ma è proprio la strada che Gesù ha scelto per rifare l’unità della famiglia umana, la strada che anche noi vogliamo percorrere con lui. Fabio Ciardi (altro…)
Il musical “Life, love, light”, ispirato alla vita della beata Chiara Luce Badano, è arrivato in Perù: lo scorso 10 ottobre, pochi giorni dopo il quinto anniversario della beatificazione della giovane di Sassello, lo spettacolo è infatti andato in scena a Lima. I giovani peruviani del Movimento dei Focolari già mesi fa erano entrati in contatto con i loro coetanei spagnoli – che avevano portato in scena a Burgos quest’opera nella loro lingua – così da avere i materiali; e grazie alla collaborazione con la Comunità di Villaregia e le Misioneras Identes – dato che, ammettono, “l’opera superava le nostre forze” – ed alcuni professionisti hanno intrapreso la preparazione del musical. Sono stati 75 i giovani che hanno partecipato alla sua realizzazione, sia dei Focolari che delle altre realtà coinvolte. E non è mancata nemmeno una serie di “fortunate coincidenze” in cui questi ragazzi hanno visto la mano della Provvidenza: dalla disponibilità di una sala con centinaia di posti in un rinomato quartiere di Lima, ai pasti per tutta la squadra arrivati grazie alla generosità di un’aderente al Movimento, alle interviste rilasciate a due canali televisivi – di cui uno ha registrato lo spettacolo per trasmetterlo in differita. Anche i cinquecento spettatori non hanno fatto mancare la loro generosità: l’ingresso era libero, ma con l’invito ad offrire alimenti a lunga conservazione – che sono arrivati in grande quantità – da destinare alle persone assistite dalla Comunità di Villaregia. Di grande successo infine anche lo spettacolo propriamente detto che, nelle testimonianze dei partecipanti, ha permesso loro di scoprire e valorizzare molti talenti. Toccante soprattutto la testimonianza della madre di una ragazza di 13 anni, colpita da una grave forma di depressione, che ha affermato: “Avete cambiato la vita a mia figlia”.A chiudere la serata è stato il messaggio inviato dai genitori della giovane beata, Ruggero e Maria Teresa Badano, con i ringraziamenti per quanto realizzato: «La sua tensione alla santità e la fedeltà ai valori del Vangelo di Gesù – scrivono – hanno guidato Chiara Luce anche nei momenti più difficili della sua esistenza, e siamo convinti che saprà ispirarvi. Perché – come ripeteva la sua madre spirituale Chiara Lubich – “Avete una vita sola e vale la pena spenderla bene”». (altro…)
«Sono molto contento di essere qui nella cittadella di Loppiano. La ragione è che sono stato nominato dottore honoris causa e sono venuto per la cerimonia. Nello stesso tempo è una bellissima coincidenza: la cittadella di Loppiano celebra 50 anni della sua fondazione da parte di Chiara Lubich, di venerata memoria. Ed io come amico del Movimento dei Focolari partecipo alla gioia di questo anniversario. È normale e naturale che mi senta felice e commosso di avere il primo dottorato honoris causa che l’Istituto universitario Sophia ha voluto conferire a qualcuno. Sono il primo e ne sono felice! Ma la mia gioia e la mia felicità più grande e sentita, più che per il dottorato è per il messaggio che il Papa Francesco, mio fratello molto amato, ha voluto indirizzarmi. Attraverso questo il Papa ha voluto onorarmi ancora una volta. La sua alta persona ha voluto esprimere anche in questa occasione la determinazione di lavorare sempre di più per l’unità delle nostre chiese sorelle. Da parte del Patriarcato ecumenico, sono felice di poter assicurare Sua Santità, e voi tutti che mi ascoltate, della simile determinazione della nostra Chiesa di Costantinopoli per far progredire il dialogo ecumenico in genere, ma particolarmente tra la chiesa ortodossa e la chiesa cattolica. Perché noi siamo delle Chiese sorelle, abbiamo tante cose in comune, siamo molto più vicini che con altre chiese e denominazioni cristiane e perciò dobbiamo avanzare. Questo era il messaggio che il Papa ci ha dato venendo a Costantinopoli l’anno scorso per la nostra festa patronale. Questo è il desiderio comune che abbiamo espresso a Gerusalemme nel maggio 2014 quando ci siamo incontrati in Terra Santa per celebrare e sottolineare il 50° anniversario dell’incontro storico dei nostri predecessori.
Già all’inizio del suo Pontificato, quando ho avuto la gioia di essere presente al suo insediamento e abbiamo avuto una mezz’ora di incontro privato, ci siamo detti che dobbiamo lavorare e pregare intensamente per l’unità delle nostre chiese, per la ricomposizione dell’unità del corpo di Cristo che è la Chiesa. Questa sera avverto la sua determinazione, rinnovata attraverso il suo messaggio e mi sento felicissimo! Tornerò a Istanbul più forte, più sicuro che a Roma ho un fratello che desidera tanto lavorare con noi e pregare per far accelerare l’unità delle nostre Chiese». Stiamo avvicinandoci ai 50 anni del primo incontro tra il Patriarca Athenagoras e Chiara Lubich ad Istanbul. Era il 13 giugno 1967…«Uno degli ideali del Movimento dei Focolari è l’unità della Chiesa. Chiara e i suoi collaboratori hanno lavorato molto. Lei ha visitato 23 volte Athenagoras a Costantinopoli. Poi ha incontrato Dimitrios e poi me. Nel 2008, ho visitato Chiara nell’ospedale Gemelli pochi giorni prima della sua morte. Sono sicuro che stasera Chiara è con noi, senz’altro è con noi, con la sua presenza spirituale e con la sua preghiera. Si rallegra con noi e prega per l’unità delle nostre Chiese. Tra un mese riceverò a Costantinopoli i vescovi amici del Movimento. Avremo una riunione a Halki nella scuola di teologia e lì avremo l’occasione di ricordare tutti insieme Chiara e pregare per il riposo della sua anima e per esprimere le nostre esperienze e la nostra volontà di lavorare per l’unità delle Chiese. Noi, come chiesa di Costantinopoli, siamo felici, siamo pronti ad accoglierli, a scambiare le nostre esperienze e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente».
