Movimento dei Focolari
Il gesto di Papa Bergoglio

Il gesto di Papa Bergoglio

“Andate avanti senza farvi rubare la speranza”, questo il messaggio con cui Papa Francesco ha salutato i giovani detenuti del carcere minorile di Casal del Marmo di Roma al termine della celebrazione eucaristica del Giovedì Santo. Durante la liturgia il Papa ha lavato i piedi a 12 giovani detenuti di nazionalità e confessioni diverse. Tra loro due ragazze, una italiana di religione cattolica e una serba di fede musulmana. Papa Bergoglio ci sta abituando ogni giorno a gesti forti, inconsueti e spesso rivoluzionari. In particolare questo gesto ci colpisce, per il luogo in cui si è svolto e per il fatto che il papa abbia allontanato le telecamere. Carlo Tedde, imprenditore sociale dell’Economia di comunione (EdC) e presidente di un consorzio di cooperative sociali in Sardegna, il Consorzio Solidarietà, oltre che rappresentante di Confcooperative Sardegna ha al suo attivo anche anni di lavoro con la Cooperativa Elan che gestisce la lavanderia del carcere minorile di Cagliari. Carlo, che impressione ti ha fatto questo gesto del papa? «Mi sembra che esprima la radicalità del Cristianesimo: oggi, in un mondo in cui sembra che conti solo l’apparenza, questo non è un atto fatto “per apparire”. È un gesto fortissimo ma semplice, fatto con gioia da un papa che lo fa perché ci crede. Un gesto che ci fa tornare alla purezza del messaggio di Gesù e ci aiuta a restare nel percorso più vero del cristianesimo». Come leggi il fatto che papa Bergoglio abbia scelto proprio un carcere minorile per celebrare il Giovedì Santo? «Per me è un fatto molto importante. Ho una esperienza personale su questo: sono stato in un momento molto difficile della mia vita in un carcere minorile in Inghilterra, dopo aver toccato tutti i fondi possibili. Quello che avevo dentro di me era una energia fortissima, quella di un ragazzo con tutta la vita davanti, una energia che andava rimessa nella direzione della speranza. In quel momento, quando anche la mia famiglia si era stufata delle mie malefatte, in quella struttura ho trovato persone che hanno avuto fiducia in me e questo mi ha dato lo slancio che mi ha permesso di ripartire. Ieri il papa decidendo di lavare i piedi “ai più piccoli” e scegliendo un tipo di struttura che spesso, anche per la burocrazia soffocante, non riesce a fare quello che dovrebbe, ha voluto dare speranza; il suo gesto rappresenta davvero il punto di forza di una fede che riparte dalle cose più semplici, dagli ultimi; degli “ultimi” che, però, a ben pensarci, sono anche “i primi”, i nostri ragazzi. La speranza è contagiosa, dare speranza a loro significa dare speranza a tutti». di Antonella Ferrucci Fonte: EdC online (altro…)

Il gesto di Papa Bergoglio

Felice di ricominciare (mi confesso perché)

“Con il sacramento del battesimo Dio, che ama ciascuno immensamente, ha posto nel nostro cuore una scintilla del suo immenso Amore. Con il nostro contributo possiamo farla crescere e diventare una fiamma sempre più grande. Ma può accadere che essa anche diminuisca. Come farla tornare viva?»: attraverso un linguaggio semplice Anna Lisa Innocenti spiega ai bambini il sacramento della Riconciliazione disegnando un percorso di accompagnamento delicato e profondo, soprattutto utile in occasione della Prima Confessione.

Le pagine si arricchiscono di brevi testimonianze e schede attive sul tema del perdono. Box posti a margine spiegano parole chiave come “peccato”, “misericordia” o citazioni dall’Antico e Nuovo Testamento.
Un volumetto che parla diretto al cuore dei bambini.
Anna Lisa Innocenti, laureata in Filosofia e in Scienze della Comunicazione Sociale, è web editor per il sito del progetto didattico internazionale Schoolmates . Cura momenti di formazione nell’ambito della comunicazione per ragazzi, genitori ed educatori. Collabora con Città Nuova per il progetto di catechesi “Viviamo il Vangelo” ed è autrice di testi indirizzati in particolare ai teenager.

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Oltre i malumori e il disagio

Tutto è cominciato da una domanda: Cosa possiamo fare per la nostra città, Jànoshalma? “ Il primo passo è stato fare un Patto tra noi – ricorda M. C. –: ci siamo promessi di mettere in pratica il comandamento nuovo di Gesù: Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati. (Gv 15, 12) condividendo le gioie, i dolori, i beni, le esperienze. E, nello steso tempo, ci siamo impegnati ad avere questa misura d’amore anche con la nostra città. Un patto d’amore reciproco che ha richiesto tempo, energie e sacrifici. Tante volte abbiamo dovuto ricominciare. Insieme abbiamo dato vita all'”Associazione per Jànoshalma” che adesso ha 25 soci. Tante le idee che sono nate: aiutare i poveri, realizzare con i giovani programmi per i loro coetanei, fare mostre per valorizzare le tradizioni. Nelle nostre attività abbiamo anche stabilito una stretta collaborazione con alcuni istituti. Attraverso queste azioni oltre cento persone sono venute in contatto con noi. Tra le attività che desideravamo attuare c’era la ristrutturazione di un parco cittadino, molto rovinato. Coscienti che né nella nostra Associazione né in Comune c’erano i soldi necessari, ci è venuta l’idea di una raccolta di carta. Ci siamo messi in contatto con i negozi, ma il ricavato dell’azione è stato poco e ci è venuto allora in mente di organizzare un ballo di beneficenza nel centro della città. Questa volta il ricavato ha superato ogni attesa. Abbiamo contattato il Comune e la nostra proposta di usare quel denaro per la ristrutturazione del parco è stata accolta. Poco tempo dopo c’è stata l’inaugurazione e, poiché il parco non aveva ancora un nome, ci è venuta l’idea di promuovere un concorso per scuole e asili. Oltre 100 bambini hanno partecipato. In occasione della proclamazione del vincitore abbiamo preparato una festa e invitato i bambini. Per due anni abbiamo anche collaborato al programma di “abbellimento della città”, adesso il Comune ha delle persone che si occupano di questo aspetto. Abbiamo continuato invece il lavoro per i poveri, del quale c’è estremo bisogno, che ha portato alla nascita di una rete sociale. Poco tempo fa, vedendo la difficile situazione della sicurezza pubblica, abbiamo organizzato un’altra festa per raccogliere fondi. Molti non capivano il motivo del nostro sforzo, pensando che la sicurezza fosse di competenza dello Stato. In tanti, comunque, sono intervenuti appoggiando l’iniziativa con notevoli contributi. “Sono venuto  a questa festa – diceva uno dei presenti – perchè so che quello che promettete poi lo realizzate”». M. C. – Ungheria (altro…)