Il Patriarca Bartolomeo I ha percorso la storia del cammino ecumenico, quali secondo lei le parole nuove? «Le parole nuove sono sostanzialmente due: la prima è la parola della fraternità tra Papa Francesco e il Patriarca Bartolomeo. Il messaggio che il Santo Padre ha inviato a Bartolomeo ha toccato profondamente il cuore del Patriarca il quale ha risposto invocando la preghiera ad multos annos per papa Francesco, per portare avanti questo cammino di unità. E la seconda parola nuova che a me ha colpito molto è “l’unità nella diversità”, che tra l’altro è un leitmotiv di molti interventi di papa Francesco, che sottolinea come il Vangelo non è uniformità, ma valorizzazione delle differenze. Esse sono unità proprio nella misura in cui, scaturendo dall’unica sorgente, si mettono in relazione tra di loro, sanno scoprire reciprocamente i doni di cui ciascuno è portatore. Per cui la diversità è il fiore dell’unità, quando è vissuta come relazione, cioè come fraternità, come comunione. Queste sono – mi sembra – due parole molto forti, molto nuove, risuonate con particolare efficacia e sottolineate dalla risonanza che hanno avuto nella grande folla presente – 1400 persone – che hanno sottolineato i passaggi fondamentali degli interventi con applausi nutriti, applausi che venivano dal cuore». In un mondo dove si alzano le barriere in nome della diversità e del non riconoscimento dell’altro, quale responsabilità hanno i cristiani oggi? «Una responsabilità unica, perché è in fondo solo Gesù che ha portato nella storia dell’umanità un modello di unità che sa tenere insieme la differenza e la sa valorizzare. Nessuna visione umana, nessuna ideologia umana è riuscita a tenere insieme unità e diversità. O è andata nell’uniformizzazione o è caduta nell’anarchia. Gesù ci insegna la via, stretta, difficile che alla fine passa anche per la croce, ma porta alla resurrezione, la trasfigurazione delle differenze nell’unità. Questa è la perla del Vangelo, l’unità nella diversità, la comunione, la S.S. Trinità incarnata nelle relazioni con tutti, a cominciare dai poveri, dagli ultimi, come ci ricorda il Papa». Questo suo guardare alla Trinità per capire come orientarsi nella direzione dell’unità nella diversità, fa ricordare fortemente il carisma di Chiara Lubich, della sua visione dei “rapporti trinitari” come paradigma su cui camminare… «L’Istituto universitario Sophia è nato dall’ispirazione di Chiara quando ha avvertito che era giunto il momento che il carisma che le era stato donato da Dio, che aveva fatto nascere l’esperienza così universale del Movimento dei Focolari, diventasse anche espressione culturale. Perché occorrono sempre delle mediazioni, dei paradigmi – come dice papa Francesco, una rivoluzione culturale –, per saper incanalare l’esistenza verso nuove frontiere. Per questo è nato l’Istituto universitario Sophia: una giovane creatura, piccola, che conosce tutti i limiti dell’inizio e delle forze umane, ma che sperimenta anche la grandezza dello Spirito di Dio, del carisma dell’unità, dell’ut unum sint che è la chiave del nostro tempo. Allora il nostro impegno è elaborare culturalmente con profezia, con visione, con concretezza, con realismo, che cosa significa questo paradigma dell’unità nella diversità in politica (la politica della fraternità), in economia (l’Economia di Comunione), a livello filosofico (il rispetto dell’alterità), in tutti i campi. Mi sembra importante questa sintonia così profonda tra quello che ci dice papa Francesco (la mistica del noi, una chiesa in uscita), il Patriarca Bartolomeo (l’unità nella diversità), il carisma dell’unità donato in questo tempo … per camminare insieme. Lo Spirito Santo è un artista, dissemina all’infinito doni di tutti i generi ma ha di mira un progetto ben preciso: oggi è sanare questi conflitti, queste fratture che ci sono nell’umanità, per far germogliare quello che c’è già di positivo e che sono tantissime cose. Quindi deve essere un laboratorio di speranza». Fonte: intervista rilasciata a varie testate, dopo il conferimento del dottorato h.c. al Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I. (altro…)
«Tutti i presenti sono stati molto toccati dal sentire questo affetto fraterno che lega il Santo Padre Francesco a Sua Santità il Patriarca Bartolomeo. Il Papa riconosce l’impegno del Patriarca in questo cammino di unità, che definisce comune. Non solo, ma afferma molto coraggiosamente che in questo cammino comune questo riconoscimento costituisce un passo avanti». Lei conosce molto bene il Patriarca, ha vissuto e vive intensamente questo momento di una lunga storia di vicinanza del Movimento dei Focolari con la Chiesa ortodossa e con i Patriarchi. Qual è il suo punto di vista su questa figura e quindi sul significato di questo riconoscimento?«Il Patriarca Bartolomeo è l’erede del grande Patriarca Athenagoras, che aveva veramente questa passione per l’unità, che in lui era quasi una visione profetica ma che non è riuscito a realizzare. Ma questa stessa passione si è trasmessa in particolare al Patriarca Bartolomeo che non manca occasione per sollecitare l’unità nel seno delle Chiese ortodosse proprio per poter parlare insieme, con una voce già in un certo senso sinodale, prima di tutto con la Chiesa di Roma per la quale ha un amore e una stima particolare, così come per Papa Francesco. In tanti modi ci tiene a sottolineare quanto è vivo questo cammino insieme. Mi sembra che siamo veramente in un momento felice perché c’è una spinta che viene dai due capi delle nostre due Chiese e che non può non portare frutto. Ci saranno anche delle resistenze, come ha detto Papa Francesco alla conclusione del Sinodo, però alla fine c’è lo Spirito Santo che aiuta, che spinge sicuramente verso l’unità delle Chiese. Pensiamo che sia un momento felice e che questo riconoscimento sia un passo importante, concreto, in questo cammino». Nel suo discorso, il Patriarca ha detto proprio cos’è l’unità che è diversa da unione, che è diversa da unicità, e ha sottolineato quello che un po’ si chiede all’uomo di oggi: formare una cultura dell’unità nella diversità, diversità come ricchezza, che è un concetto molto presente nel carisma vissuto da Chiara Lubich. Ci può spiegare un po’ meglio come?«Chiara ci ha sempre ricordato che il cammino delle Chiese è guidato dallo Spirito Santo e che quindi Lui ha sicuramente fatto maturare in ogni Chiesa dei doni che servono all’unità delle Chiese e di tutta la cristianità e che possono servire se vengono messi in comune. Questi doni non appiattiscono ma rispettano le diversità, proprio perché si riconosce in queste diversità una grande ricchezza che non fa altro che rendere più bella la Chiesa, così come Gesù la voleva. Quindi, non un’uniformità, ma una unità nella diversità. Chiara ci diceva che modello altissimo è l’unità che lega la Santissima Trinità, dove il Padre è tale perché non è il Figlio, il Figlio è tale perché non è il Padre ma l’amore che c’è tra il Padre e il Figlio genera addirittura lo Spirito Santo che è terzo in questa dimensione trinitaria, ma è anche primo perché lega il Padre e il Figlio. E può avvenire questo perché ognuna delle tre Persone della Santissima Trinità si perde completamente nell’altra. Anche nel cammino delle chiese si richiede proprio questo, cioè che ognuna sia capace di perdersi completamente nelle altre chiese; che vuol dire donare fino in fondo tutta la propria ricchezza e lasciarsi arricchire anche dalla ricchezza delle altre. Quindi saper essere amore, per costruire quella Chiesa di Cristo in cui ogni cristiano, a qualsiasi comunità ecclesiale appartenga, si senta veramente partecipe del corpo di Cristo». Da questo riconoscimento ci sono prospettive che nascono, che si possono aprire? «Si parlava proprio con il Patriarca di una eventuale possibilità di istituire all’Istituto Universitario Sophiauna cattedra che insieme, da parte cattolica e da parte ortodossa, studi le grandi figure di Chiara Lubich e del patriarca Athenagoras e cerchi di cogliere quel contributo che queste figure, nell’incontro dei loro rispettivi carismi, hanno apportato e possono apportare in questo cammino di unità». (Da Radio Vaticana)(altro…)
Ripercorre i rapporti tra le due chiese “sorelle” Bartolomeo I, nella sua lectio magistralis dopo il conferimento del titolo di dottore in Cultura dell’Unità da parte dell’Istituto Universitario Sophia, il 26 ottobre. Rapporti segnati da secoli di incomprensioni e da tempo avviati nel cammino verso l’unità, con la revoca delle reciproche scomuniche e i passi guidati da figure di spicco come Paolo VI e Athenagoras I, di cui Bartolomeo raccoglie oggi l’eredità. È in cammino con Papa Francesco, che di recente ha richiamato proprio il valore della “sinodalità” come elemento chiave per guidare la Chiesa di Cristo, e sono varie le occasioni in cui si è espressa la loro sintonia spirituale. Nel suo messaggio, letto dal card. Betori, Papa Francesco si rivolge “all’amato fratello Bartolomeo” per sottolineare il “cammino comune delle nostre chiese verso la piena e visibile unità, alla quale – scrive – tendiamo con dedizione e perseveranza”. Un messaggio che ha toccato profondamente il cuore del Patriarca, che si è detto “felicissimo” e ha confidato di “tornare a Istanbul più forte, più sicuro”, per il fatto di avere a Roma “un fratello che desidera lavorare con noi e pregare per accelerare l’unità delle nostre chiese”, e al quale risponde inviando il “Bacio di pace” e invocando la preghiera ad multos annos per Papa Francesco.
Si respira la storia, quella che ha visto “la mancanza del riconoscimento dell’altro come cristiano”, fino ai “protagonisti della nuova primavera della Chiesa: coloro che dell’unità faranno il centro della propria azione pastorale per il bene di tutti”, con il solo desiderio di “far avanzare le vie di Dio”; e si respira il futuro, quello in cui sia la Chiesa che le istituzioni umane capiranno che “le diversità sono dono e non contrapposizione, ricchezza e non squilibrio, vita e non morte”, come ha detto il Patriarca nel suo discorso. Siamo nella cittadella del Movimento dei Focolari a Loppiano, dove ha sede l’Istituto Universitario Sophia, che con la solenne cerimonia inaugura il suo 8° anno accademico. Per l’eccezionale evento – la presenza di Sua Santità Bartolomeo I – sono presenti, oltre a migliaia di persone, varie delegazioni della Chiesa ortodossa, rappresentanti della Chiesa cattolica, autorità civili, docenti di vari atenei gemellati con Sophia, una comunità musulmana e si registrano oltre 4mila accessi alla diretta internet.
Nel riconoscimento attribuito al Patriarca di Costantinopoli, si esprime la gratitudine “per quella tessitura paziente, coraggiosa e operosa di una Cultura dell’Unità”, di cui è “protagonista amato e ascoltato, sulla scena internazionale, nel dialogo in vista della piena unità tra le Chiese, nell’incontro tra diverse tradizioni ed esperienze religiose, nella cooperazione tra donne e uomini di tutte le convinzioni che camminano sui sentieri della fraternità”, così il prof. Piero Coda, Preside dell’Istituto. In un’intervista a margine afferma inoltre – spiegando la cultura dell’unità – che non si tratta di un’utopia, ma di una “ispirazione, attraverso la quale Chiara Lubich ha compreso che il carisma dell’unità, che le era stato donato da Dio, poteva diventare anche espressione culturale: occorrono sempre delle mediazioni, dei paradigmi, come dice papa Francesco, una rivoluzione culturale, per saper incanalare l’esistenza verso nuove frontiere, per questo è nato l’Istituto Universitario Sophia”. Maria Voce, presidente dei Focolari, a nome di tutto il Movimento, esprime, nel suo messaggio al Patriarca la gioia e l’onore di averlo accolto nella cittadella di Loppiano, sottolineando il ruolo di spicco che i Focolari gli attribuiscono come personalità spirituale e intellettuale e il valore della sua testimonianza e dei suoi “richiami alla giustizia e alla salvaguardia dell’ambiente come casa comune dei popoli”. “Il dialogo è la nostra comune priorità”, continua Maria Voce, col desiderio di “proseguire il cammino in piena armonia di ideali e testimonianza di vita”. E una prossima tappa, ricordata da Bartolomeo I in un’intervista a conclusione della cerimonia, sarà a novembre, a Istanbul, dove converranno i vescovi di varie chiese amici dei Focolari: “Lì avremo l’occasione – afferma – per esprimere la nostra volontà di lavorare per l’unità delle nostre Chiese. Noi siamo felici, siamo pronti ad accoglierli e ricambiare il bacio della pace tra Oriente e Occidente”. Unità nella diversità è una delle “parole nuove” che sono state dette e che il preside Piero Coda sottolinea ancora con forza: “il Vangelo non è uniformità, ma valorizzazione delle differenze. Esse sono unità proprio nella misura in cui, scaturendo dall’unica sorgente, si mettono in relazione tra di loro, cioè sanno scoprire reciprocamente i doni di cui ciascuno è portatore. Per cui la diversità è il fiore dell’unità quando è vissuta come relazione, cioè come fraternità, come comunione”. “Ed è proprio dall’accettazione delle diversità – conclude il Patriarca – attraverso il dialogo dell’amore, il reciproco rispetto, l’accoglienza dell’Altro e la nostra disponibilità ad accogliere ed essere accolti, che potremo diventare per il mondo icone di Cristo e come lui, nell’unità, essere anche diversità”.