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È arrivata “Primavera”

«La nostra storia è stata, e lo è ancora, un cammino lungo e a volte accidentato, ma crediamo che i nostri figli e la nostra famiglia siano il regalo più bello che c’è stato donato. Il nome della nostra bambina più piccola è già una promessa; in vietnamita significa “Primavera”. Quando eravamo sposati da poco abbiamo incontrato una bimba splendida di circa un anno, affidata ad un centro per bambini gravemente disabili dove mia moglie, nell’ambito di un progetto internazionale in Asia, faceva volontariato. Dopo un periodo di affido, ci viene prospettata l’idea di adottarla. Vivendo con lei, abbiamo sperimentato come la maternità e la paternità siano un legame “di anime”, che va oltre gli aspetti biologici. Purtroppo la burocrazia ci ha costretto a rinunciare al nostro progetto. La tristezza è stata grande, ma la gioia è tornata con la nascita, sempre in Asia, del nostro primo figlio. Questa lunga esperienza è stata il primo incontro con la cultura diversa e affascinante dell’Oriente, dove abbiamo vissuto due anni e con cui abbiamo mantenuto un legame forte. Rientrati in Italia, nel 1999 nasce il nostro secondogenito e poco dopo ritorna anche l’idea dell’adozione. Nel 2002 decidiamo di rivolgerci ad Azione per Famiglie Nuove – onlus (AFN)  del Movimento dei Focolari   La strada percorsa è stata bella ma anche faticosa. Il primo agosto 2005 ci chiamano per dirci che dobbiamo prepararci a partire per il Vietnam il prima possibile. Vi restiamo un mese: un’avventura bellissima. Il nostro primogenito di nove anni ci ha detto: «È stato come partorire tutti insieme». Visitiamo Saigon e conosciamo le origini di nostra figlia. Se ripensiamo a quel periodo, ci si affollano nella mente tante istantanee: forse la più emozionante è il primo incontro, quando mia moglie la prese in braccio per la prima volta e poi tutti noi: in quei frangenti abbiamo avuto la sensazione di tenere tra le braccia un pulcino smarrito. Dopo qualche giorno si affaccia qualche sorriso; il primo lo ha rivolto ai suoi fratelli, come se avesse sempre saputo quale importante ruolo avrebbero giocato nella sua vita e per tutta la nostra famiglia. Hanno saputo “farle spazio” come quando il secondogenito, che aveva sei anni e amava stare in braccio a papà, di fronte alle proteste della sorellina si è offerto di cederle il suo posto. La “rete” di famiglie che frequentiamo da quando siamo rientrati in Italia è una parte importante dell’esperienza che stiamo vivendo. È come un’unica grande famiglia allargata fatta di famiglie adottive dal Vietnam e da altri Paesi. Si affrontano anche lunghi viaggi per potersi incontrare e far crescere questi figli nella consapevolezza che l’adozione è un’esperienza naturale che tante famiglie vivono. È una grande opportunità per sperimentare che l’amore è possibile tra persone di origini diverse. La nostra piccola ora ha quasi nove anni, sta crescendo ed è una splendida bambina, ben inserita, sia a scuola che nella famiglia allargata. Con i suoi fratelli ama naturalmente giocare a giochi “da maschio”, ma ha mantenuto delicatezza e una dolcezza incantevoli. Ha diversi interessi e ama molto la musica e il ballo. Così le abbiamo proposto di frequentare con la mamma delle lezioni di arpa celtica che, per il momento, è contentissima di seguire. Oggi viviamo una fase diversa, i figli più grandi stanno entrando nel periodo dell’adolescenza. È una nuova sfida che si presenta, con gli alti e i bassi che la caratterizzano. Gli ultimi anni, così belli ma anche così intensi, ci hanno portato a focalizzarci molto sui bisogni e sull’inserimento della bimba più piccola ed ora dobbiamo forse recuperare qualche passaggio con gli altri due, ma la ventata di “primavera” che ci è stata donata otto anni fa, con la sua voglia di vita spumeggiante e la sua dolcezza forte così tipica del suo Paese d’origine, ci aiuta a superare anche le giornate più difficili e burrascose. a cura di Marzia Rigliani Fonte: Spazio Famiglia, Bollettino mensile di AFNonlus, marzo 2013, pag. 12-13 (altro…)

Aprile 2013

«Non lamentatevi fratelli gli uni degli altri» Già nell’epoca apostolica si poteva notare dunque quello che anche oggi vediamo nelle nostre comunità: le difficoltà più grandi a vivere la nostra fede non sono spesso quelle che ci vengono dall’esterno, cioè dal mondo, bensì quelle che ci provengono dall’interno: da certe situazioni che vi si verificano e da comportamenti dei nostri fratelli, che non sono in linea con l’ideale cristiano. E ciò ingenera un senso di malessere, di sfiducia e di sgomento. «Non lamentatevi fratelli gli uni degli altri» Ma, se tutte queste contraddizioni e incoerenze più o meno gravi hanno la loro radice in una fede non sempre illuminata ed in un amore ancora molto imperfetto verso Dio ed il prossimo, la prima reazione del cristiano non dovrà esser quella dell’impazienza e dell’intransigenza, ma quella che Gesù insegna. Egli domanda la paziente attesa, la comprensione e la misericordia, che aiuta lo sviluppo di quel germe di bene che è stato seminato in noi, come spiega la parabola della zizzania (Mt 13, 24-30.36-43). «Non lamentatevi fratelli gli uni degli altri» Come vivere, allora, la Parola di vita di questo mese? Essa ci mette di fronte ad un aspetto difficile della vita cristiana. Anche noi facciamo parte di varie comunità (la famiglia, la parrocchia, l’associazione, l’ambiente di lavoro, la comunità civile), dove purtroppo ci possono essere tante cose che secondo noi non vanno bene: temperamento, modo di vedere, modo di fare di persone, incoerenze che ci addolorano e suscitano in noi reazioni di rigetto. Ecco, allora, tante occasioni per vivere bene la Parola di vita di questo mese. Al posto della mormorazione, o della condanna – come saremmo tentati di fare – metteremo la tolleranza e la comprensione; poi, nei limiti in cui è possibile, anche la correzione fraterna; e soprattutto daremo una testimonianza cristiana, rispondendo alle eventuali mancanze di amore o di impegno, con un maggior amore ed impegno da parte nostra.

 Chiara Lubich


  Parola di vita pubblicata in Città Nuova, 1989/22, p.9.

Il gesto di Papa Bergoglio

Pasqua. L’Amore infinito ci ama

«Sorellina mia in S. Francesco, Ho letto or ora così: S. Matilde[1] vide il Signore aprire la Piaga del Suo Cuore dolcissimo e dirle: «Ammira l’estensione del mio Cuore per ben conoscerLo; in nessuna parte tu potrai trovare più chiaro Amore che nelle parole dell’Evangelo, perché non se ne trovarono mai che esprimessero un Amore più forte e più tenero. “Come il Padre ha amato me, così io amo voi”». Non sempre forse tu pensi d’esser una creatura tanto preziosa: oggetto d’amore di Dio. Lui ti amava ancora prima che tu nascessi ed a Lui tornerai presto. Il tempo è un volo e un celerissimo Passaggio. S’avvicina la Resurrezione. Quanto vorrebbe augurarti il mio cuore, conscio del tuo Valore. Non c’è oro né universo intero che paghi la tua anima comprata dal Sangue d’un Dio. Ma, se posso raccogliere in poche parole, quello che ti vorrei dire, ascolta: Risorgi ad una vita nuovissima e credi che Dio ti ama. T’assicuro la pienezza del gaudio quaggiù e la vita un alleluia continuo. Ogni gioia vera è frutto degli unici due fiori che possono fiorire nel giardino dell’anima tua: Il desiderio forte d’essere amata e di amare. Il tuo piccolo cuore è un mistero dell’Amor di Dio. Canta solo quando un Amore Infinito lo ama e quando può amare un Amore Infinito. L’amore infinito ti ama. Credi. Che tu ami l’Amore infinito che è Dio, non so; lo spero e te lo auguro per la tua felicità. Passa in questa nuova Pasqua ad una continua donazione d’amore. Che quanto t’auguro, diventi realtà».

Chiara Lubich (Pasqua 1945)

(Pubblicata su: Chiara Lubich, Lettere dei primi tempi, Città Nuova Editrice, 2010)

 Fonte: Centro Chiara Lubich


[1] Santa Matilde di Hackeborn (1241-1299), monaca benedettina, mistica, che ebbe rivelazioni sull’amore di Gesù e sul suo Sacro Cuore.

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Le ragazze di Aleppo

«Un giorno, ad Aleppo sono entrati i ribelli nel quartiere dove tante di noi abitiamo. In quel momento eravamo su Facebook chattando tra noi. Preoccupazione, rabbia…, diversi i sentimenti di ciascuna. C’è chi, preso dalla paura scrive: «Si vede che anche Dio è contro di noi»; «No, Lui sta piangendo con noi»; «Ma questi qui ci hanno rovinato la vita»; «Cerchiamo di amare anche loro»; «Ma come?»; «Pregando che trovino anche loro l’amore». Alla fine abbiamo accettato la sfida di amare anche chi ci sta facendo del male. A dire la verità – scrive Mira da Aleppo – non sempre sto riuscendo a vivere l’ideale dell’unità come vorrei; l’odio che c’è attorno a me è riuscito quasi ad entrare nel mio cuore, ma non riuscirà a vincermi. Sono arrivata al punto che il mio sguardo verso la vita è diventato pessimista. Mi sono chiesta: come ha potuto Chiara Lubich vivere la situazione della guerra quando è iniziato il Movimento? Ma poi mi sono risposta: se lei ci è riuscita, vuol dire che magari anche io potrò farlo. Questo mi dà una spinta in avanti,  una spinta per ricominciare. Alle volte sento che dobbiamo cercare di amare come Gesù farebbe al nostro posto in Siria, per questo stiamo cercando di aiutare come possiamo; magari riusciamo a fare solo dei piccoli gesti. Vorrei chiedere a tutti di pregare perché, credetemi, le vostre preghiere ci daranno una grande forza. Spero che nessuno di voi viva questi momenti neri che noi viviamo o veda quello che noi vediamo. Scusatemi se ho scritto poco, cercavo di scrivere velocemente prima che stacchino l’elettricità. Chiediamo al Signore di dare la pace ai nostri cuori». E proprio questa catena di preghiere coinvolge ormai tanti nel mondo: è il “Time Out”, ogni giorno a mezzogiorno ora locale. L’idea nasce alle porte del 1° Supercongresso mondiale (1987), il grande appuntamento dei Ragazzi per l’Unità. Il nome è suggerito da un ragazzo che gioca a pallacanestro. A Chiara Lubich piace così tanto l’idea che durante la guerra del Golfo chiede il “permesso” di adottarla, per un tam-tam di preghiera per la pace. E nel dicembre 2012 Maria Voce lo ripropone: “solamente Dio può venire incontro al bisogno di pace che c’è nell’umanità. Ci vorrebbe veramente una preghiera forte, potente”, “con una fede rinnovata che Dio può farlo, che se si chiede in unità Dio viene incontro”. Fonte: Giornale Gen3 – n.1/2013 (altro…)

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La Pasqua più bella

© M. Cristina Criscola, ‘Amore scambievole’ – Loppiano, 1984

Carissimi, vorrei invitarvi a vivere i prossimi giorni pasquali alla luce di un pensiero di Chiara del  1981. Eccone alcuni stralci: Giovedì Santo «La nostra festa. Come oggi Gesù, tanti anni fa, ha dato ai suoi discepoli il comandamento nuovo, quel comando che è legge fondamentale e base di ogni altra norma per ciascuno di noi; come oggi Gesù ha pregato per l’unità: “che tutti siano uno”, come oggi ha istituito l’Eucarestia che lo rende presente fra noi e ha come effetto appunto la nostra unità con Lui e fra noi. E come oggi ha istituito il sacerdozio che rende possibile l’Eucarestia […]. Che sarebbe la nostra vita senza il comandamento nuovo, senza l’Eucaristia, senza l’Ideale dell’unità?». Venerdì Santo «Non c’è giorno migliore per rifare solennemente la nostra consacrazione a Lui (Gesù Abbandonato), rinnovando il nostro proposito di spendere la vita che abbiamo, amandoLo sempre, subito, con gioia». Domenica di Pasqua «Lui è risorto e Lui è la risurrezione e la vita anche per tutti noi». Come Chiara in quella occasione, anch’io vi auguro di cuore: Buona Pasqua a tutti e a ciascuno! Che sia la più bella della nostra vita. Maria Voce (Emmaus)


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Come frecciate di luce

La “luminosa esperienza” dell’estate 1949 –  esperienza spirituale e mistica di profonda unione con Dio alla base del nascente Movimento dei Focolari – viene raccontata da Chiara Lubich con un linguaggio suggestivo in un suo scritto del 1961, pubblicato postumo. Ispirandosi a tale testo il Gruppo di studio dell’area linguistico-letteraria della Scuola Abbà (il Centro Studi interdisciplinare dei Focolari) offre nel presente volume – con la prefazione di Alba Sgarigilia – un primo approfondimento di carattere linguistico-letterario di tale testo che costituisce la prima narrazione in sé completa, pur sintetica, di quanto vissuto dalla Fondatrice in quel periodo da lei chiamato “Paradiso”. «Parlerò e scriverò, comunicherò tutto con tutti i mezzi. (…). Sento in me tanta Luce che non sarebbero sufficienti tanti volumi quanti i fili d’erba del mondo»: così Chiara Lubich si esprimeva, a breve distanza dall’evento del Patto d’unità nell’estate del 1949. Basterebbe questo suo anelito per dare ragione dell’interesse che i suoi scritti hanno suscitato, sotto il profilo linguistico-letterario, in numerosi studiosi del suo pensiero non solo in Italia ma anche in altre nazioni d’Europa, in America Latina e in Asia. “Come frecciate di luce” – ardita immagine tratta dal racconto Paradiso ’49 da lei scritto nel 1961 e qui proposto all’attenzione dei lettori in apertura del libro – dà il titolo a una prima serie di contributi sull’argomento. (altro…)