Nella loro “carta etica” si definiscono come coloro che stanno «nelle contraddizioni e nelle difficoltà del tempo presente facendosi carico e condividendo le sofferenze del mondo del lavoro…nell’ottica della fratellanza universale». In questa tensione si possono cogliere i segni di quella necessaria “nuova scuola di pensiero” indicata da Pasquale Foresi (“è la vita che fa capire”), cofondatore del Movimento dei Focolari, che affermava: «il lavoro non è soltanto un mezzo per vivere, ma è qualcosa d’inerente al nostro essere uomini, e quindi anche un mezzo per conoscere la realtà, per capire la vita». Un metodo visto all’opera con il racconto dell’esperienza dei dipendenti della ex CGlobal di Pisa coinvolti in una delle solite ristrutturazioni e delocalizzazioni di imprese e la storia del fondo sindacale “legami di solidarietà” di Pomigliano d’Arco, a Napoli, nato grazie alla parrocchia San Felice in Pincis, come mutuo aiuto di una comunità che rischia di frantumarsi davanti alla carenza di occupazione dettata dalla divisione internazionale del lavoro guidata dalle società multinazionali. Un quadro completato dall’esposizione di Alberto Botto, segretario generale del sindacato Luz y Fuerza di Rosario in Argentina, sulla resistenza delle organizzazioni dei lavoratori davanti al potere delle dittature militari e delle ricette liberiste di privatizzazione che hanno rischiato di dissolvere il loro Paese. Di fronte al paradigma “dell’economia che uccide”, citando il Papa, proprio coloro che hanno deciso di agire nel sindacato “per sete di giustizia” stanno sperimentando, in questi anni, la fragilità e i limiti delle loro forme organizzative davanti alla mercificazione della vita intera. La tre giorni ha, perciò, voluto creare un luogo “disarmato” dove ognuno potesse offrire le ragioni profonde del proprio impegno. Una reciprocità che ha visto momenti di esigente dialogo con Maurizio Landini e Marco Bentivogli, segretari nazionali di due sindacati dei metalmeccanici italiani (Fiom Cgil e Fim Cisl), nonché con Giorgio Cremaschi dell’area critica e radicale. Il programma ha visto il confronto con Cecilia Brighi, per anni per il sindacato nell’organizzazione internazionale del lavoro, e con i docenti Antonio Maria Baggio, Barbara Sena e Alberto Lo Presti che ha presentato l’attualità di un testo fondamentale riedito da Città Nuova (“Questione operaia e cristianesimo”, di Von Ketteler). I lavori del seminario, guidati da Antonella Galluzzi e Stefano Biondi referenti di “made in The World”, e seguiti dai responsabili del dialogo culturale del Movimento dei Focolari, Caterina Mulatero e Joao Manuel Motta, hanno visto la partecipazione della presidente del Movimento, Maria Voce, che ha osservato: «non è vero che manca il lavoro. Dio non ci ha lasciato senza lavoro, basta guardarsi intorno e vedere quante urgenze e necessità ha la comunità civile! Quello che sembra mancare è il denaro. Dov’è finito? Con la corruzione e l’avidità di profitti senza limiti si è creata una frattura tra il lavoro e il denaro, il suo uso». Per questo motivo bisogna «prendersi insieme le piaghe dell’umanità» con la nostra “competenza” che è « la fraternità universale, riconciliare l’uomo con l’uomo». I partecipanti sono partiti con il forte desiderio di condividere quanto hanno vissuto per promuovere spazi di dialogo con altri sindacati. «Abbiamo capito che non siamo soli – ha affermato uno dei sindacalisti argentini –, e che è molto importante rimanere uniti per dare un anima alla lotta sindacale e per portarla a tutti». (altro…)
Convinto e attivo protagonista nel cammino ecumenico e nel dialogo tra persone di diverse religioni e promotore di giustizia, pace e rispetto dell’ambiente: sono alcune tra le motivazioni del dottorato Honoris Causa in Cultura dell’unità che lo IUS conferisce a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. È il primo dottorato h.c. del giovane centro accademico fondato da Chiara Lubich, che ha sede a Loppiano, la cittadella dei Focolari vicino Firenze. «Oggi il mondo ha bisogno di figure che cerchino l’unità della famiglia umana – ha spiegato il teologo Piero Coda,preside dell’Istituto Universitario – e il Patriarca svolge un’azione costante e illuminata a servizio di una cultura che mira a riportare la fraternità al centro della storia dell’umanità» […]. Diretta streaming Continua: Bartolomeo I a Loppiano(altro…)
Un’esperienza di Chiesa molto importante, un’opportunità unica nella vita che porteranno nel cuore: sintetizzano così la loro esperienza, María Angélica e Luis, di Bogotà, dentista lei, direttore del Dipartimento di Etica dell’università Gran Colombia lui, con due figli di 18 e 20 anni, che dal 4 al 25 ottobre hanno partecipato al Sinodo ordinario sulla famiglia “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”. Da oltre 20 anni lavorano per le famiglie legate al Movimento dei Focolari, accompagnandole sia nei percorsi di preparazione al matrimonio che negli anni seguenti, quando le crisi sempre in agguato rischiano di incrinare il sacramento e l’amore. Avete partecipato attivamente ai lavori dei circoli minori: quali momenti vi sono sembrati importanti per poter offrire un contributo al cammino del Sinodo? «Quella dei circoli minori è stata un’esperienza molto bella, perché potevamo portare le esperienze nostre e di altre famiglie, il trasmettere che noi vogliamo vivere come famiglia la dinamica dell’amore che si vive nella Trinità – in cui ognuna delle Tre divine Persone è Amore per l’altro -. Questo è stato uno dei nostri contributi. E pur affermando l’importanza dell’Eucarestia, abbiamo evidenziato il bisogno della presenza di Gesù tra i coniugi, per l’amore reciproco; e quindi abbiamo raccontato le volte che ci siamo chiesti perdono quando tra noi non c’era questa unità piena. Un altro contributo è stato il punto dei divorziati risposati. Era importante sentire l’amore particolare per ciascuna di queste famiglie. E nella misura in cui matura l’esperienza di fede anche in loro – accompagnandoli perché si arrivi a sentire che Gesù è anche nell’altro, nella Parola del Vangelo che si vive, nella comunità che vive l’amore reciproco – cresce l’esperienza di vita vicina a Gesù. Sentivamo che uno dei punti forti da proporre era l’amore a Gesù abbandonato e crocifisso, perché Lui ha assunto tutti i dolori dell’umanità: in Lui si ritrova chi è stato tradito, umiliato, chi si sente solo, abbandonato, chi si sente colpevole, chi non trova risposta alle sue domande. In Lui siamo tutti accolti perché Lui ha vissuto tutto questo, e in lui possiamo fare quest’unica comunione, dove tutti siamo in questo sì. È stata la nostra proposta: che non c’è differenza tra la famiglia che non ha sofferto il fallimento e quella che sì l’ha vissuto, perché in Lui ci sentiamo tutti accolti. Abbiamo raccontato le esperienze di tante famiglie, anche del Movimento, dove hanno vissuto e detto questo sì, con il dolore di non poter ricevere l’Eucarestia, ma consapevoli che anche loro sono chiamati alla santità. E quindi che non sono esclusi da questa chiamata. Come una volta disse papa Benedetto, l’offerta e il sacrificio che loro fanno, evidenziano la bellezza dell’indissolubilità del matrimonio, cioè loro sono costruttori anche di questa realtà (l’indissolubilità), e quindi danno un apporto grandissimo quando maturano in questo sì. A