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Quando la porta di casa è aperta

«Sandra, fin da piccola, ha sempre mostrato una grande apertura verso gli altri. Glielo avevamo insegnato noi, suoi genitori, eppure quando un giorno ci chiese di ospitare a casa nostra una sua amica con delle difficoltà, rimanemmo un po’ perplessi. Sandra, però, era così determinata, da non poterle dire di no. Decidemmo quindi di lasciar cadere tutti i pregiudizi e di accogliere la sua amica come una figlia. Questa ragazza, sentendosi amata, pian piano cominciò a rivelarci i suoi problemi familiari. Rimase con noi qualche giorno e quando partì ci ringraziò molto. In realtà, eravamo noi grati a nostra figlia, che ci aveva dato modo di aprire il nostro cuore e di creare un rapporto profondo con la sua amica. Con lei, in seguito, nostra figlia ha organizzato aiuti per i terremotati, raccogliendo una grande quantità di abiti, giochi e uova di Pasqua. Nostro figlio Massimo, da piccolo, ci aveva sorpreso, quando, aprendo la porta di casa ad un povero con un bimbo piccolo, era corso in camera a prendere un modellino di macchina, il suo preferito, per donarlo a quel bambino. Divenuto grande, ci è sembrato di vederlo allontanarsi da noi, indifferente a quanto gli dicevamo, insofferente alla nostra disponibilità verso gli altri. Come genitori sapevamo di non doverlo assillare con prediche, sicuri che Dio avrebbe continuato a indicargli la giusta strada. L’anno scorso, al momento di imbarcarsi sull’aereo che l’avrebbe portato all’estero per un periodo di studio, ci ha consegnato una lettera per i suoi amici, dicendoci che potevamo leggerla anche noi. Era un modo per rivelarci i tesori del suo animo che non avevamo saputo vedere. Un dono inaspettato che colmava un vuoto nei nostri cuori. Avevamo sempre cercato di trasmettere ai nostri figli l’apertura verso tutti. Così era cominciata anche la storia dell’amicizia con Joe. Con una sonora scampanellata. Quando aprimmo la porta, ci eravamo trovati davanti un giovane nigeriano che voleva piazzare qualche oggetto. Come tanti suoi connazionali, viveva facendo il venditore ambulante. Comprammo qualcosa, uno strofinaccio per la cucina, un piccolo attrezzo. Ma ci sembrò poco. Lo facemmo entrare, ci scambiammo i numeri di telefono, promettendogli che l’avremmo invitato a uno dei nostri incontri in parrocchia. Avvicinandosi il giorno dell’incontro, ci ricordammo di Joe. Eravamo in dubbio se chiamarlo, ma lui rispose con entusiasmo, dicendo: “Tutti sembrano gentili all’inizio, ma poi subito ti dimenticano”. Da allora abbiamo intrecciato con lui un legame forte, condividendo le difficoltà e cercando per lui un lavoro, cosa non facile a causa della sua situazione irregolare. L’abbiamo aiutato a trovare un alloggio, sostenendolo in molti. Joe si è poi sposato, ha avuto un figlio. Quando ci ha chiesto di fare da padrini al piccolo, con commozione abbiamo ripensato alla nostra lunga amicizia, una delle tante nate aprendo la porta di casa». (Maria Luisa e Giovanni, Italia) Da “Una Buona Notizia, gente che crede gente che muove”, Città Nuova Editrice, Roma 2012, pag. 134-135. (altro…)

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I Principi della democrazia

Decadenza della democrazia? In realtà, è più esatto parlare di declino di una sua forma incompiuta. Finora, infatti, ogni democrazia ha proclamato uguaglianza e libertà per tutti, ma al massimo li assicurava per qualcuno. Nel volume alcune delle principali teorie contemporanee della democrazia (da Kelsen a Rawls, da Dewey a Habermas, da Dahl a Sandel) al vaglio del principio dell’interdipendenza. Il risultato avvalora la necessità di elaborare un pensiero politico che recuperi pienamente il significato profondo della relazione fraterna nella più grande comunità politica. Alberto Lo Presti, direttore del Centro Igino Giordani, è docente di Teoria politica all’Istituto Universitario Sophia (Loppiano) e di Storia delle dottrine politiche alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino Angelicum. È autore di numerose monografie e pubblicazioni sulla storia del pensiero politico antico, medievale e moderno, e sulla teoria politica contemporanea. Fonte: Citta’ Nuova Online (altro…)

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La pienezza della gioia

Una vita trascorsa “al buio” eppure piena di Luce. È la storia di don Raffaele Alterio, sacerdote napoletano non vedente dal giorno della celebrazione della sua prima messa. Raggiunto il cinquantesimo anno di vita sacerdotale, ripercorre la sua storia: un mosaico di personaggi, fatti, gioie e difficoltà…. Una vita felice, gioiosa, pienamente realizzata nonostante la sua forte disabilità – e spiritualmente feconda che acquista nuovo slancio vitale con la conoscenza e l’adesione alla spiritualità del Movimento dei focolari. È la testimonianza di una eangelizzazione frutto prima di tutto dell’essere più del fare.

“Un libro che costituisce un vero sussidio nelle meditazioni quotidiane e nella riscoperta della più autentica e profonda dimensione umana” (dalla Prefazione al libro del Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Metropolita di Napoli)
Raffaele Alterio, sacerdote diocesano della parrocchia di Gesù Cristo Lavoratore (Casalatore, Napoli), ha pubblicato: Cinquant’anni di luce, la mia avventura di prete non vedente (2010).

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Giovani per la Siria!