volte si tratta di comprendere il significato più profondo del sacramento. Per molta gente di questa epoca il sacramento del matrimonio non dice molto, anche perché non è stata data una formazione adeguata alla coppia, sia da parte delle parrocchie che dei movimenti. Invece fa parte del cammino che deve fare qualsiasi essere umano: scoprirsi come essere umano e scoprire la trascendenza dentro di sé. Bisogna scoprire come questo sacramento può aiutare a formare una famiglia e perché, attraverso la famiglia, siamo responsabili dei figli. Noi amiamo dire “come la famiglia, così la società”; cioè, la società è il risultato di ciò che è la famiglia». Un giorno avete raccontato che uscendo da un circolo minore avete sentito il desiderio che i Vescovi capissero il vostro profondo amore per la chiesa… «La relazione e il dialogo con i vescovi in queste settimana è diventata sempre più vicina, nel conoscerci, ascoltarci, anche nel cercare di essere “madre” nei loro confronti, per esempio se avevano la tosse, il raffreddore… avevamo il desiderio che sentissero che anche noi famiglie amiamo la chiesa come la amano loro, soffriamo per la chiesa come soffrono loro, che anche noi diamo la vita per la chiesa. Siamo in questo stesso cammino. Come Chiara Lubich ci diceva, in questo grande mosaico ognuno è un tassello, ma ha il suo valore per costruire questa realtà unica che è la chiesa. Era molto importante poterselo dire, e anche sentirlo». In uno degli ultimi circoli minori c’è stato un vostro testo che è stato integrato nella relazione finale… «Sì, nell’ultimo circolo minore il relatore chiedeva che potessimo esprimere anche la nostra esperienza come famiglie. Così quello che ha proposto alla fine era arricchito anche da quanto ciascuno aveva detto. Non si notava la differenza tra quanto era stato proposto da una famiglia o da un padre sinodale: era la proposta di tutti, votata all’unanimità». Che augurio fareste alla conclusione del Sinodo? «Tantissimi auguri! Sperare che, poco a poco, tutte le famiglie possano scoprire la ricchezza che ciascuna contiene in sé, in qualunque stato o situazione si trovi – “regolare” o “irregolare” -, se vive essendo davvero famiglia, per far crescere la società intera: una crescita di umanità». (altro…)
«È stato il Figlio di Dio, Gesù Cristo, a farci conoscere il vero volto di Dio e il vero volto dell’uomo e della donna. Dio è Padre, è Figlio, è Spirito Santo. Non si tratta però di tre dei, ma di un Dio in tre Persone, nell’espressione lungamente elaborata nella dottrina trinitaria. Questa dottrina la Chiesa la ha approfondita e conservata integra nei secoli. Oltre a trovare un linguaggio corretto nella sua professione di fede, la Chiesa ha sempre adorato le Tre divine Persone. La teologia spirituale trinitaria ha offerto fino adesso un rapporto profondo dei discepoli di Gesù con ognuna delle Tre divine Persone. La Parola di Dio non ci presenta Dio solamente come Spirito perfetto, creatore del cielo e della terra, (come appare nel Secondo Catechismo della Dottrina Cristiana), ma afferma: “Dio è amore” (1 Gv 4,8.16). Sant’Agostino ha cercato di approfondire la strada dell’amore in Dio ed è arrivato ad affermare che Dio è l’Amante, l’Amato e l’Amore. Lui però si è sentito incapace di perseguire questa strada e ci ha lasciato l’approfondimento di questo mistero nell’uomo e nella donna nelle tre qualità: intelligenza, memoria e volontà. È rimasto, però, senza sviluppo sufficiente l’approfondimento intorno al mistero di Dio Amore. Nel momento attuale in cui la cultura afferma l’individuo al punto di cadere in un individualismo esasperato, in cui abbiamo difficoltà di realizzare la sintesi tra unità e diversità nei rapporti umani in questo mondo globalizzato, in cui ancora le relazioni umane sono rivalutate in tutte le direzioni, ci pare opportuno cercare nella Santissima Trinità, quale fondamento essenzialmente cristiano, il cammino per la realizzazione dell’amore come identità umana. Cos’è l’amore? Come capire e sperimentare l’amore? Il nostro cammino deve essere trovato nel cammino di Colui che è venuto a noi dal seno del Padre, cioè, il Figlio. Per trovare l’uomo, Dio, che è amore, si è fatto piccolo (Nazareth, Maria, Giuseppe, Betlemme, fuga in Egitto. Croce) (cfr testo di Paolo Fil 2,5-11). L’amore passa attraverso l’incarnazione ed il mistero pasquale. L’amore si fa piccolo per poter trovare l’altro. Questa è la dimensione kenotica dell’amore. Senza questa strada è difficile per l’uomo e per la donna trovare il cammino di rapporto con Dio, ma anche di rapporto con l’altro, sia uomo o sia donna. In questo senso mi pare che possiamo trovare il cammino trinitario dell’antropologia, non solo pensata, ma sperimentata». Fonte:Città Nuova online(altro…)
«Anche noi abbiamo avvertito il desiderio di far qualcosa per tutte le famiglie bisognose della città. Ed abbiamo scoperto che qui a Teramo la Caritas gestisce un emporio dove raccolgono beni di prima necessità per chi ha bisogno. Così, insieme ai nostri genitori , siamo andati a visitare questo emporio ed avendo scoperto – con tanta gioia – che ci sono fornai in città che donano non solo pane avanzato ma anche fresco di giornata, abbiamo deciso di portare uova, marmellate, carta igienica, salviette rinfrescanti (perché, come ci hanno suggerito, sostituiscono l’acqua). Abbiamo riempito tre carrelli di doni!!! Siamo stati davvero tutti felici, grandi e piccoli, perché abbiamo scoperto un modo per aiutare le persone che non hanno niente da mangiare. Ora che conosciamo questo supermercato speciale, torneremo ancora e cercheremo di coinvolgere anche i nostri amici». (I e le gen4 e gen3 di Teramo, Italia) (altro…)
Una celebrazione solenne, presenti tutti i Padri sinodali, delegazioni, ambasciatori e Papa Francesco – con un discorso definito tra i più importanti del suo pontificato – quella del 17 ottobre in Aula Nervi, che ricordava i 50 anni dall’istituzione del Sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI. «Un capolavoro», afferma la presidente dei Focolari Maria Voce riferendosi in un commento a caldo al discorso del Papa. «Ha mostrato che non può esistere un cammino della Chiesa se non sinodale. Mi ha colpito il suo sottolineare l’importanza del sensus fidei, cioè il senso della fede, e l’infallibilità del popolo di Dio che insieme ascolta lo Spirito Santo, esprimendo così la fede della Chiesa. E questo parte sempre dal basso. Così tutte le figure giuridiche collegiali nate dopo il Concilio Vaticano II – ci fa capire Papa Francesco – se non vivono questa sinodalità, partendo dalla gente a cui si rivolgono, non servono alla comunione. Sono maschere». «E poi il primato del servizio: “Non dimentichiamolo mai!”, dice il Papa. “Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce, secondo le parole del Maestro: ‘Voi sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo’ (Mt 20,25-27). Tra voi non sarà così: in quest’espressione raggiungiamo il cuore stesso del mistero della Chiesa – ‘tra voi non sarà così’ – e riceviamo la luce necessaria per comprendere il servizio gerarchico”. E parla di “piramide capovolta”, un’espressione in cui da qualche tempo ci sforziamo di rispecchiarci, proprio nel senso in cui lui la spiega: “il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano “ministri”: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti”».
Foto SIR
Nel discorso emerge ancora una volta la sintonia tra papa Francesco e il patriarca Bartolomeo I: «L’impegno a edificare una Chiesa sinodale – missione alla quale tutti siamo chiamati, ciascuno nel ruolo che il Signore gli affida – è gravido di implicazioni ecumeniche. Per questa ragione, parlando a una delegazione del patriarcato di Costantinopoli, ho recentemente ribadito la convinzione che “l’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese”». «Una sintonia – sottolinea Maria Voce – che non è solo a proposito dei problemi del creato, espressa nell’enciclica Laudato si’; è proprio questo sentire sinodale della Chiesa che spinge il Papa ad aprire una porta per dire: dobbiamo metterci insieme. Una responsabilità che lo spinge a cercare come fare per arrivare a dei passi concreti verso la piena comunione. Perché è solo nella piena comunione di tutti i cristiani che si esprime la sinodalità della Chiesa». Infine, commenta Maria Voce, «la ricerca non del compromesso, ma di quello che lo Spirito Santo ci vuole dire, è una sfida che richiede una grande unità di tutta la Chiesa. Abbiamo parlato con diversi partecipanti al Sinodo sulla famiglia in corso in questi giorni, anche con la famiglia di focolarini sposati della Colombia, María Angélica e Luis Rojas, e tutti ci chiedevano di pregare. Allora intensifichiamo la preghiera come se fossimo noi lì a cercare di capire come venire incontro alle angosce e alle difficoltà della famiglia nel tempo moderno, e a guardare la famiglia nel disegno di Dio». La motivazione e le dense parole di Paolo VI che accompagnarono l’istituzione del Sinodo dei Vescovi il 15 settembre 1965 sono particolarmente importanti per il Movimento dei Focolari, proprio perché l’istituzione del Sinodo, spiega Maria Voce, «ha portato un’aria nuova nella Chiesa, una svolta: quella della collegialità, della comunione, del passaggio da un modo di condurre la Chiesa individuale, piuttosto gerarchico, ad un modo collegiale». «Come Movimento dei Focolari, come movimento dell’unità, non potevamo quindi non prendere in considerazione questo avvenimento, e ho accolto con gioia l’invito del cardinale Baldisseri a partecipare alla commemorazione». Con i Sinodi, infatti, si attua una sorta di prosecuzione del Concilio Vaticano II: «Paolo VI, evidentemente mosso dallo Spirito Santo, dopo aver fatto quell’esperienza conciliare così bella, che aveva portato alla Chiesa realtà nuove – basti pensare ai documenti Gaudium et Spes, Lumen Gentium, Nostra Aetate – aveva sentito che questa esperienza doveva continuare». “Sinodo”, infatti, vuol dire proprio “cammino insieme”, come hanno spiegato sia il card. Schönborn nel suo intervento sulla nascita del Sinodo dei vescovi e sui vari Sinodi, sia con forza il Papa. Significa, quindi, che «la Chiesa sta camminando, insieme. Non il Papa da solo, i vescovi da soli, il popolo di Dio da solo, i laici da soli: questo cammino lo fa la Chiesa, in cui tutti hanno qualcosa da dire e da dare». Leggi anche: comunicato stampa sulla partecipazione dei Focolari alla commemorazione del 50° del Sinodo dei vescovi. (altro…)
«Abito a Nicosia (Cipro) e sono nata e cresciuta in una famiglia ortodossa che lo era piuttosto di nome. . .Non c’era profondità, non c’era un rapporto con Gesù. Anzi, Dio era l’alleato e il monopolio dei nostri genitori, nei casi in cui noi dovevamo obbedire ai loro comandi. Finito il liceo, ho vinto una borsa di studio per studiare odontoiatria a Budapest, in Ungheria. È stato difficile adattarmi a questa nuova realtà: per la prima volta da sola, lontana dalla mia famiglia, dovevo abituarmi a vivere con persone sconosciute. Allora era lontano lo spirito multiculturale che si respira adesso. Ero piena di pregiudizi e in una atteggiamento di rifiuto. In quell’anno ho incontrato grandi delusioni, anche con gli amici. Nel frattempo dentro di me è iniziata una ricerca profonda di una vita più autentica. Nel nuovo collegio ho conosciuto una ragazza ungherese. Mi aveva colpita la sua allegria, e anche l’accoglienza verso tutti. Si era addirittura offerta di aiutarmi con l’ungherese. Delusa dalle amicizie precedenti, il suo modo di fare mi ha incuriosito. Mi chiedevo: sarà sincera o farà finta? Ma… ho cominciato a fidarmi di lei. Condividevamo tutto: gioie, dolori, insuccessi. Anche beni materiali. Quando andava dalla sua famiglia, in un paesino a 50 km da Budapest, il fine settimana, mi portava spesso con lei, perché non sentissi la mancanza della mia famiglia. Era una famiglia di contadini, con un amore grande e una calda ospitalità. Ma c’era un punto di domanda: ogni giorno ad un’ora precisa e una sera alla settimana, lei spariva senza dare spiegazioni. Sapevo solo che era con altre amiche. Si trattava – ho poi scoperto – di alcune ragazze che formavano il gruppo delle giovani della nascente comunità del Focolare in Ungheria. In quei tempi – si era sotto il regime socialista -, qualsiasi persona che venisse scoperta coinvolta in un movimento religioso era perseguitata con gravi conseguenze, come per esempio la perdita del lavoro o del posto all’Università. Un giorno, però, lei ha sentito che poteva confidarsi con me: mi ha detto come aveva conosciuto il Movimento dei Focolari. Un sacerdote nel suo paesino le aveva raccontato la storia di Chiara Lubich, di una giovane come noi, della nostra età, e come l’avesse colpito il fatto che lei, durante la seconda guerra mondiale, vedendo che nella vita tutto crollava sotto le bombe e non rimaneva nessun ideale, ha voluto fare di Dio l’ideale della sua vita e vivere secondo la Sua volontà. E mi ha spiegato che si incontrava con queste amiche, e insieme cercavano di fare propio questo: mettere Dio al primo posto della loro vita, vivendo ogni giorno la Parola di Vita, una frase del Vangelo con una spiegazione di Chiara, scambiandosi poi le esperienze dalla vita quotidiana e facendosi cosi dono una all’altra!! Tutto questo mi ha toccato profondamente, ho cominciato a leggere il Nuovo Testamento che mai avevo aperto prima, e questo è stato decisivo per il mio futuro. La vita ha cominciato a cambiare: ogni persona che incontravo durante la giornata non potevo più né ignorarla, né giudicarla, né tantomeno sottovalutarla perché ormai in me era entrata un’altra mentalità: siamo tutti figli di un Unico Padre e quindi fratelli fra di noi. Ogni persona era candidata all’unità (chiesta da Gesù: Padre, che tutti siano uno): buona, cattiva, brutta, antipatica, grande o piccola. Dentro di me si è risvegliata la teologia patristica vissuta, e in particolare quel: “Vedo il mio fratello, vedo il mio Dio” di San Giovanni Crisostomo. Hanno cominciato a crollare i muri dei pregiudizi che avevo dentro di me. Capivo che il Vangelo non era qualcosa che si legge solo in chiesa e basta, ma che poteva portare una rivoluzione, se lo prendevamo sul serio e lo trasformavamo in vita ovunque: all’Università, nella fabbrica, nell’ospedale, in famiglia! In tutto questo entusiasmo e gioia che ormai riempiva la mia vita, c’era un grande dolore: le altre ragazze erano tutte cattoliche ed io ero l’unica ortodossa. Loro partecipavano ogni giorno alla santa Messa. Avevo il grande desiderio di essere con loro in quei momenti, ma mi hanno suggerito di cercare la mia chiesa ortodossa lì a Budapest, per poter andare alla Liturgia e ricevere l’Eucaristia. Questa separazione era dolorosa, ma Chiara invitava i membri del Movimento appartenenti ad altre Chiese cristiane ad amare la propria chiesa, così come lei aveva fatto con la sua. Questa spiegazione mi ha dato una grande pace e ancora una volta si é confermato in me che la sapienza, l’amore, e la discrezione che Chiara aveva nei confronti dei credenti delle altre Chiese non poteva che essere frutto di un intervento di Dio nella nostra epoca. Ho trovato la Chiesa ortodossa, che ho cominciato a conoscere. Sono andata ogni domenica e con la benedizione del sacerdote ho potuto prendere la comunione ogni volta che c’era la liturgia. In questo nuovo inizio non mi hanno mai lasciata da sola. Tante volte le altre ragazze cattoliche sono venute con me. La vita Liturgica e sacramentale non è stata più una cosa formale, ma la coltivazione di un rapporto d’amore con Gesù, l’attivazione della grazia di Dio nel mio cuore che mi ha aiutato nella lotta quotidiana e ha moltiplicato i frutti dell’amore, della gioia e della pace dentro di me». Esperienza raccontata a Istanbul, il 14 marzo 2015, in occasione della presentazione dei primi volumi di Chiara Lubich tradotti in greco.(altro…)
“Un evento storico”, “non si può più tornare indietro”, “solo in comunione potremo risolvere i problemi del Messico”. Espressioni queste che echeggiano gioiose negli affollati corridoi del Centro Expositor, una funzionale struttura d’avanguardia che impreziosisce il già ricco patrimonio architettonico della città di Puebla. Lo slogan “Giovani, famiglia e vita, uniti nella gioia della nuova evangelizzazione”fa da sfondo ai tre giorni di convegno (16-18 ottobre). Ad accompagnare la riflessione comune, una carrellata di relazioni e tavole rotonde in plenaria, con approfondimenti per gruppi di interesse – una ventina in simultanea – che rafforzano nelle migliaia di partecipanti l’autocoscienza dell’importanza del ruolo sociale che scaturisce dal dono di appartenere ad un movimento della chiesa. La prima relazione è di Anna e Alberto Friso, membri del Pontificio Consiglio per la Famiglia, che si soffermano sulle sfide di un’istituzione sempre più sotto attacco per l’influenza dell’individualismo ma che rimane una luce per la società, proprio perché ‘piccola chiesa’. Sul palco si susseguono personalità accademiche e della società civile, membri delle più prestigiose istituzioni del Paese come IMDOSOC, Mexicanos Primeros, A favor de lo mejor, México Evalúa, ecc. offrendo spunti interessanti per comprendere la realtà di questo Paese nordamericano, secondo le diverse sfaccettature: politica, mass media, educazione, azione sociale.