Let’s Bridge, costruiamo ponti! Si ispira all’esperienza del Genfest svoltosi a Budapest nel settembre 2012 la parola chiave dello spettacoloYouth4Syria, giovani per la Siria. “Poiché le guerre hanno origine nello spirito degli uomini, è nello spirito degli uomini che devono essere innalzate le difese”; così recita l’Atto Costitutivo dell’ UNESCO, che, in virtù di principi e valori comuni, ha voluto conferire il proprio sostegno al Progetto Mondo Unito (United World Project), promosso dai Giovani per un Mondo Unito e presentato appunto durante il Genfest, cui è connessa l’idea di un Osservatorio sulla Fraternità. L’obiettivo è quello di rilevare iniziative volte alla costruzione della pace, della fraternità tra popoli di culture e religioni diverse e di rendere visibili le azioni in favore di un mondo più unito. Sulla base di questa unità di intenti nasce dunque “Youth4Syria”. Cuore della serata sarà l’incontro con Wael Salibe, giovane giornalista siriano, il quale racconterà la Siria di ieri e di oggi, attraverso esperienze personali e documenti audiovisivi. Seguirà un momento artistico realizzato grazie al concorso di diverse associazioni e da artisti che hanno aderito all’iniziativa; si succederanno brani strumentali, canti polifonici, poesie. Sarà possibile seguire la diretta via streaming attraverso la pagina facebook Youth4Syria dove si potranno lasciare messaggi e commenti all’evento, alcuni dei quali verranno letti nel corso della serata. L’evento si svolgerà presso la Chiesa Collegiata di Deliceto (FG), alle ore 20. L’intera somma raccolta sarà devoluta in favore dei rifugiati siriani attraverso l’Associazione AMU-Azione per un Mondo Unito che già opera il Libano ed in Siria. Chiunque volesse inviare un’offerta anche dopo o a distanza, può farlo tramite: – conto corrente postale 81065005 intestato a Associazione Azione per un Mondo unito – conto corrente bancario, intestato come sopra, presso Banca Etica, filiale di Roma, IBAN IT16 G050 1803 2000 0000 0120 434, specificando come causale: Gen Siria (altro…)

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Chiara Lubich. Attualità: leggere il proprio tempo

Per Chiara Lubich (1920-2008) l’attualità era via privilegiata per leggere i «segni dei tempi», apertura sull’eternità, attenzione ad ogni singolo uomo, piccolo o grande protagonista della Storia. Ne sono testimonianza anche le numerose interviste e articoli scritti sulla rivista «Città Nuova» dal 1956, anno della sua fondazione e dei suoi primi articoli, sino al 2005, data del suo ultimo contributo. Tra questi ne sono stati scelti una trentina, dai quali emerge con evidenza come l’iniziale intuizione non abbia mai abbandonato Chiara: seguire l’attualità vuol dire scoprire nella Storia la mano di Dio. Un testo che ci consegna un metodo di interpretazione dei fatti e delle notizie per dare, come lei, il proprio contributo alla società. Leggiamo nella prefazione, a firma del curatore, Michele Zanzucchi, direttore di Città Nuova: «Chiara Lubich nutriva una tale attenzione e un tale rispetto della verità che non tollerava nulla che offuscasse o travisasse la realtà. Leggeva così i ‘segni dei tempi’ – espressione da lei amatissima –, dando spazio al suo spirito profetico, per trovare insegnamenti per il presente. Non a caso nei suoi testi usava spesso le parole ‘oggi’, ‘presente’, ‘attualità’ […] luogo sommo della manifestazione di Dio nella Storia. Si leggano, ad esempio, gli articoli scritti dopo l’attacco delle Torri Gemelle per capire quanto il suo sguardo fosse profetico e controcorrente. Ma non faceva economia del passato, degli insegnamenti della storia. Si coglieva in lei la profondità dell’intera vicenda umana quando parlava di attualità: il patrimonio storico di pensiero e di avvenimenti gioiosi o tragici dell’umanità era per lei essenziale per capire bene il novum che vi si manifestava, e di conseguenza anche la novità portata dal carisma a lei affidato dallo Spirito. Il suo sguardo, inoltre, non dimenticava mai l’amore per l’uomo […] Non scriveva tanto per commentare l’attualità, ma per costruire il convivere sociale. Per edificare, come lei diceva, “un mondo più unito”». (altro…)

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Welcome to Wikiversity! Wikiversity is for learning. It is a place where you’ll find free learning materials and learning projects. Everyone can participate. There is no cost, no advertising, and no credentials are required. No degrees are awarded �_� just learning. Everyone can create and revise teaching materials. Anyone can participate in the learning activities. Everyone can take a course. Everyone can teach a course. There are no entrance requirements and no fees. All content in Wikiversity is written collaboratively, using wiki software, and everyone is welcome to take part through using, adding and discussing content. Feel free to dive in, and create or amend any page you think warrants improvement! Be bold! You don’t even need to create an account to contribute. However, doing so will help to identify you to others as a regular participant and at the same time provide you with a personal set of user pages. If you have educational content you feel could be useful, or want to develop your own, you might find it useful to read our page on adding content before doing so. It may also be helpful to explore Wikiversity a bit, and just try to come away with a sense of how things have been done thus far in the endeavor. Perhaps you might also like to check out Wikiversity: Introduction for the basics, take a longer guided tour to find your way around the project, or to work through an activity to make Wikiversity activities.

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Il gesto di Papa Bergoglio

Consolazione per poter consolare

“Ogni giorno è prezioso, non sciupate il tempo che avete per volervi bene”. Sono parole che Tiziana, vedova da sei anni, rivolge ai 1.187 partecipanti provenienti da 17 paesi al Congresso di Famiglie Nuove che si è tenuto a Castelgandolfo dal 28 febbraio al 2 marzo. Al tema della perdita del coniuge è stato riservato uno specifico ampio spazio, in un’alternanza di contributi specialistici e di esperienze di vita. “All’iniziale shock – spiega il dottor Angelo Alessi, psicoterapeuta – segue la disperazione che lascia il posto a tristezza e rassegnazione; l’accettazione della perdita segna il momento della ripresa e della speranza; esprimere e condividere il dolore in autenticità e vicinanza affettiva ricreando ponti di relazione con l’esterno sono alcune vie da percorrere per non restare impigliati in un sentimento che blocca la persona”. “La mancanza di Cosimo per me è stata una prova molto grande – confida Rosa –; mi sentivo vuota: mi sono impegnata a fare tanti atti di amore e ho sperimentato una pace profonda. La fede in Dio amore mi ha fatto sperare, mi ha dato consolazione per poter consolare, mi ha dato la certezza che non tutto era finito, ma che tutto doveva andare avanti”. Afferma Chiara Lubich: “Attraverso Dio in cui (i nostri cari ) sono, possiamo continuare ad amarci a vicenda, perché quella carità che essi avevano verso di noi rimane”, anzi è “perfezionata” e “non subisce oscillazioni”. E’ l’esperienza vissuta da Spirito, vedovo di Ilde da un anno, che racconta: “Il mio colloquio con lei continua ed accompagna le mie giornate più di prima. Ora lei è arrivata. In quella parte di viaggio che mi resta Ilde è con me, in attesa di rincontrarci nella stessa realtà”. Anche Tiziana parla di quel “profondo colloquio con Teresio che non si è interrotto dopo la morte ma che continua tra terra e cielo e mi fa sperimentare, ora come allora, quella pace che solo l’unione con Dio ti regala”, e che può diventare dono prezioso: “Sento che la mia vita deve continuare nell’impegno di amare ogni fratello che incontro nella mia giornata, al lavoro, in famiglia con i miei figli quando sono per loro madre e padre”. Matteo, figlio di Tiziana che alla morte del papà aveva 16 anni, racconta ad una platea commossa il percorso che dalla rabbia e dalla lacerazione interiore lo ha condotto a colmare il grande vuoto attraverso gesti di aiuto e condivisione: “Più aiutavo qualcuno e più sentivo papà vicino ed una grande pace dentro di me… A volte mi chiedo, se papà non fosse partito forse non avrei mai vissuto queste esperienze”. Al di là del dolore immenso e della solitudine che il lutto porta con sé i vincoli d’amore rimangono e possono fruttificare come segno di speranza: è il messaggio scaturito da questo momento di approfondimento. (altro…)