Margaret Karran (seconda da destra)
Fra le testimonianze anche tre artisti messicani di fama internazionale, come Liana Rebolledo, Eduardo Verástegui ed Emanuel. Toccante il racconto di Margaret Karran, focolarina arabo-cristiana di Haifa che fino a qualche tempo fa ha vissuto in Terra Santa, a contatto con le diverse espressioni religiose lì presenti. Momento culmine della manifestazione una tavola rotonda con alcuni esponenti di movimenti fra cui Jesús Morán. Nel suo intervento il copresidente dei Focolari, che per diversi anni ha guidato il movimento in Messico, mette in luce il messaggio mariano di Guadalupe, esortando a passare dalla devozione a Maria all’essere Maria. Ed invita tutti, persone e movimenti in quanto tali, a vivere gli uni per gli altri, secondo il modello trinitario. Più che un incontro, Insieme per il Messico è un’esperienza di unità nella diversità, un’iniziativa sorta sette anni fa con l’appoggio della Conferenza Episcopale Messicana, per favorire la comunione fra carismi e giungere ad un lavoro comune. Uno spazio storico da cui ora prende ufficialmente il via la piattaforma del Volontariato Nazionale Cattolico, coinvolgendo in sinergia le migliaia di iniziative sociali già in atto e quelle che sorgeranno grazie all’impegno di rinnovare, in unità, ciascuno il proprio ambiente. (altro…)
Ore 15:00 – S. Messa presieduta da Mons. Micchiardi Vescovo di Acqui
Ore 16:00 intitolazione della scuola media di Sassello a Chiara Luce Badano
Possibilità di visita alla cameretta di Chiara Luce Badano accompagnati dai genitori
Torregrotta (ME)
Ore 18:00 – S. Messa nella Chiesa di San Paolino
A seguire fiaccolata
Dasà (VV)
Ore 17:00 – “C’era una volta una piccola Luce…” – Momento di preghiera animato dai giovani nella Chiesa di San Nicola e San Michele
Niscemi (CL) Io ho tutto – Serie di eventi promossi dalla parrocchia del Sacro Cuore di Gesù, con la presenza di M.Grazia Magrini, vicepostulatrice della causa di canonizzazione.
25 ottobre Ore 9:30 Gara Podistica in onore a Chiara Ore 11:00 – S. Messa con i bambini e premiazione
26 Ottobre Ore 20:00 Incontro con la parrocchia
27 Ottobre Ore 9:30 incontro con gli studenti del Liceo Ore 16:00 incontro con i bambini del Catechismo
28 Ottobre Ore 9:30 incontro con gli studenti del Liceo Ore 16:00 incontro con i bambini del Catechismo Ore 20:00 Incontro/Testimonianza con i Giovani GEN
28 Ottobre Ore 20:00 – Fiaccolata e processione verso il Parco “Chiara Luce Badano”
Mondragone (CE)
31 ottobre – Giovani in festa con la beata Chiara Luce Badano – ore 18.00 Chiesa di San Rufino
«Il posto dei miei sogni, fin da piccola, era il Canada. Certo non avrei mai pensato di andarci e men che meno in una cittadina di nome Saskatoon, nelle praterie dello Saskatchewan. Ancora più bella è stata l’occasione che mi ha portato lì: sono andata per partecipare all’ultima sessione della Consulta tra l’Alleanza Evangelica Mondiale (World Evangelical Alliance – WEA) e il Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, di cui faccio parte dal 2009. Ricordo, allora, che certa dell’esperienza intrapresa con i luterani del Sud del Brasile, pensavo di ripercorrere una strada sicura. Ma, dal primo contatto, mi sono subito resa conto che si trattava di un’altra realtà. Incontravo un gruppo di Evangelicals – in alcuni Paesi vengono chiamati ‘Evangelici’ in altri ‘Evangelicali’–. Si annoverano tra loro un gruppo di cristiani di diverse confessioni: luterani, riformati, battisti, pentecostali, mennoniti e anglicani. Si identificano con un progetto missionario comune pur vivendo ed essendo Chiesa in modo molto diverso tra loro. I partecipanti erano tredici – cinque cattolici e otto evangelici –. Io ero l’unica donna e laica. I Paesi di provenienza dicono la ricchezza del gruppo: Brasile, Canada, Colombia, Filippine, Germania, Guatemala, Italia, Kenya, Spagna e gli Stati Uniti. Ho vissuto una settimana indimenticabile scandita dalla preghiera, studio, riflessione, e dalle discussioni, a volte anche accese. Cosa abbiamo in comune? Cosa ancora ci separa? Domande che ci hanno permesso di conoscerci meglio soprattutto a livello confessionale e missionario. La diversità incontrata è stata una immensa ricchezza e una seria sfida. Innanzitutto, abbiamo cercato di chiarire le nostre posizioni per cercare di superare i conflitti attraverso un dialogo vissuto nella verità e nella carità. Non è stato facile e le difficoltà non sono mancate. Abbiamo sperimentato il dolore delle divisioni. Ci siamo accorti che c’è una lunga strada da percorrere. Cosa fare? Lasciar perdere o andare avanti? Personalmente, ho scoperto che ogni ostacolo può diventare un’occasione di dialogo e un invito ad avere una misura di amore ancora più grande. Si tratta di affrontare le difficoltà alla luce del Vangelo: di lavorare come autentici discepoli di Cristo. Fra i cattolici vi erano vescovi, sacerdoti e laici. Anche noi, venendo da Paesi e realtà differenti, avevamo punti di vista diversi ma, insieme, abbiamo fatto una esperienza vitale della comunione piena e reale di cui godiamo. Comunione fraterna, che è nata lungo gli anni, insieme alla speranza che ognuno di noi può contribuire alla riconciliazione tra cattolici ed evangelicals nella propria terra. Attendiamo, intanto,la pubblicazione del rapporto finale di questa Consulta. Papa Francesco, come frutto di una esperienza personale di amicizia consolidata con loro, ha innescato una nuova “marcia” a questo dialogo. E, incoraggiati da lui, vorremmo promuovere dappertutto questa esperienza, perché è nella comunità locale che si può vivere insieme; è lì che ci perdoniamo vicendevolmente; è lì che possiamo dare la testimonianza richiestaci da Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri.” (Gv 13, 35)». (altro…)