Il gesto di Papa Bergoglio

Il grande “gioco” della vita

Economia di comunione, impegno politico, lotta alla povertà. Sono solo alcuni degli “spunti” che hanno arricchito il programma del congresso gen 4 che si è svolto nella cittadella di Santa Maria (Brasile) dal 9 al 12 febbraio scorso. Erano 155 bambine e tra momenti di festa per il carnevale, gioco, musical e teatro, le gen4 – la diramazione più giovane del Movimento dei Focolari –  hanno potuto sperimentarsi con tematiche impegnative ma anche necessarie per affrontare con speranza il futuro. La maggioranza di loro viene da famiglie povere. La cittadella del movimento dei Focolari Santa Maria si trova in un contesto di grande degrado:  i due quartieri limitrofi sono passati in questi anni da ‘miserabili’ a uno stato di povertà dignitosa e questo cambiamento è stato anche riconosciuto ufficialmente dalla polizia in un documento dove dicono che la criminalità è diminuita negli ultimi 3 anni. È qui, nel territorio della cittadella, che sorge una scuola il cui metodo pedagogico è basato sull’Arte di amare, elaborato dalla spiritualità dell’unità di Chiara Lubich. Ed è stata proprio un’allieva della scuola – figlia di una famiglia molto povera e ora impiegata nel governo brasiliano in Brasilia – a raccontare alle gen 4 la sua esperienza dando loro forza e coraggio. Si è parlato anche di Economia di comunione e lotta alla povertà. Alle gen 4 sono state infatti presentate le imprese del polo Edc di Santa Maria ed hanno potuto conoscere gli imprenditori che cercano di mettere in atto nelle loro aziende un modello economico che predilige la persona e pratica la condivisone degli utili dell’impresa in favore dei più bisognosi. Seguendo poi un metodo educativo che unisce la teoria alla sperimentazione in presa diretta, le gen 4 hanno lavorato nella piccola azienda ‘multinazionale’ “Scintilla d’amore”, felici di poter lavorare per i poveri. All’elaborazione del programma hanno collaborato tutti: adulti, ragazzi, giovani. La sera del carnevale, la cittadella era diventata un immenso parco gioco dove alle gen 4 veniva offerta la possibilità di vivere le realtà quotidiane di una vera città ma di “viverle con l’amore”, dalla spesa al supermercato alla elaborazione di “leggi per il bene comune”. Quattro giorni intensi di divertimento e approfondimento, vissuti anche in un profondo rapporto con Gesù: “Sei tutto per noi – scriveva una bambina – Sei stato un grande re e un grande bambino. Resta con gli angeli e proteggimi notte, giorno e sempre”. (altro…)

Il gesto di Papa Bergoglio

Ubuntu: “Io sono perché noi siamo”

I Giovani per un Mondo Unito hanno lanciato il progetto Sharing with Africa, che vuol contribuire a far conoscere il dono che questo continente, con le sue specificità e tradizioni, può essere per il mondo intero. Già nel dicembre 2011 circa 200 giovani provenienti da vari paesi africani si erano incontrati con lo scopo di approfondire un progetto di fraternità realizzata, che va avanti fin dagli anni ’60 del secolo scorso a Fontem, in Camerun, per vedere come contribuire anche loro alla fraternità universale. Da quel momento è nato Sharing with Africa per concorrere alla formazione di una cultura aperta alla realizzazione di un mondo unito, promuovendo i valori che hanno edificato e formato la società del Continente africano. Il progetto vuole essere uno spazio di comunione tra i giovani, non soltanto del Continente africano ma del mondo intero e favorire lo scambio di culture, di talenti, di esperienze di vita, di sfide, corredato da attività concrete. Il primo passo del progetto prevede di partecipare il prossimo maggio a Nairobi, in Kenya, alla Scuola di Inculturazione che avrà come tema: “La persona – Ubuntu – Io sono perché noi siamo”. L’“Ubuntu” è una visione unificante del mondo, espressa nel proverbio zulu: “Umuntu Ngumuntu Ngabantu” (“Una persona è persona tramite e attraverso le altre persone”). Questo concetto è una concezione della vita che si trova alla base delle società africane e che contiene in sé il rispetto, la condivisione, la fiducia, l’altruismo e la collaborazione. È un concetto comunionale dell’uomo, che definisce la persona in rapporto alle sue relazioni con gli altri. Una persona con Ubuntu è aperta, disponibile agli altri, solidale, sa di appartenere a un tutto più grande. Quando si parla di Ubuntu si intende un senso più forte di unità nei rapporti sociali, per essere disponibili a incontrare le differenze dell’umanità dell’altro e arricchire la nostra: “Io sono perché noi siamo”. Il progetto Sharing with Africa prevede per i partecipanti alla scuola di inculturazione, oltre ad approfondire l’Ubuntu, anche la possibilità di svolgere diverse attività sociali insieme ai Giovani per un Mondo Unito del Kenya. Conoscere ed interagire con la tribù Samburu, ma anche lavorare per i bambini di uno slum, cioè un quartiere povero e degradato, di Nairobi e per quelli di un centro di alimentazione, sempre nella periferia di questa immensa città. (altro…)

Marzo 2013

Gli accusatori, a quelle parole, si ritirarono uno dopo l’altro, cominciando dai più anziani. Il Maestro, rivoltosi alla donna: “Dove sono? – disse -. Nessuno ti ha condannata?” “Nessuno, Signore”, rispose. “Neanch’io ti condanno: va’ e d’ora in poi non peccare più” (cf Gv 8,10-11).

«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»

Con queste parole, Gesù non si rivela certamente permissivo nei confronti del male, come l’adulterio. Le sue parole: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”, dicono chiaramente qual è il comandamento di Dio. Gesù vuole mettere a nudo l’ipocrisia dell’uomo che si fa giudice della sorella peccatrice, senza riconoscersi egli stesso peccatore. Sottolineando così, con le sue parole, la nota sentenza: “Non giudicate per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate, sarete giudicati” (Mt 7,1-2). Parlando in questo modo, Gesù si rivolge anche a quelle persone che condannano gli altri senza appello, non tenendo conto del pentimento che può sorgere nel cuore del colpevole. E mostra chiaramente qual è il suo comportamento nei confronti di chi fallisce: aver misericordia. Quando quegli uomini si sono allontanati dall’adultera, “sono rimasti in due – dice Agostino, vescovo di Ippona -: la miseria e la misericordia” [Commento al Vangelo di Giovanni 33,5].

«Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei»

Come mettere in pratica questa Parola? Ricordandoci di fronte a qualsiasi nostro fratello o sorella che pure noi siamo peccatori. Tutti abbiamo peccato e, anche se ci sembra di non essere incorsi in grossi sbagli, dobbiamo sempre tener presente che ci può sfuggire il peso delle circostanze che hanno indotto altri a cadere così in basso, ad allontanarsi in simile modo da Dio. Come ci saremmo comportati nei loro panni? Anche noi, a volte, abbiamo rotto il legame d’amore che doveva unirci a Dio, non siamo stati fedeli a lui. Se Gesù, unico uomo senza peccato, non ha lanciato la prima pietra contro l’adultera, nemmeno noi possiamo farlo contro chicchessia. E allora: aver misericordia verso tutti, reagire contro certi impulsi che ci spingono a condannare senza pietà; dobbiamo saper perdonare e dimenticare. Non mantenere nel cuore residui di giudizi, di risentimenti, dove possono covare l’ira e l’odio che ci allontanano dai fratelli. Veder ognuno come se fosse nuovo. Avendo in cuore, al posto del giudizio e della condanna, l’amore e la misericordia verso ciascuno, lo aiuteremo ad iniziare una vita nuova, gli daremo coraggio ogni volta per ricominciare. Chiara Lubich

Parola di vita pubblicata in Città Nuova, 1998/4, pp.34-35.
Il gesto di Papa Bergoglio

Con Benedetto XVI: «Il Signore mi chiama»

«Il Signore mi chiama a “salire sul monte”, a dedicarmi ancora di più alla preghiera e alla meditazione» ha affermato Papa Benedetto XVI domenica scorsa all’Angelus. «Ma questo non significa abbandonare la Chiesa – continua – anzi, se Dio mi chiede questo è proprio perché io possa continuare a servirla con la stessa dedizione e lo stesso amore con cui ho cercato di farlo fino ad ora, ma in un modo più adatto alla mia età e alle mie forze». Sottolineano questa dimensione spirituale della scelta del Papa anche i commenti arrivati dall’Inghilterra: il Rev. David Cornick, della Chiesa Riformata Unita, e segretario generale di Churches Together in England, organo ufficiale nazionale per i rapporti ecumenici in Inghilterra, afferma che «la decisione di Papa Benedetto di dimettersi ha un impatto non soltanto sulla Chiesa Cattolico-Romana ma anche su tutti noi, perché è fatta con una consapevolezza dei limiti umani, sorretti dalla grazia di Dio, una cosa dalla quale tutti possiamo imparare». Mentre il Rev. Robin Smith, Vescovo della Chiesa d’Inghilterra, testimonia: «Mi sono incontrato con Papa Benedetto varie volte e sono sempre stato impressionato dalla sua aria di santità, autenticità e benevolenza. La decisione (…) di abdicare e andare in pensione [avrà più conseguenze di tutte] perché riformula l’immagine del papato, non ultimo nelle menti dei cattolici». Il Dr Callan Slipper, focolarino e Reverendo della Chiesa d’Inghilterra, spiega che a suo avviso il Papa, con questa decisione, ha definito cosa s’intende col ministero petrino: «pregare e soffrire in primo luogo e poi anche azione. Ho pensato che è una buona definizione di quello che tutti dobbiamo fare per servire gli altri. Con il suo dimettersi non eserciterà più l’azione, però continuerà a pregare e soffrire per la Chiesa. (…) Mi sembra che dimostri il ministero petrino non come un ministero di tipo monarchico, ma realmente più come quello del Servo dei Servi di Dio». Dalla Chiesa ortodossa di Mosca, Galia dichiara di aver «provato dolore e la sensazione di una grande perdita. Auguro che questo passo di Benedetto XVI sia per il nuovo papa un esempio di amore che non teme il sacrificio. Questo suo passo testimonia un forte rapporto con Dio. Non ha pensato a sé, ma al servizio a lui richiesto». Auspica che il nuovo Papa sia «sensibile alle questioni tra le confessioni cristiane». Jens-Martin Kruse, Pastore della Comunità evangelica luterana di Roma, sull’Osservatore Romano del 22 febbraio ripercorre, in un articolo dal titolo “Benedetto XVI esempio di fede anche per i luterani”, alcuni gesti di profondo impatto ecumenico. Al panorama ecumenico, si aggiunge una voce dal mondo ebraico, quella del rabbino argentino Ariel Kleiner: «Quando ho appreso da Twitter della rinuncia del Papa ho capito che stavamo entrando in un momento doppiamente storico. Spero che ci sia presto la fumata bianca e che il successore possa continuare sui sentieri interreligiosi dei Papi Benedetto XVI e Giovanni Paolo II». «Al di là di ciò che questo momento significherà per i miei fratelli cattolici» dichiara Sonia Kirchheimer «personalmente, come ebrea attiva nel dialogo interreligioso, auspico che il successore di Benedetto XVI continui sulla scia del Concilio Vaticano II e della Nostra Aetate, perché costruiamo insieme un mondo più pacifico come figli di uno stesso Dio». Infine l’avvocato croato Zdravko Dujmović, di convinzioni non religiose, scrive: «Papa Benedetto XVI se ne è andato senza macchia. Non puoi non volergli bene e rispettarlo ancora di più per quanto ha fatto per l’Europa contemporanea e per l’intera cristianità. Il nuovo papa potrà continuare sulla via tracciata da lui e ritirarsi, quando non si sentirà più di continuare questo servizio. Anche nei primi secoli i cristiani si ritiravano nel deserto, facevano i digiuni per arrivare alla contemplazione, portando la spiritualità dentro di sé… un uomo grande se ne è andato». (altro…)

Il gesto di Papa Bergoglio

Adozione Giuridica dei Cittadini Detenuti

  • 500 detenuti hanno beneficiato del progetto, che ha visto svolgersi 300 processi penali:  si tratta di persone che probabilmente sarebbero ancora in attesa del processo, appesantendo il sistema carcerario.
  • 300 studenti di diritto hanno preso parte al progetto.
  • 350 famiglie dei detenuti assistite da studenti e operatori nell’area della salute e dei servizi sociali.
  • Oltre 200 cittadini scarcerati.
  • Oltre 1000 detenuti hanno beneficiato di assistenza attraverso raccolte di vestiti, giocattoli e materiale per l’igiene personale.
  • Articoli, saggi e premi ricevuti.