Questi i numeri del tour brasiliano del Gen Rosso: il gruppo musicale con sede a Loppiano ha intrapreso sette progetti – uno per città – in collaborazione con la Fazenda da Esperança – comunità fondata nel 1983 da Frei Hans, Nelson, Lucy e Iraçi, chiamata Familia da Esperança – e con la prefettura di Guarapuava. La prima città toccata è stata Palmas, nello stato di Tocantins: lì Fazenda da Esperança ospita 25 persone in recupero da droga, alcool e violenza, che il Gen Rosso ha coinvolto – insieme a giovani da altre 4 Fazende di stati limitrofi – in un intenso laboratorio che, oltre a mettere in scena il loro musical Streetlight, prevede anche un cammino spirituale di comunione. Ai nove workshop artistici si sono uniti anche i giovani del Movimento dei Focolari, di varie parrocchie e movimenti della diocesi, per un totale di 170 giovani. Le due serate di spettacolo che ne sono nate hanno attirato 2300 persone, nonché l’emittente nazionale TV Globo, altre testate e le autorità locali civili e religiose. Anche la seconda e terza tappa di Caxias e Manaus, negli stati di Maranhão e in Amazzonia, hanno seguito lo stesso approccio: lo spirito è quello di coinvolgere i giovani, e in particolare quelli che hanno avuto un vissuto difficile, in un percorso di educazione alla pace e di riscoperta di una vita diversa tramite la musica, la danza e la condivisione. Numerose le testimonianze toccanti in questo senso: «Ho vissuto per due anni sulla piazza del teatro, dormivo su quella panchina di fronte, vivevo della spazzatura che trovavo… mai immaginavo che un giorno non solo avrei visto cosa stava dietro quelle porte, ma che sarei salito sul palco a dare a tutti la mia voglia di riscatto e di vita nuova», ha affermato un giovane di Manaus. «Conoscevo il teatro dalla porta dietro il palco. Ci entravo per rubare, e, quando era chiusa, era l’angolo dove mi drogavo. E ora sono qui a mostrare a tutti il meglio di me: che vita meravigliosa!», ha raccontato un altro. Significative anche le impressioni del numeroso pubblico – la festa conclusiva di Manaus ha coinvolto 6000 persone – : tra questi il vescovo di Caxias, che ha sottolineato come «questa è una forma di evangelizzazione che arriva direttamente al cuore dei giovani e poi dal palco fino al pubblico in modo inequivocabile e coinvolgente», e diversi giornalisti che hanno dato ampio spazio all’iniziativa nelle proprie testate di riferimento. La tournée prosegue poi per Garanhuns (Pernambuco), Casca (Rio Grande do Sul), Guaratinguetá (San Paolo) (altro…)
Convinto e attivo protagonista nel cammino ecumenico e nel dialogo tra persone di diverse religioni e promotore di giustizia, pace e rispetto dell’ambiente: sono alcune tra le motivazioni del dottorato Honoris Causa in Cultura dell’unità che lo IUS conferisce a Sua Santità Bartolomeo I, Patriarca ecumenico di Costantinopoli. È il primo dottorato h.c. del giovane centro accademico fondato da Chiara Lubich, che ha sede a Loppiano, la cittadella dei Focolari vicino Firenze. «Oggi il mondo ha bisogno di figure che cerchino l’unità della famiglia umana – ha spiegato il teologo Piero Coda, preside dell’Istituto Universitario – e il Patriarca svolge un’azione costante e illuminata a servizio di una cultura che mira a riportare la fraternità al centro della storia dell’umanità».Bartolomeo I è figura di riferimento nel complesso panorama contemporaneo. Alcune tappe recenti lo hanno visto protagonista di un cammino d’unità su più fronti: la dichiarazione congiunta con Papa Francesco a conclusione del pellegrinaggio a Gerusalemme, il 25 maggio 2014; la sua presenza in Vaticano, l’8 giugno 2014, assieme al Presidente Abu Mazen e al Presidente Shimon Peres, per pregare con il Papa per la pace in Terra santa. Bartolomeo I è anche noto come leader spirituale del movimento cristiano per l’ambiente. Il suo pensiero è stato riportato ampiamente da Papa Francesco nell’enciclica Laudato Sì. Il 3 dicembre prossimo, a margine della Conferenza ONU a Parigi sul cambiamento climatico, gli è stata affidata la predicazione nella celebrazione ecumenica per la salvaguardia del Creato presso la cattedrale di Notre-Dame. Tra il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e il Movimento dei Focolari intercorre una storia di lunga data, raccontata anche attraverso immagini inedite. Essa ha inizio con l’incontro tra il Patriarca Athenagoras I e Chiara Lubich. Sono stati ventitré gli incontri, tra il 1967 e il 1972, di Athenagoras I con la fondatrice dei Focolari, che è così diventata messaggera tra Papa Paolo VI e il Patriarca. I rapporti sono poi continuati con il suo successore Demetrio I. I contatti con l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I sono proseguiti nello stesso spirito di amicizia spirituale. Pochi giorni prima della morte di Chiara (14 marzo 2008) Sua Santità Bartolomeo I le ha fatto visita all’ospedale Gemelli di Roma: «Ho voluto venire qui per portare il saluto mio personale e del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli alla carissima Chiara Lubich, che tanto ha dato e dà con la sua vita alla Chiesa intera». Due anni dopo ha accolto al Fanar Maria Voce, neoeletta presidente dei Focolari: «Deo gratiasper la vostra amicizia, per la vostra visita, per i frutti del vostro Movimento, per la continuazione di quest’opera di Dio che rende gloria al Suo nome». L’attuale evento – che s’inserisce nella cornice del 50° anniversario della nascita della cittadella di Loppiano – mette un altro tassello al rapporto di stima e collaborazione tra il Patriarcato di Costantinopoli e il Movimento dei Focolari. Il conferimento avrà luogo il 26 ottobre prossimo alle 17.00 all’Auditorium del Centro internazionale dei Focolari e sarà possibile seguire l’evento anche in diretta internet (www.loppiano.it). Leggi anche: Comunicato StampaPatriarca Bartolomeo I – scheda biograficaRapporti fra il Patriarcato Ecumenico e il Movimento dei Focolari – schedaIstituto Universitario Sophia – schedaLoppiano – scheda(altro…)