Sono solo alcuni dei risultati ottenuti (tra il 2001 – anno della sua nascita – e marzo 2012) dal progetto per l’Adozione Giuridica dei Cittadini Arrestati e presentati dalla prof. Maria Perpétua Socorro Dantas Jordão, coordinatrice del progetto e dal prof. Paulo Muniz Lopes, rettore della università, al convegno, organizzato da CeD, Fraternità, diritto e trasformazione sociale (Mariapoli Ginetta, 25-27 gennaio 2013). È un progetto che cerca di affrontare la problematica del sistema penitenziario nello Stato del Pernambuco, riguardo ai detenuti – in attesa di processo – che dovrebbero essere assistiti dalla Pubblica Difesa. Sono storie di vita, di abbandono giuridico, di uomini senza difesa, ma soprattutto bisognosi di uno sguardo di speranza. Avvicinare lo studente di diritto a questa realtà è una sfida costante del Progetto, soprattutto perché i detenuti “adottati” hanno commesso o tentato crimini gravi. Assumendo la fraternità come principio politico e giuridico da considerare, e contestualizzandolo nella prospettiva dei diritti umani, in quale direzione deve formarsi il futuro operatore del diritto? A partire dallo sguardo accademico sulla umanizzazione professionale del diritto, si verifica un incontro: il carcerato trova uno strumento per ottenere il rispetto dei diritti umani, spesso violati (anche per il sovraffollamento: dove dovrebbero vivere 98 persone ce ne sono 1400); il futuro professionista sviluppa il senso critico e prende coscienza della sua forza di trasformazione della società. Ma soprattutto si stabilisce tra studente e detenuto una dimensione di fraternità, che – associata alla libertà e all’uguaglianza – permette ad entrambi di sperimentare in pienezza la cittadinanza. Il Progetto di adozione giuridica dei detenuti è iniziato nel 2001, frutto di un accordo tra la Facoltà ASCES, il Tribunale di Giustizia dello Stato del Pernambuco, e la Segreteria Statale di Giustizia e Cittadinanza. In questo contesto la fraternità è stata gradualmente considerata anche come principio pedagogico per formare gli studenti di diritto. Il gruppo di ricerca prepara gli studenti per le attività di accompagnamento processuale con lezioni teoriche e tecniche di difesa davanti alla giuria. La metodologia applicata segue interviste con i detenuti, le loro famiglie e un lavoro di sensibilizzazione nelle scuole e attraverso i media. Passando così, dall’assistenza alla popolazione carceraria al dibattito sulla fraternità, si coglie come diritti umani e fraternità siano strettamente legati, per i valori democratici di base, ma soprattutto per diffondere una cultura della pace. Il lavoro di questi undici anni di attività, dimostra la possibilità di creare un sistema di protezione dei diritti umani, sociali e legali dei detenuti, agendo attraverso la distribuzione dei beni prodotti dalla cooperazione sociale. (altro…)

Il gesto di Papa Bergoglio

Prove di inculturazione

Dal 10 al 13 maggio 2013 la “cittadella Piero”, a Nairobi (Kenya), ospiterà  la Scuola di Inculturazione, un laboratorio che quest’anno ha come tema principale “la persona” nelle varie tradizioni africane. Un gruppo di giovani parteciperà inoltre per la prima tappa del Progetto “Sharing with Africa”. Di seguito il racconto di Giulia, dopo la sua esperienza in Uganda. «Aeroporto di Malpensa, 2 agosto 2011: destinazione “Kampala – Uganda”. L’emozione è tanta, anche se ancora non posso immaginare che quelle quattro settimane diventeranno una delle esperienza più belle e più importanti della mia vita. Per un mese ho condiviso la casa e la quotidianità con un’altra ragazza italiana e tre ugandesi e questo mi ha costretta fin da subito a mettere da parte ogni abitudine “occidentale”, ogni modo di fare o di pensare, per aprirmi a loro e alla loro vita: ma quelli che all’inizio erano piccoli sacrifici, presto sono diventati ricchezza, un nuovo modo di pensare e di relazionarmi con chi avevo intorno. Mi ha colpita la concezione che gli africani hanno della persona: per loro al centro di ogni cosa sta la persona, l’altro, e non il tempo, la fretta, gli impegni. E così, ad esempio, una riunione inizia quando tutti sono arrivati, e non solo quando lo dice l’orologio, o l’autobus parte quando è pieno e tutti sono saliti, e non ad un orario prestabilito. “Come potete voi occidentali basare le vostre giornate sullo scorrere del tempo, che non vi appartiene e non potete controllare in alcun modo?”: una domanda che ancora mi risuona dentro quando mi lascio travolgere dalla frenesia delle giornate, rischiando di ignorare le persone che ho attorno. Tipico dell’Africa sub-sahariana è il concetto di “Ubuntu”, un’espressione che può essere tradotta come “Io sono ciò che sono per merito di ciò che siamo tutti”. A questo proposito, Nelson Mandela ha detto: “Ubuntu non significa non pensare a se stessi; significa piuttosto porsi la domanda: voglio aiutare la comunità che mi sta intorno a migliorare?”. Quanta saggezza in queste parole! E non si tratta solo di parole ma di vita vera, di quotidianità vissuta nella prospettiva del “noi” e non solo dell’”io”: tutto è in comune, tutto è fatto insieme, i figli dei vicini sono come i tuoi e anche l’ospite più sconosciuto che capita per sbaglio in casa tua diventa immediatamente parte della famiglia. Non scorderò mai la commozione provata quando sono stata invitata a pranzo dalla famiglia di una delle mie coinquiline: una casa senza bagno in un quartiere non così diverso da una baraccopoli, eppure la tavola era imbandita e il pasto abbondante. Perché non importa quanti sacrifici ti costi invitare a pranzo le amiche di tua figlia: l’ospitalità, la reciprocità e la condivisione con l’altro contano più di ogni altra cosa. Ho lasciato l’Uganda sentendomi più ricca di prima. Per settimane sono stata straniera, quella con un colore della pelle diverso, una lingua diversa, abitudini diverse; eppure sono sempre stata accolta, ho sempre trovato un sorriso e una stretta di mano, mai mi sono sentita discriminata o fuori posto. Adesso, incontrando per strada i tanti immigrati che abitano nella mia città, mi sembra di vederli con occhi nuovi: cerco di calarmi nei loro panni. Questo pezzo di Africa che ogni giorno sbarca in Europa merita  quella stessa, enorme accoglienza che io per prima, pur straniera e bianca, ho ricevuto in Uganda: è condivisione, è reciprocità, è Ubuntu, è qualcosa che va ben oltre il semplice rispetto per “il diverso”. Che poi, diverso da chi? Poche ore di aereo e “il diverso” sei tu, e ti rendi conto che siamo tutti molto più simili di quanto non si creda». (altro…)